Programma di sala

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Programma di sala
Mercoledì 11, giovedì 12 novembre 2009 (fuori
abbonamento) ore 20,30
Venerdì 13, sabato 14 novembre 2009, ore 20,30
Domenica 15 novembre 2009, ore 15,30
Teatro Municipale Valli
CYRANO DE BERGERAC
di Edmond Rostand
regia Daniele Abbado
scene Graziano Gregori
costumi Graziano Gregori, Carla Teti
suono Hubert Westkemper
luci Angelo Linzalata
coreografie Simona Bucci
con
Massimo Popolizio Cyrano
Viola Pornaro Rossana, una Nobile
Luca Bastianello Cristiano di Nuevillette, un Nobile
Dario Cantarelli Conte De Guiche
Stefano Alessandroni Ragueneau, un Nobile Giovanni Battaglia Le Bret
Andrea Gherpelli Capitano Carbone, un Nobile
Marco Maccieri Montfleury, Lignière, un Cadetto
Carlotta Viscovo Lisa, una Nobile, una Suora
Elisabetta Piccolomini La Governante, una Nobile, una
Suora
Luca Campanella Bellarosa, un Cadetto
Mauro Santopietro Visconte di Valvert, un Poeta, un
Cadetto, un Musicista
Roberto Baldassari Il Seccatore, un Poeta, un Cadetto, il
Cappuccino
Simone Ciampi Un Nobile, un Poeta, il Cadetto Bertrand,
un Musicista
Flavio Francucci Un Nobile, un Poeta, un Cadetto
Davide Lora Un Nobile, un Cadetto
regista assistente Boris Stetka
maestro d’armi Francesco Manetti
assistente maestro d’armi Valentina Calandriello
produzione Teatro di Roma
Cyrano lo sconfitto, suggeritore
della vita e dell’opera di altri, ci
indica passaggi dell’esistenza
che non conosciamo, mescola
estetica e vita - vita avventurosa
e vita letteraria - apparentandosi
in questo a personaggi lontanamente affini come Falstaff e Don
Chisciotte. Quando se ne va,
porta nel mondo delle ombre il
suo gran naso, simbolo di libertà, indipendenza, diversità, marchio di un eroe che si batte fino
in fondo anche contro l’impossibile, persino contro le tenebre.
Cyrano
di Daniele Abbado
Cyrano di Rostand è un testo
complesso e ingannevole. Evoca
una tradizione di teatro popolare, ricco di enfatica spettacolarità. Allude a una convenzione teatrale infarcita di luoghi comuni,
quasi fosse un melodramma.
Nei mesi di preparazione allo
spettacolo, lavorando con Massimo Popolizio, ci siamo detti
da subito che tutto questo non
andava preso alla lettera. Siamo
partiti dal mettere in discussione alcuni snodi del testo: cosa
succedeva se si eliminavano i
mondi che costellano la figura
di Cyrano? La società composita del primo atto, la rosticceria
con i cuochi, la folla, i giornalisti
del secondo atto, la carrozza e
le surreali vivande dell’accampamento militare, il convento del
quinto atto?
Cyrano si staglia come figura
di poeta utopista e rivoluzionario, uomo solo in lotta contro la
volgarità e ipocrisia. Gli altri personaggi, staccati dal loro ambiente, si trovano ad agire con
maggiore concretezza di rapporti, essenzializzati in una serie
di scene in cui prevale la mutevole rapidità dell’emozione e del
pensiero.
Assecondando questa linea di
contatto col testo, è emersa
una diversa logica compositiva,
fondata sul personaggio stesso
di Cyrano, centro luminoso, provocatore e artefice di un diverso
immaginario.
Cyrano, allontanato dal contesto tardoromantico in cui lo ha
collocato Rostand, ci indica altri
percorsi esistenziali e spirituali.
Questi abbiamo inseguito nel
nostro spettacolo.
Siamo tornati al personaggio
storico di Savinien de Cyrano.
L’importanza della sua figura e
della sua opera è stata indicata
con precisione da Italo Calvino
nella sua lezione su “La leggerezza”.
Per Calvino, Cyrano è il campione di un poetica della leggerezza
che toglie l’uomo dalla condanna alla forza di gravità. Cyrano
è il primo scrittore del mondo
moderno capace di trasformare fantasticamente l’universo
inventando sei modi di “violare
l’azzurro” e viaggiare sulla luna.
“In pagine in cui l’ironia fa velo a
una vera commozione cosmica,
Cyrano celebra l’unità di tutte le
cose, inanimate o animate, la
combinatoria di figure elementari che determina la varietà delle
forme viventi, e soprattutto rende il senso della precarietà dei
processi che le hanno create:
cioè quanto poco è mancato
perché l’uomo non fosse l’uomo, e la vita la vita, e il mondo
un mondo.”
Nel testo che abbamo messo in
scena, molto rielaborato rispetto all’originale di Rostand, la
“leggerezza” viaggia attraverso
l’agilità del verso.
La centralità è della parola: il verso condensa le verità emotive,
va aperto per rendere concrete
le situazioni e le trasformazioni
continue dei pensieri dei personaggi. Richiama a sé una precisione indispensabile legata alla
sua musicalità.
Il verso in qualche modo è Cyrano, acrobata del pensiero e della
parola più che della spada e del
cappello col pennacchio.
Detto tutto questo credo rimanga da porsi una domanda non
retorica: che cosa resta della
Commedia Eroica di Rostand?
C’è eroismo in Cyrano? O piuttosto la sua figura e la sua vicenda ci parlano oggi della impossi-
bilità di un eroismo che si realizzi
in modo compiuto, del fallimento di un eroismo obbligato ad
una esasperata individualità e
alla solitudine di una assurda
perfezione? Non ci troviamo,
all’opposto, di fronte a un personaggio in lotta contro un destino tragicomico?
Nel testo originale, il tragicomico invade tutto: a vari livelli e in
varie situazioni e modi, a partire
dalla scommessa con Cristiano.
L’esperimento proposto a Cristiano nel secondo atto “Vuoi
fare con me una sola persona
completa?” segna il punto di
non-ritorno.
Per Cyrano è un esperimento
esaltante, forse l’unico che può
tentare.
Probabilmente è qui, nel patto
con Cristiano, che la scommessa del poeta Cyrano origina il
proprio dramma tragicomico,
nella proposta ”Facciamo di noi
due un eroe da romanzo”: la
conquista dell’amore di Rossana è sentita come accadimento
letterario, contiene già in sé un
fallimento esistenziale.
Dietro la Commedia eroica viene alla luce un contenuto che ci
parla della grandezza e dell’imperfezione dell’essere umano,
dei suoi sentimenti e tentativi di
travalicare la sua essenza naturale.
Una commedia di pensiero, fatta
di rapidità, in cui vita immaginaria e concretezza delle situazioni
sono fuse insieme, nello spazio
del palcoscenico. Una commedia morale.
O narici di Cirano!
di Valerio Magrelli
Come sostenne Albert Thibaudet, Cyrano celebrò, del teatro
in versi, “i funerali solenni e sontuosi riti funebri”. Per questo,
estremo frutto del classicismo
francese, il testo di Rostand costituisce un’opera sui generis.
Chissà cosa ne avrebbe tratto
Orson Welles, se fosse riuscito
a realizzare l’adattamento messo a punto nel 1947…
Composta qualche anno prima
che il teatro in versi scomparisse nell’abisso della prima guerra mondiale, la pièce contiene
un’ariosa ricostruzione della
Parigi di Luigi XIII. La cornice è
la stessa di Gautier e Dumas
padre, di Capitan Fracassa e
D’Artagnan (che incrocia, per un
attimo, Cyrano in palcoscenico).
Tuttavia, per quanto convincenti
potessero essere i miraggi di un
successo popolare, riproporre un soggetto simile implicava
un totale disinteresse rispetto ai
segnali più vivi della letteratura
moderna.
I versi di Arthur Rimbaud erano stati scritti intorno al 1870:
dunque da quasi trent’anni, per
dirla con René Char, la poesia
aveva cessato di essere un genere letterario per diventare una
domanda di senso assoluta e
radicale. L’Ubu roi di Alfred Jarry era apparso nel 1896: quindi
l’urlo, le feci, la scomposizione, avevano già fatto irruzione
sulle scene, scardinando ogni
convenzione linguistica. Sordo
a questi richiami, Rostand, artigiano imperterrito, continua a
fabbricare ingegnosissime macchine metriche, e il suo trenino
di rime sbaraglia la concorrenza
in un intatto equilibrio di Kitsch,
ironia e sentimentalismo.
Perché è nel metro, infine, il suo
segreto. Spingendo l’alessandrino fino all’eccesso, portandolo
alla soglia della disintegrazione,
Rostand, si è detto, proseguirebbe l’opera del poeta e teorico
più algido, rarefatto, cerebrale:
Mallarmé. In verità, l’assunto andrebbe rovesciato. Diremo cioè
che la disarticolazione metrica
condotta a termine dal maestro
simbolista sta alla base di alcune brillanti trovate del Cyrano.
Alla base soltanto, tuttavia, dato
che al restò badò un mestiere,
un fiuto, strepitoso.
Fra le acclamazioni tributate a
Cyrano, il giudizio più acuto fu
di Jules Lemaître: “Tutto in Cyrano è retrospettivo […] Proprio
per questo […] nessuna voce
discorde è venuta a turbare
l’applauso universale che lo ha
salutato. A quest’opera troppo
felice, manca uno dei contrassegni accessori che permettono
di distinguere per via empirica
le composizioni capaci di inaugurare qualcosa di veramente
nuovo. Le manca il fatto d’essere incompresa (ciò di cui, immagino, l’autore si consolerà facilmente). Se il pubblico intero ha
festeggiato Cyrano, è perché ne
sentiva la grazia, ma soprattutto
perché la riconosceva, e vi ritrovava, a un sorprendente grado
di perfezione, un genere d’invenzione e di poesia contemporanea (se così si può dire) di due
o tre secoli, genere di cui era già
oscuramente informato. Tutto in
Cyrano ci incanta, nulla di esso
vi offende; ma è anche vero che
nulla risponde alla parte più seria delle nostre preoccupazioni
intellettuali e morali”.
Apprezzamento come rassicurazione, insomma, con un’analisi che sembra anticipare tanto le
riflessioni di Theodor W. Adorno,
quanto la teoria della ricezione
elaborata dalla Scuola di Co-
stanza. Definendo il testo come
una ricapitolazione, suprema
fioritura di un ceppo artistico
tricentenario, Lemaître condivideva l’alterno parere di uno fra i
più cari amici di Rostand, Jules
Renard. La prima reazione è entusiastica: “C’è un capolavoro di
più al mondo!”. L’altra, sei anni
dopo, cambia segno: “Rostand,
il poeta delle folle che si credono intelligenti” (impeccabile descrizione del mid-cult). A metà
strada tra queste due sentenze, spicca una nota definitiva:
“Cyrano è un magnifico anacronismo e nient’altro”.
Lemaître e Renard convergono
così nello spiegare un successo perfettamente commisurato,
diremmo oggi, all’orizzonte di
attesa del suo pubblico. Anche
all’estero, l’eco fu rilevante, da
Jack London e Henry James,
fino a Joseph Conrad: “Riesco
soltanto a leggere Cyrano e simili coglionerie” (in italiano nel
testo). Per quanto aneddotica,
la frase serve a introdurre la liquidazione di Rostand espressa
da André Breton, che lo definì addirittura un cretino puro e
semplice. Come sottrarsi a tale
condanna?
Per individuare il punto vivo
dell’opera, quello che ha resistito
sia al mutamento del gusto, sia
alla condanna delle avanguardie, dobbiamo volgerci alla figura dell’eroe. Nella sua logorrea,
nel suo io ipertrofico, esistono
vaste zone di silenzio, un profondo sentimento di esclusione,
il richiamo del vuoto. Come negare l’omosessualità latente nel
classico schema del desiderio
triangolare, quella rivalità amorosa dove, è stato scritto, l’amore
esita tra il rivale e l’oggetto della rivalità? Come sottrarsi a ciò
che, ostentato sempre, occupa
per intero la scena teatrale e psicologica - naso, spada, parola,
su su fino alla “lettera trafugata”
del finale? Emozione ripiegata in
depressione splenetica: sembra
difficile precisare meglio l’origine
di quella ferita che trapassa immutata dall’autore al suo personaggio più celebre.
Ecco a che cosa fa segno Cyrano, l’infelice votato a condividere
l’amore per Roxane con un bel
giovane. Facile messa in scena
di una scissione archetipica, la
commedia attinge immagini a un
inesauribile serbatoio mitografico. La materia impiegata è la
stessa che va dal Plauto dei Menecmi e dell’Anfitrione, al Poe di
William Wilson, dal Dostoevskij
del Sosia, allo Schwob di Coeur double. Siamo ancora una
volta al tema del doppio, risolto
tuttavia con straripante senso
teatrale. Come è stato notato,
la deformazione fisica dell’eroe
(emblema della dismisura che
ricorda le orecchie di re Mida
o il mostruoso ghigno dell’Uomo che ride di Victor Hugo) lo
tramuta in una maschera che,
proprio come il naso di Pinocchio, più sfigura la carne, più ne
rivela l’anima, costringendola al
sublime.
Tra i due amici-nemici, il paradosso nel fatto che l’uno (Cristiano) non può essere attivato
senza il secondo (Cyrano), come
se la Bella e la Bestia avessero
bisogno di un Bello (sia pur bête)
da immolare. In Cyrano, comunque, il gioco dei ruoli conserva
sempre una schematicità che
assicura loro una piena riuscita
sul piano scenico. Il pubblico,
cioè, riconosce subito il tema
dell’eroe romantico che si immola in silenzio. Invenzione verbale, manipolazione del verso,
reimpiego di materiali simbolici
di immediata individuazione,
giochi di parole, pastiches, teatro nel teatro, poesia della poe-
sia: forte è la tentazione di ipotizzare un Meta-Cyrano. Forte e
pericolosa, tenuto conto del suo
versante pompier, di quell’amabile mauvais goût che ancora
oggi, malgrado tutto, ce lo rende caro.
PS: Mi sono ampiamente occupato di Cyrano in una prefazione
alla traduzione di Mario Giobbe,
uscita da e/o nel 1993 con il titolo Rostand, kitsch, spleen.
Per il bel palindromo del titolo,
ringrazio invece Stefano Bartezzaghi, il quale, nel declinare il
merito a favore di Anacleto Bendazzi, mi ha segnalato un altro
arguto tour de force sullo stesso
tema, questa volta a firma Giuseppe Varaldo: “Osannargli il
gran naso”.
Intervista a Massimo
Popolizio
Perché un attore, oggi, si mette
ad affrontare il Cyrano?
Avere la possibilità di recitare in
versi, e quei versi, obbliga un attore ad una scelta precisa. Decidere di recitare Cyrano significa
anche far piazza pulita di un falso psicologismo e di un becero
naturalismo. Prima della fascinazione del personaggio c’è la
scelta di uno stile.
Il testo di Rostand tocca molti
temi. Quale avete usato come
chiave di lettura?
L’impossibilità di amare. Cyrano
è un testo dove l’amore è inteso come qualcosa che nessuno
può ottenere, nonostante le parole d’amore siano tantissime.
Forse il rapporto più interessante è proprio quello che lega
Cyrano a Cristiano. In fondo il
vero rapporto d’amore è questo: tentare di arrivare all’oggetto desiderato attraverso la figura di un altro. Anche Rossana
chiede continuamente di essere
amata, o meglio che le si dica
di amarla; chiede di essere sedotta dall’abilità dell’oratore e
questo può essere uno spunto
affascinante per un attore: la
seduttività delle parole. E il bello
è che in questo caso le parole
“amorose” sono (come si dice
in doppiaggio) fuori sinc con il
personaggio che le dice, perché se è Cyrano a “suggerire” è
Cristiano che tenta, malamente,
di eseguire e queste parole (protagoniste del Cyrano) vengono
anche continuamente scritte!
Dal fronte Cyrano scriverà due
lettere d’amore al giorno, aman-
do per così dire per corrispondenza e attraverso la figura di un
altro.
in punto di morte Cyrano porterà in cielo il suo coraggio, il suo
onore. Il senso resta..
Il rapporto tra Cristiano e Cyrano è dunque complesso.
Un guerriero, poeta e utopista
che dunque non ha bisogno di
sfarzo esteriore.
Potrebbe assomigliare a quello
fra padre e figlio. Cyrano, oltre
che proteggere Cristiano, delega a lui l’amore (come in De
Musset ne I capricci di Marianna) perché Cristiano è più giovane di lui. Del resto sulla capacità
di amare “dal vivo” una donna Cyrano dimostra sempre un
senso di inadeguatezza e di vergogna che sono anche i suoi lati
più autentici e simpatici.
Quale altro stimolo ti ha indotto
a interessarti di questo testo?
Mi sono sempre chiesto contro
chi combattesse Cyrano. Cosa
è che lo induce ad affermare
«A me piace non piacere»? Il
testo si apre presentandoci un
pubblico di teatro composto di
potenti vari, cardinali, signore
pettegole, un’umanità varia che
va da giovani arroganti elegantissimi a protettori di bassa lega
per assistere allo show del loro
buffone preferito, per applaudire chi, storpiando e parodiando
i versi, li farà divertire. Cyrano si
batte contro quel teatro e quel
pubblico. Ma in fin dei conti lo
fa rimettendoci sempre. Al di là
dei duelli, dell’istrionismo spinto
e della voce roboante la sua è
una battaglia persa ma che proprio per questo vale la pena di
essere combattuta. È un utopista che pretende di cambiare il
mondo con la forza delle parole,
un uomo solo che passa la notte
a fantasticare straordinari viaggi
sulla luna, certo più vicino a Don
Chisciotte che a D’Artagnan.
Un carattere che Rostand mette
tutto nella stupenda scena del
pennacchio.
Il nostro Cyrano materialmente
non avrà un pennacchio perché
abbiamo scelto di evitare lo stereotipo del cavaliere con spada,
stivalone e cappello svolazzante.
Ma lo spirito della parola resta,
in francese pennache significa
anche grinta e coraggio. Quindi
Di fronte a Valvert, nel primo atto,
che gli rimprovera la mancanza
di guanti e di galloni, Cyrano risponde di non aver bisogno di distintivi perché le ha dentro le sue
distinzioni. L’aspetto guerriero,
militare è sempre presente. Ma
credo che il cameratismo non
giovi al personaggio. Il pudore e
una certa fragilità sono elementi
di arricchimento per chi, come
Cyrano, passa la maggior parte
della sua vita con altri uomini. E
poi la rete di rapporti che esiste
nel testo, è fondamentalmente
di questo che vive Cyrano: delle
relazioni con Le Bret, Cristiano,
Raguenean, Rossana, i cadetti,
De Guicher. Non credo sia divertente ascoltare una serie di monologhi con attori di contorno. Il
respiro di quest’opera è ampio
anche se con Daniele Abbiamo
scelto come dominante espressiva la leggerezza.
Qual è la difficoltà maggiore secondo te che un attore può trovare nell’affrontare oggi il Cyrano?
Trovare un equilibrio tra un certo
istrionismo e la necessità emotiva di pronunciare ancora delle parole. Io di Cyrano mi fido,
convinto come sono che non è
un naso a fare un personaggio.
Italo Calvino
da: Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi 1979.
Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia
che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là
c’è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la
televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere
disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida:
«Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino! » O se non vuoi non
dirlo; speriamo che ti lascino in pace. Prendi la posizione più comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In
poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull’amaca,
se hai un’amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa
in giù, in posizione yoga, Col libro capovolto, si capisce.
(...)
T’interrompe il settimo lettore: - Lei crede che ogni storia debba avere un principio e
una fine? Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire: passate tutte le
prove, l’eroe e l’eroina si sposavano oppure morivano. Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l’inevitabilità della morte.
Ti fermi un momento a riflettere su queste parole. Poi fulmineamente decidi che vuoi
sposare Ludmilla.
Edmond Rostand
da: Cyrano de Bergerac
Cyrano:
È assai ben poca cosa! Se ne potevan dire… ma ce n’erano a josa, variando di
tono. – Ecco, ad esempio (putacaso):
Aggressivo: “Se avessi un cotal naso, immediatamente me lo farei tagliare!”
Amichevole: “Quando bevete, deve pescare nel bicchiere: fornitevi di un
qualche vaso adatto!” Descrittivo: “È una rocca! È un picco! Un capo affatto…”
Truculento: “Ehi, messere, quando nello starnuto il vapor del tabacco v’esce da
un tale imbuto, non gridano i vicini al fuoco nella cappa?” Cortese: “Con questa
chiappa sulla faccia da portare state attento mio caro a non inciampare!” Tenero:
“Provvedetelo di un piccolo ombrellino, prima che il sole ve ne faccia un crostino!”
Enfatico: “Nessun vento, o naso magistrale, può raffreddarti tutto, eccetto il
Maestrale!” Drammatico: “È il Mar Rosso, quando ha un’emorragia!”
Ammirativo: “Oh, insegna di gran profumeria!” Semplice: “Il monumento
si potrà visitare?” Militare: -“Puntatelo contro la cavalleria!” E infine,
citando il grande Aristofane: “Solamente l’animale che in scienza chiama
ippocampelofantocamaleonte doveva avere tanta carne su tanto osso in fronte!”
Ecco, che cosa più o meno avrei sentito se di lettere e spirito voi foste stato
munito. Ma di spirito, voi, miserrimo furfante, non ne aveste neppure un atomo, e
di lettere (ne avete) tante quante ne occorrono a fare la parola: stupido!
Gillo Dorfles
Gioia maligna per il male altrui
Come si spiega che, in italiano,
non esiste una parola apposita
a indicare quella particolare
«gioia maligna per il male altrui»
per la quale, invece, tanto il
russo (zloradstvo) che il tedesco
(Schadenfreude) possiedono un
termine esatto? Forse perché,
da noi, questo sentimento
è poco diffuso? Non sono
affatto convinto che sia questa
la ragione. Credo anzi che i
nostri compatrioti – dalle Alpi
all’Etna – siano tutti pronti a
gioire, non dico di tutti quanti
i mali altrui, ma quanto meno
dalle piccole disavventure, dallo
scarso successo alle mosse
sbagliate del prossimo. Sicché
la presenza di un termine
ad hoc sarebbe davvero
provvidenziale. Ma forse la vera
ragione della sua mancanza,
nella nostra parlata, è dovuta
al fatto che l’Italia non ha di
solito il «coraggio della propria
malignità» come hanno tanti
altri popoli, appunto il tedesco
e il russo, che hanno coniato
vocaboli appositi.
Questa soddisfazione più
o meno esplicita mostrata
quando si vede il prossimo alle
prese con qualche ostacolo,
disavventura, accidente,
è talmente consueta che
12 novembre ore 20,30
Auditorium Istituto Peri
13 novembre ore 20,30
Teatro Cavallerizza
Un invito al molteplice
George Crumb Portrait
non meriterebbe neppure di
essere esemplificata. Pensate,
comunque, con quanto intimo
giubilo constatiamo che una
macchina viene trattenuta più
della nostra a una barriera
autostradale; con che
compiacimento assistiamo alla
corsa di quel poveretto che,
trafelato, si vede chiudere in
faccia la portiera d’un autobus
su cui si apprestava a salire;
o ancora la bocciatura d’un
compagno di classe al posto
della nostra promozione; per
non parlare della ragazza
soffiata all’amico, o della partita
vinta in una gara sportiva. ..
Gli esempi potrebbero
continuare all’infìnito.
Qual è, insomma, la «morale»
di questi comportamenti
(che non si possono neppure
ritenere abnormi data la loro
ubiquità)? Si tratta senz’altro
di un atteggiamento etico: non
basta desiderare il Male – il
grande Male – del prossimo,
bisognerebbe autoeducarsi a
desiderare, almeno qualche
volta – non dico sempre – il
bene per questo prossimo,
purché vada a scapito
proprio e non a quello d’un
altro prossimo, cosa che
ci consentirebbe, ancora
una volta, di provare la gioia
maligna - la Schadenfreude rivolta al più antipatico dei due
competitori.
Ma la gioia maligna non è
soltanto del singolo individuo,
si estende anche ai popoli,
alle nazioni, ai partiti politici,
alle associazioni sportive...
Ne abbiamo molti esempi
nel recentissimo passato: la
soddisfazione nel cercare di
boicottare l’ingresso dell’Italia
a Maastricht da parte di
Germania e Olanda, la
soddisfazione degli integralisti
islamici nell’imporre veli
e sacchi alle loro donne,
l’accanimento verso il povero
Clinton per le sue mediocri
marachelle, per non parlare del
caso Di Bella, e di quanti altri
che, più d’una volta, dipendono
appunto dalla gioia maligna dei
«persecutori», piuttosto che
da vere e profonde ragioni di
risentimento o di riprovazione.
20, 21 novembre ore 20,30,
22 novembre ore 15,30
Teatro Municipale Valli
27, 28 novembre ore 20,30
29 novembre ore 15,30
Teatro Ariosto
(da G. Dorfles, Horror Pleni,
Castelvecchi 2008)
Prossimi spettacoli
Dedicato ad Armando Gentilucci
Ensemble Icarus – Istituto Peri
A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione
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Fondazione
Comune
di Reggio Emilia
Soci fondatori aderenti
Zio Vanja
Certe Notti
Ensemble Fontana Mix
Fondazione Nazionale della Danza
Aterballetto
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riproduzione per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
Foto di scena di Serafino Amato
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Delegazione di
Reggio Emilia
Paola Benedetti Spaggiari, Enea Bergianti, Franco Boni, Gemma Siria
Bottazzi, Gabriella Catellani Lusetti,Achille Corradini, Donata Davoli
Barbieri, Anna Fontana Boni, Mirella Gualerzi, Grande Ufficiale Gr. Croce
llario Amhos Pagani, Comm. Donatella Tringale Moscato Grazia Maria
di Mascalucia Pagani, Paola Scaltriti, Mauro Severi, Corrado Spaggiari,
Deanna Ferretti Veroni, Vando Veroni, Gigliola Zecchi Balsamo
Cittadini del Teatro
Gianni Borghi, Vanna Lisa Coli, Andrea Corradini, Ennio Ferrarini,
Milva Fornaciari, Giovanni Fracasso, Silvia Grandi, Claudio Iemmi,
Franca Manenti Valli, Ramona Perrone, Viviana Sassi, Alberto Vaccari
Le attività di
spettacolo e tutte
le iniziative per i
giovani e le scuole
sono realizzate
con il contributo e
la collaborazione
della Fondazione
Manodori