L`Ultimo Gaucho - Giuseppe Tontodonati
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L`Ultimo Gaucho - Giuseppe Tontodonati
Giuseppe Tontodonati Giuseppe Tontodonati (Scafa/San Valentino AC(PE) 2/2/1917 - Bologna 6/1/1989) Ancora ragazzo, si trasferisce dalla provicia a Pescara dove ben presto entra in contatto con la realtà artistica locale sviluppando forti interessi per la Pittura e la Poesia prediligendo quest’ultima (vedi le poesie giovanili in “Poesie inedite” del 1993). Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo vede partire per il fronte greco-albanese e dopo l’armistizio, viene deportato in Germania in un campo di concentramento ove rimarrà fino al ’45 anno del suo ritorno a Pescara. Nel 1959, per motivi di lavoro, si trasferisce a Bologna, dove vivrà con la sua famiglia fino al 6 Gennaio 1989, data della sua scomparsa, partecipando attivamente alla vita culturale della città ( sarà presidente del Centro Internazionale delle Arti dal 1973 al 1985). E’ proprio durante “il periodo bolognese” che Tontodonati, su sollecitazione del poeta Antonio Rinaldi, comincia a scrivere versi in vernacolo abruzzese (“Storie Paesane” – 1968) dedicandosi per oltre un ventennio, anche grazie all’apporto di sua moglie Gilda (1926-2005), anch’essa valida poetessa (“Il Ventaglio”- 1986 e “Coriandoli d’Amore”- 2005), alla riscoperta e valorizzazione, tramite la sua poesia, delle tradizioni e della cultura abruzzese. Autore tra l’atro anche di versi di canti popolari, Tontodonati viene considerato dagli addetti ai lavori una delle principali figure della poesia abruzzese del secolo scorso. Tutta la sua opera dialettale è raccolta nel “Canzoniere d’Abruzzo” del 1986. I sui versi in lingua sono raccolti nel volume “Rapsodia” (1982) e nell’opera postuma “Poesie inedite” (1993) pubblicato dalla Regione Abruzzo. Bibliografia: "Storie paesane", 1968 - "Dommusè", 1974 - "Le Scafe", 1976 "Canzoni abruzzesi", (con musiche del M° Giuseppe Di Pasquale), 1979 "Storie Paesane", 2° ed. 1979 -"Terra Lundane", 1980 - "Sa' Mmalindine",1983 - "Canzoniere d'Abruzzo", 1986 - "Rapsodia - Il Guerriero di Capestrano", silloge in lingua, 1982 Pubblicazioni postume: "Poesie inedite di Giuseppe Tontodonati", a cura di Vittoriano Esposito, edito dalla Regione Abruzzo, L’Aquila 1993 – Vocabolarietto dell’uso Abruzzese – a cura e con introduzione di Marcello de Giovanni – Ediz. Comune di Scafa (PE) 2004 “Sam Bbietre Cele” (Celestino V) – Ed. La Panarda – Rosciano (PE) 2007 L’Ultimo Gaucho Pochi anni dopo la nascita del Che (1928) nella parte opposta dell’emisfero, in Italia, tornava alla luce il Guerriero di Capestrano (1934). Lui, il nume tutelare dei Popoli Italici che combatterono contro l’espansione di Roma, salutava la nascita del nuovo Apostolo della Libertà Dal 2001 è attivo il sito web: www.giuseppetontodonati.it tratto da “Rapsodia - Il Guerriero di Capestrano” (1982) di Giuseppe Tontodonati Introduzione L’Ultimo Gaucho – Pubblicato nel 1982 all’interno del volume “Rapsodia”, in realtà è stato scritto da Tontodonati pochi mesi dopo la morte del Che (9/10/1967). In una lettera al fratello Guido, il poeta scrive “ Bologna, 7 Agosto 1969 - Caro Guido…l’altra sera a TV 7 hanno fatto una trasmissione speciale su Che Guevara, non so se l’hai vista, ebbene sai che mi disse Gilda appena teminò di vedere il documentario? “ io credo che tu abbia fatto una cosa veramente grande. Man mano che ho visto il documentario ho avuto presente la tua lirica”. Nemmeno a farlo apposta il reportage iniziava col cadavere del Che supino con un’espressione sorridente con i campesino che guardavano attoniti la salma dell’eroe, vegliata dai lupi del Capitano Brado come un malfattore. E poi via via tutta la sua vita. Fratello, io nel momento stesso che ho scritto quel poemetto al Che, ho vissuto, per quei arcani momenti che la poesia dona, il suo dramma di guerrigliero e di uomo.”. Inizialmente questo poemetto doveva essere inserito all’interno di una Trilogia come T. scrive in un’altra lettera sempre indirizzata al fratello Guido facendo riferimento alla conclusione di un altro poema intitolato “Foglie d’Autunno”. “ Bologna, 15 Marzo 1970 – Caro Guido,…Da anni accarezzavo il pensiero di scrivere sui ricordi lontani della tragedia vissuta (ndr: Seconda Guerra Mondiale e Deportazione) e trasmigrarla in un canto umano, in un universale linguaggio che testimoniasse ai presenti ed ai futuri gli orrori della guerra e le iniquità commesse dagli uomini. L’opera doveva concludere la mia trilogia iniziata con I Giganti di Pietra, centralizzata con L’Ultimo Gaucho, conclusa oggi con Foglie d’Autunno. I tre momenti storici di questa poesia affondano le radici alla grandiosità della natura,alla purezza degli eroi, al disfacimento dei valori umani, quasi a sintetizzare il perpetuo ciclo della ruota del destino. (ndr: della Trilogia inizialmente prevista solo L’Ultimo Gaucho e Foglie d’Autunno furono pubblicate all’interno del volume “Rapsodia”). Dal Guerriero di Capestrano al Che, i versi di T. sono un’inno a chi lotta per la libertà di tutti i popoli, a chi cammina sulle “…strade tracciate ad ognuno dal dì che si nasce” 8 Maggio, 2008 Raffaello Tontodonati IL GUERRIERO DI CAPESTRANO Il Saluto O gente Sergia !.. o Vitellia !.. …o terra Peligna..! Capestrano !.. …dove il Tirino tesse il suo primo linguaggio con le stelle e il chiacchiericcio dei pioppi - lungo le sponde alte di canne spegne il suono arcaico del cembalo alla corte del rege Desiderio… …dove per mill’anni - col verde delle acque nelle mie pupille contemplai il cielo… i fianchi nudi delle montagne… …le virtù di Saturnia coi fecondi seni prediletti dal sole… …e l’aquila che romba possente alle correnti dinamiche del cielo… …e i falchi rotanti lungo le irte gole delle forche patria dei venti… e l’argento della luna sulle venerabili spalle del Morrone… …dove il lupo sente il respiro dei nevai e il crescere dell’erba sui pianori agli attoniti occhi della notte… …io ti saluto, o terra delle tribù fraterne… ricordo il grido dei petti al nuovo sole: Italia Italia !.. e Corfinium - perla peligna dalle mura possenti: …se la fortuna fosse mutata …tua sarebbe stata la gloria!... ho visto i tuoi figli combattere cento di quelle guerre… cento battaglie… …poi a migliaia essere uccisi dall’ira di Roma e degli Dei… e il sangue ricoprir tutta la terra. Il Soldato Quando i logori mondi… …la poesia la musica i diademi delle stelle… …le rose rosse di sangue le montagne i fiumi gli oceani… …l’odio la menzogna gli affanni i clamori le ire…l’amore… cadranno negli anfratti del nulla… quando la terra aprirà le sue viscere cancellando con l’èmpito di un grido giorno e notte senz’alcun ricordo… …e le fiamme divoreranno i pepli… e un crepuscolo di spirituale incertezza distruggerà gli imperi creati col sangue di mille generazioni… …quando sul cammino delle strade vita e morte rientreranno nel fiume oscuro del caos… …nel giorno maturo per la profezia tu brillerai tutelare sul mare rovente delle nubi… sulla tua nave astrale… o Figlio del Sole !.. Soldato della luce..! Copertina del volume “Rapsodia – I Guerriero di Capestrano” Giuseppe Tontodonati nel suo studio di Bologna (1986) L’ULTIMO GAUCHO Frammento Ora che i canti funebri sono murati di tenebra e i gufi bofonchiano nelle deserte cattedrali, sulle ali di questa rapsodia passa l’Arcangelo della Sierra Maesta che lo vide guerrigliero nella notte di Higuera, l’ultimo avamposto... ...il terminale ! per chi aveva lottato senza chiedere onori... convinto che la libertà fosse vocazione di tutti... non fiamma stecchita da vecchio cimitero con copricapo di latta... ma un roveto ardente nel cuore della notte. ......................................................... ......................................................... Sulle cime innevate della cordigliera la luce graffiava la purezza del mattino. Il condor veleggiava lontano sulle torri... ...udiva il rimbombo della Quebrada de Churo... aspirava il soffio dorato degli altipiani ...un cielo implacabile soleggiato di silenzio... ........................................................ ...la mano arsa di febbre accarezzava la fida luger... ...lontano era il tempo dei bivacchi e dei canti... il modo lo aveva respinto...troppo giovane per stabilire la luncentezza di questo astro... vuole ora con levigate miserie oscurarne la luce ...forse il suo tempo era in un’altra dimensione.. ........................................................ l’irrequietezza era un coltello nel suo fianco... i suoi talloni prememvano il costato del ronzinante... la pedana sciatta del corridoio di palazzo non era la sua religione... .....................la sua costante ansia erano le infelicissime bandiere di Bolivia.. del Vietnam... dell’Argentina e dell’Angola... ...............i suoi compagni terreni ...le masse dei diseredati di tutto il mondo... combattere per la libertà era il suo codice sacro... ...............ora i suoi polmoni pieni d’ansie e di fatica respirano l’odore dell’imminente battaglia... ...al cospetto delle montagne sacre al condor... ...l’ultima !.. El Rebelde Vittima dei colonnelli, cadeva l’ultimo Gaucho… Rebelde dell’insurgenzia, leggendario vagabondo, passò l’Arcangelo Michele dalla Sierra Maesta che lo vide guerrigliero, alla notte di Higuera, ultimo vamposto, dove i rangers di Osvaldo spietati trucidarono come un vile masnadiero Che Guevara...l’Apostolo. La vittima del dragone serrava sul petto l’orifiamma ...e nello sguardo profondo impresso avea il sigillo che Barrientos odiava: ...la libertà del mondo !.. Stringeva nella mano una lucente spada di fuoco, avea per scudo, come un Cristo ignudo, grumi di sangue impastato sulle livide carni e l’acre sudor della morte. Il Nazzareno fu ucciso dagli stessi fratelli… …e sul calvario dei giorni il grande guerrigliero fu trucidato…. Sul rebelde vinto, nella boliviana duna, gli sciacalli della notte, ingordi di carogne, schernirono l’impietosa luna collacerante latrato…ulularono sulle piste primitive della pampa i lupi del capitano Brado, famelici e disumani, piansero le stelle sui dirupi delle Ande selvagge il delitto efferato…el Che non limosinò certo, come disse Abel il soldato, quell’oncia di vita per sfuggire alla morte… che aveva sempre disprezzato. Aveva sul cuore ferito un fiore rosso vermiglio… …ultima rosa d’ottobre regalata da Zentero al segreto pianto dell’oppresso campesino di Cochabamba, sulla strada carioca tra Mataral e Valle Grande. Sul petto spento brillava di fuoco l’orifiamma… …sul labbro esangue del rebelde ucciso, nelle composte forme della morte, …aleggiava un sorriso. Salirò carponi la Sierra che ti fu madre e compagna, …logorerò le mie ginocchia sulla lucente lastra dell’affilato basalto… ai rovi, sull’erto sentiero, alla roccia, agli sterpi lascerò branderlli di carne… spunterò le mie unghie sull’appiglio del dirupo… sull’olro nudo e disperato del precipizio cupo brancolerò con le mani e lo sguardo, ma qui cercherò la tua orma… o leggendario vagabondo..! …Che Guevara…Che Guevara!.. …impetuoso come un canto il tuo nome rebelde il fidelista ripete nei brevi riposi del bivacco… …ricordano il manipolo suicida sul trabiccolo << IL GRAMMA >> non più calafatato perché era in disarmo, sfidare il mare caraibico, novelli Argonauti alla conquista del vello, della grande orifiamma. Sulla breve spiaggia traditi ne restarono una dozzina: El Che disse che bastavano per vangelizzare il mondo… …gli altri furono falciati sulla cerula marina cubana, infida e inospitale, e lasciati in pasto ai corvi del tiranno Battista. La Sierra Madre accolse nell’impenetrabile boscaglia il manipolo dei ribelli…curò le loro nude piaghe, tenne acceso nei loro petti la fiamma della fede per la libertà, radicata e forte, nel vacillante giorno dell’amara sconfitta…li fuse compagni e fratelli con la fluente barba votiva sulle guance scarne e sull’affilato mento, per la vita e per la morte… …El Che pure sanguinava per le ferite riportate nel disperato assalto di quella prima battaglia… …ma su quel lembo di spiaggia cubana non si ripetè Moncada, come Battista sperava… …il manipolo si fece esercito e Camillo Cinfuegos, il puro, fu il primo comandante. El Che divenne maestro della guerriglia armata, …conobbe ogni cresta, ogni forra, ogni sentiero, ogni spalto, della maestra Sierra e spietato col mitra cantava e con le bombe a mano, come in una fiesta, il suo inno di guerra pur divorato dalla mazamorra… …e il mito, la sua fama di rebelde invincibile crebbero a dismisura, dall’Escambray lontano con le creste azzurre, a Pinar del Rio, a Santa Clara …sino al vittorioso giorno del delirio per la conquista dell’Avana. …Fidel Fidel…compagno, amigo!.. …tu pure t’affrettasti a spedirlo all’inferno… Barrientos ha fatto disperdere le sue ceneri al vento con la segreta speranza di distruggerne il mito… …El Che era un incomodo, un duro… …l’assiduo tarlo delle coscienze bacate… …e per gli oppressori, i tiranni… …il quinto cavaliere d’apocalisse con la spada di fuoco e l’orifiamma… …morì come visse: nella cruenta battaglia con la fida luger in mano, …come muore chi per la libertà combatte…solo!.. …i peones oppressi pensano che riapparirà presto …in qualche angolo della pampa…della terra… e i traditori tremeranno al suo grido di guerra. …meglio affrettare la cerimonia e le esequie… quietare il clamore…e con un requiem sotterrarlo. La tomba Dove sarà la tomba dello spirito libero come il vento impetuoso eterna anima del mondo..? In quale plaga della pampa riposeranno le ossa del Gaucho leggendario dai peones amato, odiato dai tiranni, che per lui hanno pianto, che di lui hanno tremato..? Vedove in gramaglie un fiore di cactus selvaggio sulla tomba innominata deporranno con mestizia, e le ultime lagrime delle loro aride ciglia. Le strade …Tu le conosci le strade del mondo le innumerevoli arterie giganti del nostro pianeta i lucidi nastri di asfalto le antiche fatte di pietra le strade che ognuno percorre le strade di sempre le strade a cui affidammo il nostro retaggio il punto d’incontro di ogni umano destino l’inizio intrapreso di ogni umano viaggio le strade tortuose e crudeli del nostro cammino. ……………………………………… …………………………… Le strade son quelle di sempre dicesti strade tracciate dall’uomo all’aba del mondo sul volto rugoso e contratto del nostro pianeta nastri moderni rullati di lucido asfalto antiche tracce costrutte con massi di pietra strade invitanti ad andare strade sconnesse bruciate dal tempo dai nostri cuori in tumulto strade di lorde pozze d’acque lustrali strade che intesero di petti l’estremo singulto strade smarrite tra nebbie d’ignote savane dove muore la gloria dove saranno disperse le nostre memorie di sempre le gioie lontane strade matrigne ad ogni umana speranza cullata ancora in segreto nei nostri pensieri strade fatte d’ignavia ricetto a luride tane che ne mutarono il volto e la primitiva distanza strade che un ritmo cerscente di vita ne fa cimiteri vermigli di sangue cosparse di fragili croci strade cieche e buie dove l’avito odio si pasce seminando discordia tra popoli nati fratelli ……son queste le strade del mondo dicesti strade tracciate ad ognuno dal dì che si nasce.