I primi passi della geometria birazionale
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I primi passi della geometria birazionale
I primi passi della geometria birazionale Enrico Rogora 21 dicembre 2014 1 Le trasformazioni birazionali Trasformazioni razionali del piano Una trasformazione razionale del piano proiettivo φ : P2 99K P2 è una trasformazione del tipo (x0 , x1 , x2 ) 99K (F0 (x0 , x1 , x2 ), F1 (x0 , x1 , x2 ), F2 (x0 , x1 , x2 )) dove F0 , F1 , F2 sono tre polinomi omogenei dello stesso grado, che assumiamo linearmente indipendenti. Il punto generico dell’immagine ha al più n2 controimmagini. Infatti, supponiamo che (λ0 , λ1 , λ2 ) appartenga all’immagine di φ e sia s = λ1 /λ0 e t = λ2 /λ0 . Un punto (y0 , y1 , y2 ) sta nella controimmagine di (λ0 , λ1 , λ2 ) se è soluzione del sistema F1 (y0 , y1 , y2 ) − sF0 (y0 , y1 , y2 ) = 0 F2 (y0 , y1 , y2 ) − tF0 (y0 , y1 , y2 ) = 0 senza essere contemporaneamente soluzione del sistema F0 (y0 , y1 , y2 ) = 0 F1 (y0 , y1 , y2 ) = 0 F2 (y0 , y1 , y2 ) = 0 Le soluzioni del primo sistema sono le intersezioni di due curve di grado n, quindi per il teorema di Bezout sono n2 . A queste, per determinare la fibra della trasformazione razionale sopra al punto generico dell’immagine, vanno tolte le soluzioni del secondo sistema, che definisce il luogo base della trasformazione, dove la trasformazione non è definita. È possibile associare ad una mappa razionale una utile interpretazione geometrica, che risulterà particolarmente efficace per studiare le trasformazioni birazionali. Consideriamo la rete di curve Φ definita dalle equazioni 1 λF0 + µF1 + νF2 . Se P descrive una curva Φ del fascio, T (P ) descrive una retta e quindi la rete delle curve Φ è la controimmagine del sistema lineare di tutte le rette del piano. Il grado di una rete Φ è il numero delle intersezioni di due curve generali di Φ, fuori dal luogo base. Il grado della rete è quindi il numero delle controimmaginI di un punto. Definizione Una rete di curve piane si dice omaloide se ha grado uno. Una rete omaloide determina una trasformazione birazionale. Si noti che una trasformazione birazionale del piano non è una trasformazione biunivoca su tutto il piano. Lo diventa togliendo al dominio e al codominio l’unione di un numero finito di curve. In una trasformazione omaloide le rette del dominio si trasformano in particolari curve di grado n del condominio, dove n è l’ordine della rete, cioè il grado delle curve della rete. La trasformazione quadratica L’esempio più semplice di trasformazione birazionale, a parte le proiettività, è la trasformazione quadratica, studiata per la prima volta da Poncelet. Sia φ : P2 99K P2 l’applicazione razionale definita dai polinomi F0 = x1 x2 , F1 = x0 x1 , F2 = x0 x1 . Fuori dai triangoli x0 x1 x2 = 0 la trasformazione è biiettiva. Inoltre contrae la retta x0 = 0 sul punto (1, 0, 0), la retta x1 = 0 sul punto (0, 1, 0) e x2 = 0 su (0, 0, 1). Vicevresa, la trasformazione scoppia il punto (1, 0, 0) sulla retta x0 = 0, nel senso che il punto (1, αt, βt) viene trasformato nel punto (αβt, β, α) e quindi, quando t tende a zero, nel punto (0, α, β). I punti della retta x0 = 0 rappresentano quindi l’intorno infinitesimo del primo ordine del punto (1, 0, 0), dove la trasformazione non è definita. Questa trasformazione risulta essere molto utile per studiare le singolarità delle curve piane. Se una curva ha un punto singolare in (1, 0, 0), la sua immagine attraverso la trasformazione ha singolarità più semplici. Iterando la trasformazione è possibile trasformare una curva piana qualsiasi in una curva dotata di soli punti multipli ordinari, cioè a tangenti principali distinte. Estratto da Cremona: sulle trasformazioni geometriche delle curve piane, 1864 I signori Magnus e Schiaparelli, l’uno nel tomo 8.◦ del giornale di Crelle, l’altro in un recentissimo volume delle Memorie dell’Accademia scientifica di Torino, cercarono le formole analitiche per la trasformazione geometrica di una figura piana in un’altra pur 2 piana, sotto la condizione che ad un punto qualunque dell’una corrisponda un sol punto nell’altra, e reciprocamente a ciascun punto di questa un punto unico di quella (trasformazione di primo ordine). E dall’analisi de’ citati autori sembrerebbe doversi concludere che, nella più generale ipotesi, alle rette di una figura corrispondono nell’altra coniche circoscritte ad un triangolo fisso (reale o no); ossia che la più generale trasformazione di primo ordine sia quella che lo Schiaparelli appella trasformazione conica. Ma egli è evidente che applicando ad una data figura più trasformazioni coniche successive, dalla composizione di queste nascerà una trasformazione che sarà ancora di primo ordine, benché in essa alle rette della figura data corrisponderebbero nella trasformata, non già coniche, ma curve d’ordine più elevato. In questo breve scritto mi propongo di mostrare direttamente la possibilità di trasformazioni geometriche di figure piane, nelle quali le rette abbiano per corrispondenti delle curve di un dato ordine qualsivoglia. Stabilisco dapprima due equazioni che devono aver luogo fra i numeri de’ punti semplici e multipli comuni a tutte le curve che corrispondono a rette. . . . Domando: quali linee di una figura corrispondono alle rette dell’altra? Sia n l’ordine della linea che nel piano P’ (o P) corrisponde ad una qualsivoglia retta del piano P(o P’). Siccome una retta del piano P è determinata da due punti a,b, cosı̀ i due punti corrispondenti a’,b’ del piano P’ basteranno a individuare la linea che corrisponde a quella retta. Dunque le linee di una figura corrispondenti alle rette dell’altra formano un tal sistema che per due punti dati ad arbitrio passa una sola di esse ; cioè quelle linee formano una rete geometrica dell’ordine n. condizioni; Una linea dell’ordine n è determinata da n(n+3) 2 dunque le linee di una figura corrispondenti alle rette dell’altra sono soggette ad n(n + 3) (n − 1)(n + 4) −2= 2 2 condizioni comuni. Due rette di una figura hanno un solo punto comune a, da esse determinato. Il punto a’ corrispondente di a, apparterrà alle due linee di ordine n che a quelle due rette corrispondono. E siccome queste due linee devono individuare il punto a’ cosı̀ le 3 loro rimanenti n2 − 1 intersezioni dovranno essere comuni a tutte le linee della rete geometrica suaccennata. Sia xr il numero de’ punti (r)pli (multipli secondo r) comuni a queste linee; siccome un punto (r)plo comune a due linee equivale ad r2 intersezioni delle medesime, cosı̀ avremo evidentemente: x1 + 4x2 + 9x3 + · · · + (n − 1)2 xn−1 = n2 − 1 (1) Gli x1 + x2 + · · · + xn−1 punti comuni alle linee della rete costicondizioni che la determinano. Se una linea tuiscono le (n−1)(n+4) 2 deve passare r volte per un punto dato, ciò equivale ad r(r+1) 2 condizioni; dunque; x1 + 3x2 + 6x3 + · · · + n(n − 1) (n − 1)(n + 4) xn−1 = 2 2 (2) Le equazioni (1) e (2) sono evidentemente le sole condizioni alle quali debbano soddisfare i numeri interi e positivi x1 , x2 , x3 , . . . , xn−1 . Esempi. Per n = 2, le equazioni (1) e (2) si riducono all’unica: x1 = 3, cioè alle rette di una figura corrisponderanno nell’altra curve di second’ordine circoscritte ad un triangolo. È questa la cosı̀ detta trasformatione conica considerata da Steiner, da Magnus e da Schiaparelli. Per n = 3, si ha dalle (1), (2): x1 = 4, x2 = 1, cioè alle rette di una figura corrisponderanno nell’altra curve di terz’ordine aventi tutte un punto doppio e quattro punti semplici comuni. Per n = 4, le (1), (2) divengono: x1 + 4x2 + 9x3 = 15, x1 + 3x2 + 6x3 = 12, le quali ammettono le due soluzioni: 1.a x1 = 3, x2 = 3, x3 = 0 2.a x1 = 6, x2 = 0, x3 = 1. Fra tutte le diverse trasformazioni corrispondenti a un dato valore di n ve n’ha una che può dirsi la più semplice, perchè in essa le 4 curve d’ordine n che corrispondono alle rette della figura proposta hanno in comune null’altro che un punto (n-1)plo e 2(n-1) punti semplici. Di questa speciale trasformazione si è occupato un abilissimo geometra francese, il sig. Jonquières, il quale ne ha messe in luce parecchie eleganti proprietà e ne ha fatta applicazione alla generazione di una certa classe di curve gobbe. Ora io mi propongo di mostrare che lo stesso metodo e le stesse proprietà si possono estendere anche alle trasformazioni che corrispondono a tutte le altre soluzioni delle due equazioni che ho accennate. E per tal modo si acquisterà anche un mezzo facile per la costruzione di altrettante classi di curve gobbe. 2 Geometria e numeri complessi Le rappresentazioni reali dei punti di una curva algebrica e le superficie di Riemann Ad una funzione reale di una variabile reale si può associare il grafico che permette di vedere le proprietà principali della curva, almeno quando la curva risulta essere continua. Anche ad una funzione reale di due variabili reali F (x, y) possiamo associare il luogo dei punti le cui coordinate verificano l’equazione. Anche nel campo complesso si può associare ad una funzione F (z) e a un’equazione G(z, w) = 0 un sottoinsieme di C2 , ma a differenza del caso reale, tale oggetto non può essere immediatamente visualizzato nello spazio tridimensionale. In questo paragrafo vedremo come Riemann concepisce il grafico di una funzione analitica o il luogo dei punti di una curva algebrica come una superficie reale, la superficie di Riemann della funzione o della curva. La superficie di Riemann è un oggetto intrinseco, munito di una struttura analitiche che permette di definire la nozione di funzione mesomorfa, di forma differenziale ecc. in maniera da estendere l’analisi complessa a questi oggetti, in maniera analoga a come Riemann aveva esteso le costruzioni della geometria elementare alle varietà differenziali munite di un tensore metrico. In questa sezione ci limiteremo a considerare esclusivamente la topologia di una superficie si Riemann. Enriques, La costruzione della superficie di Rieman di un’equazione algebrica, tratto da [?] Una curva algebrica f (xy) = 0, concepita come luogo di punti reali e immaginari, costituisce una serie doppiamente infinita di elementi, che si può rappresentare come una superficie. Questa rappresentazione reale può essere ottenuta in vari modi. 5 Anzitutto ponendo x = x1 + ix2 y = y1 + iy2 e separando in f le parti reale e immaginaria: f (x1 + ix2 , y1 + iy2 ) = f1 (x1 x2 y1 y2 ) + if2 (x1 x2 y1 y2 ), si ottiene nello spazio a quattro dimensioni (x1 x2 y1 y2 ) una superficie rappresentata dalle equazioni f1 = 0, f2 = 0, della quale si hanno a considerare soltanto i punti reali; questa superficie, i cui punti reali corrispondono ai punti reali e immaginari della curva f (xy) = 0, può anche venire proiettata (da un punto esterno) nello spazio ordinario a tre dimensioni, ed ognuna delle proiezioni cosı̀ ottenute porge ancora una rappresentazione reale della curva f (xy) = 0. Anche senza ricorrere a considerazioni iperspaziali, si riesce a costruire direttamente una superficie cui punti corrispondono in modo biunivoco e continuo alle coppie di valori x e y definite dall’equazione f (xy) = 0. Infatti Riemann1 , a cui è dovuta la rappresentazione delle soluzioni reali e complesse della f (xy) = 0 sopra un continuo a due dimensioni, è giunto allo scopo colla costruzione di superficie composte di più fogli sovrapposti, nel modo che qui vogliamo brevemente illustrare. Si consideri dapprima l’equazione algebrica y 2 = f (x) = (x − a1 )(x − a2 ) . . . (x − am ); essa vale a definire una funzione a due rami p y(x) = ± f (x). I detti rami vengono scambiati fra loro per un giro chiuso della x che comprenda uno o un numero dispari di punti di diramazione ai ; per conseguenza un giro esterno un cerchio sufficientemente grande che comprenda tutti i punti a1 . . . am vale a dire un giro intorno al punto all’infinito, produce o no lo scambio dei due 1 Theorie der Abel’schen Functionen, (1857). (Cfr. Werke, p. 84). 6 rami di y(x) secondoché m è dispari o pari: quindi se m è disparisi aggiunge ai punti di diramazione a1 . . . am anche il punto all’infinito; questo caso si riduce al caso in cui m è pari con una trasformazione lineare sulla x. Ponzassi per semplicità che m sia pari e cosı̀ la y(x) possegga soltanto i punti di diramazione al finitoa1 , . . . , am . Per quanto abbiamo detto, il piano della variabile complessa x non porge una rappresentazione delle soluzioni (xy) dell’equazione y 2 = f (x), perché in ogni punto x sono, per cosı̀ dire, deposti due valori delle y(x); per ovviare all’inconveniente viene l’idea di considerare due piani fogli sovrapposti, sopra ciascuno dei quali si depongono i valori di uno dei due rami; ma non è possibile ottenere in tal guisa una rappresentazione adeguata allo scopo, imperocché le coppie(xy) formano un continuo inseparabile, permutandosi, come si è detto, i due rami di y(x) per giri chiusi delle x; cosı̀ appare la necessità di collegare fra loro due fogli, stabilendo opportune convenzioni circa il passaggio dall’uno all’altro, in corrispondenza ai movimenti di x nel proprio piano. Un sistema di convenzioni rispondenti allo scopo può essere stabilito come segue. A partire da un punto generico, o, del piano delle x, si eseguiscano dei tagli, per esempio rettilinei, lungo linee congiungenti o coi punti di diramazione ai , le quali non si traversino tra loro. Questo sistema di tagli supponendosi eseguito, accade che un qualunque giro chiuso della x (non potendo attraversare un taglio, né quindi involgere alcun punto di diramazione) non produce alcuno scambio fra i due rami della y(x). Ora immaginiamo di deporre i due valori della y(x) sopra due piani sovrapposti al piano delle x su cui vengano eseguiti i medesimi tagli; finché la x si muove senza attraversare uno dei tagli, i due rami y si muovono nei rispettivi fogli senza passaggio dall’uno all’altro; sugli orli opposti di un medesimo taglio si trovano deposti valori della y uguali e di segno contrario, giacché il passaggio dall’uno all’altro casi effettua per mezzo di un giro chiuso della x attorno ad un punto di diramazione, aumentando (o diminuendo) l’argomento di f di 2π. Ciò posto i due fogli, su cui vengono rappresentati i due rami della y(x), debbono naturalmente collegarsi lungo i tagli, saldando ciascun orlo del primo foglio all’orlo dell’altro su cui vengono deposti i medesimi valori della x; cosı̀ quando la x attraversa un taglio si passa con la y da un foglio all’altro. Il modo del passaggio può essere reso evidente con un modello: si ha una superficie a due fogli orizzontali che si traversano lungo 7 una linea doppia, e l’annessa figura ne porge la sezione verticale, perpendicolare ad un taglio. Sezione normale della superficie di Riemann della radice quadrata. Proiezione tridimensionale della superficie di Riemann della radice quadrata vicino al punto (0, 0). La superficie a due fogli cosı̀ costruita rappresenta senza eccezione il continuo (xy) definito dalla equazione y 2 = f (x) , e dicesi superficie di Riemann relativa alla funzione algebrica y(x), od anche alla curva y 2 = f (x). La superficie di Riemann di una curva algebrica, costruita con l’artificio riemanniano di connettere n fogli, considerata come una superficie topologica reale bidimensionale compatta e orientabile. È quindi omeomorfa a un toro con g buchi. Alberto Tonelli, in un lavoro poco conosciuto, e successivamente Clifford, in un articolo del 1877, mostrano come associare ad una curva iperellittica di equazione y 2 = f (x), con f (x) di grado 2p un toro con p buchi omeomorfo alla superficie di Riemann della curva e successivamente estendono la costruzione ad una curva di genere p qualsiasi. La costruzione è spiegata in [11], pp. 382-383. 8 I punti reali della curva y 2 = x(x−1)(x−2)(x−3), in nero nella figura, si possono ottenere deformando con continuità la sezione reale di un toro, superficie topologica di genere uno, in nero e rosso nella figura. 3 Funzioni ellittiche Calcolo della lunghezza d’arco di una curva Il problema del calcolo della lunghezza d’arco di una curva è alla base della teoria delle funzioni ellittiche. Se una curva è il grafico di una funzione derivabile y = f (x), sopra a un dato intervallo [a, b], la sua lunghezza è Z bq 1 + (f 0 (x))2 dx a Nel caso della circonferenza di equazione x2 + y 2 = 1 si tratta di calcolare Z t 1 √ dx, 1 − x2 0 che si può integrare facilmente con la funzione arcoseno, mentre nel caso 2 2 dell’ellisse di equazione xa2 + yb2 = 1 (con a ≥ b) si tratta di calcolare Z 0 2 t a2 − e 2 x 2 p dx (a2 − x2 )(a2 − e2 x2 ) 2 dove e2 = a a−b definisce l’eccentricità e dell’ellisse. In questo caso però non 2 esistono funzioni elementari (composizioni di funzioni razionali, esponenziali, trigonometriche e loro inverse) per esprimere l’integrale. Mentre il primo integrale si può esprimere 9 Integrali ellittici A cominciare dal termine del secolo dicassettesimo, diversi matematici, tra cui specialmente Giacomo e Giovanni Bernoulli2 , affrontarono il problema più generale di risolvere integrali del tipo Z p(x) p dx q(x) dove p(x) e q(x) sono polinomi con grado di q(x) maggiore o uguale a tre. Viste le difficoltà di effettuare l’integrazione, cominciò a formarsi l’idea che tali integrali non fossero, in generale, calcolabili utilizzando combinazioni algebriche finite di sole funzioni elementari cioè funzioni razionali, trigonometriche, esponenziali e loro inverse. Ciò fu dimostrato definitivamente da Liouville nel 1833. Lagrange, sugli integrali ellittici Nel 1784 G. Lagrange definisce un integrale ellittico come un integrale della forma Z R(x, y)dx, ove R(x, y) è una funzione razionale e y 2 = a0 x4 + 4a1 x3 + 6a2 x2 + 4a3 x + a4 è un polinomio a radici distinte (senza escludere la possibilità che sia a0 = 0, nel qual caso a1 6= 0). Lagrange mostra come essi si possano sempre ridurre ad una somma di espressioni elementari e di un integrale del tipo: Z N (x)dx p (1 ± p2 x2 )(1 ± q 2 x2 ) dove N (x) è una funzione razionale di x2 e p eq sono numeri reali con p > q. Legendre e la riduzione alle forme canoniche I primi risultati di Legendre sugli integrali ellittici risalgono al 1786, anno in cui egli presentò all’Accademia delle Scienze di Parigi la Mémoire sur l’intégration par arcs d’ellipse et sur la comparation de ces arcs. La memoria più importante sull’argomento delle funzioni trascendenti è però la Mémoire sur les trascendantes elliptiques che presentò all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1793. In 2 Giacomo Bernoulli si pose il problema dell’integrazione dell’arco di ellisse e dell’arco di lemniscata, la curva di equazione cartesiana (x2 + y 2 )2 + x2 − y 2 , che conduce all’integrale R dt √ , e che divenne particolarmente importante a seguito delle ricerche di Fagnano. 1−t4 10 questa memoria, Legendre, si propone di confrontare tra loro tutte le trascendenti ellittiche, di classificarle in differenti specie, riducendole alla forma più semplice possibile e di determinare il metodo più facile e rapido per il loro calcolo approssimato. Il risultato principale di questa memoria è che ogni integrale ellittico è sempre riconducibile all’integrale di una funzione razionale, più la somma di integrali dei seguenti tre tipi: Z F = dx p (1 − x2 )(1 − k 2 x2 ) 1 − k 2 x2 p dx (1 − x2 )(1 − k 2 x2 ) dx p (3) (1 + nx2 ) (1 − x2 )(1 − k 2 x2 ) Z E= Z Π= equivalentemente, è possibile trasformare queste tre forme nelle tre corrispondenti forme trigonometriche con la sostituzione x = sin Φ, ottenendo Z Z Z dΦ dΦ , E := ∆dΦ, Π= F = ∆ (1 + n sin2 Φ)∆) p con ∆ = 1 − k 2 sin2 Φ e 0 ≤ k ≤ 1. Tra il 1825 e il 1828, Lagrange pubblicò il Traité des fonction élliptiques. L’espressione fonctions elliptiques nel titolo può dar luogo a qualche confusione. Legendre chiamò questi integrali, come funzioni del secondo estremo di integrazione, funzioni ellittiche; dopo i lavori di Abel e Jacobi si riserva questo nome alle funzioni meromorfe doppiamente periodiche, tra le quali vi sono le funzioni che si ottengono invertendo gli integrali ellittici di prima specie. Nell’ “avertissement” del Traité [vol. I], si legge: La parte più estesa e allo stesso tempo più importante dell’opera che l’autore ha pubblicato sotto il nome di Esercizi di calcolo integrale, è, come si sa, quella che tratta delle funzioni ellittiche, e loro applicazioni a differenti problemi di geometria e meccanica, e della costruzione di tavole necessarie per l’uso di queste funzioni. Questa parte, cosı̀ come quella che concerne gli integrali definiti, ai quali l’autore ha dato il nome di integrali Euleriani, sono riprodotte in questo trattato con un gran numero di aggiunzioni, il cui scopo è quello di perfezionare la teoria di queste trascedenti (. . . ) 11 Non sarà difficile per la storia della Scienza, fare osservare qui che questa nuova branca dell’analisi alla quale l’Autore ha dato il nome di Teoria delle funzioni ellittiche, è fondata in gran parte sulle basi stabilite nel capitolo V, concernente la forma più semplice di queste funzioni e loro divisione in tre specie... Legendre introdusse anche la nomenclatura √ che diverrà poi d’uso comune. Egli chiama: Φ amplitudine, k modulo, 1 − k 2 modulo complementare e n = c−2 parametro della funzione ellittica. Nuovi impulsi da Abel e Jacobi Nel terzo volume del Traité, Legendre scrive Prima di essermi occupato, per un gran numero di anni, della teoria delle funzioni ellittiche di cui l’immortale Euler aveva posto le fondamenta, ho pensato di dover riunire i risultati di questo lungo lavoro in un trattato che è stato reso pubblico nel Gennaio 1827. Fino a quel momento i geometri non avevano preso parte a questo genere di ricerche; ma non appena la mia opera ha visto la luce, non appena il suo titolo fu conosciuto dai dotti stranieri, ho appreso con tanto stupore, quanta soddisfazione, che due giovani geometri, i signori Jacobi di Könisberg e Abel di Christiana, erano riusciti, attraverso i loro particolari lavori, a perfezionare considerevolmente la teoria delle funzioni ellittiche nei suoi più alti gradi. Funzioni ellittiche Furono considerate inizialmente da Abel le funzioni che invertono un integrale R x 1 ellittico. Infatti Abel si rese conto che, come la funzione arcsin(x) = 0 √1−t2 dt è più complicata della sua inversa, sin x, cosı̀ anche per gli integrali ellittici generali conviene partire dallo studio delle loro funzioni inverse. Come la funzione seno, anche quelle studiate da Abel sono periodiche, ma rispetto a due periodi. La definizione generale è quindi che una funzione ellittica è una funzione meromorfa periodica in due direzioni, ovvero periodica rispetto a un reticolo. Un reticolo è un insieme Λ di numeri complessi del tipo Λ = {mω1 + nω2 |m, n ∈ Z} ⊆ C, con ω1 /ω2 6∈ R. Una funzione f : C → C si dice periodica di periodo Λ se f (z + ω) = f (z) per ogni ω ∈ Λ. Jacobi e Weistress costruirono, per ogni curva ellittica, un numero finito di funzioni ellittiche con le quali esprimere le altre. Quelle di Jacobi sono forse più importanti per le applicazioni, ma quelle di Weiestrass sono più semplici per la teoria. 12 La funzione ellittica di Weierstrass associata a un reticolo Λ è la funzione X 1 1 1 P(z) = 2 + . − z (z − ω)2 ω 2 ω∈Λ\{0} Teorema Il campo delle funzioni ellittiche rispetto a un reticolo Λ è generato dalla funzione P e dalla sua derivata P 0 che sono legate dalla relazione 2 (P 0 (z)) = 4 (P(z))3 − g2 P(z) − g3 dove g2 = 60 X ω∈Λ\{0} e g3 = 140 X ω∈Λ\{0} 4 1 ω4 1 . ω6 Integrali abeliani Abel riuscı̀ a trovare la chiave per generalizzare lo studio dell’integrale di una funzione razionale su una curva ellittica al caso di una curva algebrica qualsiasi. Sia F (z, w) = a0 (z)wn + a1 (z)wn−1 + · · · + an (z) = 0 una equazione algebrica e sia F la corrispondente superficie di Riemann. Sia R(z, w) una funzione razionale, che pensiamo ristretta F. Possiamo considerare Z z1 R(z, w)dz, z0 Il differenziale R(z, w)dz si chiama differenziale abeliano e il corrispondente integrale, integrale abeliano. La sua integrazione va considerata sull’intera superficie di Riemann. La forma differenziale R(z, w)dz è solo l’espressione locale della forma da integrare su una carta della superficie di Riemann3 . 3 Una superficie di Riemann F è definita intrinsecamente da un ricoprimento aperto {Uα }, ad ognuno dei quali è associata una carta locale φα : Uα → C tale che per tutti i punti P ∈ Uα ∩ Uβ la funzione cambiamento di carta φβ ◦ φ−1 α : C → C sia analitica in φα (P ). 13 Cambiando carta, cambia anche l’espressione del differenziale. 4 Sulla superficie di Riemann, l’integrale abeliano dipende più precisamente dal cammino γ di integrazione che congiunge gli estremi di integrazione, e lo indichiamo Z R(z, w)dz, γ I differenziali abeliani si distinguono in tre tipi: quelli del primo tipo sono R quelli ovunque olomorfi, per cui γ ω(z)dz è funzione (polidroma) ovunque finita; quelli del secondo R tipo sono quelli meromorfi con residuo zero attorno ad ogni poli, per cui γ ω(z)dz è funzione (polidroma) che ha solo poli come R singolarità; quelli del terzo tipo sono quelli meromorfi generali, per cui ω(z)dz è funzione (polidroma) che ha singolarità polari o logaritmiche. γ I differenziali olomorfi su una curva I differenziali olomorfi su una curva di genere p costituiscono uno spazio vettoriale di dimensione p. Scelta una base ωi dello spazio dei differenziali olomorfi e una basaj e del primo R gruppo di omologia della superficie di Riemann, la matrice M = mij = aj ωi 4 Per chiarire questo punto, partiamo dall’espressione di una funzione razionale sulla più semplice superficie di Riemann, la retta proiettiva. P1 , con coordinate omogenee x0 e x1 si può ricoprire con due aperti affini: U0 , dove x0 6= 0, con coordinata affine x = x1 /x0 e U1 , dove x1 6= 0, con coordinata affine y = x0 /x1 . Nell’ intersezione y = 1/x. Un oggetto come una funzione o un differenziale può essere definito separatamente in U0 e U1 pur di incollarsi in U0 ∩ U1 . Per esempio, quali funzioni olomorfe esistono su P1 ? Una funzione olomorfa in U0 è un polinomio in x, quindi della forma a0 + a1 x + · · · + an xn . Una funzione olomorfa in U1 è un polinomio in y, quindi della forma b0 + b1 y + · · · + bm y m . Le condizioni di incollamento sono a0 + a1 x + · · · + an xn = b0 + b1 1/x + · · · + bm (1/x)m Questo è possibile se e solo se a0 = b0 e tutti gli altri coefficienti ai e bj sono nulli. Quindi le uniche funzioni olomorfe su P1 sono le costanti. Analogamente possiamo cercare di determinare differenziali olomorfi su P1 . Per esprimere le condizioni di incollamento dobbiamo premettere che da y = 1/x segue che in U0 ∩ U1 dy = −1/y 2 dy La condizione perché due differenziali olomorfi (a0 + a1 x + · · · + an xn )dx e (b0 + b1 y + · · · + bm y m )dy si incollino è quindi che a0 + a1 x + · · · + an xn = −(b0 + b1 1/x + · · · + bm (1/x)m )1/x2 che non può mai essere soddisfatta. Quindi non esistono differenziali olomorfi sulla retta proiettiva. 14 si dice matrice di Riemann e verifica un insieme di relazioni importanti dette relazioni di Riemann, dalle quali si possono leggere le principali proprietà della superficie di Riemann. 5 Funzioni abeliane Le funzioni abeliane nascono dal problema di invertire gli integrali abeliani. Non è più possibile, in generale, invertire il singolo integrale abeliano ma, seguendo Abel, bisogna invertire la somma di p integrali abeliani di prima specie, ottenendo in questo modo una funzione di più variabili, le funzioni abeliane speciali. Una funzione abeliana generale sarà allora, in analogia con il caso ellittico, una funzione di p variabili, periodica rispetto a 2p periodi wν indipendenti su R, cioè una funzione che verifica f (z + wν ) = f (z) per ogni z ∈ Cp e per ogni wν . Le funzioni razionali su una superficie di Riemann Riemann ha mostrato come associare ad una curva algebrica, ovvero ad un polinomio in due variabili una superficie reale bidimensionale compatta, con una struttura analitica. Le funzioni razionali su questo oggetto corrispondono alle restrizioni alla curva delle funzioni razionali del piano proiettivo. Riemann mostra come sia conveniente studiare tali funzioni in maniera intrinseca, con riferimento ad una superficie topologica dotata di una struttura analitica. Una funzione meromorfa è allora semplicemente una collezione di funzioni meromorfe su ogni carta che si incollano opportunamente nelle intersezioni delle carte. Prima di enunciare il principale risultato sulle funzioni meromorfe su una superficie di Riemann introduciamo il concetto di divisore, che sarà utile a caratterizzare i poli e gli zeri di una funzione. Un divisore su una curva è una combinazione lineare finita di punti a coefficienti interi. Un divisore si dice effettivo se i coefficienti sono tutti positivi. Ad ogni funzionePmeromorfa f su una superficie di Riemann S è associato il divisore (f ) = p∈X ordp (f ), dove ordp (f ) indica l’ordine di zero o di polo di f in p. Due divisori effettivi D e D0 di dicono linearmente equivalenti se esiste una funzione meromorfa f tale che f = D − D0 . D si dirà allora il divisore degli zeri e D0 il divisore dei poli di f . L’insieme di tutti i divisori linearmente equivalenti ad un divisore dato di dice serie lineare completa. Una serie lineare completa è determinata da uno spazio vettoriale di dimensione finita di funzioni razionali. Ogni sottospazio vettoriale di tale spazio si dice serie lineare. 15 Una 1-forma meromorfa è una 1-forma su S, che localmente ha forma ω(z) = f (z)dz, con f (z) funzione meromorfa. Teorema Il grado di una 1 forma meromorfa vale 2g − 2 Come esempio, si consideri la forma meromorfa dz su P1 che, come abbiamo visto in una nota precedente è privo di zeri e di poli sulla carti di coordinata zero ma ha un polo di ordine due sulla carta di coordinata w = 1/z. Dato un divisore D, definiamo H 0 (OC (D)) come lo spazio vettoriale di tutte le funzioni meromorfe f sulla superficie di Riemann tali che (f ) + D ≥ 05 . Definiamo l(D) = dim(H 0 (OC (D)). Teorema di Riemann Per ogni divisore D su una superficie di Riemann S l(D) ≥ deg(D) − g + 1 Teorema di Roch Per ogni divisore D su una superficie di Riemann S l(D) − deg(D) + g − 1 = l(K − D). l(K − D) si dice indice di specialità di D. Conseguenze del teorema di Riemann Roch Consideriamo il caso S = P1 . In questo caso l’indice di specialità di ogni divisore è nullo, essendo vuota la serie canonica. Sia P il divisore costituito da un solo punto. Allora, l(P ) = 2. Infatti, una base per H 0 (OP1 (P )) è c0 + c1 z1 . Analogamente, l(kP ) = k + 1. Infatti, una base per H 0 (OP1 (kP )) è c0 + c1 z1 + · · · + ck z1k . Nel caso delle curve ellittiche (g = 1), la sequenza l(kP ) è 1, 1, 2, 3, 4, 5, ... Quindi l’unico divisore con indice di specialità non nullo è P . Nel caso g = 2, esistono esattamente 6 punti per cui la sequenza l(P ) è 1, 1, 2, 2, 3, 4, 5, . . . Nel resto dei punti, la sequenza è 1, 1, 1, 2, 3, 4, 5, . . . . I punti del primo tipo si dicono punti di Weierstrass della curva. Considerazioni sul lavoro di Riemann Riemann fu il primo ad adottare il punto di vista della geometria birazionale (o bianalitica) dimostrando che il genere è un invariate birazionale. 5 Vedi oltre per un esempio. 16 L’interpretazione geometrica di Clebsch e di Brill e Noether del lavoro di Riemann Le idee di Riemann vennero riprese da Clebsch il quale si ripropose di ritrovarne i risultati e di svilupparli con metodi puramente algebrici. Egli scoprı̀ tra l’altro che il genere p di una curva piana irriducibile dotata di soli nodi è uguale a (n−1)(n−2) − δ, dove, δ è il numero dei nodi. 2 La morte prematura di Clebsch non interruppe questo programma, che fu ripreso dai suoi allievi Brill e Noether, che svilupparono una teoria puramente algebrica delle curve piane. La memoria principale in cui viene sviluppato questo approccio è quella di Brill e Noether del 1873. In essa si introduce il concetto fondamentale di serie lineare, cui abbiamo già accennato in precedenza. Una serie lineare gnr , di grado n e dimensione r su una curva piana irriducibile C è la famiglia dei divisori effettivi che vengono segati da un sistema lineare r dimensionale di di curve (di grado fissato), cioè da tutte le curve di equazione λ0 F0 + · · · + λn Fn = 0 con Fi polinomi omogenei di uguale grado e fissati. A tali intersezioni si possono aggiungere o togliere punti fissi ad arbitrio (modificandone il grado ma non la dimensione). Ad esempio, la serie segata su una curva di grado n dalle rette di una fascio per un punto P è una gn1 per il teorema fi Bezout. Questa serie ha una punto fisso se P appartiene alla curva, eventualmente di molteplicità maggiore di 1 se il punto è singolare per la curva C. Togliendo questo punto 1 fisso otteniamo dalla gn1 una gn−1 . Due divisori di una serie lineare sono sempre linearmente equivalenti. L’insieme di tutti i divisori linearmente equivalenti a quelli di una serie data è una serie lineare che si dice completa e che contiene quella di partenza. Ad esempio, la g32 tagliata dalle rette sulla cubica con un nodo è contenuta nella g33 segata dalle coniche che passano per il nodo e per un altro punto qualsiasi della cubica. Per ogni gnr deve essere r ≤ n e se r = n allora la curva è razionale. Le serie lineari vengono trasformate in serie lineari da una qualsiasi trasformazione birazionale. Conviene studiare le serie su curve piane dotate di soli punti multipli ordinari, cui possiamo ridurre ogni curva con una successione di trasformazioni quadratiche6 . Le considerazioni topologiche e analitiche di Riemann furono sostituite da Brill e Noether dallo studio delle serie lineari e dalle loro proprietà. La serie canonica su una curva C di grado n dotata di soli punti multipli ordinari è la serie completa segata su C fuori dai punti singolari dal sistema lineare delle curve piane di ordine n − 3 passanti con molteplicità ≥ s − 1 per ogni punto s-plo di C. Le curve di questo sistema lineare si chiamano curve aggiunte 6 L’altro fondamentale teorema per la teoria di Brill Noether è il teorema dell’AF + BΦ 17 e il sistema si dice canonico. La serie canonica, in funzione del genere g g−1 su C. Il legame tra la serie canonica e lo spazio dei della curva, è una g2g−2 differenziali olomorfi su C è dato dal fatto che ogni differenziale olomorfo si può scrivere come dx ω = G(x, y) ∂F/∂y dove F = 0 è l’equazione della curva C e G l’equazione di una curva aggiunta. Se |D| è una gnr completa e se K è un divisore canonico, la serie |K − D| i−1 si chiama la residua di D; è una g2g−2−n , dove i ≥ 0 si chiama l’indice di specialità di D e D si dice speciale se i > 0. Nel linguaggio di Brill e Noether il teorema di Riemann-Roch che permette di calcolare la dimensione di spazi di funzioni mesomorfe con singolarità assegnate su una data superficie di Riemann, divenne il legame r−i=n−g tra il genere g ed i caratteri di una gnr completa. l’Interpretazione iperspaziale Una gnr su una curva liscia C determina un morfismo φ : C → Pr . Il grado d dell’immagine e il numero h delle controimmagini di un punto generico di φ(C) sono legati da n = h · d. La mappa φ : C → |D|∗ è determinata nel modo seguente: φ(P ) = {D ∈ |D| t.c. P ∈ D. Quando h = 1, ogni divisore D si può quindi identificare una una sezione iperpiana di φ(C). Il metodo che Segre e Castelnuovo introdussero per studiare le serie lineari sulle curve consiste nello studiare le serie lineari sulla curva canonica cioè l’immagine di C con il morfismo associato a K. Salvo che per le curve iperellittiche il morfismo canonico è bijettivo sull’immagine e quindi la curva canonica è una curva di grado 2g − 2 in Pg−1 . Ogni proprietà delle serie lineari si può leggere come una proiettiva della curva canonica. L’indice di specialità di un divisore D è il numero di iperpiani linearmente indipendenti che contengono D. La serie |D| è segata dagli iperpiani che passano per il residuo un qualunque divisore D ∈ |D|. Riferimenti bibliografici [1] Bertini E., 1917 Della vita e delle opere di Luigi Cremona, in Opere matematiche di Luigi Cremona, Milano, t. III pp.V-XXII. 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