«Pregiatissimo mio Signore…». L`epi

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«Pregiatissimo mio Signore…». L`epi
«Pregiatissimo mio Signore…». L’epistolario di un agente di campagna tra
cronaca aziendale e vincoli di deferenza
(-)
di Maria Maddalena Monti
Il  gennaio del  il signor Giacomo Maria Foscarini, proprietario
terriero di origini venete, trasferitosi prima nella zona di Varese e poi
a Milano subito dopo il trattato di Campoformio, riceve una lettera da
Cartabbia, luogo in cui si trovano le sue terre: è fimata da Giovan Battista
Mauri, quasi sicuramente il nuovo amministratore, il nuovo agente di
campagna. Lo si intuisce dal tipo di informazioni che dà e che riguardano
l’allevamento dei bachi da seta, i conti per la vendita del fieno e del vino,
il lavoro nelle vigne. Come fa sempre, il signor Foscarini scrive sul retro
della missiva il giorno in cui l’ha ricevuta e prende un foglio bianco preparandosi a rispondere, a impartire nuovi ordini per il buon andamento delle
coltivazioni, a raccomandare, a sollecitare, a rimproverare. Ma stavolta è
diverso: il destinatario di quegli ammonimenti non è più Vincenzo Fiorio,
il devoto, meticoloso e fidato amministratore che ha seguito Foscarini
da Venezia e che lo ha assistito e servito negli anni successivi all’arrivo
a Varese, anni in cui l’esule veneto ha dovuto inserirsi in una comunità
nuova e forse anche poco disposta ad accettare l’arrivo di stranieri. La
testimonianza del rapporto epistolare Fiorio-Foscarini, intercorso per
diversi anni tra Cartabbia e Milano, è in un cospicuo numero di lettere
custodite presso l’Archivio di Stato di Varese. Si tratta del cosiddetto
Fondo Foscarini, una fusione, verificatasi nel , tra un primo gruppo
di missive, circa , trovate da un privato a Roma, al mercatino di Porta
Portese, trascritte, non sempre fedelmente purtroppo, e inviate alla Fondazione Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano, e un secondo gruppo,
circa , già esistenti a Varese e acquistate dall’Archivio di Stato nel ,
tutte datate tra il  e il . Nel gennaio del , poi, il fondo è stato
arricchito dall’acquisizione di altre  lettere provenienti da una libreria
antiquaria di Varese e che recano anche date anteriori al  e posteriori
al : si tratta in questo caso di lettere sempre ricevute dal possidente
veneto ma inviate da amici e conoscenti e, tra queste, ve ne sono alcune
provenienti da Cartabbia e firmate da quello che, a un certo punto, deve
essere diventato il nuovo amministratore delle terre di Foscarini, Giovan
Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /

MARIA MADDALENA MONTI
Battista Mauri, l’uomo che ha sostituito Vincenzo Fiorio.
Iniziando ogni lettera con la consueta formula «Pregiatissimo mio
Signore», Vincenzo Fiorio scrive al suo padrone quasi ogni giorno informandolo degli affari agricoli ma non solo, facendo da tramite per tutte le
questioni più o meno difficili che riguardano l’azienda, svolgendo spesso
la funzione di vero e proprio uomo di fiducia. Nonostante l’epistolario sia
mutilo (mancano le risposte di Giacomo Maria Foscarini), è estremamente interessante la capacità di Fiorio di rendere il proprietario “visibile”
tra le righe dei suoi resoconti. E colpisce anche l’abilità dell’agente nel
descrivere fatti e persone, la sua costanza, meticolosità e diplomazia
professionale, il suo carattere puntiglioso e caparbio, la sua ironia che
spesso riesce a essere molto pungente.
Il Fondo Foscarini è un prezioso patrimonio di documenti ancora
semisconosciuti alla ricerca storica. E se ormai la maggior parte dei
fondi epistolari hanno trovato la giusta collocazione nell’ambito degli
studi storici, questo non sempre succede per gli scambi epistolari di cui
parliamo. Gli approfondimenti di ricerca in questo campo, infatti, si sono
limitati a esplorare il mondo delle aziende agrarie utilizzando come fonti
soprattutto i libri contabili e i registri. Si segnalano gli studi di un gruppo
di ricercatori e docenti di Pisa, tra gli altri Elsa Luttazzi Gregori, Giuliana
Biagioli, Oriana Goti, solo per ricordarne alcuni, che hanno pubblicato
diversi e interessanti lavori su aziende e fattorie e sull’evolversi del capitalismo agrario nelle campagne toscane. Così come vale la pena ricordare
lo studio di Manuela Martini sulle scelte patrimoniali e gli investimenti
fondiari della nobile famiglia bolognese Amorini-Bolognini. In alcune
di queste ricerche sono state prese in esame anche le relazioni dei fattori
e degli agenti ma, trattandosi spesso di grossi patrimoni ecclesiastici
o familiari, i contatti epistolari risultano, nella maggior parte dei casi,
esclusivamente tecnici e comunque intercorsi tra responsabili delle terre
e amministrazioni centralizzate spesso collocate in grandi città.
Recenti studi sono partiti dal punto di vista contrario e cioè si sono
concentrati sulla figura del proprietario, nuovo imprenditore terriero
che invia precise istruzioni e regolamenti ai fattori e agli agenti con lo
scopo di migliorare la redditività delle sue terre: Giuliana Biagioli ha
analizzato i tentativi di Bettino Ricasoli ma, precedentemente, diverse
sono state le pubblicazioni riguardanti le «istruzioni di agricoltura»
inviate ad amministratori e fattori per una migliore conduzione dei
fondi agricoli. Pietro Verri scriveva al suo fattore di Biassono, uno dei
tanti appezzamenti del vasto patrimonio familiare, ma non si occupava
dell’andamento delle terre.
Ma anche volendo considerare l’epistolario tra Fiorio e Foscarini solo
come un’ulteriore espressione di quella scrittura cosiddetta “popolare”,

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
si incontra quasi il medesimo “deserto” bibliografico. Da anni Antonio
Gibelli e il gruppo di Rovereto portano avanti i loro studi sull’epistolografia e la scrittura popolare e hanno anche preso in esame i rapporti
che nascono dal basso verso l’alto, per esempio le lettere al potere e ai
potenti. Ma tra i saggi pubblicati ve n’è solo uno, piuttosto breve peraltro,
scritto da Giovanni Contini e riguardante un epistolario simile a quello
del Fondo Foscarini: si tratta delle lettere che il fattore Vincenzo Razzolini inviava al principe Corsini a metà Ottocento. In Francia, invece,
il Centre d’Anthropologie dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales e il gruppo che si raccoglie intorno a Daniel Fabre hanno già da
tempo iniziato a lavorare su documenti di memoria scritta, ma i risultati
convergono su aspetti che riguardano la lingua, l’alfabetizzazione, le
relazioni epistolari generali, le identità sessuali alla prova della scrittura, il rapporto orale/scritto, la relazione tra alfabetizzazione e mobilità
sociale e quella tra lettura e scrittura nelle società d’ancien régime: nulla
che faccia riferimento a un rapporto epistolare a metà tra il privato e
l’aziendale come quello che caratterizza le missive di Fiorio. Conviene
quindi, innanzitutto, iniziare a conoscere da vicino i due protagonisti
delle numerose lettere appartenenti al Fondo Foscarini.
Sull’identità e l’origine familiare dell’agente di campagna Vincenzo
Fiorio le notizie recuperate sono piuttosto scarse. Nasce a Bologna il 
luglio , secondo i dati dell’Archivio Arcivescovile della Curia, e la
registrazione proviene dalla parrocchia di San Tommaso, ormai soppressa. Nel registro non compaiono informazioni su Gaetano Maria Fiorio
e Maria Gabita Defonti, i genitori di Vincenzo, e quindi è impossibile
sapere se fossero residenti lì o se si trovassero a Bologna di passaggio
per ragioni di lavoro o altro, così come resta sconosciuta l’occupazione
del padre, se fosse anche lui un fattore oppure no. Fiorio è un cognome
veneziano e dalle lettere emerge chiaramente la presenza dei parenti di
Vincenzo a Venezia. Quando Giacomo Maria Foscarini si trasferisce a
Cartabbia (l’anno di acquisto delle terre è il ) il suo agente ha circa
 anni. Non sappiamo in quale momento Fiorio inizia a lavorare per
Foscarini ma, stando a quanto scrive l’agente Fiorio in una lettera del
, «sono oltre i  anni che ho l’onore di essere presso di lei», doveva
avere  o  anni. In ogni caso, nel  è a Cartabbia insieme al suo padrone e inizia il suo lavoro di amministratore e responsabile delle terre
del possidente veneto. Lì sposa Annunziata Farè e si stabilisce forse a
Cartabbia, forse a Capolago, poco distante o, probabilmente, a Galliate
Lombardo, altro paesino nelle vicinanze del lago di Varese. La circostanza
non è del tutto chiara perché Vincenzo Fiorio nelle lettere non fornisce
mai indicazioni sul luogo della sua abitazione: la morte di Annunziata,
infatti, viene registrata nella parrocchia di Galliate Lombardo il  maggio

MARIA MADDALENA MONTI
del , così come la morte di Vincenzo avvenuta alcuni anni più tardi,
precisamente il  agosto del , per «febbre perniciosa appopletica».
Ma tre dei cinque figli, Camillo, Amabile, che nei documenti sulla morte
della madre compare come «Sacerdote Amabile» (nel  risulta parroco
a Galliate Lombardo), e Angela sono stati battezzati a Capolago. Anche
sul numero dei figli ci sono dei dubbi perché Fiorio nelle lettere accenna
a Lucia e Giacomo che poi, da un certo punto in poi, non vengono più
nominati, forse deceduti. L’ipotesi a mio parere più probabile è che la
famiglia Fiorio, a un certo punto, si sia trasferita a Galliate Lombardo.
L’ultimo acquisto da parte dell’Archivio di Stato di Varese di un gruppo
di  lettere indirizzate a Giacomo Maria Foscarini da amici e conoscenti
potrebbe svelarci il mistero. Vincenzo Fiorio, infatti, non rimase presso
Foscarini fino alla sua morte: nel  compare un nuovo agente, Giovan
Battista Mauri, ma è importante ricordare che Giacomo Maria Foscarini
scomparirà di lì a poco, nel .
Su quest’ultimo le notizie sono ancora più frammentarie e le ricerche
sono ancora in corso. Se ne sta occupando Claudia Morando, direttrice
dell’Archivio di Stato di Varese, secondo la quale questo cittadino veneziano che all’indomani del trattato di Campoformio lasciò la laguna e
comprò circa millecinquecento pertiche di terreno (più o meno  ettari)
avrebbe origini ebree, escludendo totalmente l’appartenenza di Giacomo
Maria alla nobile famiglia Foscarini di Venezia. Inizialmente le ricerche si
sono svolte presso l’Archivio Storico Civico di Milano dove la Morando
ha rintracciato documenti relativi alla famiglia Foscarini: il possidente
sarebbe figlio di Pietro Foscarini e, in una nota allegata al documento,
si parla dei Foscarini come di una «famiglia ebrea di cui uno dal doge
fu tenuto a battesimo». Poi, con successive indagini sempre condotte
dalla Morando ma stavolta presso la Biblioteca Trivulziana, si è arrivati
a conoscere la data di nascita di Foscarini, il , e la data di morte, il
primo di aprile del . Giacomo Maria Foscarini sarebbe figlio di Pietro
Foscarini e Camilla Isorau, e dal suo matrimonio con Camilla Giovanelli,
morta due anni prima di lui, nacque un solo figlio, Benedetto Foscarini,
deceduto nel . Ora, invece, le ultime ricerche della stessa Morando
sembrerebbero smentire quanto detto finora: Foscarini avrebbe ricevuto
il battesimo in età adulta, già sposato e insieme alla moglie.
Nulla si sa, invece, delle circostanze che lo spinsero a lasciare Venezia,
ma la coincidenza con la cessione della città lagunare all’Austria, passaggio
che sancì la fine dell’antica Repubblica, è indicativa. Il brano di una lettera
scritta da Foscarini al Commissario governativo presso l’amministrazione
dipartimentale d’Olona, lettera in cui il proprietario veneto rinunciava a
un incarico pubblico, risulta particolarmente interessante:

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
La ferma risoluzione ch’io presi fin dal giorno che lasciai la mia patria di ritirarmi
tra le montagne a vivere un’oscura vita, risoluzione che in me non cangerà mai, mi
obbliga con mio rincrescimento, o cittadino commissario a rinunziare all’incarico
di municipalista che vi compiacete di darmi con la vostra lettera […]. Le amare
traversie che ho sofferte, delle quali tuttavia ne sento il peso, fan sì che io non
sia atto a pensare e ad agire che per la sola mia famiglia. Per ogni altro impiego
io sono affatto incapace, benché il mio cuore sospiri a ogni tratto il comun bene.
Siatene certo, o cittadino Commissario, e siate certo ancora che non cesserò
di ricordarmi la favorevole opinione che avete di me. Salute e considerazione,
Giacomo Maria Foscarini.
Quali furono le «amare traversie» che lo portarono a una così drastica
decisione? Sono legate a Campoformio o si tratta di un trascorso esclusivamente personale?
C’è un altro studioso che si è occupato di rintracciare notizie sulle
origini di Giacomo Maria Foscarini ed è Fernando Cova. Nonostante
il profondo legame che l’esule veneto ebbe con Varese, infatti, è scarsa
l’attenzione dedicata a questo personaggio anche da parte della storiografia locale. Cova ricorda che esiste una via Foscarini ad Arcisate, un
palazzo Foscarini già casa Sabaino a Luino, una villa Foscarini già Stampa
a Morosolo, villa in cui soggiornò Alessandro Manzoni. Foscarini faceva
parte della Municipalità di Varese nel , era nel Consiglio comunale
nel  con la carica di Savio, poi ancora nel  nella Municipalità e
nel  sempre nel Consiglio comunale. L’anno dopo lasciava le cariche
comunali ed entrava nell’amministrazione della Congregazione di carità
che sovrintende l’Ospedale di Varese, carica abbandonata nel , anno in
cui, presumibilmente, si trasferiva a Milano, lasciando l’agente Vincenzo
Fiorio nelle sue terre.
Cova, comunque, dopo ricerche presso l’Archivio di Stato di Venezia, ha trovato tracce di due individui corrispondenti al nome Giacomo
Maria Foscarini e alle date in esame: un patrizio che negli anni - fu
più volte indagato per malcostume, violenze e altro dagli Inquisitori di
Stato, e un Giacomo Foscarini detto lo Zoppo, figlio del cavalier Bastian
e nipote del provveditore Nicolò che, all’uscita del Maggior Consiglio,
nel , si era svestito della toga patrizia e l’aveva calpestata mettendosi
all’occhiello una coccarda con i colori francesi. Tempo dopo, durante una
manifestazione contro i Francesi, il  maggio , era stato incendiato
il palazzo Foscarini ai Carmini forse perché, afferma Cova, qualcuno si
era ricordato del gesto dello Zoppo. Entrambi i personaggi contrastano
con i risultati a cui è giunta Claudia Morando.
Quel che è invece certo è che Foscarini era un uomo preparato, un
possidente che seguiva con interesse l’andamento delle sue terre, in par-

MARIA MADDALENA MONTI
ticolare la coltivazione delle viti e l’allevamento dei bachi da seta, le due
attività più importanti curate nella sua tenuta. È del  la pubblicazione
di un suo scritto sul «calcinetto», una malattia che colpisce i bachi da
seta. E ancora, in una lettera senza data scritta da Vincenzo Fiorio troviamo questo passaggio:
Ieri andai con Guido a Messa a Varese; nel ritorno passai per Biumo, e levai dalla
libreria i quattro volumi dell’Enologia coi fogli in bianco che oggi le spedisco a
Milano unitamente alle castagne che sono in Cartabbia […].
Forse il possidente veneto aveva intenzione di pubblicare un testo sulla
coltivazione della vite o forse prendeva appunti ogni anno sui risultati
della produzione vinicola per suoi personali studi sul modo di migliorarla. Possiamo dire, quindi, che Foscarini faceva parte di quei proprietari
“pionieri”, desiderosi di sperimentare un nuovo modo di fare agricoltura.
Ancora negli anni dell’egemonia francese, infatti, anche i più acuti osservatori lombardi di cose economiche ritenevano che l’agricoltura avesse
raggiunto un grado di perfezione unico e in Italia, come più specificatamente in Lombardia, l’agricoltura continuava a essere praticata con
l’unica regola della stanca ripetizione di tradizionali metodi di coltivazione
e di allevamento, mantenendo un esito produttivo sempre uguale, anno
dopo anno. Ma a partire dall’ultimo ventennio del Settecento, invece,
la situazione cominciò lentamente a modificarsi, a tutto vantaggio di
un nuovo modo di fare agricoltura. A Milano, iniziarono a diffondersi
studi e approfondimenti tendenti soprattutto a superare i due ostacoli
principali che impedivano il cambiamento: il totale disinteresse per le
scienze naturali e per la chimica, anche da parte di quei proprietari che
avrebbero avuto tempo e possibilità di avvicinarsi a certi argomenti, e
la non abitudine alla pratica dell’osservazione e alla relativa sperimentazione. In un saggio sull’istruzione agraria, pubblicato recentemente,
Giorgio Bigatti ha sottolineato come i «novatori» agricoli milanesi fossero
consapevoli della distanza accumulata dalla Lombardia nel campo dell’istruzione tecnica rispetto alla Francia, alla Svizzera, alla Prussia e agli
Stati tedeschi. Mancavano le scuole di agricoltura e mancava la giusta
considerazione della professione agronomica. «Non appena ne avevano
la possibilità, proprietari e fittabili mandavano i figli all’università, ma al
solo scopo di aprir loro la via delle professioni o degli “impieghi”. Non
per istruirli nell’arte di condurre i fondi».
Giacomo Maria Foscarini, nei suoi tentativi ed esperimenti, viene
elogiato anche da un agronomo carinziano, Giovanni Burger, uno dei
principali sostenitori dell’introduzione dell’agricoltura scientifica in Europa centrale: nel  l’agronomo compie un viaggio di studi attraverso

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
l’Italia settentrionale e scrive degli appunti che poi verranno raccolti in
un volume dal titolo Reise durch Ober-Italien, tradotto poi in italiano nel
. Burger scrive:
A Varese, nella bella proprietà del signor Foscarini, il terreno è diviso in tavole
larghe  piedi; a sinistra, partendo dal mezzo della tavola, si stende un filare
di viti composto di sei o sette ceppi distanti fra loro da  metri  centimetri
a  metri  centimetri; per cui ci sono più di  ceppi per jugero. Le viti si
distendono tanto in altezza come in ampiezza, e formano così una vasta rete la
quale getta tanta ombra sul maiz, che questo cereale non frutta che la metà del
suo prodotto ordinario.
In occasione del suo viaggio l’agronomo carinziano non visita solo la
proprietà di Foscarini nella zona di Varese ma anche quella di un altro e
molto più noto abitante della zona, il conte Vincenzo Dandolo. Si tratta
proprio di quel Dandolo amico di Napoleone, giacobino, traduttore e
divulgatore delle opere di Lavoisier e dei padri della chimica, autore del
testo I fondamenti della fisico-chimica applicati alla formazione dei corpi e ai
fenomeni della natura, esperto di viticoltura (i due volumi della Enologia,
ovvero l’arte di fare, conservare e far viaggiare i vini del regno sono del
) vero e proprio riformatore nel campo della bachicoltura (Dell’arte
di governare i bachi da seta, ). Foscarini e Dandolo si conoscevano
probabilmente già da Venezia e fu proprio il primo, una volta arrivato a
Cartabbia, a invitare l’amico a raggiungerlo. E così avvenne: i due erano
vicini di casa e di terre, si scambiavano visite di cortesia e conversavano
di cereali, gelsi e rotazioni agrarie e insieme ad altri tre o quattro esuli
costituivano quella che il figlio di Dandolo, Tullio, definì «un’eletta brigata». Nell’analisi di questa amicizia tra Foscarini e Dandolo attraverso
le lettere, sono emersi alcuni particolari interessanti: innanzitutto che il
legame tra i due, all’improvviso, negli anni tra il  e il , si spezzò
per qualche motivo che non conosciamo. Foscarini, successivamente,
dopo la morte del conte, si riavvicinò al resto della famiglia Dandolo,
alla contessa e al figlio Tullio; e poi la conferma di una circostanza già in
parte nota e cioè che Dandolo suscitava una discreta dose di antipatia tra
la popolazione di Cartabbia e Varese. Ma questa sezione mette in luce
qualcosa di molto più importante, il legame di confidenza e complicità
che c’era tra il proprietario e il suo agente Vincenzo Fiorio.
Dandolo muore improvvisamente il  dicembre  e Fiorio, puntuale cronista degli avvenimenti più rilevanti che accadono nella zona,
descrive a Foscarini, amico del defunto, i dettagli della scomparsa:
Ricevo la pregiat.ma sua, ed ho tutto il piacere di sentirla star bene, il cielo me
la possa conservare per lunghissimo tempo. Trovo inutile il tacerle la disgustosa
notizia che ora mi fu notificata, la quale fà vedere quanto siamo fragili a questo

MARIA MADDALENA MONTI
mondo, e che bisogna rassegnarsi a ciò che è prefisso dall’Ente supremo. Le dico
il vero, quantunque io non abbia certa interescenza pure la natura sensibile fà
che mi leva quasi la testa. Ieri sera si dice, dopo essere stato al Casino in conversazione, dopo aver preso un’acqua, dopo essere andato a casa, nel momento
che stava spogliandosi per andare a letto cadde il C. Dandolo a terra preso da
un accidente mortale, e rimase sul colpo, senza che l’arte medica abbia potuto
più agire. Tale nuova mi tiene talmente oppresso ché non so nemmeno io che mi
scriva. Il primo che mi portò la nuova fu il carrettiere del Bellinetti, l’altro è ora
Angiolino che me lo conferma! Si dice che a Varese tutti lo compiangono!
Nelle settimane successive, mentre la famiglia Dandolo e gli amici iniziano a celebrare il conte con una serie di iniziative, Foscarini è vicino
alla famiglia Dandolo, anche per questioni pratiche, per esempio nella
nomina di un tutore per il piccolo Tullio:
Jeri sera a notte, dopo dato passo agl’Affari di cantina sono andato dalla Sig.ra
Contessina e sentendo da me quanto Ella scriveva in suo proposito rispose. [...]
Disse che se potrà procurerà di scriverle oggi un’altra lettera, ma al caso mai non
potesse, La previene col mio mezzo, che fintantocchè non potrà avere i di Lei
consigli, Essa soprassederà alla nomina del contutore; ma che intanto se avesse
qualcheduno da metterle in vista che le farebbe cosa molto grata di poterglielo
comunicare se non per lettera a Lei diretta, almeno col mio mezzo vocalmente
sotto sigillo di segretezza. Giacché per quanto Essa pensa non gli si presenta
mai alcuno alla memoria. E prottestò che non passerà mai ad alcuna nomina
se prima non ne sarà Ella pure persuaso.[...] Pare che esso sig. Compagnoni
sia stato incombenzato e che abbia preso con gran impegno di far eseguire
sollecitamente la stampa dell’ultima opera del defunto Conte, ove deve esservi
inciso il suo ritratto. Esso sig. Compagnoni ha da avere anche l’incombenza di
far fare il busto in gesso, e mi pare ancora la statua in marmo. Consegnai sino
da giovedì la semenza trimellina alla Sig.ra Contessina Dandolo la quale sta bene
e mi lasciò di riverirla. Mi diede da leggere la vita del povero Conte, e in fronte
avvi il ritratto che a mio parere nulla assomiglia.
Questi brani dimostrano sincero affetto tra Foscarini e i Dandolo e le
poche lettere rinvenute, relative agli anni ,  e , non aiutano a
comprendere cosa possa essere accaduto tra i due esuli, quale sia stato
l’evento scatenante che ha portato alla rottura di una lunga e fraterna
amicizia. Tre anni prima della morte del conte, infatti, il tono delle lettere
di Fiorio è questo:
Mi ha raccontato il Jacchini che sarà circa otto giorni che al cassino trovavasi un
libercolo stampato dal C., ch’io non so se sia recente o vecchio, sopra i pomi di
terra, e che nella facciata del frontespizio ove vi è il titolo del libro (che non
so come sia espresso) sotto vi era il nome dell’autore cioè Dandolo e sotto a
questo nome fu scritto in carattere in stampatella Illetterato, e così pure sotto la

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
prefazione dove vi è rippetuto il nome del C. D... fu pure rippetuto collo stesso
carattere Illetterato lo che ha mosso le risa per molto tempo fra gli astanti, e se ne
fece commedia. Frà i Bolchinisti si cercava il tomo del Goldoni ove è inserita la
farsa di Arlecchino servo di due padroni per farne altra commedia, applicandola
al Conte. In fatti fu detto pubblicamente che faranno tanto che dovrà slogiare
da Varese quell’Ignorante!
I Varesotti hanno un telegrafo che non solamente ogni giorno ma si può dire ogni
ora dà notizie detagliate, di tutti i movimenti, maneggi, visite, impegni, passi e
pensieri del C.te con chi pratica, gli sforzi che fa per farsi considerare del grado
della antica nobiltà, delle maniere con cui viene accolto ecc. ecc. Qui fanno un
cattivo preludio del suo mettersi in vista, perché col tempo qualche d’uno si
prenderà il divertimento di render palese ciò che fece, e ciò che scrisse... ecc.
ecc. Alla di Lei venuta mi riserbo di contargliene di belle. Da Giuseppe, ora
venuto in Cartabbia, sento che oggi dopo pranzo si attende il Conte D... e che ha
già spedito avanti i suoi equipaggi: questo mi farà essere più sollecito nell’andata
e ritorno da Varese, per non ritrovarmi colà quando arriva, onde la gente non
pensi che siavi colà a bella posta per inchinarlo […].
L’agente di campagna non ha mai usato parole così forti. Il tono malevolo
e irriverente delle sue frasi non può far pensare che a un completo assenso di Foscarini, destinatario delle lettere. Anche volendo prendere in
esame un disaccordo esclusivamente personale tra l’agente di campagna
e Dandolo, la deferenza di Fiorio nei confronti del suo padrone non gli
avrebbe mai consentito di trascrivere su carta quegli insulti all’indirizzo
del conte, amico di Foscarini, a quanto risulta, almeno fino al , anno
della partenza di Dandolo per la Dalmazia. Cosa potrebbe essere successo
tra i due? Un dissidio relativo a terreni o proprietà da acquistare? Una
rivalità professionale visto che entrambi erano esperti di agronomia? O un
semplice contrasto da ascrivere nell’ambito dei rapporti interpersonali?
Forse una distanza su idee politiche che con gli anni si fece più critica?
Paolo Preto, che ha ampiamente analizzato la figura di Dandolo, ha più
volte sottolineato l’ostilità che il conte suscitava. Con la formazione della
seconda Cisalpina e la decimazione del partito giacobino, gli uomini del
triennio come Dandolo, noto per la sua vena polemica, la sua irruenza ed
estremismo verbale, venivano ritenuti pericolosi per un regime nel quale
la parola “moderato” diventava la più utilizzata nel linguaggio politico.
Forse il conte restò fedele ai suoi ideali e continuò a muovere «caute
critiche al cessato regime che si alternano a caute lodi al presente»,
come scrive Preto. Foscarini, invece, quegli ideali li aveva forse superati
e ora aderiva con convinzione al nuovo governo austriaco. E l’esplicita
antipatia dei varesini? Dandolo arrivò da Venezia con un milione di
lire italiane e il suo comportamento nell’acquisto di terreni provenienti
dalle vendite dei beni nazionali venne definito spregiudicato. Qualcuno
arrivò persino ad accusarlo di aggiotaggio. Erano tutti motivi sufficienti

MARIA MADDALENA MONTI
a scatenare l’indignazione e il disprezzo dei varesini. Ma ci permettono
soprattutto di vedere Vincenzo Fiorio nell’altro ruolo di confidente di
Foscarini, lasciando venir fuori tutto il risentimento per chi, forse, ha osato
offendere o contrastare il suo padrone; un’indicazione molto interessante,
rappresentativa di una certa “anomalia” rispetto a un normale e codificato
rapporto tra un proprietario terriero e il suo agente di campagna.
È un rapporto che ha la sua origine già nei primi contratti di mezzadria
che vedono l’esistenza di un inviato del padrone sul fondo, un sostituto
che tuteli i suoi interessi e che si adoperi per la massima convenienza
nell’impiego delle forze produttive. Il non recente ma utile volume di
Bruno Rossi, testo di carattere più giuridico che storico, ripercorre
la genesi della figura del fattore di campagna partendo dal periodo
imperiale, scendendo poi verso l’alto medioevo e attraversando i secoli
dal Quattrocento all’unità d’Italia, e individua negli anni della libertà
comunale e dell’ascesa di una borghesia cittadina il momento esatto
della nascita di questo sostituto padronale. E per quanto riguarda il
suo periodo di maggior fortuna, i quattro secoli che vanno dal XV al XIX,
si sofferma ad analizzare le altre figure di preposti presenti nelle aziende
agrarie con mansioni e compiti più o meno simili a quelli del fattore: il
“procuratore”, il “ministro”, il “maestro di casa”. Tornando all’agente
di casa Foscarini, è lo stesso Vincenzo Fiorio a definire il suo incarico
all’interno dell’azienda, dimostrando piena coscienza del ruolo e delle
responsabilità che questo comporta:
C’è sempre stata, e sarà sempre tutta mia premura di studiare tutti i mezzi possibili per la buona condotta e pel ben essere de’ di Lei interessi a me appoggiati,
come è di mio special dovere nell’adempimento de’ miei incarichi, continuarlo
collo stesso zelo, collo stesso amore, colla stessa premura ed onoratezza con cui
da tanti anni ho l’onore d’aver travagliato ed operato sotto di lei, pregandola di
volermi compatire in quelle mancanze in cui può incorrere un onorato agente.
Da lunga esperienza so quanto Ella sia piena di bontà per continuarmi la sua
valevole amorevolezza in compatir me e la mia famiglia, anche per l’avvenire,
del che ne siamo e ne saremo sempre obbligatissimi […].
In due lettere di alcuni anni prima, però, a proposito di una compravendita di partite di foglia di gelso, utilizza indistintamente i due termini
“fattore” e “agente”, a dimostrazione di una oscillazione linguistica
nell’utilizzo comune; Rossi stesso sottolinea più volte come il termine
“agente” fosse uno dei più vaghi, usato per indicare funzionari, inviati
e preposti con gli incarichi più vari. E inoltre, mancando delle scuole
di agricoltura nelle quali apprendere i mezzi culturali per svolgere adeguatamente le funzioni di fattore, istituzioni di cui si sentirà l’esigenza,
anche per un’opportuna preparazione dei proprietari, solo a partire dalla

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
seconda metà dell’Ottocento, il mestiere di fattore veniva ancora tramandato di padre in figlio, di generazione in generazione. Forse proprio per
questa ragione tra il XVII e il XIX secolo venivano pubblicati una serie di
testi sotto forma di manuali teorico-pratici o di istruzioni a vantaggio del
fattore di campagna, vere e proprie guide per apprendere l’esatto governo
di coltivazioni e lavoratori della terra.
Fra’ Paolo Sivieri nel  pubblica un volumetto definendo provocatoriamente il fattore, già nel titolo, una persona «inutile»: a suo avviso è
una di quelle persone che hanno abitato per vent’anni in città e che poi,
leggendo qualche testo, tra cui quello dell’Allegri, hanno improvvisato
la professione. Ma già Santo Benetti, che si definisce «uomo di campagna e non di Lettere», all’età di quarantaquattro anni, dopo essere stato
gastaldo e fattore e aver servito case di cittadini e patrizi veneti, sente,
grazie all’esperienza accumulata, di poter dettare le qualità che deve
possedere un buon fattore:
Prima di tutto il buon Fattor di Villa, deve essere timorato di Dio, vale a dire,
non bestemmiatore, non avaro, non concubinario, non adulatore, non bugiardo,
non sonnacchioso, ma svelto, ed operoso, e tutto premura per l’interesse del suo
Padrone. Deve poi avere esatta cognizione dell’Agricoltura, perché senza quella
verrà tacciato da Fattor di comparsa, come pur troppo ve ne sono, che altro non
hanno in pensiero, che di comparir ben vestiti per tutto dove si portano, e particolarmente sopra i Mercati; ponendosi in vista sulle Botteghe di Caffè, per essere
sberrettati non solo dalli Affittuali soggetti a essi, ma ancora dai suoi Confattori,
che vanno alla buona, sebbene siano, in sostanza, da più di loro.
E un buon fattore deve possedere doti di riservatezza e circospezione:
Il Fattore non dovrà in alcun tempo parlare degl’interessi del suo Padrone [...].
Né si faccia, come fan molti, che con una somma facilità discorrono non solo
degli affari a essi appoggiati, ma nemmeno si astengono di palesar gli andamenti
delli Padroni [...] e Fattori di questa indole si trattano, con ragione, da chiacchieroni, titolo proprio della maggior parte dei Barbieri, che nello stesso tempo,
che radono, non fanno altro, che cicalare[...].
Anche Giovanni Salvini scrive al suo fattore di campagna e si ripromette
di impartire istruzioni semplici perché destinate a «persone rustiche» e
non a scienziati. Il fattore, nel quotidiano lavoro con i contadini, dovrà
armarsi di «invitta fortezza e magnanima costanza» perché questi vorranno continuare a coltivare la terra secondo i loro usi e la tradizione
trasmessa dai padri. Risulterebbero databili al , invece, le istruzioni
che monsignor Innocenzo Malvasia invia al fattore della sua tenuta di
Castelfranco Emilia con lo scopo di richiamare la sua attenzione su una
serie di questioni rilevanti: ridimensionare la terra concessa a mezzadria,

MARIA MADDALENA MONTI
risolvere il problema del bestiame e, come nelle indicazioni di Salvini,
avvertirlo della difficoltà che incontrerà nell’ammaestrare i contadini sui
nuovi metodi da usare. Roberto Finzi ha lavorato a lungo sul manoscritto di Malvasia e ne ha tratto un volume che ricostruisce l’insieme delle
istruzioni divise per temi. Ha invece le caratteristiche di un piccolo
trattato, una specie di compendio tecnico sul modo migliore di tenere
gli ingrassi, conservare le derrate o trattare gli alberi da frutta, il testo
intitolato Il fattore di campagna della Sonzogno, uno scritto «dettato in
forma popolare, succinta, chiara, alla portata d’ogni intelligenza», come
recita il frontespizio.
Sarebbe interessante capire se anche Fiorio, all’inizio del suo incarico, abbia ricevuto una serie di istruzioni scritte da Foscarini. Nelle
lettere non risulta traccia di un documento simile ma, forse, la cura e la
partecipazione dimostrate dall’esule veneto nel seguire l’andamento delle
sue terre hanno permesso la costante elargizione di una serie di piccole
lezioni di agricoltura impartite all’agente nel periodo immediatamente
successivo al trasferimento da Venezia e precedente a quello a Milano, e
proseguite poi per lettera e durante le visite a Cartabbia. Comunque le
mansioni e i compiti assegnati a Fiorio sono facilmente rintracciabili nelle
lettere: sorveglianza sui massari, controllo e salvaguardia delle coltivazioni
e dei raccolti, riscossione degli affitti, vendita e acquisto dei prodotti.
Occorre sottolineare che nello svolgimento quotidiano dei suoi doveri
Fiorio si avvale della collaborazione di un certo Guido, probabilmente il
vero e proprio fattore delle terre Foscarini, colui che coadiuva l’agenteprocuratore Fiorio, una figura che, nella scala gerarchica, è certamente
al di sotto di Vincenzo e al di sopra dei massari. In alcune lettere Fiorio
lo definisce ironicamente «il professor Guido», probabilmente perché è
un lavoratore della terra di grande esperienza o forse perché i due battibeccano su questioni agricole e Guido fa sfoggio di tutta la sua cultura
sull’argomento. Il brano che segue sembra dimostrare chiaramente il
ruolo di questo personaggio.
La relazione Guido intorno la foglia gelsi delle quattro massarie che è stato a
vedere risulta; Cesare dice che avrà un luogo per l’altro più che l’anno scorso,
Talamona in tutti i suoi luoghi, più dell’anno scorso, eccetto che per calo de’
Moroni in Caspè verrà ad’avere poco meno, o al più come l’anno scorso. Luini
dice che avrà a undipresso, un luogo per l’altro come l’anno scorso e qualcosa più.
Luchina anch’esso qualche cosa più dell’anno scorso. Tibiletti verrà a essere poco
meno dell’anno scorso. In pieno già Guido ritiene esservi la quantità dell’anno
scorso forse qualche picciola cosa di più.
Collaboratrice fondamentale è Annunziata, moglie di Fiorio, che affianca
il marito nel lavoro di ogni giorno. A lei sono ovviamente destinati compiti
più adeguati al ruolo femminile: l’acquisto di alcuni tessuti come il lino

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
per conto del padrone, l’incarico di confezionare calze per Foscarini e per
il figlio di questi, Benedetto, il governo e la manutenzione della dimora
signorile compresa la custodia della biancheria, soprattutto in occasione
dell’arrivo e della partenza di Foscarini, ma anche la distribuzione della
legna donata dal padrone ai poveri o della carne sempre concessa dal
signore ai massari per le feste. Anche i figli aiutano Fiorio, soprattutto
nei momenti in cui i lavori si fanno più pressanti.
I gran caldi fecero nascere in furia le parpaglie, e in questi giorni ci hanno voluto
levare la pelle sì a Nunziata, a Giacomino che a jo, come anche Camillo tutto il
tempo che ha potuto stando in piedi dalla mattina prima delle tre sino passata
la mezza notte senza nemmen aver tempo di mangiare. Ma se non altro ho la
consolazione che riescirà buona [la semente dei bachi da seta n.d.r.].
Il riferimento alla partecipazione dei figli ai lavori dell’azienda fornisce
l’opportunità di parlare dell’evidente desiderio di Fiorio di trasmettere
a uno dei figli, Giacomo probabilmente, il suo faticoso e accreditato
mestiere. In occasione di una sua assenza per andare a trovare l’altro
figlio, Amabile, quello che poi diventerà sacerdote, entrato in un seminario a Lecco forse anche per l’intercessione di Foscarini, Giacomo è
pronto a sostituirlo: utilizzando lo stile, le frasi di circostanza, le formule
di apertura e chiusura delle lettere che normalmente usa il padre, scrive
un breve messaggio a Foscarini per accompagnare una lettera redatta da
Vincenzo ma che lui, forse, non riesce a spedire in tempo.
Pregiatissimo Sig. Padrone, L’altra sera il mio Papà si dimenticò di dirle che
intanto che aravamo in campagna, Malnà Francesco a piantar la sieppe moroni,
venne in Cartabbia un carettiere mandato dal Tagliabue con un fascetto di piante
fruttifere [...]. Entro la presente settimana li due Osti Farinetta e Chicarino verranno a levar le loro  Bte di vino Bianco. Ecco che arriva Pellegrino colla preg.
sua d’ieri, che appena arriverà questa sera il mio Papà gliela consegnerò subito
ed eseguirà i suoi ordini raporto al vino di Ronchi, ed altro contenuto in Essa.
La mamma è tutta consolante nel sentire che Lei va sempre più liberandosi della
sua testa. Si la suddetta che io, siamo a pregarla di fare i nostri più ossequiosi
rispetti verso la Signora Padrona ed il Signor Benedetto, nel mentre che passo a
protestarmi di Lei Obb. ed Ossequiosiss. Servitore Giacomo Gaetano Fiorio.
Per quanto riguarda l’allevamento dei bachi da seta, comunque, è chiara
l’implicazione di tutta la famiglia e questo potrebbe anche significare
l’adozione, da parte di Foscarini, della tecnica della «grande bigattiera
padronale» o dandoliera, in onore di Vincenzo Dandolo che introdusse
l’innovazione: un unico locale adibito all’allevamento dei bachi sotto
il diretto controllo del proprietario, sottraendo la conduzione alla di-

MARIA MADDALENA MONTI
spersione di più locali sistemati nelle varie case coloniche. A questo
punto, per tentare di focalizzare meglio le mansioni di Vincenzo Fiorio
e ricostruire i compiti cui attendeva nell’arco della giornata, è necessario
scendere brevemente nel dettaglio delle lettere, piene di comunicazioni
e di resoconti estremamente concreti che quasi mai si abbandonano a
divagazioni. Vi sono narrate le operazioni quotidiane comuni a qualsiasi
agente, andamento delle coltivazioni, semine, potature, vendite di prodotti
come frumento o altro, ma anche altre notizie non presenti in tutte le
lettere: il desiderio di Vincenzo Fiorio è infatti quello di rendere Foscarini
costantemente informato su ogni particolare «come se Ella fosse presente
in tutto», dichiara soddisfatto.
Innanzitutto l’aspetto esteriore delle missive: si presentano scritte
su fogli piegati in due di carta pergamena e la media è più o meno di
quattro-sei facciate per lettera. La calligrafia dell’agente è molto chiara
e leggibile, il tratto quasi sempre “rilassato”. Difficile riuscire a stabilire
il grado di alfabetizzazione di Fiorio, ma l’italiano utilizzato è abbastanza corretto, scorrevole. Non ci sono cancellature o aggiunte di parole,
ma probabilmente l’agente redige sempre una copia delle lettere. La
scorrevolezza delle frasi fa pensare a una scrittura di getto, senza una
qualsiasi pretesa letteraria, come se quella con il padrone fosse una
sorta di “conversazione scritta”. In testa al foglio la località, Cartabbia,
qualche volta Varese, poi la data. La formula di apertura è sempre la
stessa, al «Pregiatissimo Signore», così come quella di chiusura, dal suo
«Devotissimo, Obbligatissimo ed Ossequiosissimo Servitore Vincenzo
Fiorio». Qualche volta le missive accompagnano prodotti della terra da
recapitare a Foscarini: frutta, verdura ma anche polli o capponi. E anche
Fiorio va a Milano talvolta tornando indietro con appunti dettatigli a viva
voce dal suo signore. Le lettere vengono scritte quasi sicuramente a fine
giornata, il momento più tranquillo per Fiorio, ma può capitare che, a
causa degli spostamenti all’interno dell’azienda, sia costretto a redigere
le sue relazioni anche in situazioni non proprio agevoli, sotto la pioggia, a
Varese, oppure che si trovi obbligato a interrompere la scrittura per vari
motivi per poi ritrovare con difficoltà il filo del discorso. Senza contare
gli imprevisti “tecnici” o meteorologici…
Perdonerà se le ho scritto malamente perché ho una penna cattiva e i temperini
guasti […]. O che freddo! O che freddo! principia d’essere un po’ troppo
impertinente perché si diverte a far cadere la penna dalle mani.
Subito dopo la formula di apertura della lettera, Vincenzo Fiorio si
sofferma di solito su particolari relativi alla spedizione o al ricevimento
della posta: è molto facile, infatti, che le missive si perdano o subiscano
forti ritardi sia in arrivo che in partenza. Non è raro il caso che le prime

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
frasi siano dedicate anche a notizie relative alla salute dei suoi padroni,
Foscarini e la moglie, ma sovente il paragrafo iniziale è occupato dal clima:
dalle variazioni di freddo, caldo, pioggia o neve dipendono l’andamento
dei lavori in campagna, la crescita delle coltivazioni, il benessere dei bachi,
il trasporto delle merci, la salute dei massari e quella della stessa famiglia
Fiorio. In un’economia di vita che ruota quasi totalmente intorno alla
benevolenza delle stagioni è ovvio che questo tipo di informazioni, in una
scala gerarchica di importanza, risulti tra i primi posti. Il corpo centrale
delle lettere appartiene alla direzione dell’azienda:
Vennero in Cartabbia questa mane Angiolino Camparo con i due massari Giobatta
e l’Oste e mi dissero il primo d’aver preparato il suo fosso lungo B.  [probabilmente braccia n.d.r.], ed il secondo per B. , ma che avevano da terminare altro
pezzettino, per cui consegnai loro Moroncini N. .
Seguono indicazioni sui prezzi nei mercati e sulle vendite dei prodotti:
Parlai con Sonsin interrogandolo jeri intorno le nuove che corrono de’ formenti, e
tanto il Bartolomè, quanto il Filippino, mi dissero che sono venute jeri cattivissime
nuove da Laveno e che quel mercato è andato malissimo, e questa mattina che
ho mandato a bella posta Giacomino a Varese, gli fu detto dai sensali tutti che
non fu venduto nepure un moggio di formento, e che esibiscono ancora molto
meno di Lunedì.
Ieri sera parlando col Gavirati delle gallette mi disse che i Varesotti credevano
di poter comprare soltanto al di sotto delle  lire come comperarono varie partite
al L. ., ., .. Il Robioni però aveva dato ordini separati dalla lega ai sensali
sotto tutta la segretezza di fare acquisti anche a L. , a L. . ed a L. . e dice il
Gavirati che è l’unico che potrà far andare la sua filanda per lungo tempo, quando
gl’altri non arriveranno alla metà di Lugl. Anche il Calcagni hà fatto vari prezzi
di nascosto della comun lega. Ripettè però che il maggior prezzo fu fatto dal
[Moragosci] e che gli altri non oltrepassarono le L. . a L. . al più. [...] Dai
filatoi già è impossibile il saper nulla, come ancora non si sa il prezzo della Casa
Carcano. Se saprò qualcos’altro glielo scriverò in seguito.
Vincenzo Fiorio trascorre le sue giornate tra le campagne di Cartabbia,
nei mercati di Varese, nelle case degli acquirenti a combinare affari, in
mezzo ai sensali ad ascoltare le ultime nuove sui prezzi e non solo, ma il
suo lavoro è soprattutto con i massari. Il Rossa, il Malnà, il Malnà Francesco, Visconti, Guido, Talamona, Luini, Sant’Albin, Cesare, Luchina,
Spagnò, Teodoro, Tibiletti, sono gli uomini del nostro agente, quelli che
lo affiancano ogni giorno in campagna, sono i capi delle famiglie e quindi
delle masserie a lui affidate. Deve controllare il loro lavoro, ma anche la
loro onestà e dirittura morale, fare da tramite con il padrone per le loro
esigenze, occuparsi, per conto di Foscarini, dei fidanzamenti dei giovani

MARIA MADDALENA MONTI
e degli eventuali matrimoni, mostrare quel discernimento che gli fa distinguere un ritardo di pagamento dovuto a difficoltà economiche, da un
tentativo di frode verso il padrone. Il giudizio di Fiorio sui massari non
è lusinghiero e ritiene che, senza la sua guida, gli uomini manderebbero
tutto in malora.
Già spero che potrà aver osservato che procuro di non trascurar nulla, e tengo
presente ogni cosa (non faccio per vantarmi), ma se avrà osservato che le operazioni di campagna sono in qualche parte lodevoli non è già per accidente, ma frutto
d’instancabile lavoro, non potendomi fidare nell’esecuzione di veruno perché
pochi sono quelli che capiscono, e quei pochi procurano di tenere all’oscuro più
che ponno, perché non succedino novità. Perdoni questa mia perorata, ma non
ho potuto fare a meno di dirglielo, vedendomi circondato da gente che nulla
s’interessa al buon andamento delle cose […].
E visto che sembra essere ben consapevole del suo ruolo di guida, non
rinuncia a rivendicare per sé quei meriti che Foscarini, talvolta, sembra
negargli.
Ella sappia che tutti i massari di Cartabbia sono incoraggiati da me che do’ il
buon esempio, e che procuro di resistere sì la mattina a buon ora che la sera
tardi in campagna e che li tengo sollecitati onde vedere andare innanzi i fatti,
altrimenti tutti procurano di stare meno che ponno in campagna. E già da una
settimana circa la mattina e la sera spira un’aria così fredda ed acuta che non si
può quasi resistere, ma pure se io mi ritiro resta finita ogni cosa. Basta, Ella è
buono e capace di ragione e saprà compatire e vedere che non avendo uomini
sotto da potersi fidare non può avere onore nepur quello che è alla direzione.
Ma l’ora è tarda, ed io mi perdo a farle presente queste cose che Ella capisce
meglio di me […].
L’agente Fiorio, però, ispira sicuramente anche rispetto e fiducia nei suoi
uomini, sentimenti guadagnati in anni e anni di convivenza: sanno che non
dimentica mai di inserire nelle lettere le loro sollecitazioni, soprattutto
quando si tratta di richieste di aiuto, per esempio anticipi in denaro, e
sanno anche che riesce a individuare e riconoscere le intemperanze causate
solo dalla miseria e dalla necessità.
Ho piacere che anche il curato sia a parte dei dispiaceri da Lei sofferti da’ suoi
massari. Egli dovrebbe potere almeno coi consigli e massime di religione frenare
in parte questi sfrenati e sconsigliati abusi. Ben inteso quando d’abusi si tratti,
che i massari han fame e vogliono mangiare. Ho saputo trasversalmente che la
settimana scorsa il Luchina deve aver batuto della segale, e che ne consumò tanto
in pane che in minestra, oggi dopo replicate inchieste, e dietro il suo permesso
gli ho dato il moggio di formentone. Gli altri massari fin ora non battono sull’aia
ma chi sa cosa faranno in casa per compiere al loro bisogno per la minestra.

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
Forse è un modo per divertire il suo signore, forse sa di dover alleggerire
i suoi resoconti con delle note divertenti o curiose, forse è il destinatario
che ama essere informato su ogni novità del luogo che gli appartiene,
forse è il solo gusto del pettegolezzo. Qualunque sia lo scopo, le lettere di
Fiorio contengono anche molte notazioni amene. È qui che il compassato
Vincenzo si abbandona a giudizi anche pesanti. Il bersaglio preferito
sono quei signori un po’ tronfi che girano in paese, quelli che lo salutano
«con la solita aria minc...», afferma censurandosi, o che hanno ambizioni
d’essere presentati a corte. E poi ci sono tenenti della gendarmeria che
si trasferiscono perché hanno avuto un «avanzamento di grado e di soldo», e quel Montaruzzi che è riuscito a far bere una storiellina a Fiorio
che «anche l’astuto Ulisse avrebbe creduto». Diverse sono le morti e i
funerali nel contado, ma non bisogna sempre credere a tutto quello che
si sente dire...
Jeri sera ho sentito con mio dispiacere esser passata a miglior vita la gentilissima
moglie del Giudice di Pace, e mi pare ancora impossibile. [...] Ho piacere d’esser venuto a Varese, anche per aver verificato non esser vero la morte datami a
intendere jeri sera della moglie del Giudice di Pace, ma invece esser morta la
madre di detto Giudice, vecchia acceccosa, mezza tisica che sputava sangue ecc.
ecc. Ecco che non si può creder nulla se non si verifica con i propri occhi.
Capita che arrivino alle orecchie di Foscarini notizie sul suo agente non
molto lusinghiere. Il preposto si affretta a rassicurarlo: sono solo pettegolezzi, ciarle, dicerie senza importanza e, per fortuna, il delatore ha già
abbandonato Cartabbia.
Dopo la partenza di Paolino da Varese, il povero varese è morto e non v’è più
pettegolezzi poiché egli n’era il Capo, e tutto il paese è a lutto per una tal perdita.
Vi si aggiunga a ciò che io niente mi fermo né nelle bottiglierie, né alla casa di
nessuno, e fuori di quel poco teatro di cui non volli perdere una sera, non sono
grazie al cielo mai stato fuori di casa inoperoso, e molto meno quando mi trovai
in casa. Ora soltanto era da tre giorni che ho fatto la vita del beato p.... [Fiorio è
stato a letto malato n.d.r.] ma presto tornerò a mettermi in moto, e allora attenderò meglio alle novità del paese. Le dico il vero nulla ho sentito, e nulla posso
dirle. ah! Paolino!... Paolino!
Le campagne non sono affatto sicure: bande di ladri le infestano rendendo pericolosi i trasporti di merci e di persone. È per questo che Fiorio
raccomanda spesso al suo signore di intraprendere viaggi con la luce del
giorno e di stare accorto. Una delle vittime degli assalti è l’oste Passarella
e Fiorio, senza risparmiare dettagli, racconta a Foscarini il fatto di sangue
con lo scrupolo e la curiosità di un vero cronista.

MARIA MADDALENA MONTI
Cinque assassini lo assalirono nella sua osteria alla Cà dei As, passata la mezza
notte, lo presero per il collo lo gettarono in terra e lo trascinarono sotto il portico
della strada, e gli misero un coltello alla gola con l’intenzione di tagliargli le canne,
ma per buona sorte il coltello aveva il fodero, ma nel fare gl’atti di scannarlo
il coltello andò in bocca del Passarella, questi si difese quanto ha potuto, e nei
dibattimenti gli riescì di scavezzare il coltello, e in tutta questa manovra fu sempre
presente a se stesso quantunque fosse in braccio alla morte. Il detto Passarella
restò offeso dal coltello e nella bocca e nel mento, e finalmente in quattro dita
quasi tagliate del tutto. Porzione dei compagni intanto entrarono nell’osteria e
cercarono di rubare quel che han potuto, perché erano tutti al buio. La moglie
strillando dalla finestra chiamò ajuto, e il massaro Bottino che sta in quelle vicinanze principiò a sparare delle schiopetate, e i ladri se ne fugirono, lasciando
il Passarella involto nel fango sotto a una carretta di calcina che per accidente
colà si trovava, e colà rifugiandosi gli riescì di salvare la vita. Questi assassini,
strada facendo verso Gallarate fecero altri cinque assalti, e a un tintore hanno
portato via fino le scarpe.
Il legame epistolare si spezza solo una volta con una lettera che viene
scritta da Giacomo, il figlio maggiore. La lettera è senza data ma, dal
tono e dalle parole, si intuisce che è relativa a un lutto familiare, forse
la morte di Lucia, la secondogenita di Fiorio. È l’unico momento in cui
Foscarini viene escluso dalla vita del suo agente.
Pregiatissimo Signor Padrone, l’afflizione di mio padre è così forte, che ancora
non ha potuto calmarsi, e per quante volte si è provato per risponderle, non è mai
stato buono, per cui ha incombenzato me, per poter almeno tenerla ragualiata.
La mia povera madre e tutti noi siamo dolentissimi. Il Cielo così ha destinato, e
ci vuol pazienza. [...] Nei pochi momenti che mio Padre ha un po’ di calma dei
suoi dolorosi pensieri, si lavora ne’ registri preparando il quinternetto massari
[...].
Questa breve antologia di brani permette facilmente di comprendere, tra
le righe di uno scambio di ordini impartiti e compiti eseguiti, il rapporto
di stima e di affetto che unisce Vincenzo Fiorio e Giacomo Maria Foscarini. I due si conoscono da molti anni e questa consuetudine ha creato
un legame che va oltre il contratto formale tra un proprietario terriero
e il suo agente di campagna. Sono numerosissime le manifestazioni di
gratitudine che Fiorio inserisce nelle sue lettere: sono sinceri ringraziamenti per la benevolenza che Foscarini mostra verso la sua famiglia,
spesso con doni, altre volte con elogi e approvazioni. Ma sono anche
richieste di perdono per eventuali errori e disattenzioni che si verificano
«non già per mancanza di rispetto o di premura a chi fa tanto per noi,
ma solo per pura insufficienza e timidezza». Fiorio sa che la sua vita

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
e quella della sua famiglia dipendono totalmente dal padrone: è un’appartenenza che giunge a essere quasi fisica visto che riempie le lettere
anche di annotazioni mediche sulla sua salute e su quella di Nunziata, e
cioè sulle due persone che sono parte integrante del meccanismo produttivo dell’azienda agricola. Ma, sparsi tra i fogli, ci sono una quantità
di altri indizi difficili da interpretare: impossibile capire certe allusioni e
certi ammiccamenti su persone o vicende, impenetrabile spesso il “non
detto” e il “non scritto” dell’agente di Cartabbia. La ragione è da cercare anche nel tipo di rapporto che intercorre tra Fiorio e Foscarini, un
rapporto diretto, senza intermediari come accade invece in altre aziende
di più vaste dimensioni. Elsa Luttazzi Gregori ha ricostruito la struttura
tecnico-agraria della fattoria di Fonte a Ronco nella Valdichiana, appartenente all’Ordine di S. Stefano. In questo caso, come in altri studi di
biografie aziendali, la documentazione utilizzata è stata quella dei libri
dei saldi, ma sono state prese in esame anche le lettere dei fattori e le
istruzioni a loro inviate. Il fattore di cui tratta Gregori, però, inviava le
sue relazioni a un Cavaliere Soprintendente che faceva da tramite tra i
vertici dell’azienda e i preposti. Il materiale archivistico della famiglia
Pepoli è stato analizzato da Maria Valeria Cristoferi, ma anche nel caso
di questa tenuta ci troviamo di fronte a un fattore che riferisce del suo
operato all’amministrazione centrale della tenuta a Bologna scrivendo al
ministro di casa che poi si occuperà di riferire. L’agente della possessione
di Bertonico, appartenente al patrimonio dell’Ospedale maggiore di
Milano, è il rappresentante della proprietà ma i suoi compiti si limitano
generalmente a una vigilanza del lavoro altrui. Non è diretta neanche
la relazione epistolare che intercorre tra il conte Luigi Camerini e il suo
agente Gaetano Suzzi residente a Stienta, in provincia di Rovigo, nel
palazzo Nappi, meglio conosciuto come “La Corte”, sede dell’Agenzia
Camerini, lontana dall’Agenzia centrale della zona padovana; con quelle
lettere, però, oltre alla ricostruzione delle vicende del vasto patrimonio
familiare, Anna Pretto è riuscita anche a definire il rapporto quasi “familiare” esistente tra Suzzi e il conte proprietario, un rapporto per alcuni
aspetti molto vicino a quello che vincolava Fiorio a Foscarini. Vi sono delle
differenze evidenti tra i due agenti: Gaetano Suzzi era anche il sindaco di
Stienta nonché proprietario di beni immobili e «realizza in sé la convergenza del potere economico col potere politico, rappresenta e difende gli
interessi di una classe padronale geograficamente e culturalmente lontana
dai problemi agrari locali», come sottolinea Pretto. Suzzi gode della
piena fiducia padronale, controlla le produzioni, suggerisce soluzioni,
«ottiene o fornisce informazioni confidenziali e appoggi», e costituisce
«un anello di congiunzione tra il mondo padronale e la folta schiera di
affittuali, mezzadri e operai, impiegati a vario titolo nelle possessioni».

MARIA MADDALENA MONTI
Il suo ruolo e il suo potere risulteranno particolarmente evidenti con la
sostituzione dell’affitto alla conduzione in economia a partire dal  e
con i moti bracciantili del .
Vincenzo Fiorio scrive una lettera ogni due giorni circa: Rossi, riportando le clausole contrattuali relative agli obblighi di un fattore, parla
di una relazione che deve essere settimanale; la Cristoferi, invece, per
quanto riguarda i preposti della famiglia Pepoli, indica la stessa frequenza
epistolare di Fiorio. Storicamente è stato sempre sottolineato l’assenteismo padronale ma nel caso di Giacomo Maria Foscarini ci troviamo di
fronte a un proprietario che risulta avere un controllo completo e minuzioso dell’andamento della sua azienda, tanto da indicare per lettera
persino il numero del vasello di vino da porre in cantina. Fiorio, da parte
sua, mostra un’assoluta condiscendenza e obbedienza nei confronti dei
ripetuti e continui interventi del suo signore, senza contare i libri contabili e i conti giornalieri che l’agente redige e spedisce costantemente a
Milano: escluse le semplici operazioni nelle vigne o per la conservazione
del frumento, non c’è mai un tentativo anche minimo di cambiamento
delle disposizioni di Foscarini. Fiorio, infatti, si limita a suggerire consigli
dettati esclusivamente dal suo essere sul luogo, dall’esperienza e dalla
conoscenza che ha del suo padrone, ma riserva sempre a lui la decisione
finale. Insomma, tra la frequenza delle lettere di Fiorio e la sua scarsa
autonomia nella direzione dell’azienda c’è un nesso più che evidente. E
d’altronde Giorgetti parla di un agente assolutamente non adatto a una
gestione e a un’iniziativa di carattere imprenditoriale: la sua funzione si
limiterebbe a compiti di sorveglianza dei contadini e allo sfuttamento
di ogni possibilità di rendita consentita mantenendo l’assetto produttivo tradizionale. Certo è che con le sue relazioni dettagliate e colme
di notizie e di informazioni non solo agricole, Vincenzo Fiorio riveste
un’importanza fondamentale per il possidente veneto, un ruolo che non
si ferma ai semplici doveri contrattuali di un agente di campagna: spesso
Foscarini affida a Fiorio incarichi delicati e sembra dare molto credito
alla sua visione delle cose.
Anche Giacomo Maria Foscarini sembra non rispondere ai canoni
del proprietario terriero del periodo, in un certo senso anch’egli potrebbe
essere definito “atipico” così come il suo agente. Nonostante Claudia
Morando sottolinei la consuetudine dei proprietari varesini a seguire
direttamente i problemi relativi alle coltivazioni, rinunciando alla solita
delega ai coloni, per la cura che riserva alla sue terre, per il suo desiderio
di sperimentare e verificare, Foscarini sembrerebbe essere più vicino alla
figura del proprietario terriero che si diffonderà a partire dalla seconda
metà dell’Ottocento descritto da Giuliana Biagioli a proposito di Bettino
Ricasoli: un «proprietario agronomo e uomo d’affari interessato all’au-

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
mento del reddito per vie più moderne; un proprietario che portava nella
guida delle aziende agrarie lo stesso spirito imprenditoriale e la stessa
ricerca dell’utile che guidava l’attività economica di altri protagonisti nei
diversi settori, dall’industria alla finanza…».
Note
. Archivio di Stato di Varese, Fondo Foscarini, III acquisto, lettera del  gennaio 
(d’ora in poi ASVA, FF, I acquisto, II acquisto, III acquisto). I tre acquisti si riferiscono a quelli
dell’Archivio di Stato di Varese: il primo gruppo di lettere nel , il secondo, proveniente
da Roma, nel , e il terzo, le  lettere rinvenute in una libreria antiquaria, nel .
. E. Luttazzi Gregori, Organizzazione e sviluppo di una fattoria nell’età moderna:
Fonte a Ronco (-), in Ricerche di storia moderna, t. , Pacini, Pisa ; G. Biagioli,
Il modello del proprietario imprenditore nella Toscana dell’Ottocento: Bettino Ricasoli. Il
patrimonio, le fattorie, Leo S. Olschki, Firenze ; O. Goti, Contadini e agricoltura dal
sec. XVII al , in S. Borghi, C. Nassini, O. Goti, Foiano della Chiana -. Bonifiche
e trasformazioni del paesaggio agrario e della realtà sociale, Giardini, Pisa .
. M. Martini, Fedeli alla terra. Scelte economiche e attività pubbliche di una famiglia
nobile bolognese nell’Ottocento, Il Mulino, Bologna .
. Biagioli, Il modello del proprietario imprenditore, cit.
. R. Finzi, Monsignore al suo fattore. La istruzione di agricoltura di Innocenzo Malvasia
(), Istituto per la storia di Bologna, Bologna .
. P. Verri, Lettere al fattore di Biassono, Cariplo-Laterza, -  .
. C. Zadra, G. Fait (a cura di), Deferenza, rivendicazione, supplica. Le lettere ai
potenti, Pagus, Treviso .
. ASVA, FF, II acquisto, lettera del  febbraio .
. Le notizie provengono dall’archivio parrocchiale di Galliate Lombardo.
. Presso l’Archivio di Stato di Varese, in alcuni documenti che riguardano censimenti
di proprietà, Giacomo Maria Foscarini risulta censito nel  per pertiche . e il nome
è seguito da «q. Pietro» (quondam Pietro), premesso al nome di persona defunta.
. C. Morando, Giacomo Maria Foscarini nella storia dell’attività agricola nel Varesotto,
in “Calandari d’ra Famiglia Bosina par or ” pp. -.
. Ivi, p. .
. F. Cova, Alcune note su Giacomo Maria Foscarini, cittadino di Varese, in “Calandari
do ra Famiglia Bosina par or ”, pp. -.
. Ivi, pp. -.
. G. M. Foscarini, Esperienze ed osservazioni sulla malattia de’ bachi da seta conosciuta sotto il nome di calcinetto, in “Biblioteca Italiana”, t. XXII, anno VI, Aprile, Maggio
e Giugno , pp. -.
. ASVA, FF, II acquisto, lettera senza data.
. Per uno sguardo generale sull’abbandono delle tecniche agricole tradizionali e
sugli sforzi miranti a migliorare l’agricoltura, non solo lombarda, cfr. G. Giorgetti, Contadini e proprietari nell’Italia moderna. Rapporti di produzione e contratti agrari dal secolo
XVI a oggi, Einaudi, Torino ; M. Romani, L’agricoltura in Lombardia dal periodo delle
riforme al , Vita e Pensiero, Milano ; B. Caizzi, L’economia lombarda durante la
Restaurazione (-), Banca Commerciale Italiana, Milano ; R. Ciasca, Aspetti
economici e sociali dell’Italia preunitaria, Istituto Storico Italiano per l’età moderna e
contemporanea, Roma ; M. Meriggi, Il regno Lombardo-Veneto, UTET, Torino ; A.
Moioli, La gelsibachicoltura nelle campagne lombarde dal Seicento alla prima metà dell’Ottocento, Libera Università degli Studi di Trento, Trento ; Contadini e proprietari nella
Toscana moderna. Atti del convegno di studi in onore di Giorgio Giorgetti, vol. , Leo S.
Olschki, Firenze .

MARIA MADDALENA MONTI
. G. Bigatti, La città operosa. Milano nell’Ottocento, FrancoAngeli, Milano .
. Ivi, p. .
. G. Burger, Reise durch Ober-Italien, p. .
. T. Dandolo, Ricordi. Primo periodo -, I, Domenico Sensi, Assisi , p.
.
. ASVA, FF, I acquisto, lettera senza data, databile  dicembre .
. Ivi, lettera del  gennaio .
. Ivi, lettera del  gennaio .
. Ivi, lettera del  aprile .
. È del  il volume di Dandolo Sulla coltivazione dei pomi di terra. Quattro anni
dopo uscì un altro testo in cui il conte continuava a proporre ai contadini la coltivazione
delle patate: Nuovi cenni sulla coltivazione dei pomi di terra e applicazioni a vantaggio sì
delle famiglie che dello Stato, Milano .
. Gruppo di palchettisti a teatro.
. ASVA, FF, II acquisto, lettera del  dicembre . Le sottolineature sono nel
testo.
. Ivi, lettera del  (aprile?) .
. Ibid. La sottolineatura è nel testo.
. P. Preto, Un “uomo nuovo” dell’età napoleonica: Vincenzo Dandolo politico e imprenditore agricolo, in “Rivista storica Italiana”, XCIV, , pp. -.
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. B. Rossi, Il fattore di campagna. Profilo storico-giuridico, Foro Italiano, Roma
.
. Ivi, p. .
. ASVA, FF, I acquisto, lettera del  gennaio .
. P. Sivieri, La campagna inferma, il contadino trascurato, il padrone convalescente
et il fattore inutile, Ferrara .
. F. Allegri, Istruzioni al fattore di campagna, Bologna .
. S. Benetti, L’accorto fattor di villa o sia osservazioni utili ad un fattore per il governo
della campagna, Venezia , p. .
. Ivi, p. .
. G. Salvini, Istruzione al suo fattore di campagna, Venezia .
. Ivi, p. .
. Finzi, Monsignore al suo fattore, cit.
. “Moroni” significa “gelsi”.
. ASVA, FF, I acquisto, lettera del primo maggio  (sottolineature nel testo).
. “Parpaglie” deriva probabilmente da “parpaglione”, dal lat. papilio-onis, farfalla.
. Semente dei bachi da seta o semente bigatti: gli allevamenti che si dedicano alla bachicoltura producono bozzoli destinati alle filande, altri hanno lo scopo di preparare quelli
destinati alla sfarfallatura e, quindi, alla preparazione delle uova necessarie ai primi.
. ASVA, FF, I acquisto, lettera del  giugno .
. Appartengono all’anno  due lettere che fanno ipotizzare un interessamento di
Foscarini per l’entrata di Amabile nel seminario di Lecco. Nella prima, datata  febbraio,
Fiorio scrive: «Sul conto del mio Amabile già non parlo perché conosco abbastanza il suo
bel cuore e qual interessamento si ha preso per esso, per cui io non parlo più solo che
internamente vive la riconoscenza. Intanto quando vado a casa consolerò il mio Amabile». In un’altra, probabilmente di marzo, Fiorio fornisce a Foscarini la data di nascita del
figlio, forse è la direzione del seminario a chiederla. Nei prossimi due brani, appartenenti
a lettere del , l’agente non dimentica mai di ringraziare il suo signore per la premura
dimostratagli: «Le dicevo pure che martedi’ sera ritornò a Casa il mio Amabile sano e salvo
e che appena mi vidde chiese subito con premura dei benefattori nostri i Ssi Principali

L’EPISTOLARIO DI UN AGENTE DI CAMPAGNA
col ringraziar Lei per le tante cure che si degnò prendere singolarmente per esso...»; «...
finalmente sono a pregarla d’un’altra grazia che sarebbe quella se potesse lasciarmi andare
nelle prossime due feste di domenica e lunedì a Lecco a trovare il mio Amabile, perché
ho sentito dallo stesso Rettore che converrebbe che io vi andassi non già perché stia male
grazie al cielo, né perché non faccia discrettamente il suo dovere, ma perché una piccola
occhiata va sempre bene il farla». Con alcune mie ricerche sono poi riuscita a rintracciare
Amabile che divenne parroco di Galliate Lombardo intorno al : l’archivio parrocchiale
conserva un liber chronicus del Fiorio sacerdote.
. ASVA, FF, I acquisto, lettera datata «la sera del  marzo ».
. ASVA, FF, II acquisto, lettera del  marzo .
. ASVA, FF, I acquisto, lettera del  luglio .
. Ivi, lettera del  gennaio .
. ASVA, FF, lettera del  marzo .
. Ibid.
. Gallette [dim. di galla], veneto e lombardo, il bozzolo dei bachi da seta. Il “gallettame” è il cascame di seta costituito dai bozzoli che non si prestano al dipanamento.
. ASVA, FF, I acquisto, lettera del  giugno .
. ASVA, FF, II acquisto, lettera del  maggio .
. Ivi, lettera del  marzo .
. Sulla situazione dei contadini delle campagne lombarde all’inizio dell’Ottocento
cfr. G. Cantoni, Campagne e contadini in Lombardia durante il Risorgimento, SugarCo,
Milano , ma anche G. Giorgetti, Contadini e proprietari nell’Italia moderna. Rapporti
di produzione e contratti agrari dal secolo XVI a oggi, Einaudi, Torino .
. ASVA, FF, II acquisto, lettera senza data.
. Ivi, lettera senza data.
. ASVA, FF, I acquisto, lettera senza data. Le sottolineature sono nel testo.
. ASVA, FF, II acquisto, lettera del  dicembre .
. Quinternetto [der. di quinto, sul modello di quaderno]. L’insieme di cinque fogli di
carta da scrivere, inseriti uno dentro l’altro. Nei libri (codici o a stampa), l’unione di cinque
fogli, o membrane, accavallati e ripiegati in modo da formare dieci carte e venti pagine.
. ASVA, FF, II acquisto, lettera senza data.
. ASVA, FF, I acquisto, lettera del  febbraio .
. Luttazzi Gregori, Organizzazione e sviluppo di una fattoria, cit.
. M. V. Cristoferi, Il fattore di campagna nel Settecento dal carteggio della famiglia
Pepoli, in “Quaderni storici”, , n. .
. S. Zaninelli, Una grande azienda agricola nella pianura irrigua lombarda nei secoli
XVIII e XIX, Giuffrè, Milano .
. A. Pretto, La Corte di Stienta da Luigi a Paolo Camerini -, Minelliana,
Rovigo .
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .
. Ibid.
. Rossi, Il fattore di campagna, cit., p. .
. Giorgetti, Contadini e proprietari, cit., p. .
. Ministero per i beni e le attività culturali - Archivio di Stato di Varese, I luoghi
del patrimonio, a cura di C. Morando, FrancoAngeli, Milano .
. Biagioli, Il modello del proprietario imprenditore, cit., p. .
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