i limiti personali dell `applicabilità della legge penale

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i limiti personali dell `applicabilità della legge penale
“I LIMITI PERSONALI
DELL’APPLICABILITÀ DELLA
LEGGE PENALE”
PROF. GIANLUCA D’AIUTO
Università Telematica Pegaso
I limiti personali dell’applicabilità della legge penale
Indice
1
IL PRINCIPIO DI OBBLIGATORIETÀ DELLA LEGGE PENALE E RELATIVE ECCEZIONI (ART.3
C.P.) 3
2
NOZIONE GIURIDICA DI IMMUNITÀ --------------------------------------------------------------------------------- 5
3
LE IMMUNITÀ DEL DIRITTO INTERNAZIONALE ---------------------------------------------------------------- 7
4
LE IMMUNITÀ DEL DIRITTO INTERNAZIONALE --------------------------------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Il principio di obbligatorietà della legge penale e
relative eccezioni (art.3 c.p.)
La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio
dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale. La
legge obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all’estero, ma limitatamente ai
casi stabiliti dalla legge stessa 1o dal diritto internazionale. Il nostro ordinamento giuridico, è
ispirato al principio d'eguaglianza secondo il quale tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge,
esso sancisce inoltre l'obbligatorietà della norma penale2. Secondo quanto disposto dall’art. 3 del
c.p., la legge, all'interno dei confini dello Stato, deve essere applicata a prescindere dalla nazionalità
e dalle condizioni personali del reo, a tutti coloro che si trovano al suo interno. Il primo comma del
predetto articolo include tra i destinatari del precetto, sia i cittadini, sia gli stranieri e fa salve "le
eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o internazionale". L'applicazione della legge penale ai
cittadini di nazionalità straniera risulta essere motivata dalla natura delle norme penali le quali sono
rivolte al soddisfacimento di finalità di natura pubblicistica, rendendosi utili al presidio giuridico
del territorio dello Stato, anche in considerazione del fatto che se si applicassero nel diritto penale le
norme straniere si verificherebbe una inammissibile vulnerabilità della sovranità Statale. L'art. 3 del
c.p., si ispira al principio di territorialità, il quale fornisce un ambito spaziale della sovranità nonchè
dell'indipendenza Statale. Il summenzionato principio risulta mitigato dalla maggiore estensione
data all'obbligatorietà della legge penale la quale, per espressa previsione del capoverso dell'art. 3,
vincola, limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale, i cittadini o
1
2
Art. 7-10; 17, 18 c.p.m.p; 1080 cod. nav.
Il reato di banda armata, in entrambe le fattispecie concernenti la formazione e la partecipazione, realizza una ipotesi
criminosa con evento di pericolo concreto in relazione ai beni tutelati della personalità interna ed internazionale dello
Stato. Per la configurazione del reato di banda armata non è necessaria una struttura organizzativa di tipo militare
vero e proprio, con determinazione di gradi e di gerarchie, essendo sufficiente un vincolo unificante di collegamento
tra i componenti tale da dare luogo ad una entità associativa costituita da membri armati sorretti da un'assoluta unità
di intenti e di operatività, idonea alla realizzazione dello scopo specifico di commettere quei reati contro la
personalità dello Stato per cui fu costituita. Non è rilevante, ai fini dell'esclusione del reato di banda armata, il fatto
che l'organismo associativo armato che persegua la finalità del compimento di atti terroristici sia manovrato e
sostenuto da formazioni politiche o ideologiche operanti in territorio straniero, poiché, quando l'entità associativa
possieda tutti i requisiti delineati nella fattispecie legale, l'applicazione del principio di obbligatorietà della legge
penale sancito dall'art. 3 del cod. pen., impone di ritenere avvenuta la violazione del precetto contenuto nella norma
che la configura e di perseguire penalmente i componenti.
Corte di Cassazione Sez. I, sent. n. 5807 del 10-05-1988
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gli stranieri che si trovino all'estero. Pur avendo il principio di obbligatorietà carattere assoluto
(chiunque è tenuto all'osservanza della legge penale) risultano essere ammessi dei casi di
sottrazione del responsabile di un illecito di natura penale all'applicazione della sanzione, è questo il
caso delle immunità, le quali costituiscono una rinuncia dello Stato all'esercizio del potere di
sanzionare gli illeciti.
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2 Nozione giuridica di immunità
Per immunità si intende l'esenzione da un dovere, onere, obbligo. Essa rappresenta una
situazione giuridica soggettiva “privilegiata” riconosciuta e garantita ad alcuni soggetti giuridici o
persone in considerazione della loro posizione e/o funzione istituzionale. Gli effetti delle immunità
sono in genere mitigati dalla riconduzione ad ordinarietà quando si è in presenza di determinate
situazioni definite “eccezionali”. La definizione di queste situazioni può dipendere da normative
interne o da specifici trattati, sia bilaterali che internazionali. Le immunità si distinguono per i loro
effetti, alcune di esse estendono le garanzie protettive sino alla non punibilità, o al riconoscimento
di irresponsabilità per talune fattispecie criminose, oppure ad altre esenzioni civili, in deroga alle
previsioni ordinarie da parte di un ordinamento. In alcuni ordinamenti, come ad esempio quelli di
matrice europea, le immunità sono “sopravvivenze di normazioni”, talvolta molto antiche che
salvaguardavano, in genere, i monarchi assoluti e che, anche in caso di passaggio ad altri sistemi di
stato, potrebbero non essere state abrogate. Queste immunità sono in genere assolute e sempre
vigenti, mentre per altre, come nel caso dell’immunità parlamentare, vengono opposte caso per caso
da uno o più organi dello Stato. In generale si distinguono le immunità assolute, le quali si
estendono a tutti i tipi di reato, da quelle relative, le quali si riferiscono solo ad una parte dei crimini
commessi dal reo. Si parla invece di immunità sostanziale, nel caso in cui il fatto posto in essere
non costituisce reato, mentre processuale se si determina la frapposizione di limiti, impedimenti
oppure ostacoli all'esercizio del potere giurisdizionale nei confronti di taluni soggetti (definiti
immuni). Stabilita l’eccezionalità delle immunità, come indicato nell'art. 3 del c.p., vi è preclusione
circa l'adozione, per questo ambito, di una interpretazione analogica (come tra l’altro espressamente
ribadito da parte della giurisprudenza di legittimità). Fonte di immunità può essere sia il diritto
interno che internazionale: nel primo caso, le norme mirano a garantire, oltre che a proteggere, la
libertà nell’ambito dell’espletamento di determinate funzioni o uffici di rilevante importanza volti a
tutelare il corretto funzionamento del sistema politico italiano, mentre nel secondo caso si tende a
preservare la pacifica convivenza tra i popoli, le relazioni internazionali, l’intero interesse pubblico
sopranazionale. Un largo consenso ha conosciuto nel corso degli anni, la costruzione dogmatica
che, partendo dalla nozione di capacità giuridico - penale, intesa quale capacità di essere soggetto di
diritto penale, ne ha ravvisato gli elementi costitutivi nell'imputabilità o nella capacità di intendere e
di volere e, in negativo, nell'assenza di cause di immunità. Tale tentativo viene contestato da chi
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evidenzia come appaia arbitraria la sovrapposizione tra istituti per nulla differenti, riguardanti
rispettivamente, in primis l'imputabilità, ponendo su di un piano naturalistico la condizione psichica
del soggetto, e per secondo l'immunità, dovuta a scelte istituzionali di politica legislativa, avente
come effetto esclusivo della capacità giuridico - penale non la caratteristica indefettibile di ogni
ipotesi di immunità, restando esso circoscritto, in buona sostanza, ai casi di immunità funzionali ad
efficacia sostanziale. La non idoneità a ricomprendere le fattispecie di immunità ad efficacia
processuale è il limite proprio anche di altra teoria, minoritaria in dottrina, la quale accomuna le
immunità con le cause di giustificazione qualificando le condotte poste in essere dal soggetto
“immune” nell'esercizio delle sue funzioni alla stregua di fatti leciti poiché costituenti esercizio di
un diritto, e perciò scriminanti ai sensi dell’art. 51 del c.p. A fondamento di tale teoria si sostiene
che il legislatore avrebbe operato un bilanciamento degli interessi in conflitto, riconoscendo
prevalente quello sotteso all'esercizio delle funzioni pubbliche. “La dottrina dominante asserisce
che bisognerebbe ricondurre tutti i fenomeni, definiti immunitari, alla generale categoria delle cause
di esclusione della pena, situazioni che risultano esterne al fatto tipico e non escludono il reato ma
si ha per effetto la non applicabilità delle conseguenze penali. Quest’ultima teoria soddisfa
l'esigenza di comprendere all'interno della medesima definizione tutte le immunità, di diritto sia
interno sia internazionale, ad efficacia processuale come sostanziale, valorizzando al contempo il
profilo oggettivo legato al rapporto tra l’immunità ed il soggetto che ne fruisce e la funzione svolta,
la quale prescinde dalla peculiarità delle fonti normative. In taluna prospettiva si è autorevolmente
sostenuto che la natura giuridica delle immunità non sarebbe unitaria, dovendosi di volta in volta
individuare l'effetto tipico della situazione esaminata ed il contesto nel quale essa interviene:
l'immunità, allora, può risolversi, in alcune occasioni in una causa di giustificazione, come
conseguenza dell'esercizio delle funzioni svolte dall'agente, in altre come un caso di incapacità
penale o processuale, in altre ancora in una forma di sottrazione alla potestà di coercizione penale.
A riguardo delle immunità c.d. funzionali, occorre tener presente che, se quelle di diritto interno
sono ispirate al bilanciamento tra interessi di segno opposto, quelle di diritto internazionale sono
espressione di altrettanti limiti all'esercizio del potere giurisdizionale”.
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3 Le immunità del diritto
internazionale
Le immunità del diritto pubblico interno interessano: Il Presidente della Repubblica, i
membri del Parlamento e dei Consigli regionali, i Giudici della Corte costituzionale ed i
componenti del C.S.M. Per quanto attiene il Presidente della Repubblica, secondo quanto previsto
dall’art.90 della Costituzione, esso non è responsabile penalmente per gli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, tranne per alto tradimento ed attentato alla Costituzione3. Il
Presidente del Senato della Repubblica, il quale, secondo il dettato della Carta costituzionale,
esercita le funzioni proprie del Presidente della Repubblica, in sua assenza, gode nel periodo
d’interesse, della stessa prerogativa. I membri del Parlamento godono, a norma dell’art. 68 comma
1, di un’immunità di carattere assoluto la quale esclude ogni forma di responsabilità, civile, penale e
disciplinare. Di un’immunità analoga godono le restanti figure ovvero i consiglieri regionali, i
giudici della Corte costituzionale, ed i componenti del C.S.M. Per quanto attiene le immunità in
questione occorre verificare i casi in cui l’istituto viene trattato a livello Costituzionale, ovvero
all’interno della Carta fondamentale dello Stato, nonchè in successive leggi di rango costituzionale.
Un primo rilievo tra le prerogative di diritto interno viene assunto dalla c.d. "immunità
parlamentare", riconosciuta dall'art. 68 della Costituzione ai membri delle Camere di entrambi i
rami del parlamento italiano, al fine di tutelare, dal punto di vista della separazione dei poteri,
l'indipendenza del Parlamento e dei singoli deputati, garantendo a costoro la possibilità di evitare di
subire procedimenti di carattere persecutorio. Nel testo originario l'art. 68 della Costituzione, al
primo comma, prevedeva testualmente: “i membri del Parlamento non possono essere perseguiti per
le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni”; condizionava, quindi, la
sottoposizione del parlamentare al procedimento penale ad un'autorizzazione della Camera di
appartenenza. La norma è stata successivamente modificata per effetto della legge costituzionale n.
3 del 23 ottobre 1993, la quale, nell'abrogare l'istituto dell'autorizzazione a procedere in giudizio,
sostituì, in tema di insindacabilità, l'espressione “non possono essere perseguiti” con “non possono
essere chiamati a rispondere”. In tal modo si ribadì che la prerogativa si estendeva ad ogni tipo di
3
Nel caso in questione il Presidente della Repubblica è messo in Stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune, a
maggioranza assoluta dei suoi componenti, successivamente viene giudicato dalla Corte Costituzionale integrata
come previsto dalla Legge n°20 del 25/01/1962.
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responsabilità penale, civile, amministrativa e disciplinare. Il venir meno dell'immunità processuale
- che, largamente concessa dal Parlamento, aveva determinato, di fatto, una sorta di “insindacabilità
definita indiretta” (mediante la quale l’ambito di applicazione del primo comma dell'art. 68 cost.
veniva in molte occasioni aggirato mediante il reiterato diniego dell'autorizzazione a procedere), ha
reso ancor più attuale la necessità di individuare con assoluta precisione l’operatività della c.d.
insindacabilità. In un primo momento, il legislatore a seguito dell'innovazione costituzionale, è
intervenuto in una materia da sempre riservata alla competenza parlamentare emanando un decreto legge (reiterato per ben 18 volte) contenente misure volte ad attuare il disposto costituzionale del
più volte citato art. 68. Detto decreto legge fu lasciato decadere in ossequio alla sentenza della Corte
Costituzionale (anno 1996), che intese porre un freno alla diffusa prassi della reiterazione dei
decreti-legge emananti in via d'urgenza e poi non convertiti nel termine indicato dall'art. 77 cost.
“La Corte Costituzionale, in una fondamentale sentenza risalente al 1988, ha affermato che la
competenza a pronunziarsi sull'insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati dai membri del
Parlamento spetta alla Camera di appartenenza del soggetto: ciò giacché le immunità parlamentari,
per loro stessa natura, implicano necessariamente un potere da parte dell'organo a tutela del quale
sono disposte. Il giudice delle leggi, nella medesima occasione, ha aggiunto che, l'intervento della
decisione delle Camere preclude all'autorità giudiziaria la possibilità di adottare una pronunzia
difforme (in successiva sentenza, la Corte ha statuito che, in caso di carenza di pronunzia
parlamentare, spetta al giudice ordinario delibare l'applicabilità della norma costituzionale), non
senza precisare che la pronunzia parlamentare è sottoposta al controllo della Corte Costituzionale la
quale, se adita in sede di conflitto di attribuzione, è chiamata a verificare l'assenza di vizi in
procedendo e la sua eventuale arbitrarietà, senza per questo addentrarsi in un non consentito
riesame nel merito della correttezza della valutazione sottesa alla decisione. Per quanto concerne gli
atti parlamentari si sostiene, da un primo punto di vista, che l'art. 68 avrebbe ad oggetto, oltre alle
opinioni
espresse
nell'esercizio
della
funzione
tipicamente
parlamentare
(interpellanze,
interrogazioni, etc.), anche quelle esternate nello svolgimento di attività politica in contesti
extraparlamentari (comizi, riunioni di partito, incontri con la stampa o con gli elettori, ecc.): alla
base di tale concezione vi è l'idea, fondata sulla lettura coordinata e sistematica degli artt. 67 e 68
Cost. ed incentrata sulla esaltazione della qualifica soggettiva, che la guarentigia dell'insindacabilità
serva a liberare gli onorevoli di entrambi i rami del parlamento italiano da eccessive preoccupazioni
circa la loro condotta politica e che la manifestazione di opinioni anche al di fuori delle Camere
costituisca momento essenziale dell'adempimento del mandato. La tesi in esame, minoritaria sia in
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dottrina che nella giurisprudenza di merito, sembra ispirare una certa prassi parlamentare volta a
ricondurre la prerogativa dell'insindacabilità a criteri che, al di là delle affermazioni di principio,
escludono ogni riferimento al luogo fisico nel quale le espressioni (delle quali si contesta, in
prevalenza, il carattere diffamatorio o ingiurioso) sono state profferite, agganciando la tutela
all'attività propriamente parlamentare o al vago concetto di "contesto politico" che finisce con il
ricomprendere, in molti casi, l'intera attività politica del parlamentare. Tale orientamento è criticato
da chi rileva come, eliminando il legame tra l'atto compiuto e la funzione parlamentare, si
riconosca, in spregio ai principi (consacrati a livello di norma super primaria) di uguaglianza e di
diritto alla difesa, un'ingiustificata condizione di privilegio al deputato o senatore rispetto al resto
dei cittadini. Per altro verso, si è detto, che l'estensione dell'insindacabilità agli atti compiuti in sede
extraparlamentare non soddisfa l'esigenza di tutelare il corretto funzionamento delle Camere e si
presta ad abusi e strumentalizzazioni; né l'assenza di vincolo di mandato sancito dall'art. 67 Cost.
può legittimare l'equiparazione tra mandato parlamentare e mandato politico. Di recente, la Corte di
Cassazione ha ribadito che la prerogativa ex art. 68 Cost. va limitata all'esercizio delle funzioni
proprie di membro del Parlamento, sia come singolo sia come componente del Collegio, e si
esaurisce nel compimento, in sede parlamentare o para-parlamentare, degli atti tipici del mandato.
La tesi del c.d. “nesso funzionale” è stata recepita dalla Corte costituzionale che, dopo l'abrogazione
dell'istituto dell'autorizzazione a procedere, è stata più volte chiamata a pronunziarsi sulla ricorrenza
dei presupposti per l'applicazione del primo comma dell'art. 68 Cost. in sede di conflitto
d'attribuzione tra Parlamento e magistratura ordinaria. La Corte, preoccupata di non indulgere verso
indebite intromissioni nelle attribuzioni dei poteri dello Stato, ha costantemente curato di precisare
che il proprio ambito di decisione è circoscritto alla verifica esterna della legittimità della
statuizione parlamentare e non si estende, alla stregua di giudizio d'appello, al suo riesame e, nel
merito, ha definito i presupposti per il riconoscimento dell'insindacabilità, propendendo per
un'interpretazione piuttosto ampia della norma costituzionale che parifica alle opinioni espresse
nell'ambito delle attività funzionali quelle scaturite da attività che delle prime costituiscono
antecedente necessario o divulgazione esterna. La novità dell'indirizzo in discorso s'incentra
essenzialmente nello spostamento sul piano concreto della verifica della correttezza costituzionale
della pronuncia d'insindacabilità e, soprattutto, nella più netta indicazione dei requisiti del nesso
funzionale, che, rileva adesso la Corte, potrà dirsi riscontrato solo ove la dichiarazione incriminata
sia, per sostanziale corrispondenza di contenuti con l'atto parlamentare, espressione dell'attività
parlamentare, non potendosi, al contrario, ritenere sufficiente la mera comunanza di tematiche
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ovvero il collegamento di argomento o di contesto tra le dichiarazioni e la medesima attività.
L'immunità, in questa prospettiva, riguarda l'opinione espressa nell'esercizio della funzione anche se
riprodotta in sede diversa, atteso che il nucleo della tutela non concerne l'occasione specifica in cui
l'opinione è manifestata in ambito parlamentare, ma il suo contenuto storico, anche se diffuso
pubblicamente; ciò, aggiunge la Corte, è tanto più vero se si tiene a mente il fatto che, se la naturale
destinazione alla collettività dei rappresentanti dell'attività e degli atti del Parlamento è funzionale
ad assicurare la massima espansione della libera dialettica politica, è giusto che l'immunità si
estenda a tutte le altre sedi ed occasioni in cui quella data opinione è riprodotta al di fuori dell'agone
parlamentare. Altrettanto logico è che la garanzia dell'immunità sia circoscritta a quel contenuto
storico, per questo, in caso di riproduzione all'esterno della sede parlamentare, deve essere
positivamente riscontrata, in vista del riconoscimento dell'insindacabilità, l'identità sostanziale di
contenuto tra l'opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata extra moenia. Appare
condivisibile, infine, auspicare, visti i risultati raggiunti dall'elaborazione dogmatica e
giurisprudenziale, il superamento dei principi attualmente seguiti in ordine all'individuazione
dell'autorità competente a decidere circa l'applicazione della prerogativa e demandare direttamente
al giudice la valutazione dell'esistenza del nesso funzionale, consentendo al contempo alle Camere
di sollevare conflitto nel caso ritengano che l'autorità giudiziaria non abbia fatto corretto uso del
potere attribuitole. Nel giugno 2008 il Governo Berlusconi IV ha espresso la volontà di proporre un
nuovo disegno di legge riguardante l'immunità per le alte cariche dello Stato. In particolare, la tutela
veniva prevista per le prime quattro (Presidente della Repubblica, Presidente del Senato, Presidente
della Camera dei Deputati, Presidente del Consiglio dei Ministri), facendo rientrare anche il
Presidente del Consiglio, ma escludendo quello della Corte Costituzionale; tale disegno di legge
prese il nome del proponente e fu denominato "lodo Alfano" (all'epoca Ministro della Giustizia). A
parere del ministro, il nuovo provvedimento si differenziava dal lodo Schifani4, che riprendeva in
termini di contenuti, in quanto compatibile con quanto indicato nella sentenza della Corte che aveva
in precedenza dichiarato l'illegittimità costituzionale della parte inerente tematiche simili a quelle
trattate nella nuova legge. Il “lodo Alfano” prevedeva la sospensione dei processi e la possibilità di
proseguire, anche con le azioni civili di risarcimento, a fine legislatura. Il disegno di legge fu
presentato dal Ministro della Giustizia Angelino Alfano e approvato dal Consiglio dei ministri del
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Prevedeva quanto segue: non possono essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti
antecedenti l’assunzione della carica o della funzione fino alla cessazione delle medesime, il Presidente della
Repubblica, il Presidente del Senato, il Presidente della Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio dei Ministri,
il Presidente della Corte Costituzionale.
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Governo in carica in data 26 giugno 2008 «con l'obiettivo di tutelare l'esigenza assoluta della
continuità e regolarità dell'esercizio delle più alte funzioni pubbliche». Il lodo Alfano era costituito
da un solo articolo diviso in otto commi. Analizziamoli dettagliatamente:
a) Salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali nei
confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di
Presidente del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e di
Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla
cessazione della carica o della funzione. La sospensione è applicata anche ai processi
penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione.
b) L'imputato o il suo difensore munito di procura speciale può rinunciare in ogni
momento alla sospensione.
c) La sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti, di
provvedere, ai sensi degli articoli 392 e 467 del codice di procedura penale, per
l’assunzione delle prove non rinviabili;
d) La sospensione opera per l’intera durata della carica o della funzione e non è
reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura né si
applica in caso di successiva investitura in altra delle cariche o delle funzioni;
e) La sospensione opera per l’intera durata della carica o della funzione e non è
reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura né si
applica in caso di successiva investitura in altra delle cariche o delle funzioni;
f) Nel caso di sospensione, non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3, del
codice di procedura penale. Quando la parte civile trasferisce l'azione in sede civile, i
termini per comparire, di cui all'articolo 163-bis del codice di procedura civile, sono
ridotti alla metà, e il giudice fissa l’ordine di trattazione delle cause dando
precedenza al processo relativo all'azione trasferita;
g) Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai processi penali in
corso, in ogni fase, stato o grado, alla data di entrata in vigore della presente legge;
h) La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
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“Il 7 gennaio 2009 furono depositate presso la Corte di Cassazione (secondo quanto sostenuto dagli
organizzatori) un milione di firme di cui 850.000 certificate per l’indizione di un referendum
abrogativo della legge. Il lodo Alfano, introducendo la sospensione di ogni tipo di procedimento
penale a carico del Presidente del Consiglio per tutta la durata del suo mandato, costituisce un
unicum nel panorama legislativo europeo, in cui l'immunità è prevista in genere solo per i
parlamentari e comunque limitatamente all'esercizio delle loro funzioni: i rappresentanti
dell'esecutivo non godono di nessuna agevolazione in questo senso. Il 26 e il 27 settembre 2008 il
pubblico ministero di Milano Fabio De Pasquale sollevò il dubbio di costituzionalità della Legge
nell’ambito di alcuni processi che vedevano coinvolto il Presidente del Consiglio dei Ministri. I
giudici dei processi interessati, accolsero il ricorso del P.M. e presentarono alla Corte costituzionale
la richiesta di pronunciamento sulla costituzionalità della legge. In occasione del giudizio, previsto
per l'ottobre 2009, l'avvocatura dello Stato depositò una memoria di 21 pagine in cui difendeva la
ratio del lodo Alfano paventando il rischio di «danni a funzioni elettive, che non potrebbero essere
esercitate con l'impegno dovuto, quando non si arrivi addirittura alle dimissioni. In ogni caso con
danni in gran parte irreparabili», in caso di bocciatura. La norma venne definita «non solo legittima,
ma addirittura dovuta», perché in grado di coordinare due interessi: quello «personale dell'imputato
a difendersi in giudizio» e «quello generale, oltre che personale, all'esercizio efficiente delle
funzioni pubbliche» delle quattro alte cariche “scudate”. Il 7 ottobre 2009 il Lodo venne giudicato
incostituzionale dalla Corte Costituzionale per violazione sia nel merito che nel metodo,
precisamente il contrasto fu riscontrato con articoli 3 e 138 della Costituzione, motivando tale
decisione con la necessità di una legge costituzionale per introdurre le immunità previste dal lodo
Alfano. Nell'ottobre 2010 la commissione Affari Costituzionali del Senato licenziò un disegno di
legge costituzionale, il quale attraverso una modifica della Costituzione reintrodurrebbe le immunità
previste dal lodo Alfano. Il disegno di legge costituzionale dovrebbe essere approvato secondo
quanto previsto dall’art. 138 della Costituzione. Ultima in ordine di tempo, ma breve per la sua
durata, la legge 7 aprile 2010, n. 51 istituì un legittimo impedimento a comparire in udienza, di tipo
speciale, applicabile unicamente al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri della
Repubblica italiana. La norma in questione fu dichiarata parzialmente illegittima dalla Corte
costituzionale della Repubblica italiana nel gennaio 2011 e poi successivamente abrogata, per tutta
la restante parte rimasta in vigore, con referendum nel giugno 2011.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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I limiti personali dell’applicabilità della legge penale
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4 Le immunità del diritto
internazionale
Le immunità di diritto internazionale si fondano sul diritto internazionale. Esse trovano
riconoscimento negli artt. 10 e 11 della Costituzione e puntuale descrizione in Trattati, Convenzioni
e Protocolli internazionali, in molte occasioni resi esecutivi in Italia attraverso leggi ordinarie.
Occorre non dimenticare che la Convenzione di Vienna del 1961 prevede, all'art. 41, che anche i
soggetti che usufruiscono delle immunità di diritto internazionale sono tenuti a rispettare le leggi e i
regolamenti dello Stato accreditatario. Tra gli istituti principali vanno ricordati:
I
L’immunità c.d. totale, derivante dal diritto internazionale, di cui godono i capi di
Stato esteri ed
i Reggenti. Tale immunità è estesa anche ai familiari in loro compagnia, a
condizione che si trovino in tempo di pace nel territorio italiano;
II
L’immunità riconosciuta al Sacro Pontefice dal Trattato del Laterano il quale, oltre a
riconoscere tale forma di immunità quale “assoluta”, riconosce il Sacro Pontefice come Capo di
Stato estero e Capo della Cristianità. All’interno del trattato tale figura risulta definita come “sacra
ed inviolabile”;
III
L’immunità prevista dalla convenzione di Vienna del 1961 e del 19635, concessa
agli organo di Stati esteri come ad esempio Capi di Governo e Ministri, solo ed esclusivamente per i
fatti commessi nell’esercizio delle loro funzioni;
IV
L’immunità assoluta concessa dall’art.31 della Convenzione di Vienna del
18/04/1961, la quale esenta gli agenti diplomatici, accreditati presso il nostro Stato, da qualsiasi
forma di arresto o detenzione; tale immunità è estesa anche ai familiari conviventi. La prerogativa
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Le immunità dalla giurisdizione previste dalle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e consolari,
ratificate e rese esecutive in Italia con legge 9 agosto 1967 n. 804, non sono limitate ai soli rappresentanti diplomatici
veri e propri. L'art. 43 della Convenzione del 24 aprile 1963 sulle relazioni consolari, infatti, stabilisce, al primo
comma, che anche i "funzionari consolari" e gli "impiegati consolari" non possono essere sottoposti a giudizio dalle
autorità giudiziarie e amministrative dello Stato di residenza per gli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni
consolari. (Sulla scorta del principio di cui in massima, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di
merito che aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione penale per il fatto compiuto dall'imputato - e ritenuto
integrare la contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. - nell'esercizio delle funzioni di sovrintendente del cimitero
militare americano di Nettuno e di membro della missione diplomatica degli Stati Uniti).
Corte di Cassazione Sez. I, sent. n. 469 del 19-01-1993
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in questione, è concessa anche agli inviati dei Governi, oltre che agli agenti diplomatici, presso la
Santa Sede, così come previsto dall’art. 19 del Trattato del Laterano. Particolari forme di immunità,
definite funzionale, sono concesse anche al personale tecnico – amministrativo, delle missioni, ed è
estesa anche ai familiari conviventi;
V
L’immunità riconosciuta da convenzioni spettante ai consoli ed agenti consolari. Da
atti internazionali deriva anche l’immunità funzionale dei membri delle istituzioni specializzate
dell’O.N.U. e dei rappresentanti delle Nazioni Unite;
VI
L’immunità riconosciuta ai Giudici dell’Aja e, quella più circoscritta, in favore dei
Giudici della Corte Europea dei diritti dell’uomo.
VII
Le immunità riconosciute ai membri del Parlamento Europeo, uguali a quelle
riconosciute nei Paesi di appartenenza6;
VIII L’immunità di cui godono i membri di reparti o corpi di truppe straniere i quali, previa
autorizzazione, si trovino all’interno dello Stato. La stessa immunità è garantita ai membri, nonché
alle persone al seguito della N.A.T.O.7
IX
Le prerogative ed immunità succitate non escludono che le persone cui esse sono
riconosciute rispondano dei loro atti/fatti nei confronti delle leggi dello Stato di provenienza.
6
7
Art.10 del Protocollo di Bruxelles del 1965;
Convenzione del 15/06/1951, stipulata tra i membri N.A.T.O.;
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Bibliografia
 Diritto & Diritti ISSN 1127-8579 Direttore Francesco Brugaletta
P.I.01214650887
 C. Fiore , Diritto Penale parte generale volume primo, Torino, UTET, 1999 ristampa ISBN
88-02-04719-7
 L.124/08 "Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte
cariche dello Stato" sul sito della Camera dei Deputati
 Giupponi, T. F., La tutela delle alte cariche dello Stato i nodi irrisolti nei rapporti tra politica
e giustizia, forumcostituzionale.it, 12/2008
 Strinati, V., Marci, S., (cur.) Disegno di legge A.S. n.903 "Disposizioni in materia di
sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato", Servizio Studi
del Senato, luglio 2008
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