la riforma keynesiana

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la riforma keynesiana
Maurizio Stanic
LA RIFORMA KEYNESIANA
Analisi della Teoria Generale di J. M. Keynes
Maurizio Stanic, La riforma keynesiana
Copyright© 2015 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.edizionidelfaro.it – [email protected]
Prima edizione: maggio 2015 – Printed in EU
ISBN 978-88-6537-392-7
In copertina: John Maynard Keynes
Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di
cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina.
Sommario
Prefazione
Capitolo Primo
Alle origini del pensiero keynesiano
1. Le fonti riconosciute da Keynes
1.1. Il pensiero dei mercantilisti
1.2. Le teorie del sottoconsumo
1.3. Il tasso di interesse adeguato
2. Le fonti non riconosciute da Keynes
2.1. L’apporto di Wicksell
2.2. Il rapporto di Keynes con i marxisti
3. La portata innovativa della Teoria Generale
Capitolo Secondo
Il settore reale: il principio della domanda effettiva
1. I postulati dell’economia classica
1.1. Il mercato del lavoro nella teoria ortodossa
1.2. La disoccupazione involontaria
1.3. La “legge di Say”
2. Il principio della domanda effettiva
2.1 La teoria keynesiana dell’occupazione
2.2. Il paradosso del risparmio
2.3 Il paradosso della povertà in mezzo all’abbondanza
3. Le componenti della domanda effettiva
3.1. La propensione al consumo
3.2. La propensione all’investimento
Capitolo Terzo
Il settore finanziario: la teoria della preferenza per la liquidità
1. La domanda di moneta keynesiana
2. La determinazione del tasso di interesse e il
meccanismo di trasmissione della politica monetaria
3. Una formalizzazione della teoria della preferenza di
liquidità
4. Il confronto con i “classici”
5. Proposte di riforma
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Capitolo Quarto
La teoria generale
1. Il moltiplicatore
1.1. Il principio di moltiplicazione
1.2. Moltiplicatore dell’occupazione e moltiplicatore del­
l’investimento
1.3. Ritardi temporali
1.4. L’elasticità reddito-investimento
1.5. L’età dell’oro
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2. Esposizione sintetica della teoria generale di J. M. Keynes 106
2.1. L’approccio generale di Keynes
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2.2. La sintesi neoclassica
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2.3. Il fenomeno dello spiazzamento
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Capitolo Quinto
La filosofia sociale della teoria generale
1.1. Il problema dell’efficienza
1.2. Il problema dell’equità
1.3. Verso una buona società
Capitolo Sesto
La politica economica keynesiana e la crisi del 1929
1. La Grande Depressione del 1929
2. Le esperienze totalitarie in Europa negli anni Trenta
2.1. Il fascismo in Italia
2.2. Il nazismo in Germania
3. Le esperienze democratiche in Europa negli anni Trenta
3.1. Il Regno Unito
3.2. La Francia
4. Il Nuovo Mondo: il New Deal di Roosevelt
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Conclusione
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Appendice. Nota sulla proporzione aurea
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Il pentagono stellato della scuola pitagorica
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Riferimenti bibliografici
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LA RIFORMA KEYNESIANA
Analisi della Teoria Generale di J. M. Keynes
PREFAZIONE
Nella contrapposizione tra keynesiani e monetaristi dagli anni
’60 a oggi sembra che questi ultimi abbiano vinto la partita.
La logica oggi prevalente nelle istituzioni economiche internazionali, si pensi al FMI, e in ambito nazionale, con riferimento
alle banche centrali e all’azione dei governi, si basa sugli assunti
dell’approccio monetario di Milton Friedman e dei suoi seguaci,
approccio che enfatizza le virtù della “mano invisibile” di Adam
Smith.
Il pensiero di Keynes e le sue prescrizioni di politica economica, basate sull’intervento attivo dello stato in funzione anticiclica, vengono dai più considerate una reliquia del passato, un
apparato non più adatto ad affrontare la realtà attuale, caratterizzata dalla forte interdipendenza tra i vari paesi sia per quanto
riguarda l’economia reale che quella finanziaria.
Essendo il mondo della finanza un macrocosmo molto più
esteso di quello del settore reale, anche presso gli operatori sui
mercati finanziari prevalgono le tesi monetariste.
In questo lavoro non entreremo nel merito della querelle tra
keynesiani e monetaristi. Il nostro scopo è quello di analizzare il
contenuto teorico dell’opera maggiore di J. M. Keynes, la Teoria
generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, pubblicata
nel 1936 quando l’economia mondiale stava ancora vivendo la
Grande Depressione iniziata con il crollo di Wall Street il 24
ottobre del 1929.
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Riteniamo che di particolare interesse siano i contributi usciti
negli anni prossimi alla data di pubblicazione della Teoria generale, poiché questi lavori sono scevri dai condizionamenti mentali successivi. Con l’ausilio di questi lavori e anche di lavori più
recenti desideriamo quindi compiere un’esegesi per mettere in
luce gli elementi originali e innovativi rispetto ai dettami della
teoria classica e neoclassica che verrà poi rivisitata e riproposta
in chiave moderna dal monetarismo.
Partiremo nel capitolo 1 dalle fonti del pensiero keynesiano,
ovvero individueremo quelli autori che antecedentemente si
sono mossi sulla strada percorsa da Keynes. Si procederà poi, nel
capitolo 2, a un dettagliato esame del settore reale dell’economia
keynesiana, dove predominano i concetti di “domanda effettiva”
e di “disoccupazione involontaria”. Studieremo poi, nel capitolo 3, il settore monetario-finanziario che ha come fondamento
teorico la “teoria della preferenza per la liquidità”. Nel capitolo
4 ci intratterremo sulla logica del processo di moltiplicazione
della ricchezza, processo noto fin dai tempi antichi. Esporremo
indi le interdipendenze tra i due grandi settori, quello reale e
quello finanziario, per mettere bene in evidenza che la teoria di
Keynes è una Teoria generale dell’equilibrio macroeconomico. Il
capitolo 5 sarà dedicato alle implicazioni sociali derivanti dalla
teoria keynesiana in termini di prescrizioni di politica economica. Nel capitolo 6 faremo una breve carrellata storica di come le
ricette keynesiane furono applicate in alcuni paesi per affrontare
la Grande Depressione.
Non pretendiamo che l’esegesi sia esaustiva sotto ogni aspetto.
Il nostro intento è unicamente quello di rivalutare un autore
che tanto ha dato all’economia politica e tanto ha influenzato
l’accademia.
Desideriamo anche chiarire che abbiamo voluto intitolare il
lavoro La riforma keynesiana proprio per sottolineare gli elementi di continuità col passato e la pacifica rivoluzione che negli
anni ’30 ha salvato il capitalismo dal rischio di un tracollo totale.
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Capitolo Primo
ALLE ORIGINI DEL PENSIERO KEYNESIANO
Sovente si afferma che la Teoria generale di J. M. Keynes sia
la più importante opera economica del XX secolo, quella sulla quale si basa la moderna macroeconomia. È innegabile che
Keynes abbia fortemente influenzato il pensiero economico, la
modellistica studiata nell’accademia e le prescrizioni di politica
economica che assegnano un ruolo di primo piano allo Stato quale coordinatore decisionale e agente attivo del sistema
economico. Viene quindi spontaneo chiedersi se l’elaborazione
teorica keynesiana sia del tutto originale o se essa si riallacci a
una tradizione passata che ha fornito argomenti al noto economista di Cambridge. Come osserva Roy (1977), l’economia
politica, da Ricardo a Marshall e Pigou, non costituisce un solido fronte di ortodossia classica: molti autori si sono, infatti,
deliberatamente allontanati da quest’ortodossia e hanno quindi
anticipato elementi concettuali che Keynes ha poi sviluppato
nella sua opera maggiore. In questo primo capitolo desideriamo
quindi indagare sulle origini del pensiero keynesiano, cercando di mettere in rilievo gli autori, alcuni ricordati e altri non
ricordati da Keynes, che hanno avuto un certo peso nell’elaborazione del quadro teorico esposto nella Teoria generale e che
costituiscono quindi gli antesignani del pensiero keynesiano e
di una scuola economica che si contrappone nettamente alla
scuola classica.
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1. Le fonti riconosciute da Keynes
Nella stesura della Teoria generale Keynes rammenta alcuni
autori che autonomamente si sono avventurati sulle strade da
lui percorse, in altre parole scopre alcune affinità tra il suo
pensiero e il pensiero di alcuni sui colleghi presenti e passati.
In questo paragrafo vogliamo mettere in evidenza le fonti riconosciute esplicitamente da Keynes nel corso della sua trattazione.
1.1. Il pensiero dei mercantilisti
J. M. Keynes nel capitolo 23 della Teoria generale s’intrattiene,
utilizzando il contributo di Heckscher, sul mercantilismo, dottrina economica che ha dominato nei secoli dal XVI al XVIII, sia
negli scritti che nel comportamento degli Stati. Per molti versi,
l’economista di Cambridge rivaluta il pensiero dei mercantilisti
al quale verrà contrapposta la dottrina del libero scambio basato
sulla divisione internazionale del lavoro, enfatizzato da Smith e
da Ricardo.
Keynes sottolinea che l’insistenza dei mercantilisti sull’obiettivo di una bilancia commerciale eccedentaria non è da condannare a priori: un sostenuto surplus di esportazioni è, infatti, una
componente positiva della domanda effettiva, ossia stimola la
produzione nazionale e l’occupazione interna. L’avanzo commerciale può cioè essere inteso come investimento estero che si
aggiunge all’investimento interno, regolato dal saggio d’interesse.
Ci sono poi importanti aspetti monetari. L’avanzo delle partite
correnti, in un regime su base aurea, implica un’entrata di metalli preziosi (oro e argento) nel paese e questo afflusso espande
l’offerta di moneta tendendo così a ribassare i tassi di interesse;
il minor costo del denaro non può che stimolare gli investimenti
interni e l’occupazione se non si verificano impennate salaria12
li che distruggono competitività o uscite di capitali1, fenomeni
questi che deteriorano il saldo sopra la linea della bilancia dei
pagamenti restringendo le importazioni nette di oro.
Per quanto concerne le restrizioni al commercio internazionale (dazi) e le pratiche di dumping (sussidi alle esportazioni),
Keynes ritiene giustamente che un eccessivo protezionismo può
generare ritorsioni da parte dei paesi colpiti e determinare quindi una contrazione globale.
In sintesi, sono almeno quattro i punti sui quali, secondo
Keynes, i mercantilisti avevano visto giusto:
1. i vantaggi di un basso saggio di interesse;
2. un’adeguata massa monetaria;
3. la stabilità dei salari nominali;
4. la possibilità di svalutare.
Un tasso di interesse contenuto favorisce ovviamente gli investimenti produttivi. Sul punto possiamo quindi affermare che
molti mercantilisti avevano per certi versi anticipato la teoria
keynesiana della preferenza per la liquidità e dell’efficienza marginale del capitale.
La rarità della moneta ostacola il flusso degli scambi soprattutto se viene tesaurizzata dai privati o dallo Stato. I mercantilisti
sono quindi contrari alla deflazione come pratica per ottenere
un peggioramento della ragione di scambio e quindi competitività internazionale, perché la deflazione si accompagna alla
scarsità della moneta e a elevati saggi di interesse.
Salari monetari rigidi non possono che essere un elemento che
favorisce il commercio internazionale mantenendo bassi i costi
di produzione.
La svalutazione rilancia la competitività di un paese e amplia
la sua offerta nominale di moneta favorendo così un costo del
denaro più contenuto.
Fondi di arbitraggio sui tassi di interesse che riducono la massa monetaria.
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