La filiera corta - Newsletter di Sociologia
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La filiera corta - Newsletter di Sociologia
La filiera corta Domenica 07 Novembre 2010 di Cinzia Paradiso* Presenteremo l’esperienza della filiera corta [1] agroalimentare nel contesto italiano attraverso l’analisi dei dati, della letteratura e delle normative più recenti. Per comprendere l’evoluzione della vendita diretta (“filiera corta”) è necessario riferirsi al macro-scenario entro cui si sono sviluppate le attuali forme di vendita nel settore agroalimentare: infatti, negli ultimi decenni l’intero sistema agroalimentare è stato caratterizzato da profondi mutamenti in conseguenza dei complessi processi di riorganizzazione che hanno riguardato i modelli di produzione e di consumo. 1. Le trasformazioni nel settore agroalimentare: l’evoluzione delle “filiere” I meccanismi di modernizzazione e di globalizzazione dei mercati e degli scambi commerciali, uniti ai cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, hanno reso evidenti alcune nuove necessità: modulare l’offerta in base ai nuovi bisogni e alle nuove domande provenienti dal mercato globale e dai diversi segmenti della popolazione è divenuto un imperativo sociale a cui gli attori coinvolti devono far fronte sinergicamente su più livelli (economico, politico e sociale), e su diverse scale di grandezza (comunitario, nazionale e locale) La vendita diretta dei prodotti agricoli, o di prima trasformazione, rappresenta la forma più antica di commercializzazione: prima dell’avvento della Rivoluzione industriale, l’unica modalità di vendita prevedeva il rapporto diretto tra produttore e consumatore e, a cavallo tra ‘800 e ‘900, l’intero assetto sociale, economico e culturale ha subito radicali trasformazioni. Tra tutte, l’industrializzazione e l’urbanizzazione hanno ridisegnato i rapporti socio-economici con delle ricadute importanti sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Da un lato, infatti, l’urbanizzazione ha accentuato il distacco, sia fisico che simbolico, tra produttori e consumatori; dall’altro, l’industrializzazione ha permesso lo sviluppo dell’industria agro-alimentare e la commercializzazione dei suoi prodotti, dapprima attraverso la vendita al dettaglio da parte di terzi (diversi dai produttori agricoli) e in un secondo momento attraverso la Grande Distribuzione Organizzata, la GDO. Con l’inizio del Ventunesimo secolo le avanguardie culturali (prima ancora delle trasformazioni in ambito economico) hanno stimolato la riscoperta del rapporto diretto tra produttori e consumatori, attribuendo alla filiera corta nuove connotazioni e significati. Se l’avvento dell’industrializzazione aveva relegato in una posizione di marginalità la vendita diretta, portando con sé il passaggio alle filiere lunghe, caratterizzate da più passaggi tra il produttore e il consumatore, le logiche di mercato hanno portato alla standardizzazione dei prodotti, implicando la riduzione del legame tra processi produttivi e i relativi contesti territoriali. Lo sviluppo e l’espansione delle filiere lunghe ha avuto un notevole impatto sull’assetto socio-economico globale e gli innumerevoli costi sociali, economici, ambientali e culturali ad esse connesse non hanno tardato a emergere. Possiamo individuare, in sintesi, le principali criticità delle filiere lunghe, sintetizzandole nei seguenti elementi: - la perdita del potere decisionale e la riduzione dei redditi dei contadini; - le difficoltà di accesso al mercato da parte delle piccole e medie imprese; - l’elevato impatto ambientale dovuto alle tecniche di produzione intensive e ai trasporti su grandi distanze; - la standardizzazione dei prodotti e quindi la perdita della ricchezza e delle varietà, nonchè 1/5 La filiera corta Domenica 07 Novembre 2010 l’impoverimento della loro qualità organolettica e nutrizionale (in senso lato l’erosione della biodiversità); - le periodiche crisi di carattere globale riguardanti l’alimentazione umana e animale che si sono presentate negli anni ’90 (tra tutte gli allarmi per il caso della diossina e della BSE, la Bovine Spongiform Encephalopathy o “malattia della mucca pazza”, che hanno destato l’attenzione dei media internazionali, divenendo un problema sociale); - i costi culturali e sociali subiti dalla separazione (non solo fisica ma anche simbolica) del legame tra territorio e prodotti alimentari, i cui effetti si manifestano sul tessuto sociale, economico e culturale. Parallelamente all’evolversi di questi fenomeni e in relazione agli effetti negativi che ne sono derivati, gli ultimi decenni sono stati caratterizzati dalla diffusione di strategie alternative [2] alla standardizzazione della produzione e all’omogeneizzazione dei gusti alimentari: la filiera corta è una di queste, e rappresenta un tentativo di riduzione delle esternalità negative derivate dai “sistemi di produzione della quantità”. 2. La filiera corta: canali di vendita e dati Nel Novecento le prime tracce dell’intenzione di normare il commercio al dettaglio si trovano con il Regio decreto legge 2174 del 16 dicembre 1926: nel corso dei decenni le normative sul commercio e sulla vendita diretta si sono evolute registrando modifiche legate anche alle direttive comunitarie. Il decreto MIPAAF del 20 novembre 2007 (Attuazione dell’articolo 1, comma 1065, della legge 296 del 27 dicembre 2006 sui mercati riservati all’esercizio della vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli) ha introdotto alcune importanti novità e conferito rinnovato impulso al ruolo della vendita diretta. Inoltre il 1° marzo 2010 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo schema di legge recante norme per la valorizzazione dei prodotti agricoli provenienti da filiera corta e di qualità: esso deve ottenere l’approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni, ma è già un elemento rilevante che esprime interesse da parte degli attori politici e dagli stakeholders coinvolti. Le novità normative in questa materia impongono una nuova riflessione per comprendere il ruolo della filiera corta sia per i produttori agricoli che per i consumatori. Filiera corta significa sostanzialmente vendita diretta dei produttori agricoli senza intermediazioni e con accesso diretto al mercato finale. I canali di vendita diretta sono molteplici ed esprimono le diverse declinazioni e significati che essa può assumere: in Italia i più diffusi, nell’ordine, sono il locale aziendale, le sagre e le manifestazioni locali, il negozio aziendale, i farmer’s market, le consegne a domicilio, la vendita ambulante, il negozio in città, e infine l’e-commerce, ancora poco sviluppato. I dati forniti dall’“Osservatorio Internazionale sulla vendita diretta nelle aziende agricole" [3 ] relativi al 2009, sottolineano la crescita del fenomeno: tra il 2008 e il 2009 le aziende con vendita diretta sono aumentate del 4,7%, passando da 60.700 alle attuali 63.600 unità. I dati dal 2001 al 2009 mostrano che in questo arco di tempo il fenomeno è cresciuto del 64% confermando l’interesse crescente sia da parte degli agricoltori che dei consumatori che esprimono “nuove” esigenze e sensibilità. Risulta in crescita anche il peso delle aziende che utilizzano la vendita diretta come canale privilegiato (sul totale delle aziende agricole italiane iscritte alla Camera di Commercio): se nel 2/5 La filiera corta Domenica 07 Novembre 2010 2008 si era registrata un’incidenza del 6,7%, il 2009 ha visto una crescita dello 0,7%. Tale crescita sembra testimoniare la maggiore tenuta delle aziende agricole che affidano la vendita dei prodotti a circuiti di commercializzazione brevi rispetto a quelle che si rivolgono alla grande distribuzione. Disaggregando il dato per aree geografiche, il Nord Ovest mostra la maggiore incidenza del fenomeno (11,7%), seguito dal Centro (10%), dal Nord Est (6,9%). Il Sud è in coda con un’incidenza stabile (4,6%): il peso minore della vendita diretta in quest’area geografica è imputabile probabilmente al carattere del fenomeno poco o per nulla strutturato e informale (sfuggendo quindi alle statistiche) e all’occasionalità con cui viene effettuato. Il confronto dei dati relativi al 2008 e al 2009 sembra testimoniare un andamento dicotomico: si presenta una maggiore crescita nelle aree in cui il fenomeno della vendita diretta è più consolidato, mentre si registra una contrazione in quelle caratterizzate dalla diffusione di altri canali di vendita. L’analisi dei dati relativi al 2009 mostra come le aziende che ricorrono ai canali brevi di commercializzazione siano spinti a diversificare la propria offerta di prodotti. Inoltre, se il vino e i prodotti ortofrutticoli hanno tradizionalmente una vocazione alla vendita diretta, si registra una crescita dei circuiti brevi di vendita da parte di nuove tipologie di prodotti in cui rientrano i succhi di frutta, le conserve vegetali, i legumi in sacchetto e i cereali. Il vino e i prodotti ortofrutticoli confermano il proprio primato tra i prodotti maggiormente venduti attraverso la vendita diretta (rispettivamente 34% e 30%), pur presentando una leggera contrazione: seguono i formaggi (15,8%), l’olio d’oliva (13,1%), le piante ornamentali (12,6%), carni e salumi (8,8%), miele (7,9%) e le conserve (6%). Il latte fresco presenta una quota pari al 4,3% mostrando la crescita del fenomeno, mentre gli altri prodotti non superano il 3%. 3. Alcune considerazioni sulla filiera corta Abbiamo delineato lo scenario entro cui si è sviluppato il “ritorno” alla vendita diretta, anche se sarebbe più opportuno parlare di ri-valorizzazione dei circuiti brevi di commercializzazione. Negli ultimi anni si è infatti ri-presentato questo fenomeno, antico per tradizione, ma con nuove e diverse connotazioni economiche, sociali, culturali e territoriali. Il fenomeno è in crescita, ma rispetto al passato copre una piccola quota del mercato italiano e si esprime sotto molteplici forme nei diversi contesti europei e globali. La filiera corta può essere portatrice di significativi vantaggi per il territorio e lo sviluppo locale e le ricadute si esprimono sia a livello micro sia macro. Migliore reddito per i produttori (che hanno la possibilità di trattenere il valore aggiunto altrimenti ceduto a soggetti terzi), riduzione dei vincoli imposti da industria e grossisti (GDO), utilizzo e valorizzazione del lavoro famigliare, sostenibilità ambientale e sociale, risparmio energetico, ingresso per la costruzione di capitale sociale, rivitalizzazione delle aree rurali, esempio di un “nuovo” modello per lo sviluppo rurale e locale, maggiore qualità del cibo (certezza sull’origine, qualità organolettica, freschezza, sicurezza, tipicità, qualità specifiche (per esempio biologiche, antiche, scomparse…) e cibo non omologato sono solo alcune delle possibili e/o effettive ricadute della filiera corta. Bisogna però prestare attenzione anche alle possibili criticità intrinseche alle filiera corta: il mercato è caratterizzato da tempi molto veloci, ma la filiera corta implica la sensibilizzazione di produttori e consumatori ad essere sostenibili (ad esempio nei loro modi di consumo), consapevoli e responsabili. I tempi “culturali” sono per definizione più lunghi rispetto alle logiche di mercato. Inoltre con la filiera corta si demandano nuovamente ai contadini una molteplicità di competenze e di funzioni (nella logica della multifunzionalità aziendale [4] ) a cui molti potrebbero 3/5 La filiera corta Domenica 07 Novembre 2010 non essere preparati. È necessario quindi lasciare da parte apologie trionfalistiche: la filiera corta può essere un utilissimo strumento con ricadute positive sul territorio a patto che si mantenga coerenza e pianificazione. Essa si esprime in molteplici forme ed è fondamentale un lavoro sinergico e serio, perché ogni territorio, per sua definizione, esprime necessità differenti. * Assegnista di ricerca presso il Ceris-CNR di Moncalieri. [1] Il Ceris-CNR di Moncalieri sta avviando un filone di ricerca nel settore agroalimentare, andando ad arricchire la già consolidata esperienza nel settore agroindustriale. [2] In letteratura si parla di Alternative Food Network (AFN). Quest’espressione sottolinea l’alterità di questi sistemi di distribuzione rispetto a quelli considerati convenzionali che rientrano nel modello industriale. Si vedano ad esempio Cavazzani (2010), Raffaelli, Coser, Gios (2009), Lazzarin e Giardini (2007), Holloway et al. (2006), Sonnino e Marsden (2006), Murdoch et al. (2000), Cembalo et al. (2002). [3] Agri2000-Coldiretti, Osservatorio internazionale sulla vendita diretta nelle aziende agricole, Quarta Edizione 2009. [4] Aimone S., Cassibba L., Cagliero R., Milanetto L., Novelli S., Multifunzionalità dell’azienda agricola , Quaderni di Ricerca 111-Ires Piemonte, 2006. Riferimenti bibliografici Agri2000-Coldiretti, Osservatorio internazionale sulla vendita diretta nelle aziende agricole, Quarta Edizione 2009. Aimone S., Cassibba L., Cagliero R., Milanetto L., Novelli S., Multifunzionalità dell’azienda agricola , Quaderni di Ricerca 111-Ires Piemonte, 2006. Cavazzani A., Altra agricoltura e reti alternative, Appunti della relazione presso la Summer School di Sviluppo Locale, Seneghe (OR), 19-24 luglio 2010. Halloway et al., Managing sustainable farmed landscape through “alternative” food networks: a case study from Italy , The Geographical Journal, 172(3): 219-229, 2006. Lazzarin C., Giardini C., Vendita diretta, un business in crescita, Informatore agrario, n. 1, gennaio 2007. Murdoch J., Marsden T., Banks J., Quality, nature and embeddeness: some theoretical considerations in the context of the food sector , Economic Geography, 76(2): 107-125, 2000. Raffaelli R., Coser L., Gios G., Esperienze di filiera corta nell’agro-alimentare: un’indagine esplorativa in provincia di Trento , Economia agro-alimentare, n. 1-2009. Sonnino R., Marsden T., Beyond the divide: rethinking relathioships between alternative and conventional food networks in Europe , Journal of Economic Geography, 6(2):181-199, 2006. Link Consultati 4/5 La filiera corta Domenica 07 Novembre 2010 www.politicheagricole.it www.parlamento.it 5/5