Camilla e la bella signora

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Camilla e la bella signora
da Camilla e la bella signora
racconto per bambini
di Barbara Gigli
Cari signori e signore voglio raccontarvi la mia storia.
Sono stata per tantissimi anni un semplice oggetto fino a quando un giorno di un po’ di tempo fa
fui acquistata in un negozietto di una città fantastica e affascinante dove una bella signora
trascorreva il viaggio di nozze. Volete sapere quale città? Parigi, la capitale della Francia!
Il suo adorato maritino le chiese cosa desiderasse per ricordare quei momenti felici e lei pensò ad
una borsa. Quando mi vide esposta in vetrina decise subito che ero proprio io quella che voleva per
sé. Eppure eravamo in tante una accanto all’altra, ognuna con colori diversi, di forme le più
svariate… ma che dire… lei entrò nel negozio e senza incertezza alcuna indicò me. Mi prese in
mano, mi osservò attentamente, mi rigirò come fossi una trottola, poi volle aprirmi per vedere come
ero fatta all’interno, intanto chiedeva consiglio al marito e alla commessa, ma l’ultima parola fu la
sua.
“Compro questa. Sono decisa!”.
Così fu, il consorte pagò e lei, contenta dell’acquisto, mi volle subito usare. Era frenetica nel
portarmi al suo braccio senza lasciarmi un attimo.
Confesso che quando uscii mi misi a piangere, soffrivo molto nel lasciare le mie care amiche
borse che mi salutarono affettuosamente.
“Vai pure Camilla!”, questo è il nome che mi avevano dato.
“Fuori da qui - aggiunsero - vedrai grandi cose, tante persone, città nuove!”.
Ma in cuor mio ero triste, non sapevo cosa potesse accadermi al di là del mio negozietto.
La signora mi teneva stretta, mi faceva i complimenti, mi guardava e riguardava, mi aveva anche
già riempita di tante cose come: uno specchio grazioso a forma di cuore, un portacipria, due cari
fazzolettini di stoffa bianca ricamati, un rossetto color ciclamo, un piccolo portafoglio,
portadocumenti, un accendino e un piccolo pacchetto di sigarette. Quella donna fumava pure!
Ma la cosa più ingombrante, pesante e fastidiosa che mi ritrovai fu il suo mazzo di chiavi, unite ad
un portachiavi a forma di ferro di cavallo. Quelle chiavi erano invadenti, le odiavo, sbattevano
sempre sul portacipria.
“Ma poverino - esclamai in sua difesa - gli farete male! Siate più garbate signore chiavi!”.
Proseguimmo la nostra passeggiata per le strade di Parigi. I due coniugi piccioncini si fermarono
ad un bellissimo bar in pieno centro a gustarsi un croissant e due cremosi caffè. Effettivamente
vedendo loro era venuto un po’ di appetito anche a me, però subito mi sono detta:
“Ma Camilla sei una borsa, non puoi mica mangiare tu!”.
Così mi accontentai di guardarli facendo finta di mangiare anche io e dopo, visto che la signora
mi aveva appoggiata su una sedia accanto a lei, fui presa dalla curiosità di sapere come si
chiamasse, dove abitasse, quanti anni avesse, ma soprattutto mi incuriosiva l’idea di sapere se e
quale attività svolgesse.
Così piano piano aprii il portadocumenti e da esso sfilai la carta di identità. Il suo nome era
Corinna, aveva 40 anni, nata e residente a Monaco di Baviera, professione hostess.
“Che bello! Magnifico!” gridai forte.
Lei si voltò verso di me, mi guardò incredula e perplessa si rivolse al marito.
“Caro ma questa borsa è magica! Hai sentito? Ha parlato, si è mossa sulla sedia!”.
“Mogliettina mia sarà una tua impressione, le borse da che mondo è mondo non parlano!”.
Invece io ero veramente magica, avevo parlato davvero.
Bene, dopodiché lasciammo il bar per ritornare abbastanza velocemente all’albergo, l’indomani
mattina presto infatti saremmo dovuti ripartire per Monaco, il viaggio di nozze era alla fine e gli
impegni professionali stavano aspettando i due coniugi.
“Caro al rientro a casa dovrò preparare di nuovo le valige perché partirò per lavoro, questa volta
destinazione Giappone, durata circa 15 giorni” annunciò Corinna al marito.
Non mi persi una parola del loro colloquio e dentro di me sperai con tutte le mie forze che mi
portasse con sé.
Mi immaginai già sull’aereo, volare in cielo e sentire la sensazione di essere sospesa nell’aria, ma
non volli fantasticare troppo per paura di rimanere delusa.
Così la mattina seguente partenza in treno da Parigi e rientro a Monaco. Ero curiosa di vedere
anche la loro casa.
Durante il viaggio che mi sembrò interminabile ero sempre vicina alla signora Corinna, ogni tanto
mi apriva per una sua necessità, o prendere il fazzoletto oppure rifarsi un po’ il trucco.
“Ah Corinna cara come sono stata fortunata ad entrare nella tua vita! Non mi tratti come una
semplice borsa, con te mi sento protetta come se fossi una bambina, sì proprio la tua piccola
Camilla”.
Arrivati finalmente alla stazione di Monaco prendemmo un taxi che ci accompagnò a casa.
“Va bene qui di fronte al cancello” disse la signora al tassista.
Quindi scendemmo, prendemmo i bagagli e percorrendo una scalinata arrivammo all’ingresso
della stupenda villa. Non era una casa come tante, era proprio una villa!
Ad accogliere la coppia si presentò alla porta una giovane domestica.
“Bentornati!” esclamò con calore.
Oltrepassata la soglia rimasi incantata: due grandi saloni, oggetti bellissimi, tappeti enormi che
ricoprivano il pavimento, grandi vetrate adornate da tendaggi dai colori stupendi!
Mi sembrava un sogno.
“È il castello di una principessa oppure di una semplice hostess?” mi chiesi con grande stupore.
Finalmente dopo avere percorso un lungo corridoio la signora, con me sempre al suo fianco,
raggiunse la propria camera dove mi sbatté nervosamente, o almeno mi parve, su una grande sedia a
dondolo ricoperta da un soffice cuscino di color giallo oro.
Per un attimo rimasi un po’ impermalita di questo gesto ma poi pensai che forse era molto stanca,
sicuramente non l’aveva fatto con cattiveria.
Intanto il cuscino mi faceva compagnia, lo abbracciai e mi affidai a lui. Mi sentivo al sicuro, non
ero sola su quella sedia, così piano piano dondolandomi lentamente riuscii ad addormentarmi, con il
pensiero del prossimo viaggio in Giappone.
La mattina seguente fui destata dal suono di una sveglia, subito mi mossi, mi stiracchiai e rimasi
in attesa mentre Corinna iniziava ad alzarsi. La domestica entrò nella camera, aprì le finestre e un
raggio di sole mi illuminò.
“Che bella giornata!” esclamai.
Il mio pensiero fisso era la partenza.
La signora Corinna intanto si fece una doccia poi cosparse il suo corpo di una delicata crema che
emanava un profumo di mughetto e gelsomino, raccolse i capelli con un fermaglio di tartaruga a
forma di granchio e per ultima cosa si vestì in modo semplice ma accurato.
Aiutata dalla domestica iniziò a preparare la valigia. Aprì l’armadio (sembrava una boutique da
quanti vestiti erano dentro!) e ne mise abbastanza per la durata di quindici giorni. Dopo la scelta dei
vestiti toccò a quella delle scarpe, e infine delle borse. Anche di queste ne aveva tantissime, di tutte
le forme, di tutti i colori.
Io ero sempre stata ferma al mio posto sulla poltrona a dondolo e mi sembrava che proprio non mi
considerasse.
“Ma come - brontolavo fra me e me - sono nuova rispetto alle altre che possiede, era entusiasta di
avermi acquistata e adesso mi lascia qui, senza dirmi niente!”.
Vedevo che se ne girava e rigirava fra le mani tante e poi tante ma di nessuna era convinta e
quando la domestica le fece notare che la borsa comprata a Parigi sarebbe stata più comoda rispetto
a tutte le altre lei rispose:
“Oh ha ragione, che sbadata, non mi ricordavo di averla lasciata sulla sedia a dondolo, la prenda
pure e ci pensi lei a sistemarmela, guardi se dentro c’è tutto ciò che mi occorre”.
Così mi si allargò il cuore.
“Evviva parto con lei!” esclamai senza farmi sentire.
La domestica, controllando al mio interno, aggiunse altri oggetti; uno mi colpì in maniera
particolare. Sapete cosa era? Una pietra.
“Pure lei a pesare? Mi stancherò a portare tutti questi oggetti! A cosa le serve questa?” pensai fra
di me.
Era di forma ovale, di un colore verde brillante, molto bella, ma non capivo perché dovesse essere
messa in borsa anche lei.
“Basta signora non mi riempia più, ha messo anche la pietra ed è pesante!” protestai.
La pietra sentendomi un po’ alterata mi disse di non preoccuparmi perché non mi avrebbe
disturbata.
“Anzi - aggiunse - ti confesso un segreto: quando Corinna parte per un lungo viaggio mi porta
sempre con sé, sono un suo portafortuna, vedrai diventeremo amiche, tu sei una bella borsa
capiente, mi piaci e sento che dentro di te viaggerò serena”.
“Ok - le risposi - ma posso sapere il tuo nome?”.
“Certo, mi chiamo Giada”.
Allora le proposi di stringerci la mano per suggellare la nostra amicizia.
“Non ci lasceremo vero Giada?”.
“No Camilla, sarò anche il tuo amuleto”.
L’ora della partenza si faceva sempre più vicina e Corinna insieme alla domestica ultimava i
preparativi.
Un lungo abbraccio con il marito poi ci avviammo verso il cancello della villa dove un taxi ci
stava aspettando. Nel viaggio verso l’aeroporto di Monaco Corinna mi teneva stretta fra le sue
braccia. Aveva paura che fuggissi?
Intanto Giada ed io ci parlavamo in silenzio (in silenzio direte voi bambini? Sì, si può parlare
anche in silenzio) mentre tenevamo sotto controllo la situazione nonostante fossimo dei semplici
oggetti. Ma che dico semplici: magici!
Arrivate all’aeroporto Corinna mi aprì, tirò fuori il portafoglio e pagò il tassista, mi richiuse, un
saluto, un grazie e via verso il grande evento: il viaggio in Giappone!
Venne annunciato il volo, mi batteva forte il cuore al pensiero di salire su un aereo, addirittura non
ne avevo mai visto uno! Cosa avrei provato? Anche Giada era emozionata, eppure per lei non era la
prima volta!
Effettivamente sì l’emozione fu grande quando salimmo!
Corinna, bellissima nella sua divisa, salutò subito le sue colleghe e dopo, purtroppo, io fui chiusa
a chiave nel suo armadietto.
Il fatto di trovarmi al buio un po’ mi angosciava però mi sentivo sollevata sapendo di avere
accanto a me Giada. E non mi sentii abbandonata perché Corinna prima di prendere servizio riaprì
l’armadietto e mi sussurrò:
“Camilla stai tranquilla, ti lascio qui perché non posso rischiare di perderti, contieni troppi oggetti
cari e importanti per me, sai il bene che ti voglio, sai che sei la mia borsa preferita!”.
Subito mi rincuorai, così Giada ed io iniziammo a raccontarci un po’ di cose nostre. Lei mi disse
che aveva fatto tanti viaggi, l’ultimo risaliva a circa cinque mesi prima, in India.
“Vedessi Camilla che luogo stupendo, misterioso, inebriante nei suoi profumi, però la cosa più
toccante e triste è vedere tanta gente povera, questo mi ha colpito molto e invece che una pietra
avrei voluto essere una persona in carne ed ossa per poterla aiutare. Tanti bambini chiedevano
l’elemosina, Corinna è molto generosa, spesso offriva loro dei soldi per mangiare e potersi vestire”.
Mentre ascoltavo in silenzio pensavo che anche a me sarebbe piaciuto fare tanti viaggi, vedere
luoghi nuovi e avere delle belle sensazioni.
Dopo il suo racconto cercai di riposarmi un po’ ma non fu possibile, gli oggetti che contenevo non
stavano un attimo fermi: il portacipria si muoveva, le chiavi giravano a destra e a sinistra, le odiavo
come sempre, i soldi uscivano e rientravano nel portafoglio, si accese pure l’accendino.
“Ma cosa sta succedendo, sei matto, vuoi incendiare tutto?”sbottai sentendo quel calore.
“Scusami Camilla non l’ho fatto di proposito”.
“Vorrei ben vedere!”.
Appena terminata la frase sentii un rumore di tacchi lungo il corridoio, sperai in cuor mio che
fosse Corinna così avrebbe aperto l’armadio e avrei rivisto un po’ di luce.
Era proprio lei e, come se avesse sentito la mia invocazione, aprì l’armadio, afferrò dentro di me
le salviette per rinfrescarsi, si rifece il trucco e fu pronta nuovamente per il lavoro.
Questa volta per fortuna non mi chiuse a chiave nell’armadio, così Giada ed io potemmo curiosare
all’interno di esso.
[…]