Programma di sala
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Programma di sala
Mercoledì 11, giovedì 12 novembre 2009 (fuori abbonamento) ore 20,30 Venerdì 13, sabato 14 novembre 2009, ore 20,30 Domenica 15 novembre 2009, ore 15,30 Teatro Municipale Valli CYRANO DE BERGERAC di Edmond Rostand regia Daniele Abbado scene Graziano Gregori costumi Graziano Gregori, Carla Teti suono Hubert Westkemper luci Angelo Linzalata coreografie Simona Bucci con Massimo Popolizio Cyrano Viola Pornaro Rossana, una Nobile Luca Bastianello Cristiano di Nuevillette, un Nobile Dario Cantarelli Conte De Guiche Stefano Alessandroni Ragueneau, un Nobile Giovanni Battaglia Le Bret Andrea Gherpelli Capitano Carbone, un Nobile Marco Maccieri Montfleury, Lignière, un Cadetto Carlotta Viscovo Lisa, una Nobile, una Suora Elisabetta Piccolomini La Governante, una Nobile, una Suora Luca Campanella Bellarosa, un Cadetto Mauro Santopietro Visconte di Valvert, un Poeta, un Cadetto, un Musicista Roberto Baldassari Il Seccatore, un Poeta, un Cadetto, il Cappuccino Simone Ciampi Un Nobile, un Poeta, il Cadetto Bertrand, un Musicista Flavio Francucci Un Nobile, un Poeta, un Cadetto Davide Lora Un Nobile, un Cadetto regista assistente Boris Stetka maestro d’armi Francesco Manetti assistente maestro d’armi Valentina Calandriello produzione Teatro di Roma Cyrano lo sconfitto, suggeritore della vita e dell’opera di altri, ci indica passaggi dell’esistenza che non conosciamo, mescola estetica e vita - vita avventurosa e vita letteraria - apparentandosi in questo a personaggi lontanamente affini come Falstaff e Don Chisciotte. Quando se ne va, porta nel mondo delle ombre il suo gran naso, simbolo di libertà, indipendenza, diversità, marchio di un eroe che si batte fino in fondo anche contro l’impossibile, persino contro le tenebre. Cyrano di Daniele Abbado Cyrano di Rostand è un testo complesso e ingannevole. Evoca una tradizione di teatro popolare, ricco di enfatica spettacolarità. Allude a una convenzione teatrale infarcita di luoghi comuni, quasi fosse un melodramma. Nei mesi di preparazione allo spettacolo, lavorando con Massimo Popolizio, ci siamo detti da subito che tutto questo non andava preso alla lettera. Siamo partiti dal mettere in discussione alcuni snodi del testo: cosa succedeva se si eliminavano i mondi che costellano la figura di Cyrano? La società composita del primo atto, la rosticceria con i cuochi, la folla, i giornalisti del secondo atto, la carrozza e le surreali vivande dell’accampamento militare, il convento del quinto atto? Cyrano si staglia come figura di poeta utopista e rivoluzionario, uomo solo in lotta contro la volgarità e ipocrisia. Gli altri personaggi, staccati dal loro ambiente, si trovano ad agire con maggiore concretezza di rapporti, essenzializzati in una serie di scene in cui prevale la mutevole rapidità dell’emozione e del pensiero. Assecondando questa linea di contatto col testo, è emersa una diversa logica compositiva, fondata sul personaggio stesso di Cyrano, centro luminoso, provocatore e artefice di un diverso immaginario. Cyrano, allontanato dal contesto tardoromantico in cui lo ha collocato Rostand, ci indica altri percorsi esistenziali e spirituali. Questi abbiamo inseguito nel nostro spettacolo. Siamo tornati al personaggio storico di Savinien de Cyrano. L’importanza della sua figura e della sua opera è stata indicata con precisione da Italo Calvino nella sua lezione su “La leggerezza”. Per Calvino, Cyrano è il campione di un poetica della leggerezza che toglie l’uomo dalla condanna alla forza di gravità. Cyrano è il primo scrittore del mondo moderno capace di trasformare fantasticamente l’universo inventando sei modi di “violare l’azzurro” e viaggiare sulla luna. “In pagine in cui l’ironia fa velo a una vera commozione cosmica, Cyrano celebra l’unità di tutte le cose, inanimate o animate, la combinatoria di figure elementari che determina la varietà delle forme viventi, e soprattutto rende il senso della precarietà dei processi che le hanno create: cioè quanto poco è mancato perché l’uomo non fosse l’uomo, e la vita la vita, e il mondo un mondo.” Nel testo che abbamo messo in scena, molto rielaborato rispetto all’originale di Rostand, la “leggerezza” viaggia attraverso l’agilità del verso. La centralità è della parola: il verso condensa le verità emotive, va aperto per rendere concrete le situazioni e le trasformazioni continue dei pensieri dei personaggi. Richiama a sé una precisione indispensabile legata alla sua musicalità. Il verso in qualche modo è Cyrano, acrobata del pensiero e della parola più che della spada e del cappello col pennacchio. Detto tutto questo credo rimanga da porsi una domanda non retorica: che cosa resta della Commedia Eroica di Rostand? C’è eroismo in Cyrano? O piuttosto la sua figura e la sua vicenda ci parlano oggi della impossi- bilità di un eroismo che si realizzi in modo compiuto, del fallimento di un eroismo obbligato ad una esasperata individualità e alla solitudine di una assurda perfezione? Non ci troviamo, all’opposto, di fronte a un personaggio in lotta contro un destino tragicomico? Nel testo originale, il tragicomico invade tutto: a vari livelli e in varie situazioni e modi, a partire dalla scommessa con Cristiano. L’esperimento proposto a Cristiano nel secondo atto “Vuoi fare con me una sola persona completa?” segna il punto di non-ritorno. Per Cyrano è un esperimento esaltante, forse l’unico che può tentare. Probabilmente è qui, nel patto con Cristiano, che la scommessa del poeta Cyrano origina il proprio dramma tragicomico, nella proposta ”Facciamo di noi due un eroe da romanzo”: la conquista dell’amore di Rossana è sentita come accadimento letterario, contiene già in sé un fallimento esistenziale. Dietro la Commedia eroica viene alla luce un contenuto che ci parla della grandezza e dell’imperfezione dell’essere umano, dei suoi sentimenti e tentativi di travalicare la sua essenza naturale. Una commedia di pensiero, fatta di rapidità, in cui vita immaginaria e concretezza delle situazioni sono fuse insieme, nello spazio del palcoscenico. Una commedia morale. O narici di Cirano! di Valerio Magrelli Come sostenne Albert Thibaudet, Cyrano celebrò, del teatro in versi, “i funerali solenni e sontuosi riti funebri”. Per questo, estremo frutto del classicismo francese, il testo di Rostand costituisce un’opera sui generis. Chissà cosa ne avrebbe tratto Orson Welles, se fosse riuscito a realizzare l’adattamento messo a punto nel 1947… Composta qualche anno prima che il teatro in versi scomparisse nell’abisso della prima guerra mondiale, la pièce contiene un’ariosa ricostruzione della Parigi di Luigi XIII. La cornice è la stessa di Gautier e Dumas padre, di Capitan Fracassa e D’Artagnan (che incrocia, per un attimo, Cyrano in palcoscenico). Tuttavia, per quanto convincenti potessero essere i miraggi di un successo popolare, riproporre un soggetto simile implicava un totale disinteresse rispetto ai segnali più vivi della letteratura moderna. I versi di Arthur Rimbaud erano stati scritti intorno al 1870: dunque da quasi trent’anni, per dirla con René Char, la poesia aveva cessato di essere un genere letterario per diventare una domanda di senso assoluta e radicale. L’Ubu roi di Alfred Jarry era apparso nel 1896: quindi l’urlo, le feci, la scomposizione, avevano già fatto irruzione sulle scene, scardinando ogni convenzione linguistica. Sordo a questi richiami, Rostand, artigiano imperterrito, continua a fabbricare ingegnosissime macchine metriche, e il suo trenino di rime sbaraglia la concorrenza in un intatto equilibrio di Kitsch, ironia e sentimentalismo. Perché è nel metro, infine, il suo segreto. Spingendo l’alessandrino fino all’eccesso, portandolo alla soglia della disintegrazione, Rostand, si è detto, proseguirebbe l’opera del poeta e teorico più algido, rarefatto, cerebrale: Mallarmé. In verità, l’assunto andrebbe rovesciato. Diremo cioè che la disarticolazione metrica condotta a termine dal maestro simbolista sta alla base di alcune brillanti trovate del Cyrano. Alla base soltanto, tuttavia, dato che al restò badò un mestiere, un fiuto, strepitoso. Fra le acclamazioni tributate a Cyrano, il giudizio più acuto fu di Jules Lemaître: “Tutto in Cyrano è retrospettivo […] Proprio per questo […] nessuna voce discorde è venuta a turbare l’applauso universale che lo ha salutato. A quest’opera troppo felice, manca uno dei contrassegni accessori che permettono di distinguere per via empirica le composizioni capaci di inaugurare qualcosa di veramente nuovo. Le manca il fatto d’essere incompresa (ciò di cui, immagino, l’autore si consolerà facilmente). Se il pubblico intero ha festeggiato Cyrano, è perché ne sentiva la grazia, ma soprattutto perché la riconosceva, e vi ritrovava, a un sorprendente grado di perfezione, un genere d’invenzione e di poesia contemporanea (se così si può dire) di due o tre secoli, genere di cui era già oscuramente informato. Tutto in Cyrano ci incanta, nulla di esso vi offende; ma è anche vero che nulla risponde alla parte più seria delle nostre preoccupazioni intellettuali e morali”. Apprezzamento come rassicurazione, insomma, con un’analisi che sembra anticipare tanto le riflessioni di Theodor W. Adorno, quanto la teoria della ricezione elaborata dalla Scuola di Co- stanza. Definendo il testo come una ricapitolazione, suprema fioritura di un ceppo artistico tricentenario, Lemaître condivideva l’alterno parere di uno fra i più cari amici di Rostand, Jules Renard. La prima reazione è entusiastica: “C’è un capolavoro di più al mondo!”. L’altra, sei anni dopo, cambia segno: “Rostand, il poeta delle folle che si credono intelligenti” (impeccabile descrizione del mid-cult). A metà strada tra queste due sentenze, spicca una nota definitiva: “Cyrano è un magnifico anacronismo e nient’altro”. Lemaître e Renard convergono così nello spiegare un successo perfettamente commisurato, diremmo oggi, all’orizzonte di attesa del suo pubblico. Anche all’estero, l’eco fu rilevante, da Jack London e Henry James, fino a Joseph Conrad: “Riesco soltanto a leggere Cyrano e simili coglionerie” (in italiano nel testo). Per quanto aneddotica, la frase serve a introdurre la liquidazione di Rostand espressa da André Breton, che lo definì addirittura un cretino puro e semplice. Come sottrarsi a tale condanna? Per individuare il punto vivo dell’opera, quello che ha resistito sia al mutamento del gusto, sia alla condanna delle avanguardie, dobbiamo volgerci alla figura dell’eroe. Nella sua logorrea, nel suo io ipertrofico, esistono vaste zone di silenzio, un profondo sentimento di esclusione, il richiamo del vuoto. Come negare l’omosessualità latente nel classico schema del desiderio triangolare, quella rivalità amorosa dove, è stato scritto, l’amore esita tra il rivale e l’oggetto della rivalità? Come sottrarsi a ciò che, ostentato sempre, occupa per intero la scena teatrale e psicologica - naso, spada, parola, su su fino alla “lettera trafugata” del finale? Emozione ripiegata in depressione splenetica: sembra difficile precisare meglio l’origine di quella ferita che trapassa immutata dall’autore al suo personaggio più celebre. Ecco a che cosa fa segno Cyrano, l’infelice votato a condividere l’amore per Roxane con un bel giovane. Facile messa in scena di una scissione archetipica, la commedia attinge immagini a un inesauribile serbatoio mitografico. La materia impiegata è la stessa che va dal Plauto dei Menecmi e dell’Anfitrione, al Poe di William Wilson, dal Dostoevskij del Sosia, allo Schwob di Coeur double. Siamo ancora una volta al tema del doppio, risolto tuttavia con straripante senso teatrale. Come è stato notato, la deformazione fisica dell’eroe (emblema della dismisura che ricorda le orecchie di re Mida o il mostruoso ghigno dell’Uomo che ride di Victor Hugo) lo tramuta in una maschera che, proprio come il naso di Pinocchio, più sfigura la carne, più ne rivela l’anima, costringendola al sublime. Tra i due amici-nemici, il paradosso nel fatto che l’uno (Cristiano) non può essere attivato senza il secondo (Cyrano), come se la Bella e la Bestia avessero bisogno di un Bello (sia pur bête) da immolare. In Cyrano, comunque, il gioco dei ruoli conserva sempre una schematicità che assicura loro una piena riuscita sul piano scenico. Il pubblico, cioè, riconosce subito il tema dell’eroe romantico che si immola in silenzio. Invenzione verbale, manipolazione del verso, reimpiego di materiali simbolici di immediata individuazione, giochi di parole, pastiches, teatro nel teatro, poesia della poe- sia: forte è la tentazione di ipotizzare un Meta-Cyrano. Forte e pericolosa, tenuto conto del suo versante pompier, di quell’amabile mauvais goût che ancora oggi, malgrado tutto, ce lo rende caro. PS: Mi sono ampiamente occupato di Cyrano in una prefazione alla traduzione di Mario Giobbe, uscita da e/o nel 1993 con il titolo Rostand, kitsch, spleen. Per il bel palindromo del titolo, ringrazio invece Stefano Bartezzaghi, il quale, nel declinare il merito a favore di Anacleto Bendazzi, mi ha segnalato un altro arguto tour de force sullo stesso tema, questa volta a firma Giuseppe Varaldo: “Osannargli il gran naso”. Intervista a Massimo Popolizio Perché un attore, oggi, si mette ad affrontare il Cyrano? Avere la possibilità di recitare in versi, e quei versi, obbliga un attore ad una scelta precisa. Decidere di recitare Cyrano significa anche far piazza pulita di un falso psicologismo e di un becero naturalismo. Prima della fascinazione del personaggio c’è la scelta di uno stile. Il testo di Rostand tocca molti temi. Quale avete usato come chiave di lettura? L’impossibilità di amare. Cyrano è un testo dove l’amore è inteso come qualcosa che nessuno può ottenere, nonostante le parole d’amore siano tantissime. Forse il rapporto più interessante è proprio quello che lega Cyrano a Cristiano. In fondo il vero rapporto d’amore è questo: tentare di arrivare all’oggetto desiderato attraverso la figura di un altro. Anche Rossana chiede continuamente di essere amata, o meglio che le si dica di amarla; chiede di essere sedotta dall’abilità dell’oratore e questo può essere uno spunto affascinante per un attore: la seduttività delle parole. E il bello è che in questo caso le parole “amorose” sono (come si dice in doppiaggio) fuori sinc con il personaggio che le dice, perché se è Cyrano a “suggerire” è Cristiano che tenta, malamente, di eseguire e queste parole (protagoniste del Cyrano) vengono anche continuamente scritte! Dal fronte Cyrano scriverà due lettere d’amore al giorno, aman- do per così dire per corrispondenza e attraverso la figura di un altro. in punto di morte Cyrano porterà in cielo il suo coraggio, il suo onore. Il senso resta.. Il rapporto tra Cristiano e Cyrano è dunque complesso. Un guerriero, poeta e utopista che dunque non ha bisogno di sfarzo esteriore. Potrebbe assomigliare a quello fra padre e figlio. Cyrano, oltre che proteggere Cristiano, delega a lui l’amore (come in De Musset ne I capricci di Marianna) perché Cristiano è più giovane di lui. Del resto sulla capacità di amare “dal vivo” una donna Cyrano dimostra sempre un senso di inadeguatezza e di vergogna che sono anche i suoi lati più autentici e simpatici. Quale altro stimolo ti ha indotto a interessarti di questo testo? Mi sono sempre chiesto contro chi combattesse Cyrano. Cosa è che lo induce ad affermare «A me piace non piacere»? Il testo si apre presentandoci un pubblico di teatro composto di potenti vari, cardinali, signore pettegole, un’umanità varia che va da giovani arroganti elegantissimi a protettori di bassa lega per assistere allo show del loro buffone preferito, per applaudire chi, storpiando e parodiando i versi, li farà divertire. Cyrano si batte contro quel teatro e quel pubblico. Ma in fin dei conti lo fa rimettendoci sempre. Al di là dei duelli, dell’istrionismo spinto e della voce roboante la sua è una battaglia persa ma che proprio per questo vale la pena di essere combattuta. È un utopista che pretende di cambiare il mondo con la forza delle parole, un uomo solo che passa la notte a fantasticare straordinari viaggi sulla luna, certo più vicino a Don Chisciotte che a D’Artagnan. Un carattere che Rostand mette tutto nella stupenda scena del pennacchio. Il nostro Cyrano materialmente non avrà un pennacchio perché abbiamo scelto di evitare lo stereotipo del cavaliere con spada, stivalone e cappello svolazzante. Ma lo spirito della parola resta, in francese pennache significa anche grinta e coraggio. Quindi Di fronte a Valvert, nel primo atto, che gli rimprovera la mancanza di guanti e di galloni, Cyrano risponde di non aver bisogno di distintivi perché le ha dentro le sue distinzioni. L’aspetto guerriero, militare è sempre presente. Ma credo che il cameratismo non giovi al personaggio. Il pudore e una certa fragilità sono elementi di arricchimento per chi, come Cyrano, passa la maggior parte della sua vita con altri uomini. E poi la rete di rapporti che esiste nel testo, è fondamentalmente di questo che vive Cyrano: delle relazioni con Le Bret, Cristiano, Raguenean, Rossana, i cadetti, De Guicher. Non credo sia divertente ascoltare una serie di monologhi con attori di contorno. Il respiro di quest’opera è ampio anche se con Daniele Abbiamo scelto come dominante espressiva la leggerezza. Qual è la difficoltà maggiore secondo te che un attore può trovare nell’affrontare oggi il Cyrano? Trovare un equilibrio tra un certo istrionismo e la necessità emotiva di pronunciare ancora delle parole. Io di Cyrano mi fido, convinto come sono che non è un naso a fare un personaggio. Italo Calvino da: Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi 1979. Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino! » O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace. Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca, se hai un’amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giù, in posizione yoga, Col libro capovolto, si capisce. (...) T’interrompe il settimo lettore: - Lei crede che ogni storia debba avere un principio e una fine? Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire: passate tutte le prove, l’eroe e l’eroina si sposavano oppure morivano. Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l’inevitabilità della morte. Ti fermi un momento a riflettere su queste parole. Poi fulmineamente decidi che vuoi sposare Ludmilla. Edmond Rostand da: Cyrano de Bergerac Cyrano: È assai ben poca cosa! Se ne potevan dire… ma ce n’erano a josa, variando di tono. – Ecco, ad esempio (putacaso): Aggressivo: “Se avessi un cotal naso, immediatamente me lo farei tagliare!” Amichevole: “Quando bevete, deve pescare nel bicchiere: fornitevi di un qualche vaso adatto!” Descrittivo: “È una rocca! È un picco! Un capo affatto…” Truculento: “Ehi, messere, quando nello starnuto il vapor del tabacco v’esce da un tale imbuto, non gridano i vicini al fuoco nella cappa?” Cortese: “Con questa chiappa sulla faccia da portare state attento mio caro a non inciampare!” Tenero: “Provvedetelo di un piccolo ombrellino, prima che il sole ve ne faccia un crostino!” Enfatico: “Nessun vento, o naso magistrale, può raffreddarti tutto, eccetto il Maestrale!” Drammatico: “È il Mar Rosso, quando ha un’emorragia!” Ammirativo: “Oh, insegna di gran profumeria!” Semplice: “Il monumento si potrà visitare?” Militare: -“Puntatelo contro la cavalleria!” E infine, citando il grande Aristofane: “Solamente l’animale che in scienza chiama ippocampelofantocamaleonte doveva avere tanta carne su tanto osso in fronte!” Ecco, che cosa più o meno avrei sentito se di lettere e spirito voi foste stato munito. Ma di spirito, voi, miserrimo furfante, non ne aveste neppure un atomo, e di lettere (ne avete) tante quante ne occorrono a fare la parola: stupido! Gillo Dorfles Gioia maligna per il male altrui Come si spiega che, in italiano, non esiste una parola apposita a indicare quella particolare «gioia maligna per il male altrui» per la quale, invece, tanto il russo (zloradstvo) che il tedesco (Schadenfreude) possiedono un termine esatto? Forse perché, da noi, questo sentimento è poco diffuso? Non sono affatto convinto che sia questa la ragione. Credo anzi che i nostri compatrioti – dalle Alpi all’Etna – siano tutti pronti a gioire, non dico di tutti quanti i mali altrui, ma quanto meno dalle piccole disavventure, dallo scarso successo alle mosse sbagliate del prossimo. Sicché la presenza di un termine ad hoc sarebbe davvero provvidenziale. Ma forse la vera ragione della sua mancanza, nella nostra parlata, è dovuta al fatto che l’Italia non ha di solito il «coraggio della propria malignità» come hanno tanti altri popoli, appunto il tedesco e il russo, che hanno coniato vocaboli appositi. Questa soddisfazione più o meno esplicita mostrata quando si vede il prossimo alle prese con qualche ostacolo, disavventura, accidente, è talmente consueta che 12 novembre ore 20,30 Auditorium Istituto Peri 13 novembre ore 20,30 Teatro Cavallerizza Un invito al molteplice George Crumb Portrait non meriterebbe neppure di essere esemplificata. Pensate, comunque, con quanto intimo giubilo constatiamo che una macchina viene trattenuta più della nostra a una barriera autostradale; con che compiacimento assistiamo alla corsa di quel poveretto che, trafelato, si vede chiudere in faccia la portiera d’un autobus su cui si apprestava a salire; o ancora la bocciatura d’un compagno di classe al posto della nostra promozione; per non parlare della ragazza soffiata all’amico, o della partita vinta in una gara sportiva. .. Gli esempi potrebbero continuare all’infìnito. Qual è, insomma, la «morale» di questi comportamenti (che non si possono neppure ritenere abnormi data la loro ubiquità)? Si tratta senz’altro di un atteggiamento etico: non basta desiderare il Male – il grande Male – del prossimo, bisognerebbe autoeducarsi a desiderare, almeno qualche volta – non dico sempre – il bene per questo prossimo, purché vada a scapito proprio e non a quello d’un altro prossimo, cosa che ci consentirebbe, ancora una volta, di provare la gioia maligna - la Schadenfreude rivolta al più antipatico dei due competitori. Ma la gioia maligna non è soltanto del singolo individuo, si estende anche ai popoli, alle nazioni, ai partiti politici, alle associazioni sportive... Ne abbiamo molti esempi nel recentissimo passato: la soddisfazione nel cercare di boicottare l’ingresso dell’Italia a Maastricht da parte di Germania e Olanda, la soddisfazione degli integralisti islamici nell’imporre veli e sacchi alle loro donne, l’accanimento verso il povero Clinton per le sue mediocri marachelle, per non parlare del caso Di Bella, e di quanti altri che, più d’una volta, dipendono appunto dalla gioia maligna dei «persecutori», piuttosto che da vere e profonde ragioni di risentimento o di riprovazione. 20, 21 novembre ore 20,30, 22 novembre ore 15,30 Teatro Municipale Valli 27, 28 novembre ore 20,30 29 novembre ore 15,30 Teatro Ariosto (da G. Dorfles, Horror Pleni, Castelvecchi 2008) Prossimi spettacoli Dedicato ad Armando Gentilucci Ensemble Icarus – Istituto Peri A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione Soci fondatori Fondazione Comune di Reggio Emilia Soci fondatori aderenti Zio Vanja Certe Notti Ensemble Fontana Mix Fondazione Nazionale della Danza Aterballetto L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte. Foto di scena di Serafino Amato Sostenitori di Anton Checov Partner ROTARY CLUB REGGIO EMILIA Amici del Teatro Delegazione di Reggio Emilia Paola Benedetti Spaggiari, Enea Bergianti, Franco Boni, Gemma Siria Bottazzi, Gabriella Catellani Lusetti,Achille Corradini, Donata Davoli Barbieri, Anna Fontana Boni, Mirella Gualerzi, Grande Ufficiale Gr. Croce llario Amhos Pagani, Comm. Donatella Tringale Moscato Grazia Maria di Mascalucia Pagani, Paola Scaltriti, Mauro Severi, Corrado Spaggiari, Deanna Ferretti Veroni, Vando Veroni, Gigliola Zecchi Balsamo Cittadini del Teatro Gianni Borghi, Vanna Lisa Coli, Andrea Corradini, Ennio Ferrarini, Milva Fornaciari, Giovanni Fracasso, Silvia Grandi, Claudio Iemmi, Franca Manenti Valli, Ramona Perrone, Viviana Sassi, Alberto Vaccari Le attività di spettacolo e tutte le iniziative per i giovani e le scuole sono realizzate con il contributo e la collaborazione della Fondazione Manodori