Le prime unità subacquee italiane

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Le prime unità subacquee italiane
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Le prime unità
subacquee italiane
a cura di Erminio Bagnasco
Presidente onorario Gruppo ANMI “V. Folco” – Savona
uso del termine unità subacquea in luogo di quello più
consueto di sommergibile non è casuale: il primo battello italiano, il Delfino, varato nel 1895, era infatti un “sottomarino”, ovvero un’unità progettata per un impiego quasi
esclusivamente subacqueo, e non un “sommergibile”, denominazione nata poco dopo per indicare delle unità atte alla navigazione in superficie, ma in grado di immergersi per operare
agevolmente anche sott’acqua. Le lingue inglese e francese
(submarine e sousmarine), ad esempio, non fanno questa distinzione, che tuttavia è poco usata anche in quella italiana,
tanto che le attuali unità subacquee vengono quasi sempre indicate ancora come “sommergibili” sebbene siano da tempo
ritornate ad essere dei veri e propri “sottomarini”.
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FOTO 1 • Il sottomarino Delfino, sospeso ad un
paranco nella sua versione originaria, in una foto scattata alla Spezia probabilmente nel 1895. Il
battello, di forme essenzialmente studiate per la
navigazione subacquea, è provvisto di un solo
apparato motore, elettrico, da 65 cavalli mosso
da una batteria di accumulatori, ed è caratterizzato anche da due eliche ad asse verticale, intese a facilitare gli spostamenti in quota, che però,
essendosi dimostrate poco utili, saranno in seguito eliminate.
Lungo 24,4 metri e con un dislocamento in immersione di 108 tonnellate, era stato costruito
nell’Arsenale della Spezia su progetto del generale del Genio Navale Giacinto Pullino che si era
ispirato ad un analogo battello francese; entrerà
in servizio nell’aprile 1895 iniziando una lunga
serie di esperienze per valutarne le prestazioni
che si concluderà all’inizio del Novecento con la
decisione di trasformare radicalmente l’unità.
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FOTO 2 • Il Delfino in uscita da Venezia per esercitazioni in un’immagine di poco antecedente il 1911.
Nel corso di un ciclo di lavori durato due anni, dal
1902 al 1904, il battello è stato profondamente
modificato: la zona prodiera dello scafo fusiforme
è ora sormontata da una struttura leggera a libera circolazione d’acqua e da una torretta stagna;
all’originario motore elettrico ne è stato affiancato uno a scoppio da 130 cavalli per la navigazione in superficie ed è stato imbarcato a prora un
tubo lanciasiluri assiale per armi da 450 mm.
Il dislocamento è salito a 103 tonnellate in superficie e 113 in immersione e la velocità è rispettivamente di 6 e di 5 nodi; l’autonomia è modesta
(165 miglia in superficie) e la profondità di sicurezza è rimasta quella originaria di 32 metri.
Negli anni antecedenti la Grande Guerra svolgerà
prevalentemente attività addestrativa e, con l’inizio del conflitto, sarà destinato a compiere agguati protettivi al largo di Venezia e di Porto Corsini, portando a termine 44 brevi missioni di vigilanza foranea di questo tipo sino al settembre
1918, quando verrà posto in riserva e infine radiato all’inizio dell’anno successivo.
(coll. G. Manzari via G. Vignati)
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Fatta questa doverosa premessa di carattere semantico, torniamo al Delfino, un battello sperimentale che fu il primo degli oltre
270 che complessivamente hanno fatto, o fanno, parte della Marina italiana.
Di prestazioni modeste – tanto che fu quasi subito ampiamente
modificato, passando dalle caratteristiche di sottomarino a
quelle di sommergibile – fu comunque un utile banco di prova
per il successivo, primo sviluppo delle unità subacquee italiane
illustrato nelle foto che seguono.
Agli ulteriori progressi, protrattisi sino ad oggi e passati attraverso le prove del primo e del secondo conflitto mondiale, saranno dedicate delle successive “puntate” di questa rubrica.
Si trattò inizialmente di scafi simili a quelli delle torpediniere ad
asta, ma dotati di uno o più tubi lanciasiluri e in grado di operare
a maggior distanza dalle coste e anche contro navi in movimento. Conservando l’originaria classificazione, la prima torpediniera munita di siluri venne costruita in Gran Bretagna nel 1877 e,
nel giro di pochi anni, unità similari ebbero larga diffusione in tutte
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le Marine dell’epoca. La minaccia rappresentata per le grandi
navi dalle torpediniere crebbe a dismisura, tanto che intorno al
1890, sempre in Gran Bretagna, nacque il cacciatorpediniere –
definito inizialmente “torpedoboat destroyer” – concepito soprattutto per contrastare, con un adeguato armamento balistico,
l’azione delle torpediniere, ma sostituendosi anche a queste ultime nell’azione silurante in alto mare. Caccia e torpediniere convissero per molti anni, operando gli uni soprattutto in missioni
d’altura e le altre prevalentemente in acque costiere.
Con la fine della Grande Guerra, però, iniziò l’inarrestabile declino delle torpediniere che tuttavia rimasero presenti in alcune
Marine, tra cui quella italiana, sino alla fine degli anni Quaranta,
ormai con funzioni di “piccoli cacciatorpediniere”, mentre il loro
originario compito di unità siluranti insidiose si era oramai trasferito alle più agili ed economiche motosiluranti, categoria che ebbe origine con i Mas siluranti italiani ed i similari CMB britannici
del primo conflitto mondiale.
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FOTO 3 • Il sommergibile Glauco a Venezia nei primi anni Dieci. Si trattava di un battello a doppio scafo, progettato dall’allora
colonnello del Genio Navale Cesare Laurenti che aveva studiato con attenzione la realizzazione in Francia del Narval, il primo vero sommergibile moderno. Il Glauco, assieme a quattro unità similari, rappresentava la prima realizzazione di una classe di unità
subacquee italiane la cui costruzione era stata affidata all’Arsenale di Venezia ed eseguita tra il 1903 e il 1909. Lunghi quasi 37
metri e dotati di doppio apparato motore, a scoppio ed elettrico, i “Glauco” non erano risultati dei battelli particolarmente indovinati; ciò nonostante, costituirono un passo importante nel progressivo sviluppo dell’arma subacquea italiana. Durante i primi
anni della Grande Guerra il Glauco opererà prevalentemente in Adriatico, impegnato in agguati protettivi al largo delle principali basi navali, passando infine in riserva nell’agosto del 1916 per essere poco dopo radiato.
FOTO 4 • Il sommergibile Nereide in attesa di essere messo in secco in uno dei bacini di carenaggio di Venezia poco prima
dell’inizio della Grande Guerra. Con il gemello Nautilus, era stato progettato dall’allora maggiore del Genio Navale Curio Bernardis come sommergibile a semplice scafo e costruito nell’Arsenale di Venezia tra il 1911 e il 1913. Si trattava di un battello
da 225/320 tonnellate, lungo quasi 41 metri e in grado di immergersi sino a 40 metri. Il suo armamento consisteva in due tubi
subacquei prodieri per il lancio di siluri da 450 mm e la sua autonomia in superficie risultava di circa 1.000 miglia alla velocità
economica di 10 nodi. Le qualità nautiche di queste due unità sono notevolmente migliorate rispetto alle costruzioni precedenti tanto che, con l’inizio del conflitto, verranno subito assegnate a missioni offensive in Adriatico.
Il Nereide andrà però perduto quasi subito, il 5 agosto 1915, silurato nelle acque dell’isola di Pelagosa dal sommergibile
austro-ungarico U-5.
(Museo Navale di Venezia)
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