Volontariato e terzo settore: protagonisti indiscussi

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Volontariato e terzo settore: protagonisti indiscussi
Volontariato e terzo settore: protagonisti indiscussi del futuro welfare sociale.
1. Breve excursus storico
La presenza dei privati nella materia dei servizi sociali ha da sempre rappresentato una costante
determinante.
Volendo tracciare un breve excursus storico possiamo rilevare che sin dalla sua costituzione lo Stato
Italiano dimostrò “la natura complementare degli interventi in campo assistenziale demandati alla
Pubblica Amministrazione rispetto a quelli promossi dai privati”1, lasciando a quest’ultimi il compito di
occuparsi con ampio margine di autonomia dei servizi alla persona confermando quella tradizione che
ha sancito come protagonisti nella materia gli ordini religiosi e l’associazionismo cattolico2.
La spiccata volontà del potere centrale di relegare al minimo il proprio intervento traspare
palesemente nella legge 3 agosto 1962, n. 753 sulle Opere Pie, la quale si limitò a prevedere scarsi
controlli pubblici su di esse, assicurando - come si vuole ad una legge di stampo liberale - ampia
individualità ed autonomia agli istituti di beneficenza ponendoli sotto la tutela delle deputazioni
provinciali.3 La citata legge istituì altresì presso ogni comune una Congregazione di Carità, gestita da
membri eletti dal Consiglio Comunale, con il compito di amministrare “tutti i beni destinati genericamente a
pro dei poveri in forza di legge, o quando nell’atto di fondazione non venga determinata l’amministrazione Opera pia o
Pubblico Stabilimento in cui favore sia disposto, o quando la persona incaricata non possa determinare o non voglia
accettare l’incarico” (art 29).
Una maggior presenza pubblica nel settore cominciò ad intravedersi con la c.d. pubblicizzazione
delle Opere Pie, intervenuta con la legge 17 luglio 1890 n. 6972 (c.d. Legge Crispi), che, trasformando le
suddette opere di carità in Istituti pubblici di beneficenza (poi divenuti Ipab con il r.d. 30 dicembre
1923, n. 2841) si proponeva, tra l’altro, il fine di limitare il forte ruolo esercitato dalla Chiesa cattolica in
campo socio - assistenziale. Parallelamente alla trasformazione pubblica delle Opere Pie la legge Crispi
introdusse l’istituto del domicilio di soccorso in base al quale le spese per gli interventi di carattere
sociale e sanitario in favore dei soggetti in stato di bisogno venivano assunte dal Comune di residenza
del destinatario delle misure.
Tale stato dell’arte consente di anticipare una breve riflessione: agli inizi del secolo scorso il
panorama in materia assistenziale era connotato dalla presenza di alcuni elementi che hanno
condizionato tutta la storia dei servizi sociali in Italia e che ha caratterizzato (e per certi versi continua a
caratterizzare) il panorama socio-assistenziale, quali: il ridotto intervento del potere centrale nella
materia, la forte presenza dei privati, il ruolo primario svolto dagli enti locali specie dal comune
nell’ambito dei servizi sociali, a cui si aggiunge l’esistenza di un sistema di protezione fondato
sull’appartenenza a gruppi categoriali.
Non a caso quando aumenta la presenza pubblica nella materia l’azione si dirige nella
predisposizione di interventi a carattere settoriale, come dimostrano le misure predisposte a favore dei
ciechi da parte dell’Unione Italiana Cechi, degli invalidi di guerra da parte dell’Opera Nazionale Invalidi
1
E. Ferrari, Lo stato sussidiario, in Dir. Pubbl., 1, 2002, p. 101 ss.
S. A. Frego Luppi, Servizi sociali e diritti della persona, cit, p. 14.
3
Nella relazione del Guardasigilli Rattizzi al Re che presentava la legge sulle Opere Pie venivano evidenziate le cause della crisi
delle opere Pie – “Il sistema della libera interpretazione della volontà dei fondatori congiunto a quello dell’intromissione dell’autorità
centrale hanno contribuito, dovunque sono stati troppo largamente praticati, ad assottigliare il patrimonio delle classi indigenti che al
contrario non ha rifinito da aumentare e di fiorire in ragione dei crescenti bisogni sociali dovunque per una savia e liberale
astensione, la potestà politica ha maggiormente rispettato il carattere delle opere Pie che a tal fine furono poste sotto la sua
salvaguardia”- individuando il rimedio a tale crisi nel garantire autonomia alle opere pie eliminando le ingerenze del potere centrale ,
affidandone la tutela alle deputazioni centrali le quali “ o si considerino in ragione della loro origine, od in ragione degli interessi che
ordinariamente sono chiamati a garantire si trovano meglio in grado di tutelare le Opere locali di Beneficenza che non può esserlo in
generale l’Autorità centrale, la quale diventa in proposito tanto meno competente e meno adatta a far ciò convenientemente, quanto
più si estende, come accade al presente per l’accresciuto territorio, la cerchia materiale delle sue attribuzioni” La relazione è
interamente riportata in D’Amelio, La proclamazione dell’Unità d’Italia ed i problemi della politica ecclesiastica, in Atti del
Congresso celebrativo del Centenario delle leggi amministrative di unificazione, La politica ecclesiastica, Milano, 1967, p. 53.
2
di guerra. Contemporaneamente alla suddetta particolarizzazione si assiste al potenziamento del ruolo
del comune nell’assistenza con la trasformazione, intervenuta con la legge 3 giugno 1937, n. 847, delle
Congregazioni di Carità in enti comunali di assistenza (ECA) aventi il compito di prestare assistenza ai
singoli ed ai nuclei familiari in Stato di bisogno.
Negli anni precedenti l’avvento della Costituzione l’assistenza agli indigenti costituisce l’anello
debole della catena delle politiche sociali dell’epoca, caratterizzata da interventi legislativi di scarso
rilievo e spesso connotati da forte genericità a cui seguiva un’ampia discrezionalità nell’erogazione delle
prestazioni sociali.
La Carta costituzionale con il dettato contenuto nell’art. 38 rappresenta un elemento di novità
rispetto al passato sotto un duplice profilo: da una parte il legislatore consacra l’assistenza sociale quale
diritto “del cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, investendo espressamente lo
Stato della responsabilità di attuare un sistema di welfare sattisfattivo di tali esigenze; dall’altro,
affermando al quinto comma che “l’assistenza privata è libera”, colloca la presenza privata accanto a quella
pubblica ed implicitamente suggella il ruolo dei privati nella materia4. La volontà dei costituenti fu
infatti quella di ribadire che l’assistenza, pur essendo una funzione pubblica, non si esaurisce nell’attività
posta in essere dai soggetti pubblici, volendo così escludere il monopolio statale nella materia.5
L’impatto prodotto dalla Costituzione nel sistema assistenziale fu evidente, tuttavia si è assistito nel
corso degli anni al permanere di interventi sociali indirizzati a favore delle note categorie (orfani, ciechi,
sordomuti) mancando riferimenti legislativi di carattere generale che disciplinassero l’assistenza in
termini generali6. Anche successivamente all’emanazione della legge quadro, nonostante la volontà ivi
espressa di porre fine alla frammentazione degli interventi esistenti, alcune leggi di settore (dai contenuti
senz’altro meritevoli) posteriori alla legge n. 328 hanno procrastinato la ormai consolidata
particolarizzazione categoriale7 impedendo la realizzazione di quel welfare universalistico tanto
declamato nelle dichiarazioni di principio della legge 328.
Riprendendo la ricostruzione del quadro storico, incidentalmente abbandonata, va evidenziato che
alla creazione di un sistema selettivo e settoriale ha contribuito in primo luogo l’assenza di una legge
quadro sulla materia che ha determinato una serie di cofattori e concause quali: la discrezionalità
dell’erogazione degli interventi, la predisposizione di interventi a pioggia, nonchè la latitanza dello Stato
che coniugasse i diversi particolarismi esistenti a livello territoriale. Questa non presenza del potere
centrale (le cui ragioni sono state evidenziate nel capitolo II) unita all’assenza di strumenti di
programmazione e di coordinamento dell’intervento pubblico nel tempo hanno originato gravi lacune
nel sistema di risposta dei servizi da parte dei soggetti pubblici, facendo sì che gli spazi lasciati aperti dal
servizio pubblico fossero ricoperti dall’attività di soggetti privati, da sempre, abbiamo visto, attori
principali nel campo de servizi alla persona.8
4
Sul ruolo dei provati nell’assistenza cfr. AA.VV., Persona, Comunità e Stato nella prospettiva della riforma dell’assistenza, in Atti
del Convegno nazionale di studio dell’Unione Giuristi Cattolici, Milano 1979 e AA:VV, in particolare Pastori, Mazziotti, Mauro,
Lombardi Vallari, Libertà dell’assistenza, in Atti del XXIX Convegno nazionale di studio dell’Unione Giuristi Cattolici, Milano,
1980
5
Per una completa ricostruzione storica dell’assistenza si veda, P. Siconolfi, L’assistenza fra Stato e Regioni, cit. p. 101 il quale
sottolinea che l’affermazione costituzionale sulla libertà dell’assistenza non costituisce solo una affermazione rafforzativa di una
conferma resa necessaria dal fatto che nello stesso articolo si impone allo Stato di farsi carico dell’assistenza (…)ma c’è uno scopo
ulteriore che consiste nel riconoscere che quell’attività privata di cui si riconosce la libertà è ontologicamente e teleologicamente
identica a quella svolta dallo Stato
6
sul punto cfr. V. Castaldi, Dall’assistenza ai servizi sociali, Roma 1982.
7
Cfr. La legge 30 marzo 2001, n. 125 “Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati”; la legge 3 aprile 2003, n.
131, “Norme a sostegnodella cecità parziale”; legge 29 marzo 2001, n. 134 “Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante
istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti”; la legge 3 aprile 2001, n. 138 di disciplina della “Classificazione e
quantificazione delle minoranze visive e norme in materia di accertamenti oculistici”; le legge 28 marzo 2001, n. 149 “Modifiche
alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sulla disciplina delle adozioni e dell’affidamento dei minori, nonché del titolo VIII del libro I de
codice civile”; Legge 21 marzo 2006, n. 67, Misure per la tutela giurisdizionale delle persone con disabilità vittime di
discriminazione.
8
Nello stesso senso A. Frego Luppi, Servizi sociali e diritti della persona, cit., p. 29.
L’attività dei soggetti privati nell’area socio- assistenziale nel tempo si è sempre mantenuta costante
anche quando il legislatore sembrò non occuparsi del loro apporto, come accadde nel d.p.r. n. 616/77,
che, nel trasferire le funzioni in materia di “beneficenza pubblica”, omise ogni riferimento all’attività
svolta dai privati nel sociale.
In seguito, la crisi del modello italiano di Stato sociale, accompagnato da una presa di coscienza
dell’inefficienza della gestione dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, del continuo
accentuarsi della spesa sociale, ha portato negli anni ’90 al potenziamento del ruolo dei privati, facendo
arretrare la presenza pubblica nella gestione diretta dei servizi9. Si è assistito così al proliferare di leggi di
settore che hanno disciplinato il non – profit ed in particolare il volontariato ( legge n. 266/91), nonché i
soggetti giuridici operanti nel sociale: le cooperative sociali (legge n. 381/91), le organizzazioni non
lucrative di utilità sociale (legge n. 460/97), le associazioni di promozione sociale (legge n. 383/2000).
2. La legge 328/2000 e il ruolo del terzo settore
L’avvento della legge n. 328/00 ha consacrato il ruolo fondamentale degli attori del privato sociale
nel sistema dei servizi alla persona, ruolo ulteriormente avvalorato dalla costituzionalizzazione all’art.
118 del principio di sussidiarietà orizzontale, in base al quale Stato Regioni, Città metropolitane
Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e delle loro le formazioni
sociali per lo svolgimento di attività di interesse generale. Così il privato sociale che nel passato più
volte è stato chiamato a svolgere (e tuttora svolge) un ruolo di “supplenza” 10 del soggetto pubblico e
del privato con finalità di lucro assume una veste nuova conferitagli dal principio di sussidiarietà: quello
di protagonista privilegiato nel sistema di erogazione dei servizi, contribuendo alla creazione di quella
che la dottrina in passato ha definito “una società di servizi in luogo di uno Stato di servizi”.11
Il principio di sussidiarietà rappresenta il leit motiv che sottolinea ed armonizza la complementarietà
del ruolo dei soggetti pubblici e privati nel sistema integrato delineato dalla legge quadro. Così, mentre
l’art. 1, comma 3 enuncia la sussidiarietà nella sua accezione verticale o “istituzionale” - recependo
quanto espresso dalla legge n. 59/97 e dal Dlgs. n. 112/98 che individuano nella sussidiarietà la regola
di riparto dei compiti fra le istituzioni pubbliche in base alla quale la generalità delle funzioni spetta ai
soggetti pubblici più vicini ai cittadini e solo in quanto le esigenze di efficace ed efficiente esercizio delle
funzioni lo richiedano, le funzioni possono essere conferite alle istituzioni pubbliche di dimensione
superiore - gli articoli 1 comma 4 e 5 e 5 richiamano l’accezione orizzontale o “sociale” della
sussidiarietà, in base alla quale, ogni qual volta sia possibile, le attività ordinate ai fini sociali o pubblici
debbono poter essere esercitate dai soggetti singoli o associati, dalle famiglie e dalle altre formazioni
sociali di cui all’art. 2 Cost.
Il principio di sussidiarietà, nella sua duplice veste, è stato successivamente introdotto, attraverso
la novella del 2001, all’interno della nostra Carta costituzionale. Recita a riguardo l’art. 118, c. 4 “Stato,
Regioni, città metropolitane province e Comuni, favoriscono l’autonoma iniziativa de cittadini singoli o associati” .
I prodromi della promozione del ruolo svolto dalla società civile nello svolgimento di attività di
interesse generale si rinvengono sia nell’art. 4, comma 3 lett. a) della legge n. 59/97, secondo il quale il
conferimento di funzioni agli enti territoriali deve avvenire in ossequio del principio di sussidiarietà “(..)
attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale
da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini
interessati”, sia nell’art. 3 del T.U degli enti locali n. 267/00, secondo il quale” I Comuni e le Province svolgono
le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei
cittadini e delle loro formazioni sociali”. Il dettato dell’art. 118, c. 4 non costituisce, tuttavia, una mera sintesi
delle sopra citate previsioni, ma rappresenta un’evoluzione ulteriore dei contenuti delle disposizioni
9
Baldassarre e Cervati (a cura di),Critica allo Stato sociale, Roma – Bari, 1982. Le forze politiche dell’epoca affermavano la
necessità della minor presenza statale e più mercato
10
In Tal senso S. La Porta, Commento all’art. 5 della legge n. 328/00 , Ruolo del Terzo settore, in E. Balboni – B. Baroni – A.
Mattioni – G. Pastori ( a cura di), Il sistema integrato di interventi e servizi sociali, cit., p. 135.
11
G. Pastori, Diritti e servizi oltre la crisi dello Stato sociale, in Studi in onore di Vittorio Ottaviano, Milano, 1993, p. 1092.
previdenti, configurandosi nei confronti delle autorità pubbliche un ruolo di promozione e
coordinamento delle attività di iniziativa privata.
Il principio postula, in modo esplicativo, che allo svolgimento di attività di interesse generale
debbono provvedere prioritariamente ed in via preferenziale i cittadini singoli o associati ed in via
sussidiaria lo Stato e gli altri enti pubblici, i quali “entrano in gioco” soltanto laddove vi sia
l’impossibilità per i singoli e le loro formazioni di perseguire gli obiettivi stabiliti.12 Recita a riguardo il
Piano Nazionale che “la sussidiarietà orizzontale può essere intesa (…) come strumento di promozione, di
coordinamento e sostegno che permette alle formazioni sociali di esprimere al meglio e con la piena garanzia di libertà di
iniziativa le diverse e specifiche potenzialità”. L’attività di progettazione parte dalla società civile che deve
perseguire gli standard di qualità stabiliti dalla Pubblica Amministrazione alla quale spettano compiti di
sostegno in tema di risorse e di sorveglianza sull’offerta dei servizi garantiti dal sistema integrato.
L’intervento pubblico sovrintende e sana le falle lasciate aperte dalla società civile, non opponendosi il
principio di sussidiarietà all’autorità pubblica, ma piuttosto inducendo “a ridisegnarne la finalità (…) e le
modalità organizzative ed operative”13.
L’elemento di novità della sussidiarietà consiste nell’inversione, rispetto al previgente testo
costituzionale, della titolarità dell’iniziativa: nello svolgimento di attività di interesse generale non sono
più le amministrazioni al centro del sistema, bensì il cittadino uti singuli ed in forma associata14. La
rivoluzione dell’art. 118, c. 4 è appunto questa: prima era discutibile che i privati potessero esercitare
iniziative interferenti con l’interesse generale, ora la norma non solo legittima questo, ma afferma che le
autorità tutte (sia del Governo centrale, sia locali) devono favorire tali attività.
Non v’è allora chi non veda come il principio di sussidiarietà orizzontale rafforzi il dettato
dell’art. 2 della Costituzione riguardo al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, tracciando un nuovo modo di
concepire l’intervento pubblico, il quale retrocede, lasciando il passo ai privati, laddove gli stessi siano in
grado di realizzare gli obiettivi prefissati, residuando un potere sostitutivo dei pubblici poteri in caso di
inidoneità dei privati.15
I riflessi dell’accezione orizzontale della sussidiarietà destinati ad influenzare le politiche sociali
sono evidenti: si è ricordato che la presenza dei privati nell’ambito dei servizi alla persona ha sempre
giocato un ruolo di rilievo, oggi tale presenza non solo viene valorizzata, ma addirittura, per espressa
previsione costituzionale, viene favorita dai pubblici poteri. Non è un caso che i singoli legislatori
regionali, nel dotarsi dei loro statuti, abbiano esaltato il ruolo della società civile16. A tal proposito la
Regione Toscana all’art. 72, c. 1 dello Statuto promuove la partecipazione dei cittadini secondo i
principi di sussidiarietà sociale, favorendo l’autonoma iniziativa dei singoli e delle loro aggregazioni per
il diretto svolgimento di attività riconosciute di interesse generale, incentivando la collaborazione dei
cittadini e delle loro aggregazioni secondo le loro specificità al fine di valorizzare, al contempo, le
persone e lo sviluppo sociale della comunità.
12
Molte sono le critiche che in dottrina sono state sollevate nei confronti dell’elaborazione del principio di sussidiarietà orizzontale
in particolare per la sua connotazione piuttosto “generica”tanto da configurare l’art. 118, c. 4 “una blanda disposizione
programmatica”, in tal senso D’Atena, La prospettiva della Costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà, cit., p, 32 e nello
stesso senso R. Bin, La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2002, p. 365 ss; M. Massa
Pinto, Il principio di sussidiarietà, profili storici e costituzionali, Napoli, 2003, p. 150 ss.
13
P. Duret, La sussidiarietà orizzontale: le radici e le suggestioni di un concetto, in Jus, 2000, p. 140.
14
U. Rescigno, I diritti civili e sociali fra legislazione esclusiva dello stato e delle regioni, in Il nuovo ordinamento regionale (a cura
di), S. Gambino, Milano, 2003, p. 125-126.
15
S.A. Frego Luppi, Servizi sociali e diritti della persona, cit, p. 157,
16
Molti statuti regionali promuovono la realizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale ad esempio lo Statuto della Regione
Puglia specifica che il principio di sussidiarietà orizzontale si attua con l’integrazione costante tra le politiche regionali e le iniziative
delle formazioni sociali e del volontariato dirette all’interesse generale e alla tutela pubblica dei diritti universali; lo Statuto della
regione Abruzzo collega esplicitamente la valorizzazione delle attività private di interesse generale alla realizzazione dei diritti e
della solidarietà sociale. Rispetto agli statuti delle altre regioni quello del Piemonte compie un passo ulteriore specificando e
ampliando la autonoma iniziativa dei cittadini assicurando loro la partecipazione e la consultazione nello svolgimento delle funzioni
regionali.
Tuttavia l’enfasi con cui da più parti (specie di natura politica) è stato accolto il principio di
sussidiarietà - visto come rimedio alle inefficienze delle amministrazioni e della società - va senz’altro
ridimensionata. Infatti la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 118 Cost., se svincolato dalla prima
parte della Costituzione relativa ai diritti dei cittadini e ai doveri della Repubblica potrebbe comportare
l’abbandono da parte delle istituzioni pubbliche dei compiti che per espresso disposto dell’art. 3, c. 2
Cost (“La repubblica rimuove gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fattola libertà e l’eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del paese” ) sono chiamati ad assolvere, provocando lo
“smantellamento dello Stato sociale”.17
La presenza del principio di sussidiarietà orizzontale nel nostro ordinamento non deve, pertanto,
incentivare un’abdicazione da parte dei soggetti pubblici ai propri compiti istituzionali, implicando al
contrario la dimensione sociale della sussidiarietà una partecipazione “concordata” dei privati
all’espletamento di attività di interesse generale.
3.
Il quadro attuale
Mentre si scrive è in discussione alla Camera dei Deputati il disegno di legge n.4566, “Delega al
Governo per la riforma fiscale e assistenziale”, il quale, all’art. 10, assegna ai soggetti privati il ruolo di veri ed
indiscussi protagonisti nel settore dei servizi alla persona. Infatti, nella legge delega si valorizza il ruolo
della welfare society, ponendo in primo piano l’offerta sussidiaria dei servizi da parte delle famiglie e delle
organizzazioni con finalità sociali.
Agli occhi dell’interprete sembra che il legislatore abbia voluto porre l’accento e legittimare un
sistema cristallizzatosi nel tempo che vedeva la Chiesa cattolica e le associazioni di volontariato come il
vero motore della macchina assistenziale. Anche in tema di gestione di uno strumento fondamentale,
quale quello della social card, definito come livello essenziale da garantire in modo uniforme su tutto il
territorio nazionale, le organizzazioni private sono chiamate ad esserne gli attori della gestione. Si
afferma nella delega che i comuni sono tenuti ad affidare alle organizzazioni non profit la gestione della
carta acquisti, attraverso le proprie reti relazionali.
Alla luce di quanto sopra rilevato va concluso che il futuro del sistema dei servizi socioassistenziali sarà affidato al terzo settore e del volontariato con l’attenzione però e la preoccupazione
che non vi sia un’abdicazione della responsabilità del soggetto pubblico, perché il privato è in grado di
ben lavorare solo se le istituzioni concedono le risorse ed i finanziamenti indispensabili per fornire
servizi di qualità.
17
In tal senso S. De Gotzen, Volontariato: sussidiarietà, pluralismo sociale e la tentazione del dirigismo (ancora sulla riforma della
normativa sul volontariato –osservazioni sulla bozza governativa 17 settembre 2003 di riforma della legge n. 266/91, in Le
Istituzioni del Federalismo n. 5/2003, p. 920.