Il segreto del lago dell`arcobaleno

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Il segreto del lago dell`arcobaleno
Il segreto del lago dell’arcobaleno
(L segret del lech de l’ercabuan)
spettacolo di musica, narrazione e canto
ispirato alle Leggende del Latemàr
testi di Fabio Chiocchetti
musiche di Gianfranco Grisi
Istitut Cultural Ladin
2009
Entrada – Tel bosch de la Tomèra
(Narratore e Cantante fuori scena)
NARRATORE: (entra timidamente in scena) S... salve... (tra sé) Accidenti quanta
gente!... (al pubblico) Bella giornata, vero? S... scusate, non avete visto per caso
qui in giro una ragazza,... vestita di bianco, capelli lunghi, un po’ strana,...
piuttosto carina? No eh? Beh, per forza, troppo movimento, oggi... No, perché
spesso lei viene qui, verso quest’ora, di solito non c’è nessuno, si siede sull’erba
sotto quegli alberi, o laggiù su quel masso, e poi se ne sta lì tranquilla a pettinarsi
i capelli, o a intrecciare coroncine di fiori, oppure a ricamare... No, non so come
si chiama, non gliel’ho mai chiesto, non le ho mai parlato... no, nemmeno lei mi
ha mai rivolto la parola... però mi ha sorriso! sì sì, mi ha proprio sorriso, e più
volte anche... Ah, com’è bella! Bella come il sole... e quando sorride poi!... Beh,
in effetti è un po’ strana: arriva, se ne sta lì senza aprir bocca, e poi tutt’a un
tratto, sparisce!... sì sì, svanisce proprio! Non parla, però, qualche volta... canta!
ah, come canta! Dovreste sentirla... una voce dolcissima, melodiosa, che ti entra
dritta fin dentro il cuore...
Bah, sapete? Ho l’impressione che sia una “vivana”... sì, una vivana! Non sapete
chi sono le vivane? No? Sono le ninfe delle acque e delle montagne, creature
bellissime e sapienti, che custodiscono i segreti della natura... così si chiamano da
queste parti! Vivane. Eh, certo, non le avete mai viste, non se ne vedono molte in
giro di questi tempi...
Arieta de la Vivènes
Eh sì!.. un tempo questi luoghi erano abitati solo dalle Vivane e dai Morchies…
Ma sì, i Morchies! quegli omini piccoli piccoli, alti non più di sessanta
centrimetri, abilissimi minatori, capaci di ricavare dalle montagne oro, argento e
pietre preziose, quelli venuti di lontano al seguito di Re Laurin... La sapete la
storia di Re Laurin? No? Beh, ve la racconterò una volta o l’altra (fatelo sapere
all’APT, così magari, eh?...). Anche di Morchies se ne vedono raramente in giro,
ormai, però qualche volta... (a un bambino) Fa veder tu, quanto sei alto?... Uhm...
Poi c’erano i Salvans, signori della selva, alteri, corpulenti, barba incolta, capelli
arruffati (guarda il Grisi), vestiti di sacco, o anche muschio e licheni... Anche i
Salvans conoscono i segreti montagna! Non si direbbe, ma sono saggi, ed hanno
potere sulle forze della natura... Sono anche suscettibili, talvolta, bisogna stare
attenti a non disturbarli, a non offenderli, altrimenti se si adirano sono guai!...
Nooo, non c’entrano gli stregoni! Quelli sono tutt’altra cosa! Non c’erano streghe
e stregoni a quei tempi! Sono venuti dopo, molto tempo dopo, quando da queste
parti sono arrivati gli umani... No, non dico che gli umani siano tutti malvagi, ma
è un fatto che qui streghe e stregoni appaiono quando compare l’Uomo! Cosa ci
volete fare?...
Come faccio io a sapere tutto questo? Ma io sono... io ero... (tra sé) no, niente...
Io sono un pastore, questo l’avete capito, no? E tra i pastori si tramandano queste
cose da tempi immemorabili! Ho lasciato le mie pecore al pascolo, su a Merisana
de sora, e sono sceso un attimo quaggiù per vedere se per caso... sì, insomma per
vedere la fanciulla! Beh, sì, ci vengo quasi tutti i giorni... Eh, ma mi sa che oggi
non si farà vedere, uhm, troppa gente...
Il fatto è che, se è una vivana, bisogna fare attenzione. Innamorarsi di una vivana
può essere pericoloso (beh, non solo di una vivana, a dir il vero...). In genere sono
dolci, disponibili, premurose, ed anche laboriose e amanti dell’ordine: ma c’è
sempre qualcosa che va storto, con le vivane...
La sapete la storia di quella che stava nell’amena Val di Dona, oltre quella cresta?
Quella che fece innamorare il cavaliere Man de Fier con il suo canto melodioso?
Sapete come andò a finire, no? “Non dovrai mai pronunciare il mio nome!”, gli
aveva intimato... Che cosa stravagante, no? E quell’altro, lo venne a sapere il suo
nome, ma sì, lo venne a sapere per caso, e così: “Antermoia!”, la chiamò accecato
dalla passione... E quella, cantando un ultimo dolcissimo canto svanì nel nulla, e
il prato si trasformò in un lago: sì, il lago di Antermoia.
Ah, temo proprio che oggi non verrà... Vorrei tanto sentirla cantare... Beh,
pazienza, me ne starò qui seduto per un po’... a tenervi compagnia. Noo, io non so
cantare, no, è meglio di no... però so raccontare storie. Ah sì? S’è già capito... va
bene, magari vi racconterò qualche altra storia... oppure vi suono un po’ il mio
flauto! Sto imparando, sapete? Qualche volta mi riesce abbastanza (accenna
qualche nota stonata) non sempre però... Ecco, quando sto con la vivana, sì
insomma, con la fanciulla, allora il mio flauto suona proprio bene (il musicista
intona il tema, mentre la cantante appare, si posiziona e comincia a pettinarsi).
Intro: “L lech de l’ercabuan” – L strion e la vivèna
Come dite? È qui!? Dove, dove? Accidenti, è vero, è proprio lei!... beella!
(Il Narratore mima il suonatore di flauto, poi si attacca subito il canto seguente)
CANTANTE: “L lech de l’ercabuan” - L strion e la vivèna (prima strofa).
Japede l bosch de la Tomèra
l’é n picol lech da l’èga frescia e chièra
lo che se scon na perla lumenousa
l’é na vivèna, l’é na belota tousa
che cianta dutoldì tel vent
l’é na vivèna, la fia del lech de arjent.
Rit: Che èste mai inom, bela vivèna
che al lumenous de la doman te spieies
tel lech ti bie ciavei color de l’òr?
Respon, te pree, a mie amor
che la pascion no empee ira e furor.
NARRATORE: La conosco, sì, la conosco questa canzone! È la storia della vivana che
abitava nel Lago di Carezza, sì, quello che sta ai piedi del Latemàr, circondato
dagli alti abeti del Bosch de La Tomèra, lo chiamano così da queste parti! Che vi
dicevo? Non è un amore? Beh, anche la musica è bellina, ma lei, non è
meravigliosa? Avete sentito che voce? Ahh...
Volete sentire la storia? Va bene, se insistete... Il lago lo conoscete, no? È famoso
in tutto il mondo ormai, per i suoi colori straordinari e cangianti... In verità, ci
sono varie leggende che spiegano l’origine di quei colori. C’è chi dice siano il
riflesso di un tesoro sepolto nel profondo delle sue acque, fatto di gemme e pietre
preziose, e c’è invece chi sostiene si tratti dei colori dell’arcobaleno. Un bel
dilemma... Se so qual è la vera origine? Certo che la so! Ci mancherebbe... Ma è
una storia complicata, è necessario partire dall’inizio.
Allora: come vi dicevo, nei primi tempi questi luoghi erano abitati solo dai
Morchies, dai Salvans e dalle Vivane, e tutti vivevano in pace e in armonia con la
natura. O quasi... Infatti, i Morchies, che erano stanziati nella Val de Dò Peniola,
sulle pendici settentrionali del Latemàr, un piccolo problema ce l’avevano. La
foresta dove essi abitavano era continuamente battuta da un vento impetuoso e
malandrino, che si divertiva a sradicare gli abeti imponenti, a flagellare gli esseri
viventi e a sconquassare le rocce, trascinando a valle frane e slavine. Era il Vent
Ostran, un vero demonio, un vero tormento, per i nani laboriosi... Potevano
cambiar posto, dite voi: è vero, ma in quella valle i Morchies avevano da secoli
gli accessi alle loro miniere, e i loro laboratori sotterranei dove tagliavano le
pietre e cesellavano i gioielli, ed avevano bisogno di quel legname per fondere i
metalli preziosi... Più volte essi avevano cercato di venire a patti con quel vento
dispettoso, cercando un modo per convivere, ma niente da fare: quello continuava
a spadroneggiare indisturbato, finché un bel giorno i Morchies persero la
pazienza! Con uno stratagemma riuscirono ad attirare il Vent Ostran in una grotta
profonda e lì lo imprigionarono per mezzo un potente sortilegio. Soltanto un
cuore puro e buono avrebbe potuto liberarlo da quella maledizione!
CANTANTE: “La cianzon del Vent Ostran”
Te Val de Dò Peniola l’era n re
zenza ciastel, ma che volea dut per sé
corona no l’aea, ma n gran mantel
l sgolèa dut intorn con chel tel dos.
Pere chel cos che lo fajea enirèr!
l lo branchèa e tras l lo trajea stroz.
L’é l Vent Ostran, patron de la valèda
èlbres e monc tedant da el se pia
e se chi tegn permez, la é braussa e ria.
Ma ogne malandret à l temp contà
e con n cunst Ostran é stat ciapà.
Da re a prejonier, chest l’é l destin
per chi che zenza fin fèsc faciamai
a meditèr si fai te n cougol scur:
zenza speranza ampò pena no é mai.
L’é l Vent Ostran, tel crep emprejonà:
demò l’amor de n cher pur e valent
da chest torment librèr te podarà.
NARRATORE: E così il Vent Ostran rimase per sette secoli prigioniero nel profondo
della montagna, a meditare sulle sue malefatte: un’eternità! Ma la vera giustizia
vuole, come dice il canto antico, che non vi sia pena senza speranza, speranza di
riscatto e di redenzione... Volete sapere se venne liberato? Ebbene sì, ci volle del
tempo, ma alla fine qualcuno lo liberò dall’incantesimo.
Beh, la fanciulla ha smesso di cantare... vorrà dire che la storia ve la racconterò
io. Dovete sapere che molto tempo dopo, come vi dicevo, gli uomini si
affacciarono su queste terre e si stanziarono a fondo valle, costruendo case, strade
e villaggi, ricavando dalla selva radure, e campi, e pascoli per i loro armenti.
All’inizio non c’erano problemi con le Vivane e con le altre genti della montagna,
c’era spazio per tutti! E ognuno badava ai fatti suoi... Anzi, talvolta ci si dava una
mano, i Salvans insegnavano agli uomini a lavorare il latte per ricavarne il
formaggio, i Morchies a forgiare i metalli e le Vivane svelavano loro i segreti
delle erbe, indicavano alle donne il tempo adatto alla semina e al raccolto. Gli
uomini ricambiavano con cibi caldi ed panni di lana. Ah, c’era una cosa di cui le
Vivane erano ghiotte! era il pan noel, il pane fresco, appena uscito dal forno... Per
forza, si cibavano solo di bacche, radici ed erbe selvatiche! Quando sentivano il
profumo del pane novello, quelle uscivano dal bosco, si avvicinavano silenziose
alle case e si affacciavano alla finestra: lì, sul davanzale, di solito gli umani
lasciavano qualche pagnotta fumante, cotta apposta per loro. Un gesto carino, no?
Eh, gli uomini erano abili a cucinare (beh, meglio le donne, a dire il vero...), ma
soprattutto avevano sviluppato una tecnica speciale per macinare il grano e
ricavarne la farina: bella, bianca, soffice, odorosa!... sapevano raffinarla,
separandola dalla crusca, avevano costruito mulini lungo il torrente, dove il grano
veniva macinato senza fatica: ci pensava l’acqua a muovere le macine!...
Variazione: “Entrada” o simili …
Però c’era una cosa che le genti della montagna non capivano: perché mai gli
umani volevano “possedere” la terra?... Sempre intenti a dividersela tra loro,
questo è mio, questo è tuo... Mica scappava la terra! Uno non poteva mica
portarsela dietro, stava sempre là... Non bastava il raccolto? E siepi, e confini, e
liti... sempre a litigare, questi uomini! Come? Noo, non adesso, parlo di allora,
parlo di quei tempi lontani! Io? Ma io sono un pastore, il pascolo è di tutti,
ognuno può portarci il gregge, tanto l’erba ricresce!... E invece loro, sempre ad
allargare i confini delle loro proprietà, non ne avevano mai abbastanza di terra!
Insomma, oltre alla cucina, gli uomini avevano portato in queste terre una brutta
malattia: l’Avidità, una cosa che ai Morchies, ai Salvans e alle Vivane era del
tutto sconosciuta...
Perché vi racconto tutto questo? Ma perché la storia adesso prende un brutta
piega proprio per colpa di un mugnaio, sì, di un mugnaio avido ed egoista,
proprio un tipaccio, sapete? Si chiamava Tone Vagere, aveva costruito il suo
mulino (l’unico mulino dell’intera vallata) laggiù, lungo il corso del Rio di
Costalunga, nel villaggio di Moena, ed era tanto avido quanto abile negli affari!
Beh, abile non è proprio la parola esatta. Era un furbetto,... anzi un furbastro,... un
furbone,... insomma un maledetto imbroglione! Sì, proprio un imbroglione! Non
si accontentava della motura, il giusto compenso sulla macinatura, no! truffava
regolarmente i suoi clienti sottraendo loro una parte del grano, che macinava poi
per conto suo! E con i guadagni illeciti comperava campi, e case, e armenti, e si
arricchiva sempre più. In poco tempo era diventato l’uomo più ricco e potente di
tutta la vallata! Ma Tone Vagere non ne aveva mai abbastanza, era talmente avido
che la sua brama di possesso cresceva sempre di più insieme con la sua ricchezza.
Non aveva ritegno, né rispetto per nessuno. Si vantava del suo potere e della sua
sfrontatezza, e non si accorgeva di quanto era povero ed infelice...
CANTANTE: “La cianzon de Tone Vagere” (con sovrapposizione del Narratore)
L’é chi che disc “no scutièr”
i é faiches e poltrons, e bogn da nia.
L’é chi che disc “no brameèr”
chisc à jà dut, e no ge mencia nia.
L’é chi che disc “no fèr del mèl”
l’é chi che à poura de sia medema ombrìa.
Chel che te scusa tòlete pura enstes
jache te l sès: per nia negugn dèsc nia.
Chiò l’é dut mie, l bosch e l lech é mie
ciampes e pré e pastures, l’é dut mie
e mie l’é ence chel che l’é de Die.
E ence colassù ducant é mie
cavìa e cafora e colajù, perdìe!
ve die che dant o dò dut sarà mie...
Te die ben gé coche la é
la vita va debel, no conta nia
chi che più à più pel
e per i etres la sarà braussa e ria.
NARRATORE: Tone Vagere aveva un segreto. No, non poteva essere diventato così
ricco solo truffando i contadini di qualche misura di grano. No, c’era dell’altro! Io
lo so... Tone Vagere trafficava di nascosto con... i Morchies del Latemàr! Sì,
aveva scoperto che anche i Morchies, come le Vivane, gradivano il pane fresco,
ed avevano addirittura imparato a cuocere focacce e pagnotte usando il fuoco
delle loro fucine. Focacce e pagnotte che offrivano talvolta alle Vivane, sì, e in
cambio... beh, lasciamo perdere, non è questo il punto. Il punto è che Tone
Vagere forniva loro la farina, sì, proprio quella ricavata dal grano rubato, e la
barattava in segreto con... oro e pietre preziose! Capito?! Non ci credete? È così,
ve lo giuro! Oro e pietre preziose in quantità! Mica scemo, no? Come dite? Erano
scemi i Morchies? Ma cosa volete, per loro le gemme e i metalli preziosi avevano
un altro valore, non quello del denaro! Per i Morchies le pietre avevano
importanza solo per le proprietà che esse possedevano, proprietà magiche, che
sprigionavano sotto forma di luce, colori, radiazioni!... Pensate, curavano le
malattie con la luce prodotta da pietre di diverso colore! Come dite? anche Gladia
a Canazei lo fa? Cromo- che? Cromoterapia? Ah, però... Non lo sapevo... Beh,
interessante... Ah, ma poi, per esempio, i Morchies sapevano far passare un
raggio di sole attraverso un cristallo, e quello per magia si scomponeva in tante
luci colorate!! Divertente, no? (allo stesso bambino di prima) Come scusa? Lo sai
fare anche tu!? L’hai imparato a scuola! Davvero? Non ci posso credere... (tra sé)
Lo dicevo io, questo qui dev’essere proprio un piccolo Morchie...
Eh, con le pietre preziose sapevano fare ancora un sacco di cose bellissime!
(queste tu non le sai fare, scommetto...). Pensate, le facevano lievitare come bolle
di sapone, e poi quelle volteggiavano in aria componendo mille giochi
meravigliosi di luci e di colori, come faceva E.T., l’avete visto, no?, il film di
E.T.? Come dici, scusa? Era un extraterrestre? Lo so, ma era un Morchie! Cosa
credete, che non vi siano Morchies nelle altre galassie? Ce ne sono eccome! E
tutti sono abilissimi nel fare questi giochi con le pietre preziose...
(fa giochi di luce con le bolle di sapone).
Sautarel di Morchies (strumentale)
Beh, torniamo a noi. Tone Vagere si faceva pagare con oro e pietre preziose.
Ecco da dove veniva tutta la sua ricchezza!! Eppure, tutto quello che possedeva,
tutto quello che andava accumulando nel corso degli anni non gli bastava mai.
Ah, ma questa storia con i Morchies l’avrebbe pagata cara!...
Infatti, ben presto le cose si misero male. Dovete sapere che quell’avaraccio non
aveva figli, non si era mai sposato, figuratevi con quello che costa mantenere una
moglie! Però aveva un nipote, sì, un bambinetto di nome Pierùcol, che gli era
rimasto in casa dopo la morte del padre, il suo unico fratello Bastian. La madre?
Beh, della madre a dire il vero si sa poco, pare fosse morta nel darlo alla luce,
così almeno si diceva al tempo... Come dite? Anche lei una vivana? Mah, può
darsi, chi lo sa? Beh, insomma, non posso mica saper tutto, io!...
So però che al piccolo era toccata in eredità un bel po’ di sostanza, una casa,
molti campi, prati e pascoli che del resto Tone Vagere amministrava a nome del
nipote e... a suo proprio beneficio. Ma ciò non gli bastava. Smaniava per quel po’
di roba, e almanaccava persino di notte su come avrebbe potuto fare per entrarne
in possesso. A che gli serviva, se già ne godeva? Temeva forse che giunto alla
maggior età Pierùcol ne chiedesse conto? Ma figuratevi! A lui non interessavano
queste miserie!... Come faccio a saperlo? Beh,... io lo so e basta. Sta di fatto che
piano piano Tone Vagere maturò un’insana decisione, quella di liberarsi per
sempre del nipote. La sua cattiveria era arrivata a tal punto che la gente lo evitava
come la peste, gli uccelli volavano via al suo apprire, e così il bestiame
domestico, gli animali del bosco, insomma tutti gli esseri viventi se ne tenevano
lontani. Persino la sua ombra a poco a poco sembrava volesse distaccarsi da lui...
CANTANTE: “La cianzon de l’ombrìa che se n va”
Duta na vita enlongia te
son stata, e sun ti vèresc
te é compagnà fideila
fin da tia pruma età
e mai no te é lascià
nience cò te venjea la sèn.
Con pievia e con soreie
con te é viajà, a pé, dò troes adorc
o a ciaval apede te al galop
sun strèdes e vièi dalonc dalonc...
Ma ades apede te no pos’ più stèr
gé cogne me n jir e te lascèr
che te ès perdù respet e onor.
Son semper la medema ombrìa
ma tu no t’es più chel
l gaite te à mudà revel
e chest tia condana per te sarà
gé, dò duta na vita adum,
me n vae, e a ti te restarà
recor e solentum.
NARRATORE: E così Tone Vagere mise in atto un piano scellerato per eliminare il
piccolo Pierùcol. Una sera, stava già facendo buio, lo condusse con sé nella Valle
de Dò Peniola: “Aspettami qui un momento – gli disse – torno subito”, e lo
abbandonò al suo destino. Il piccolo, perdendosi nel bosco, sarebbe certamente
morto quella notte stessa, o per la paura, o per il freddo, o per la caduta in un
crepaccio, senza scomodare le bestie feroci o gli spiriti cattivi... No, Pierùcol non
sospettava di nulla. No, non aveva portato con sé i sassolini bianchi per ritrovare
la strada, e neanche le briciole di pane. Non aveva ancora letto la fiaba di
Pollicino, no...
Per farla breve, il piccolo vagò a lungo nella notte, disperato, finché giunse ai
piedi di un’alta rupe che sovrastava il bosco de la Tomèra, dove si poteva
scorgere l’apertura di una grotta. Pensò di entrarvi per ripararsi dal freddo,
quando sentì un sinistro ululato provenire dal profondo della cavità. Uhuu!
Uhuuu!!...
- Chi sei tu, che giungi nel cuor della notte in questo luogo desolato?
- Sono un bambino, mi sono perduto nel bosco e non trovo più la strada per
tornare a casa...
- Un bambino? - Un bambino dal cuore buono e puro? Ma allora sei venuto a
liberarmi! Finalmente! Ero proprio stufo di stare in questa grotta puzzolente!...
Ebbene sì, era il Vent Ostran, il vento dispettoso imprigionato nella roccia dai
Morchies! In breve Pierùcol gli raccontò la sua triste storia, e il Vent Ostran se ne
impietosì.
- Guarda Pierùcol, tu ora mi potrai liberare dell’incantesimo che mi tiene qui
prigioniero. Basterà che tu metta la tua mano destra prima sul tuo cuore, poi su
quella pietra sporgente. Io sarò libero, e sarò per sempre al tuo servizio. Sono
cambiato molto, sai? Mi sono pentito, non farò più tribolare gli esseri viventi.
Però se vorrai, punirò severamente quel tuo zio avido, ingordo e malvagio. Lo
punirò con la morte! Lo seguirò durante il suo prossimo viaggio, e lungo la strada
afferrerò lui e il suo carro, facendoli precipitare nel burrone. Così lui non potrà
più insidiare le tue proprietà, e tu avrai in eredità tutto ciò che egli già possiede: il
mulino, le case, il bestiame, i campi, i pascoli, il bosco, tutto sarò tuo. Sarai ricco
e rispettato, per tutta la vita!
Intro: Valzerin del Vent (strumentale)
(il Narratore prosegue, in tono intimo)
- No, non farlo, ti prego. Non voglio che tu gli faccia del male. A me non
interessano i suoi averi, non voglio diventare ricco, non voglio fare il mugnaio, né
avere campi e terre da coltivare...
- E cosa vorresti, allora? cosa vorresti fare da grande?
- Vorrei fare il pastore, avere delle pecore, portarle al pascolo, scendere con loro
in pianura in inverno, e poi tornare quassù ogni anno, su questi pascoli, fra queste
montagne, stare in compagnia degli animali del bosco, insieme con gli esseri che
lo popolano, per sempre... Questo io vorrei...
Valzerin del Vent (strumentale)
NARRATORE: (alla fine dell’esecuzione, riprendendo il tono consueto) Era davvero un
bambino dal cuore buono e puro. Il suo desiderio fu esaudito. Lo zio cattivo per il
momento non fu punito per la sua malvagità, non era ancora giunta la sua ora. Ma
la punizione non avrebbe tardato.
E il piccolo Pierùcol? Giù in paese non si seppe più nulla di lui. Lo dettero per
morto e lo zio si impadronì dei suoi averi. Ma invece le cose non erano andate
così: il Vent Ostran lo prese con sé e lo portò lontano, in un posto bellissimo ai
piedi della Roda de Vaél. Lì fu accolto dalle Vivane, che lo allevarono con affetto
e gli insegnarono tutti i segreti dei pascoli e delle alte montagne. Divenne un
pastore accorto e premuroso, e poté restare per sempre sulle montagne che tanto
amava. Come faccio io a sapere queste cose? Ma è che io sono... io ero... (tra sé)
no, niente... Io sono un pastore, e queste storie tra i pastori si tramandano da
tempi immemorabili (estrae il flauto e il musicista intona il tema de “L lech de
l’arcabuan”...)
CANTANTE: “L lech de l’ercabuan” - L strion e la vivèna (seconda strofa)
Te n cougol dò la Portes Neigres
stèsc n strion, l più potent e rie
che su la tera se aessa mai spià
e ades da na vivèna l’é strionà:
l la vel, e dutoldì l la brama
coi eies sbugolé, e co na usma grama.
Rit.: Che èste mai inom, bela vivèna...
NARRATORE: Ah, l’avete sentita? Non ha una voce meravigliosa? Vedete? a lei piace
quando io suono il flauto, e a quel punto lei comincia a cantare. Vuoi vedere che
ha un debole per me?! No, no, è meglio che non le rivolga la parola, per ora,
sennò magari quella sparisce d’improvviso e qui si forma un lago... Vi lo
immaginate, qui, proprio qui, un lago? E poi chi li sente, quelli del rifugio?
(dell’Istituto, del Comune, o simili). No, no, è meglio andarci piano, con le
vivane, ve l’ho detto. Sapete bene come andò allo Stregone che desiderava la
vivana del Lago di Carezza. Quale stregone? Ma quello che abitava nell’antro de
La Portes Neigres, lassù oltre Valon da Coi, sull’altro versante del Latemàr.
L’avete sentita la canzone, no? Era uno stregone assai potente, e malvagio quanto
basta. Ogni giorno scendeva al lago attraverso il Bosch de la Tomèra, e la spiava
di nascosto con occhi strabuzzati dal desiderio. Ma quando osava avvicinarsi per
chiederle come si chiamasse, quella “pluff!...”, si tuffava nelle acque profonde del
lago e non si faceva più vedere. Una rabbia!...
Gavota de Pierùcol (strumentale)
NARRATORE: Cosa c’entra Pierùcol con questa storia? Niente, a dire il vero, ma
c’entra eccome l’avido zio, Tone Vagere Moliné! Credete che quel losco figuro,
dopo la scomparsa del nipote, si fosse messo il cuore in pace? Ma neanche per
sogno! Mica ne aveva abbastanza della ricchezza che aveva accumulato, mica era
contento di essersi impossessato anche della parte che spettava al nipote!
Macché! Continuava a desiderare di più, sempre di più, ancora di più!... era
proprio un povero infelice. Ora aveva messo gli occhi sul Bosch de la Tomèra,
alberi magnifici, abeti slanciati, larici possenti... se avesse potuto diventare il
padrone di quel bosco, ah... allora sì avrebbe fatto dei buoni affari! il Bosch de la
Tomèra produceva il miglior legname da costruzione di tutte le vallate vicine!
Però, c’era un però... Si diceva che quel bosco fosse interdetto agli umani. Era dei
Morchies, quei mostricciattoli ci tenevano a quel bosco in modo esagerato...
Qualcuno in passato aveva tentato di tagliarne qualche pianta, ma ogni volta se ne
era pentito di brutto! quando si incavolavano i Morchies facevano di quei
sortilegi, accidenti, meglio stare alla larga... Tone Vagere, con la storia della
farina, aveva tentato la strada della trattativa: niente da fare, il bosco non si tocca!
Piuttosto gemme e pietre preziose, ma gli alberi, no, assolutamente! Beh, intanto,
di gemme e pietre preziose in tanti anni l’avido mugnaio ne aveva accumulato un
bel po’, un vero tesoro! Ma cosa se ne faceva, se non poteva comprarsi il Bosch
de la Tomèra. Era quello il suo più grande desiderio! Ora Tone Vagere doveva
trovare il modo di liberarsi dei Morchies. Ed è qui che entra in gioco lo Stegone.
Eh sì, perché lo Stegone, anche lui mago e alchimista, aveva bisogno delle pietre
e dei metalli del Latemàr, per compiere le sue stregonerie, e i Morchies non
avevano nessuna intenzione di fornigliene! Troppo pericoloso, un concorrente
così sulla porta di casa, e poi, così malvagio! No no, niente da fare, nientre pietre
allo Stregone. Una rabbia!...
Così inevitabilmente Tone Vagere e lo Stregone si incontrarono, uniti dalla stessa
avidità e dalla stessa malvagità, e strinsero un patto scellerato: il primo avrebbe
ceduto il suo tesoro di gemme e pietre preziose allo Stregone, e con queste
quell’altro avrebbe potuto compiere i suoi malefici per cacciare finalmente i
Morchies fuori dal Bosco del Latemàr! A quel punto Tone Vagere avrebbe
finalmente avuto via libera, e in poco tempo il Bosco sarebbe stato distrutto!...
Era troppo. Non se ne poteva più di tanta ingordigia. Tutti gli esseri de bosco a
questo punto si resero conto che bisognava fermare quel malvagio ed evitare lo
scempio. Ne andava della loro stessa esistenza. E fu così che venne convocato il
Tribunale del Bosco...
CANTANTE: “La sentenza”
I testamonesc i aon sentui
i vic e i fac i aon vedui
l l’à dit la Bolp, l l’à dit l Dui
col ton respon ence l tarlui
Tone Vagere é rie dassen
lère e sassin zenza retegn
per chisc delic l’é condanà
sentenza ades vegn pronunzià:
demèl, descrédit, dejonor
en séghit l se porte en dos
olache mai che l vae, perecos
e al Bosch ge sie retù l’onor.
NARRATORE: La sentenza di condanna fu unanime, ma la pena fu di poco sospesa,
poiché si seppe dalle vivane che i giorni terreni per l’avido mugnaio stavano per
finire. Alla sua morte egli sarebbe stato condannato a vagare per l’eternità,
infelice e disperato, con un’enorme macina sulle spalle, il peso della sua
ingordigia e della sua disonestà. E così fu. Ancora oggi lo si sente ululare
orribilmente nei boschi lungo il torrente che attraversa la Val de Dò Peniola, in
attesa che qualcuno lo liberi da quella maledizione. Non ci credete? Provate allora
ad andarci di notte, se ne avete il coraggio! Sapete che ancora oggi quelli che
scendono nottetempo da Costalunga fino a Moena se la fanno sotto, quando
attraversano quella valle? Perché? Perché hanno paura di incontrare il fantasma
del torrente Dò Peniola, ecco perché!...
Comunque sia, lo Stregone del Latemàr era entrato in possesso del tesoro dei
Morchies: rubini, smeraldi, topazi, ametiste, zaffiri, acquamarine, diamanti, pietre
di ogni forma, grandezza e colore. E grazie a quelle pietre la sua magia era
divenuta ancora più potente. Ma lui era innamorato della bella vivana... Vi
immaginate? Uno Stregone innamorato!... niente di più patetico! Non sapeva che
pesci pigliare, non trovava il modo per conquistarla. Appena le si avvicina, quella
se ne accorgeva e “pluff!...”, si tuffava veloce nel lago. Forse lei percepiva la sua
malvagità, e a dire il vero lui non era neanche un granché,... anzi era proprio
bruttino. Nooo, non proprio un mostro, ma insomma, non era il suo tipo, va
bene!? Per avvicinarsi si era addirittura trasformato in una lontra, ma gli uccelli
del bosco si erano messi a cinguettare disperatamente e la vivana “pluff!”...
Niente da fare! Evidentemente lo Stregone poteva trasformarsi in una lontra, ma
non sapeva nuotare! Ah ah ah!... Una rabbia!... Ma cosa volete? era talmente
rinco... ehm... innamorato, al punto che non sapeva nemmeno usare a dovere le
sue stesse arti magiche! Beh, insomma, per fare le magie bisogna pur avere un
minimo di lucidità, no?
E fu così che un bel giorno decise di chiedere consiglio alla Gran Stria de
Majaré!... (evtl. tema di flauto)
CANTANTE: “L lech de l’ercabuan” – La Stria de Majaré
Sun Majaré da la Gran Stria
l va a consei, e lo l ge conta dut
el che a negugn ge à mai preà adiut.
“Per ge ruèr apede me é mudà
enscin te na lodra, e dut per nia
che ence i ucìe del bosch me à palesà”.
“Strion da pech, strion da nia!”
la l grigna fora adaut la veia stria.
“Fa sù n ercabuan che se destene
dal lech enscin sui spic del Latemàr.
N tèl ela no à mai vedù
se t’es ascort, la no sciamparà più”.
Rit.: Che èste mai inom, bela vivèna...
NARRATORE: Che figuraccia! Si era reso ridicolo agli occhi della vecchia Strega, ma
l’idea dell’arcobaleno non era male... Oltretutto, sapeva benissimo come fare:
anche i Morchies fabbricavano con le pietre prezione dei bellissimi gioielli di luce
che si libravano in aria. Li aveva visti, ah, era davvero uno spettacolo! Conosceva
la tecnica, ed ora possedeva anche le loro pietre in quantità! La vivana sarebbe
rimasta incantata nel vedere quel portento e lui si sarebbe potuto avvicinare…
Encanteisem (strumentale)
NARRATORE: “Attenzione, però! – l’aveva ammonito la Stria de Majaré – non avere
fretta, non farti riconoscere come al solito, stupidone, sennò quella ti scappa
un’altra volta sott’acqua! Dovrai travestirti da mercante, lei ti seguirà per visitare
la tua casa e per vedere gli altri preziosi gioielli di luce che dirai di possedere e di
volerle regalare. E lì potrai... e lei non riuscirà a... e finalmente tu l’avrai!”
Voi cosa dite? Credete che ci sia riuscito? Beh, l’arcobaleno fatto con la luce
delle pietre del Latemàr era davvero una meraviglia, ma quanto al resto...
CANTANTE: “L lech de l’ercabuan” – I colores maraveousc
Dal lech vegn fora la vivèna
cialan a chel portent maraveous.
Ma del travestiment l se desmentia
chel mago prepotent e sobitous:
e ela la l veit, la l recognosc
e via sot èga, lo che l strion no à poz.
“Che ira, che demèl, enst’outa
me l’é pa fata enstes, e enstes gé l’abie!”
crida l strion, tant dessenà revel.
Chel bel èrcabuan con n menabie
l bat en toc, e ju tel lech:
e dò en eterno l starà tel fon del crep.
Rit. finale:
Che èste mai inom, bela vivèna
che al lumenous de la doman te spieies
tel lech ti bie ciavei color de l’òr?
Da enlouta l lech de la Tomèra
de l’ercabuan l’à duc i bie color.
NARRATORE: E fu così che il lago ebbe come per magia tutti i colori dell’arcobaleno.
Capite? Non c’è contrasto tra le due versioni della leggenda! Dentro a quelle
acque c’è davvero il tesoro del Latemàr, e ci sono davvero anche i colori
dell’arcobaleno! Per forza! poiché quell’arcobaleno era stato costruito proprio
con le pietre preziose dei Morchies! Semplice, no? Ecco svelato il segreto del
lago dai mille colori! Bella storia, vero? Lo Stregone umiliato andò a seppellirsi
per sempre nel profondo della roccia e nessuno più insidiò la bella vivana.
(intanto la cantante è uscita di scena)
A proposito!... (se ne accorge) Dov’è? Dov’è andata?... Accidenti, anche questa
volta mi è sparita di sotto il naso!... Ah, queste vivane... se qualcuno sapesse
come... se qualcuno potesse dirmi... No no, dalla Strega di Majaré non ci voglio
proprio andare! Bisogna che trovi un modo per... mah, forse la musica... Dovrò
esercitarmi ancora con il mio flauto, ecco sentite (note stonate), adesso che è
andata via, non suona più tanto bene... ma domani, torno, sapete? Ah sì, domani
torno di sicuro, e quando lei verrà, io suonerò e lei canterà ancora, sì, ne sono
certo, canterà per me.
Beh, ora però devo andare, devo tornare dalle mie pecore, devo radunarle e
condurle a Mandra de Sot, per passare la notte, quello è un bel posto per passare
la notte. Se domani siete ancora qui, verso quest’ora, magari vi racconterò
un’altra storia, una di quelle storie antiche, di tempi lontani... Allora, arrivederci,
a un’altra volta.
(mentre fa per andarsene) Ah, forse non vi ho ancora detto il mio nome: mi
chiamo Jan, Jan Piere per la precisione, sarebbe come dire Giovanni Pietro; ma
da bambino, molti, molti anni fa, mi chiamavano... mi chiamavano Pierùcol.
Cumià – Tel bosch de la Tomèra
FINE