Il tempo in villa: vita quotidiana
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Il tempo in villa: vita quotidiana
Il tempo in villa: vita quotidiana Chi vuole assaporare le bellezze e analizzare le tradizioni, le leggende legate a questi luoghi, lo deve fare innanzitutto vedendole all‟interno di un ambiente caratterizzato dalla presenza dei fiumi, in particolare, in passato, del corso dell‟Adige, e di corsi, come il Sarego (la Sarega), e il Cao Rizzon che hanno influenzato, nel bene e nel male, la vita, la storia e lo sviluppo dei luoghi stessi che attraversano. L‟Adige per esempio ha da sempre rappresentato una presenza viva e vitale sia per la gente che per millenni ha abitato lungo le sue rive, sia per i territori che attraversa lungo il suo tragitto. Oggi il grande fiume scorre saldamente delimitato da potenti argini, ma ben diverso era il suo tragitto nei tempi antichi così come ben diversi erano l‟ambiente e le terre che attraversava. Circa 55-56 milioni di anni fa, infatti, la Pianura Padana era ancora sommersa dal mare e forse, proprio in questo periodo, alcuni movimenti vulcanici avevano fatto affiorare tra l‟altro, anche i Colli Berici e gli Euganei. Greci e Romani conobbero l`Adige. anche se oggi non e facile individuarne il corso specifico scorrendo allora senza argini, all‟ingrossarsi delle acque era normale assistere alla variazione del suo alveo. Basandosi su alcune fonti antiche, molti storici scrissero di una famosa deviazione, passata alla storia come "Rotta della Cuca"(Veronella) del 589 d. C. altri storici sostengono che tale deviazione del corso dell‟Adige avvenne a Pilastro di Bonavigo, lungo la linea Bonavigo-Minerbe- San Zenone-Bevilacqua dove si ritrovano sabbie fresche atesine. Infatti, dalle argomentazioni di di uno studioso padovano, Gian Carlo Zaffanella, si ricava che un ramo d‟Adige scorreva dalla Preistoria sino in epoca tardo romana da Bonavigo verso Santo Stefano di MinerbeMinerbe-San Zenone-Bevilacqua. Al sopraggiungere del mutamento del corso dell‟Adige dovettero concorrere vari fattori, tra cui in primo luogo, oltre all‟aumento delle precipitazioni, il fatto che l‟Adige non era più regolato e probabilmente arginato come in epoca romana, per cui il suo alveo venne sempre più ad innalzarsi determinando tracimamenti ed allagamenti. Tale innalzamento del letto, impedendo sempre più il flusso della corrente, provocò infine l‟abbandono del vecchio alveo non più funzionale. Nei vecchi studi compiuti negli anni trenta, in una carta geologica redatta dal Magistrato alle Acque di Venezia “il territorio è considerato costituito indistintamente dalle alluvioni dei vari corsi seguiti dall‟Adige, senza peraltro specificare in che epoca si verificano” … È pensabile che fin nella preistoria, certamente gli uomini trovarono una zona ideale per stabilirsi: bacini semilacustri con isolotti sabbiosi emergenti al centro, dossi sabbiosi e limosi, ottime vie di comunicazione, un manto forestale costituito da querce, faggi e frassini, una miriade di laghetti e stagni circondati da dossi, presentavano abbondanza di animali selvatici ed un clima che si faceva sempre più caldo e umido (optimum climatico dal 5000 al 3000 a.C. Essi costituivano certamente l‟ambiente del Palù di Minerbe, con terreno limoso e argilloso, chiuso da dossi e da Luppie (elevate fasce di terreni sabbiosi) ( ambedue abitati sicuramente dal tardo Neolitico alla prima Età del Bronzo). Resta il fatto che, comunque, in una terra come questa, ricca d‟acqua, barconi, battelli, traghetti e “Barcagni” popolarono da sempre le rive, incidendo significativamente nell‟economia locale, nel costume e nel modo di pensare. Un ruolo fondamentale rivestirono poi i mulini; i più diffusi erario di due specie: terragno e natante. ll primo era cosi detto perché aveva in acqua solo le pale, mentre l‟intera costruzione con l`impianto molitorio si trovava sulla riva. ll secondo, invece, galleggiava completamente sull`acqua. Nel mulino si macinava tutto: avena. miglio, farro, carpano, orzo, spelta, scandella, veccia, meliga, ghiande, fave. Il diritto di condurre o costruire un mulino era ereditario e si poteva acquisire solo dopo un periodo di apprendistato. Nel nostro territorio vi sono testimonianze del mulino terragno. Non erano però solo i mulini a garantire un certo guadagno ai poveri contadini. esistevano anche i traghetti e i "passi barca” che spostavano genti e merci. Il nome Anson, rammenta proprio la grande ansa dell‟Adige che certamente vi scorreva fino in epoca romana. In questo ambiente l‟acqua è stato elemento, materia, paesaggio, luce ora è memoria di un mondo contadino. La contrada di Anson è nata dall‟esigenza di abitare vicino al posto di lavoro da parte dei braccianti, una folla che lavorava a Campeggio. Un tempo esisteva la "risaria" che si estendeva nelle campagne racchiuse fra Anson e San Zenone; di essa ne sono testimonianza le quattro pile d‟acqua –il mulino di Colombaron, Pila Vecchia o Chiode lungo il Cao Rizzon, Campeggio con la Pila Rebustini, Comuni abitate allora dal "piloto" (mugnaio). Fu qui che, fino agli inizi del „900, centinaia di mondine hanno lavorato sodo. con la schiena piegata e i piedi in ammollo, sotto l‟occhio inflessibile del risaro: il temuto sorvegliante che, oltre a regolare i livelli dell‟acqua e a mantenere pulite le reti da pesca. poste nei canaletti. non esitava a dare un colpetto di bastone a chi accennava a raddrizzarsi. Con i “barcagni”, il riso raccolto in “faie”, legate con i “balzi” , veniva portato e scaricato nell‟aia “il selase”, dove veniva battuto con il “battidore” e i chicchi venivano separati dalla “paia” e poi lasciati ad essiccare per poi toglierli la buccia “bula”. Molte persone dovevano prendersi cura del riso sull‟aia, e ciò costava tanta fatica.il riso asciutto veniva poi misurato con il “minale” la vita era dura, i contadini, d‟altro canto. morivano con gran facilità. a causa dell‟ambiente insalubre e della miseria in cui erano costretti a vivere. legenda: 1= Mulino Pila Vecchia; 2= Mulino Colombaron; 3= Pila Rebustini; 4= Pila Vivaldi Fermandosi ora un attimo e volgendo lo sguardo intorno, tra le molte cose. si potranno scoprire i ponti. anche i più comuni. sparsi ovunque un po` nel territorio. i quali potranno raccontare antiche storie fatte di fatica. di lavori. e di quotidianità. Talora li troviamo incorporati in certi complessi di pile e mulini. nelle cui volte risuonano ancora i colpi cadenzati dei pestelli e il fruscio soffocato delle macine. Sono ponti del nostro passato che stimolano l‟ immaginazione protesa al futuro. Storia e antiche tradizioni popolari si legano al mormorio dell‟acqua Dal corso d‟acqua originarono fiabe e leggende, le quali hanno un punto di partenza in comune: la vita. la quotidianità, il lavoro. il sacrificio lungo un fiume. Ecco allora nella narrazione di una leggenda o di una fiaba, la storia di uomini che affrontarono la dura realtà, con la fede rivolta alla Provvidenza Divina. VITA QUOTIDIANA E LAVORO IN VILLA Il fabbricato di Campeggio ad Anson (Minerbe) comprendente la villa, una grande corte con un’immensa aia contornata da un basso muretto, dei fabbricati laterali, occupa una superficie di 10.000 metri quadrati. Arrivati, noi ragazzi abbiamo cercato di orientarci • Siamo entrati nella corte, di forma quadrangolare, da da un portone a sud e abbiamo visto di fronte l’aia e poi la villa con una meridiana sul frontespizio, il cui motto è “Hora non numero nisi serenas” . Sul tetto c’è una torretta con una campana. Attaccati ai lati della villa padronale vi sono fabbricati costituiti a est da case per i dipendenti, da magazzini, nel lato ovest dall’abitazione del risaro e da rustici e barchesse, cioè ampi portici con attrezzi vari, che corrono poi lungo tutto il lato sinistro della corte; fa da raccordo fra loro un’alta mura in mattoni a vista. Sul lato sud-est c’è una torretta, con l’arcata del ponticello sul “Barcagno”, lambito da un salice piangente. • sul lato est dell’edificio, con l’ingresso dallo stradone che porta fino ad Anson c’è la cappella dedicata a Sant’Antonio, sul cui portale c’è lo stemma degli Spolverini, e che ancor oggi richiama gente per la festa di Sant’Antonio Al centro c’è l’aia una delle più grandi d’Italia • Questo complesso ed il suo paesaggio sono d’impareggiabile suggestione LA VILLA PIANTA DELLA VILLA appare di forma rettangolare. Entrando, c’è una sala centrale. La cucina è posta a destra LE PARTI DELLA VILLA E LE LORO FUNZIONI Un tempo vi erano: VILLA, centro della proprietà con torretta campanaria; BARCHESSE dove si costruivano o riparavano barche e burci; ZELESE (aia) cuore dell’azienda. A Campeggio esiste uno dei più grandi d’Italia, su di esso si trebbiava e si essiccava il riso e successivamente il grano. La battitura del riso veniva fatta a mano con i “zerciari”, ossia con bastoni con una parte snodata; GRANAI, ai piani più alti, più asciutti; CANTINE per la conservazione al fresco del vino in botti; TINAIA, per la vinificazione; CASA DEL GASTALDO, abitazione del soprintendente—magazziniere; FALEGNAMERIA, per la riparazione di carri, finestre, porte e oggetti vari; BIGATTIERA, locale riscaldato per l’allevamento dei bachi da seta, BARCAGNO per l’approdo delle barche che trasportavano dai campi in corte i prodotti della terra; TORRE COLOMBARA anticamente torre di difesa, più tardi luogo per l’allevamento dei colombi; BROLO, LIMONAIA per proteggere gli agrumi d’inverno; FRUTTETO, per la produzione di pere, mele, albicocche, mandorle; ORTO, per la produzione di verdura, GIARDINO E PARCO, PESCHIERE, per l’allevamento del pesce, ROCCOLI, per catturare gli uccelli da passo; CAMPI COLTIVATI E BOSCHI per cacciare; FILARI DI GELSI per la produzione di foglie per i bachi da seta; GHIACCIAIA (giazara) per poter disporre di ghiaccio durante l’estate anche a fini curativi; ABITAZIONI CONTADINE per i lavoratori salariati; LISSIARA luogo dove si faceva il bucato con la cenere (lissia); SCUDERIA per il ricovero dei cavalli; BOARIA stalla peri buoi e le vacche e OVILI E PORCILI; LEGNAIA per la legna da ardere la ghiacciaia (giazara) Barcagno e Torre colombaia LA CAMERA DA LETTO DEL CASTALDO La stanza con due semplici letti di ferro comunicava con la cucina per poter ricevere il calore del focolare: da una finestrella si controllava anche di notte la scala e l’accesso ai granai. Il materasso del letto era riempito di "scartozi", ovvero con foglie di granoturco che quotidianamente venivano ravvivate. Si dormiva sotto a delle trapunte o a dei piumini riempiti di piume d’oca: il letto era scaldato da uno “scaldaletto” pieno di braci inserito nella "monega" che teneva sollevate le coperte. IL GRANAIO Ai piani alti delle “barchesse” erano situati i granai, le vere casseforti delle e ville. Tutti i granai disponevano di grandissime finestre per la ventilazione, essenziale per conservare a lungo riso e grano. Dopo la mietitura i cereali venivano essiccati al sole sul "Zelese" (aia) e portati a spalle nel granaio per la conservazione. Il grano ammucchiato richiedeva di essere mosso in continuazione: questa operazione veniva fatta con pale e rastrelli e durante l’inverno un uomo passava le giornate in granaio a voltare il grano. Per il riso, una volta portate le “faie” sul zelese, tagliati i balzi, venivano messe nella trebbia da riso e venivano separatri i chicchi dalla “paia”; i chicchi, ricoperti dalla “bula” venivano lasciati essiccare sul “zelese” e, dopo una lunga e faticosa cura, veniva misurati in “minali” e portato nel granaio Nel 1800 comparvero nei granai le prime macchine, azionate a mano, per sgranare, svecciare (suddividere) e pulire dalle impurità i cereali prima della macina al mulino. Il grano veniva misurato in staia, pesato ed insaccato e portato al mercato su carri tirati da buoi o cavalli, o su barche lungo la fitta rete di canali. I granai erano anche il regno dei topi, dei pipistrelli, delle pantegane che trovavano cibo abbondante e dei gatti che avevano libero accesso da fori rotondi appositamente ricavati sulle porte. LA FALEGNAMERIA La villa e la sua azienda agricola erano autosufficienti e producevano ogni tipo di legname: tronchi d'albero per assi e travi e legna da ardere. Nulla di un albero veniva buttato via: le ramaglie servivano per le fascine da bruciare, le radici (i peoni) venivano essiccati e poi bruciati, i tronchi venivano squadrati per fare travi o segati per fare tavole e assi. Tutto il lavoro era svolto a mano, con grande fatica e con attrezzi rudimentali. Se gli alberi della campagna non bastavano, si acquistavano grandi abeti che provenivano dai monti della Valsugana e raggiungevano la pianura attraverso i fiumi e i canali, per "fluitazione". Nella falegnameria della villa si trovano oggi tutti gli attrezzi usati dal falegname di i un tempo: seghe a più mani per gli alberi più grandi, succhielli di ogni misura, pialle per spianare e sagomare. Con l’arrivo dell'elettricità all'inizio del 1900 si introdussero le seghe elettriche: quella che si vede è tedesca, perché a quel tempo in Italia non si riusciva a produrre questo tipo di macchinari. Il falegname lavorava per la villa e per le case coloniche: aggiustava le travi dei tetti, faceva le porte e le finestre, i mobili più semplici ed era spesso aiutato da un fabbro che batteva il ferro e faceva i chiodi, i catenacci, i cerchioni dei carri, i ganci e le viti: tutta la ferramenta che poteva servire in un complesso cosi grande. IL LAVORO NEI CAMPI A Campeggio prestavano la manodopera più di trecento persone. Negli anni venti Il lavoro conobbe l’ aritmia di qualche sciopero, complessivamente pero fu assiduo e duro. La risaria si estendeva nelle campagne racchiuse fra Anson e San Zenone, ne sono testimonianza le quattro pile d’acqua –Colombaron, Pila Vecchia o Chiode, Campeggio, Comuni abitate allora dal “piloto” (mugnaio). Fu qui che, nel corso dei secoli, centinaia di mondine hanno lavorato sodo, con la schiena piegata e i piedi in ammollo, sotto l’occhio inflessibile del risaro: il temuto sorvegliante che, oltre a regolare i livelli dell’acqua e a mantenere pulite le reti da pesca, poste nei cataletti, non esitava a dare un colpetto di bastone a chi accennava a raddrizzarsi. I contadini, prima di coltivare il riso dovevano livellare e dividere il terreno in “quadre”, inondarlo poi d’acqua. Per far ciò utilizzavano un cavalletto, la “stada”. Il periodo più adatto era quello tra Aprile e l’inizio di Maggio. La “spia” dava precise indicazioni ai contadini. Prima di seminare, i sacchi pieni di risone venivano posti a bagni tre o quatto giorni nei fossi e ciò sia per accelerarne poi la crescita, sia per far appesantire il prodotto in modo che non venisse a galla. Nell’acqua veniva anche liberato il pesce. Che, oltre poi essere pescato, costituiva un antiparassitario. Il riso veniva poi preso in un cesto “toman” e gettato a “spaglio” direttamente dai contadini che camminavano nell’acqua. La piantina di riso cresceva nel giro di otto dieci giorni e la raccolta avveniva ad Ottobre. Fino ad essa era necessario fare la “monda”, cioè liberare il riso dalle erbacce e trapiantarne nella giusta posizione alcune piantine. Asciugate poi le risaie dalle acque e dopo aver raccolto il pesce, si procedeva con il “medere” (mietere) a mano con il seghetto disponendo le piante di riso in “faie” (covoni) legate con i “balzi” (spaghi di erbaintracciata – la “careza” e disposte in “crosette” per proteggere il riso, posto all’interno, in caso di pioggia, le quali, caricate successivamente con barelle di tela su piccole imbarcazioni, venivano portate in corte attraverso i “barcagni”. Sul “zelase” (aia) venivano tagliati i “balzi” e le “faie” venivano inserite nella trebbia che funzionava a vapore e lì passavano attraverso il “battitore” e venivano separati i chicchi dalla “paia”, che era portata poi nelle “balare”. I chicchi, i quali erano coperti dalla “bula” venivano essicati sull’aia per tre – sette giorni. Quest’ultima operazione coinvolgeva uomini donne e bambini, poiché essi dovevano ammucchiare e coprire il riso alla sera e in caso di pioggia. Il riso asciutto veniva misurato con i “minali” (grossi contenitori) di ferro o di legno che corrispondevano a venticinque chilogrammi. Assieme alla coltura del riso poi si svilupparono quelle dei cereali e dell’allevamento del baco da seta, tanto che insigne famiglie patrizie scaligere e veneziane avevano scelte la nostra Bassa per dar vita a grandi possidenze terriere e per costruire ville sontuose con aie, cuore aziendale e pulsante di tanto lavoro; anche se i contadini continuarono a vivere nella miseria. La cultura del riso estesa anche a mille campi, è stata smessa circa quarant’anni fa, ma già da prima “tirare avanti” era faticoso e molti dovettero anche migrare fin dall’800. Oggi l’azienda di Campeggio conta circa una decina di dipendenti. I campi sono coltivati a culture varie; tra i campi si incontra qualche casolare abbandonato, con il fico e la vite, ci sono circa trecento ettari incolti per capezzagne e scoli e lungo le rive dei fossati, specialmente lungo gli stradoni che da Campeggio portano al Colombaron, ci sono le piante tipiche come i “stropari” i platani. DAI BUOI AI TRATTORI Attorno alla villa e nei poderi che ad essa facevano capo venivano coltivati i campi, prevalentemente con attrezzi manuali (zappe, falci, rastrelli). Gli animali (buoi, vacche e cavalli) venivano utilizzati per i lavori più pesanti quali l’aratura, l’erpicatura, il trasporto con cani e il trascinamento delle barche lungo i canali. In tutte le ville c’erano cavalli e carrozze. La semina, la sarchiatura, la mietitura e la battitura del grano venivano eseguite a mano. Dopo il 1850 si diffusero anche in Italia le prime macchine meccaniche (seminatrici, falciatrici, erpici, trebbiatori) che subito vennero utilizzate per sveltire e semplificare il lavoro. L’invenzione del "vapore" e dei trattori alla fine del 1800 rivoluzionò l’agricoltura: permise la riduzione della fatica, consentì di sostituire gli animali e di eseguire quasi ogni lavoro senza sforzi e con grande velocità. Testimonianza di questo periodo è la collezione di trattori dal 1900 al 1960. I vari "carioca" ricordano l’ingegno di chi non poteva permettersi un trattore e se lo costruiva in casa, con pezzi usati presi qua e là, o con una vecchia auto riadattata. LAGHICCIAIA Collocata all’esterno, sul lato destro della villa c’è la ghiacciaia dove un tempo erano posti gli alimenti per una loro migliore conservazione. Aveva la funzione che hanno oggi i nostri freezer. È circondata da olmi per mantenere la frescura. Oggi gli alberi sono stati leggermente tagliati perché non hanno più quella funzione. L’ACQUA E LA VILLA L’ acqua per la vita quotidiana e per l’agricoltura era molto importante: lo scavo dei fossi e l’acqua per l’irrigazione erano regolati dalle leggi della Repubblica di Venezia. A Campeggio arrivava l’acqua proveniente dalla Zerba in Belfiore. Ogni abitazione disponeva di un pozzo e l’acqua veniva attinta e trasportata all’interno in secchi. I panni venivano lavati nei canali o in grandi mastelli di legno pieni di acqua fatta bollire in un grande calderone: alla fine del bucato la biancheria veniva lasciata a mollo per più ore coperta da un telo su cui si versava cenere ed acqua bollente (lissia): per questo la camera dove si lavava si chiamava "lissiara". Oggi nei campi l’acqua raggiunge le culture attraverso una rete di rogge e di fossi: l’irrigazione è uno dei cardini dell’agricoltura poiché consente alte produzioni. Nelle aziende agricole la cura dei fossi e delle acque assorbe durante l’estate l’attività di operai specializzati gli "acquaroli", che passano molto tempo a mantenere in fruizione chiuse, canali e fossi, per non perdere neppure un litro della preziosissima acqua e ripartirla tra i vari campi in modo preciso. La pulizia e la manutenzione dei corsi d’acqua è considerata essenziale, sia per facilitare lo scolo delle piogge un tempo anche per consentire il passaggio delle barche per il trasporto di derrate e materiali vari (riso, sacchi di grano, travi, legna, pietre). È interessante ricordare che nel 1873 furono fatte delle bonifiche a Campeggio e Minerbe. Si ebbe poi una graduale riduzione delle terre a risaia quando queste non ricevettero più l’acqua temperata proveniente dalla botte palladiana, ma ebbero quelle più fredde dell’Adige che arrivavano dalla chiaviche di S. Tomio, le quali ritardavano la maturazione del riso. PICCOLE ATTIVITA’ DOMESTICHE Nella casa del gastaldo e in quasi tutte le case contadine le donne svolgevano anche importanti attività legate alla preparazione del cibo e dei materiali di uso quotidiano. Oltre a far da mangiare si occupavano dell’orto e portavano in cucina (con il "bigòlo") l’acqua per l’uso domestico. Le donne cucivano anche i vestiti, lavoravano la lana, tessevano il lino e la canapa su rozzi telai. Parte della produzione era venduta, consentendo piccoli guadagni. Una delle fonti di ricchezza di questa zona era l’allevamento dei bachi da seta e la vendita dei bozzoli alle filande. I bachi venivano alimentati sulle "arelle" (graticci di canne), con foglie di gelso che dovevano essere raccolte più volte al giorno. Nella stagione dei bachi, in primavera, tutte le donne e i ragazzi erano assorbiti da questa attività: la vendita dei bozzoli dava infatti danaro fresco ed era una grande risorsa per tutte le famiglie contadine. Le donne inoltre rammendavano, cucivano e facevano in casa le scope con la saggina. Un’attività che assorbiva quotidianamente le madri di famiglia era l’allevamento degli animali da cortile: galli, galline, capponi, anatre, oche, faraone, conigli e l’immancabile maiale. Gli animali da cortile servivano per l’alimentazione della famiglia, costituivano le "regalie" per i "paroni" e venivano periodicamente vendute al mercato per generare denaro liquido. COSA SI MANGIAVA: ALCUNE CURIOSITA’ Le famiglie che vivevano in campagna ottenevano i loro cibi dalla produzione agricola (grano, riso, granoturco), dall’allevamento degli animali (maiali, pecore, polli), dal latte delle vacche, dagli alberi da frutto e dagli orti. Nei canali e nelle peschiere vivevano numerosi pesci d’acqua dolce che erano molto ricercati (carpe, lucci, tinche). Era comunque il maiale che assicurava cibo per tutto l’inverno: costate, cotechini, salsicce, sopresse, salami, pancette, ciccioli, lardo e strutto: ogni pezzo veniva consumato. In dicembre, l’uccisione del maiale era una grande festa a cui partecipava tutta la famiglia. Il vino, che fin dal tempo dei Romani è stato uno dei prodotti più famosi di queste zone, i immancabilmente accompagnava tutti i cibi. Della nostra storia e delle condizioni della nostra Bassa ci parla bene Dino Coltro il quale riporta storie , proverbi, leggende che si stanno perdendo. Egli ci conserva quel parlar per proverbi, il parlar Adesante, il parlar dei bacani, e il latinorum, rielaborato in vernacolo dal popolino così da non perderne il significato. Nunc et in hora mortis: nar in catinora!. Morire, per l'appunto. Amen. Tutto morto, tutto scomparso: el versor assieme ai bò che zupiava nel campo, i traghetti sull’Adige, il cuco, le kalendre e la Luna. Tutto affogato nel naufragio di una cultura Adesso però che il parlar per proverbi è stato sostituito dal parlar per acronimi (MIBTEL, BOT, CCT, NASDAQ, ...), di cui, ora come una volta, non se ne capisce il significato, impariamo da Dino che co' canta el cuco che da far dapartuto, che ogni erba che varda in su g’à la so virtù, conosciamo che cos’era la batisessola (lucciola), che l’omo par la parola e el musso par la caessa, che sasso che rugola no fa mus—cio. Osservando le kalendre che va in su e quele che va in zò, il contadino poteva trarre previsioni sulla prossima annata agraria. Previsioni che poi sarebbero state confermate dalla seola del 25 Gennaio, giorno di San Paolo dei Segni. Il pulsare della vita contadina era scandito dalle Quarantie, periodi di quaranta giorni, contraddistinti dalle varie attività (la semina, la mietitura ...), dai setoni (sette giorni) e dalle sincuine, a cui sovrintendeva dall’alto la Luna, e non il Sole. Cultura di vita, quindi, non di guerra preventiva. Luna a cui i contadini non avevano bisogno di chiedere che cosa mai facesse "in ciel". Cosi a Sant'Ana el rondon se slontana, "...e la rugiada di San Giovanni guariva dalla scabbia e dai malanni della pelle; le donne che si bagnavano le loro parti intime acquistavano bellezza e fertilità ..." (pag. 289 di "Santi e Contadini").