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Newsletter dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Padova
n. 21 / Anno IV - Giugno 2013
Editoriale
Non solo studio!
La
newsletter di giugno, l’ultima dell’anno accademico 2012-2013, ha il profumo
dell’estate. Terminata la sessione estiva degli esami, si pensa ad altro, ai bisogni
della famiglia e della casa, alla possibilità di trascorrere qualche giorno in un luogo di
vacanza con la moglie o il marito, con i figli oppure con altre persone con cui si ha
piacere di stare insieme. Qualcuno, invece, non ritiene di dover andare in vacanza
perché gli basta avere giornate più leggere, non dover correre da una parte all’altra,
avere maggior tempo libero, organizzare diversamente le proprie giornate. E se
qualcuno non stacca mai la spina, convinto che non si possa sprecare il tempo che la
divina provvidenza mette a disposizione?
A tal proposito propongo di leggere alcune pagine di Vita intellettuale (ed. Studium
1953) di p. Antonin-Dalmace Sertillanges (1863-1948), domenicano e professore di
etica presso l’Istituto cattolico di Parigi. Il libro, pubblicato per la prima volta nel
1920, ha riscosso notevole successo e ha avuto molte edizioni in Francia e all’estero.
Si tratta di un’opera nata da una lunga esperienza di studio e di insegnamento dove
vengono raccolte indicazioni, suggerimenti e consigli per quel lavoro che l’Autore
non teme di definire come una vera e propria “vocazione intellettuale”. Per l’Autore,
il lavoro intellettuale è sia quello che impegna completamente una persona sia
quello di chi, preso da occupazioni professionali, riserva un po’ del suo tempo allo
studio in vista di uno sviluppo profondo dello spirito e per il completamento della
propria personalità. In ogni caso si tratta di un’opera intellettuale fatta di
isolamento, di raccoglimento, di rinuncia e di abnegazione che rendono disponibili
ad essere diretti dallo spirito e ad essere figli della Verità. L’intellettuale è un
consacrato, non è un isolato, è un uomo del suo tempo che deve conservare il
contatto con la vita. «L’importante per la vita non sono le cognizioni. C’è una scienza
diversa da quella che cade nella memoria: la scienza di vivere. Lo studio deve essere
un atto di vita. Delle due specie di studiosi, quelli che si sforzano di sapere qualche
cosa e quelli che tentano di essere qualcuno, la palma appartiene ai secondi. Nel
sapere, tutto è solo un abbozzo; l’opera compiuta è l’uomo» (, p. 195). Si studia per
estendere il proprio essere, non per restringerlo: «Bisogna essere sempre più di
quanto si è; il poeta deve essere un po’ filosofo e il filosofo un po’ poeta; l’artigiano
deve essere, a tempo opportuno, poeta e filosofo, il popolo sa e consente. Lo
scrittore deve essere un uomo pratico, e l’uomo pratico deve saper scrivere. Ogni
specialista è prima di tutto una persona, e l’essenziale della persona è aldilà di tutto
ciò che si pensa, di tutto ciò che si fa» (p. 196).
Per questo occorre rimanere aperti, conservare il contatto con l’umanità e il mondo.
Ci si rende conto che «allargare il proprio orizzonte, vuol già dire riposare. La parte
migliore del riposo è compresa nei modi secondari di vita. Niente deve eccedere (…).
La distensione è un dovere, come l’igiene in cui è inclusa, come la conservazione
delle forze. “Io voglio che tu risparmi te stesso”, dice Sant’Agostino al discepolo. (…).
Si può ammettere senza paradosso la frase di Bacone corroborata dai dati della
fisiologia: “È pigrizia dedicare troppo tempo allo studio”. È pigrizia direttamente, in
quanto è incapacità di vincere un determinismo, di maneggiare il freno. È pigrizia
indirettamente, perché il rifiuto del riposo è il rifiuto implicito di uno sforzo che il
riposo permetterebbe, che il lavoro eccessivo compromette. Ma è pigrizia anche in
un altro modo più nascosto. Infatti, fisiologicamente, il riposo è un lavoro enorme.
Quando l’attività pensante si interrompe, il genio interiore del corpo intraprende
una restaurazione che vorrebbe completa. Il sedicente riposo non è che una
trasformazione di energia» (p. 201).
Ma se il lavoro eccessivo è una pigrizia nemmeno il “semi-lavoro” è una virtù. Il
“semi-lavoro”, infatti, che è un semi-riposo” non serve a niente. Meglio lavorare
energicamente per poi distendersi. Ognuno deve rendersi conto delle proprie
possibilità e proporzionare tutto di conseguenza. I riposi corti e frequenti sarebbero
l’ideale come lo è anche «se si potesse lavorare in piena natura, con la finestra
aperta su un bel paesaggio ed essere in grado, quando la fatica sopraggiunge, di
riposare per qualche minuto tra il verde o se una sosta si impone al pensiero, di
domandare consiglio alle montagne, all’assemblea degli alberi e delle nuvole, agli
animale che passano, invece di logorarsi tristemente. Scommetto che il frutto della
nostra attività sarebbe duplicato e che sarebbe molto più amabile, molto più
umano» (p- 204). Poi rivolgendosi ai giovani studenti, conclude il paragrafo sul
“sapersi riposare” dicendo: «Giovani che avete alte aspirazioni e che volete andare
lontano, rimanete a contatto con la realtà umana. Conservate una certa
indipendenza; non esauritevi; lavorate nella calma e nella gioia spirituale. Usate
qualche piccola astuzia anche con voi stessi, promettetevi, al momento dello sforzo,
qualche piacevole divertimento la cui immagine renderà più fresco il vostro
pensiero, prima ancora di riposare le vostre forze» (p. 204).
In definitiva, riposare è un lusso? No, è una necessità, è saper vincere la pigrizia,
allargare il proprio essere, estenderlo alle dimensioni concrete della vita, rimanere
figli della Verità. Perciò, buone vacanze.
Don Gaudenzio Zambon