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22/03/2011
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Numero 18 del 15/03/2011
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L’estremismo islamico è una invenzio…
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L’estremismo islamico è una invenzione di Gheddafi?
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MARTEDÌ, 15 MARZO 2011 19:30
Attualità
NESSUN COMMENTO
Chi sono i ribelli libici? Che volto hanno? Dove si
concentrano? Da diversi giorni si parla di queste
persone, si sa che sono accampati ad est del
paese e che la loro capitale di riferimento è
Beghazi. Gente sconosciuta fino a qualche
settimane fa e che ora si trova improvvisamente
al centro delle attenzioni dei paesi europei primo
fra tutti la Francia che attraverso Nicolas Sarkozy
ha riconosciuto ufficialmente la delegazione dei
ribelli e il consiglio Nazionale di transizione,
l’organo rappresentativo in cui si sono organizzati
i ribelli, è stato denominato come unico
interlocutore in Libia. Inoltre oggi, una
delegazione del Consiglio è stata vista a Parigi
da Hillary Clinton, segretario di stato americano.
Nel ruolo di leader del Consiglio di transizione è stato eletto Mustafa Abdul Jalil, già ministro della
giustizia di Gheddafi. Jalil ha dato le dimissioni il mese scorso a causa “dell’eccesso di brutalità” usata
dalle forze del raìs nel reprimere i ribelli. Sulla sua testa pende una taglia di mezzo milione di dinari,
circa 410,000 dollari, e poco meno della metà per informazioni utili che possono portare alla sua cattura.
Ha confessato che è stato Ghaddafi stesso ha ordinare la strage di Lockerbie del 1988 dove morirono i
270 passeggeri del volo Pan Am 103.
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Alla vicepresidenza del Consiglio è stato scelto Abdel Hafiz Ghoqa, ex rappresentate di Benghazi presso
il governo di Tripoli. Ghoqa è un avvocato specializzato nei diritti umani ed è stato presidente dell’albo
degli avvocati. E’ stato arrestato il diciannove febbraio e rilasciato poco dopo. E’ considerato un “ribelle
della prima ora” data il suo ruolo all’interno di un gruppo di attivisti democratici che operavano in Libia
prima ancora prima dell’inizio delle violenze. Ali Al Issawi è stato un ministro dell’Economia e all’inizio
degli scontri ricopriva il ruolo di ambasciatore libico in India, incarico da cui di è dimesso per protestare
contro “le violenza impartite ai civili da parte del governo e dei mercenari”. L’ex ministro del Tesoro tentò
di dimettersi già nel 2008, gesto che ha reso Issawi molto stimato all’interno del movimento. Nel
Consiglio di transizione si occupa di politica estera ed ha fatto parte della delegazione riconosciuta dalla
Francia il 10 marzo scorso.
Omar al Hariri è il capo militare dell’organizzazione dei ribelli. E’ un uomo della vecchia guardia di
Gheddafi, ha partecipato al colpo di stato che portò il raìs al potere nel 1969. Già nel 1975 al Hariri
partecipò a un tentativo di colpo di stato, poi fallito, contro il colonnello. Fu inizialmente condannato a
morte ma in seguito la sentenza fu rivista ed al Hariri condannato agli arresti domiciliari nella città di
Tobruk a est del paese. Ha preso parte al movimento dei ribelli dal loro inizio.
L’avanzata delle forze di Muammar Gheddafi continua, destinazione Bengasi, mentre il colonnello
mostra in tv un ribelle pentito, ipotizzando per lui e per chi si pente un’amnistia. Dalla loro roccaforte i
rivoltosi rispondono che andranno fino alla fine, e la comunità internazionale, così riluttante a
riconoscerli come interlocutori, inizia ad aprirsi a missioni diplomatiche alla luce del sole per prendere i
contatti. Ma il tempo stringe, le navi cariche di rifugiati sono partite verso l’Italia, una è stata fermata su
richiesta del Viminale, ma fonti dicono che in viaggio ce ne sono altre ventuno: e ora che sul campo
Gheddafi mostra tutta la sua forza – non l’aveva mai persa, in realtà – la diplomazia deve trovare altri
strumenti di pressione. Di certo c’è che l’obiettivo principale è capire chi sono i ribelli, e che cosa
vogliono (oltre alla fine del regime di Gheddafi). I segnali sono contraddittori, alcuni chiedono un
intervento, come il leader più conosciuto all’estero, l’ex ministro Mustafa Abdul Jalil, altri un sostegno
umanitario e militare (armi), tutti guardano all’Europa come interlocutore principale e soprattutto tutti ci
tengono a sottolineare – in modo tanto enfatico da risultare quasi sospetto – che al Qaida non c’è in
Libia e che l’estremismo islamico è un’invenzione di Gheddafi.
Vincenzo Branca
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Il Napoli e il numero tre. I numeri dico…
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Il Napoli e il numero tre. I numeri dicono “sì” agli azzurri
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MARTEDÌ, 15 MARZO 2011 20:50
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Tre, il numero perfetto. Il numero divino: Padre,
Figlio e Spirito santo. Il numero magico, così
come recita una famosa pubblicità “Three is a
magic number”.
Sembra proprio che teologia, scaramanzia e
antropologia conferiscano a questo numero un
valore di assoluta importanza. Dal punto di vista
esoterico, il numero tre è fondamentale. Si trova
sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, difatti
nella Bibbia, le parti del Tempio sono tre così
come i figli di Noè, i giorni delle tenebre in Egitto
prima dell’esodo e i giorni che Giona visse nella
balena.
Il triangolo, raffigurazione geometrica del numero tre, rappresenta la nascita, lo zenit, e il tramonto.
E quando si parla, di antropologia, scaramanzia, teologia ed esoterismo tutti mischiati in un’unica salsa,
come non si può parlare di Napoli (e del Napoli), che fa del sacro e del profano la propria prerogativa?
Lavezzi, Cavani ed Hamsik sono tre e rappresentano la triade perfetta, o quasi, che conferisce al Napoli
quella forza che attualmente gli consente di essere la terza potenza del campionato.
Il numero tre che torna. Tre, come i gol che il Napoli ha rifilato al Parma col ritorno di Lavezzi. Il mosaico
che torna a comporsi: da Marekiaro, al Matador e al Pocho.
Tre, come le competizioni per cui il Napoli lottava prima che il trio fosse “sciolto” parzialmente dalla
squalifica del giudice Tosel a Ezequiel Lavezzi in campionato, e dalle scelte di Mister Mazzarri in Europa
League.
Un trio che non può essere diviso. Singolarmente ottimi calciatori, ma che quando giocano assieme, si
completano, diventano una sola forza. Il segreto del Napoli sono loro.
I risultati dimostrano quanto detto: Cavani è secondo in classifica marcatori, il Pocho è terzo nella
graduatoria degli assist e Hamsik è uno dei centrocampisti più prolifici del campionato.
Ma la cabala del tre non si limita al solo reparto offensivo.
Difatti il reparto difensivo composto da TRE difensori, guarda caso, vanta la TERZA miglior difesa del
campionato.
E come non considerare il pacchetto dirigenziale: De Laurentiis, Fassone e Bigon. Ovvero: presidente,
direttore generale e direttore sportivo… ed anche qui il numero torna.
Sembra incredibile, ma i numeri dicono proprio così. E come diceva il maestro Tosatti “in una scienza
inesatta quale il calcio, l’unico dato inappellab ile, a cui si può dar conto per elab orare statistiche, son
proprio i numeri”. E i numeri in questo momento parlano di una squadra terza in classifica, con la terza
miglior difesa, composta a sua volta da tre difensori e da un attacco composto dai tre calciatori suddetti.
La riflessione viene spontanea: gli azzurri hanno vinto due scudetti ed il terzo sarebbe il raggiungimento
del numero perfetto: il numero tre.
Che sia questa la stagione per arrivare al mitico numero?
Affidiamo a San Gennaro stavolta l’arduo compito di completare l’opera. Del resto gli scudetti son due,
con la mano del Santo Patrono si raggiungerebbe il tanto agognato numero 3 che farebbe tornare a
splendere la nostra cara vecchia città.
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Nucleare, tre italiani su quattro dicon…
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Nucleare, tre italiani su quattro dicono “no” alle nuove
centrali
MARTEDÌ, 22 MARZO 2011 12:12
NESSUN COMMENTO
ROMA – E’ un bollettino carico di pessime notizie per il governo il
sondaggio sul sentimento degli italiani rispetto al nucleare realizzato
dalla Gnresearch. I risultati delle risposte fornite dal campione di
mille cittadini rappresentativi dell’intera popolazione nazionale alla
società internazionale di ricerche di mercato pubblicati in anteprima
su Repubblica.it fotografano infatti un quadro decisamente negativo
non solo per le aspirazioni di un ritorno all’energia atomica, ma
anche per le ricadute sul consenso nei confronti della maggioranza.
Circa tre italiani su quattro non vogliono infatti la realizzazione di
nuovi impianti nucleari, giudicano negativamente le politiche del
governo nei confronti delle energie rinnovabili e si dicono pronti ad
andare a votare all’imminente referendum per bloccare i piani
dell’esecutivo.
GUARDA LE TABELLE DEL SONDAGGIO 1
Entrando nel dettaglio del sondaggio il dissenso popolare per le
scelte energetiche di Palazzo Chigi appare poi ancora più evidente e
strutturato. Il 59% degli intervistati si dice “molto contrario” alla
costruzione di nuove centrali. A questa opposizione va poi aggiunta
quella del 17% che si definisce “abbastanza contrario”, per un totale
di oltre il 75%. A preoccupare gli italiani non sono tanto gli eventi “straordinari” come il terremoto
giapponese, ma piuttosto l’ordinaria amministrazione. “L’impatto negativo sull’ambiente e sulla salute
dei cittadini, anche in assenza di incidenti o errori umani” è temuto dal 45%, lo “smaltimento delle scorie
radioattive” dal 29%, il “rischio di incidenti dovuti ad errori umani” dal 15% e il “rischio di incidenti dovuti
ad eventi naturali” dall’11%. Temi che evidentemente condizionano anche i fautori dell’atomo. Circa il
20% di questi ultimi, malgrado il loro consenso al nucleare, si dice infatti “abbastanza” o “molto
contrario” all’eventuale costruzione di una centrale nella sua regione.
Se ben il 90% degli italiani ha comunque ben presente che la nostra dipendenza energetica da altri
paesi è un tema “molto” (59%) o “abbastanza” importante (30%), una schiacciante maggioranza del
69% ritiene che la soluzione per risolvere il problema sia il ricorso “esclusivamente alle energie
rinnovabili”. Una scelta per la quale il 37% degli italiani sarebbe “certamente” disposto a pagare un
qualcosa in più in bolletta e un altro 39% lo sarebbe “probabilmente”.
A fronte di questa predisposizione non meraviglia quindi che il 43% giudichi “molto negativamente” i
provvedimenti del governo sulle rinnovabili 2 (leggi decreto Romani) e un altro 29% li ritenga
“abbastanza negativi”.
Per far valere queste opinioni gli italiani si dicono quindi in larga maggioranza (70%) pronti a recarsi alle
urne in occasione del prossimo referendum sul nucleare mentre un altro 71%, alla domanda “cosa
voterebbe nel caso decidesse di andare a votare” risponde “contro il ritorno delle centrali atomiche”.
Davanti a questo quadro davvero pesante non sembrerebbero aver sortito effetti positivi per l’immagine
dell’esecutivo neppure le repentine frenate 3 annunciate da diversi esponenti del governo. Per ben il
56% degli intervistati la pausa di riflessione auspicata dai ministri Romani e Prestigiacomo altro non è
che “una scelta di convenienza per non perdere consensi”, mentre solo il 39% pensa che la motivazione
vada ricercata in una “concreta preoccupazione per la salute e la sicurezza dei cittadini”. Valutazioni che
pesano sul giudizio complessivo dato all’operato dei due ministri. Né il responsabile dell’Ambiente né
tantomeno quello dello Sviluppo economico superano infatti il 4,5 in pagella.
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ROMA – E’ un bollettino carico di pessime notizie per il governo il sondaggio sul sentimento degli italiani
rispetto al nucleare realizzato dalla Gnresearch. I risultati delle risposte fornite dal campione di mille
cittadini rappresentativi dell’intera popolazione nazionale alla società internazionale di ricerche di
mercato pubblicati in anteprima su Repubblica.it fotografano infatti un quadro decisamente negativo non
solo per le aspirazioni di un ritorno all’energia atomica, ma anche per le ricadute sul consenso nei
confronti della maggioranza. Circa tre italiani su quattro non vogliono infatti la realizzazione di nuovi
impianti nucleari, giudicano negativamente le politiche del governo nei confronti delle energie rinnovabili
e si dicono pronti ad andare a votare all’imminente referendum per bloccare i piani dell’esecutivo.
GUARDA LE TABELLE DEL SONDAGGIO 1
Entrando nel dettaglio del sondaggio il dissenso popolare per le scelte energetiche di Palazzo Chigi
appare poi ancora più evidente e strutturato. Il 59% degli intervistati si dice “molto contrario” alla
costruzione di nuove centrali. A questa opposizione va poi aggiunta quella del 17% che si definisce
“abbastanza contrario”, per un totale di oltre il 75%. A preoccupare gli italiani non sono tanto gli eventi
“straordinari” come il terremoto giapponese, ma piuttosto l’ordinaria amministrazione. “L’impatto
negativo sull’ambiente e sulla salute dei cittadini, anche in assenza di incidenti o errori umani” è temuto
dal 45%, lo “smaltimento delle scorie radioattive” dal 29%, il “rischio di incidenti dovuti ad errori umani”
dal 15% e il “rischio di incidenti dovuti ad eventi naturali” dall’11%. Temi che evidentemente
condizionano anche i fautori dell’atomo. Circa il 20% di questi ultimi, malgrado il loro consenso al
nucleare, si dice infatti “abbastanza” o “molto contrario” all’eventuale costruzione di una centrale nella
sua regione.
Se ben il 90% degli italiani ha comunque ben presente che la nostra dipendenza energetica da altri
paesi è un tema “molto” (59%) o “abbastanza” importante (30%), una schiacciante maggioranza del
69% ritiene che la soluzione per risolvere il problema sia il ricorso “esclusivamente alle energie
rinnovabili”. Una scelta per la quale il 37% degli italiani sarebbe “certamente” disposto a pagare un
qualcosa in più in bolletta e un altro 39% lo sarebbe “probabilmente”.
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Nucleare, tre italiani su quattro dicon…
A fronte di questa predisposizione non meraviglia quindi che il 43% giudichi “molto negativamente” i
provvedimenti del governo sulle rinnovabili 2 (leggi decreto Romani) e un altro 29% li ritenga
“abbastanza negativi”.
Per far valere queste opinioni gli italiani si dicono quindi in larga maggioranza (70%) pronti a recarsi alle
urne in occasione del prossimo referendum sul nucleare mentre un altro 71%, alla domanda “cosa
voterebbe nel caso decidesse di andare a votare” risponde “contro il ritorno delle centrali atomiche”.
Davanti a questo quadro davvero pesante non sembrerebbero aver sortito effetti positivi per l’immagine
dell’esecutivo neppure le repentine frenate 3 annunciate da diversi esponenti del governo. Per ben il
56% degli intervistati la pausa di riflessione auspicata dai ministri Romani e Prestigiacomo altro non è
che “una scelta di convenienza per non perdere consensi”, mentre solo il 39% pensa che la motivazione
vada ricercata in una “concreta preoccupazione per la salute e la sicurezza dei cittadini”. Valutazioni che
pesano sul giudizio complessivo dato all’operato dei due ministri. Né il responsabile dell’Ambiente né
tantomeno quello dello Sviluppo economico superano infatti il 4,5 in pagella.
Fonte: Repubblica.it
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A Parigi, all’apertura dei lavori del G8, il primo
ministro francese Alain Juppe’ ha dichiarato che
il rischio nucleare in Giappone è “estremamente
elevato”. A seguito del doppio disastro naturale –
terremoto di magnitudo 8.9 seguito da tsunami
con onda di 10 metri – che ha colpito il Giappone
la settimana scorsa, molti impianti nucleari sono
risultati a rischio di fusione.
La prima emergenza nucleare in Giappone è
stata dichiarata per la centrale di Fukushima 1, i
cui reattori hanno superato il limite legale di
radioattività, e sono ormai tutti trattati con acqua
di mare e acido borico per favorirne il
raffreddamento e neutralizzare potenziali criticità;
malfunzionamenti sono risultati a Onagawa (Miyagi) e nell’impianto Tokai 2, distante appena 120 km da
Tokyo, il cui sistema di raffreddamento è stato danneggiato. Nonostante le iniezioni d’acqua nei reattori
1 e 2 della centrale di Fukushima 1 siano risultati efficienti per ripristinare la situazione, a complicare le
cose è stata una terza esplosione nel reattore n.2, avvenuta alle 6:00 del mattino (ore 22:00 di ieri sera
in Italia). E’ la terza esplosione verificatasi nell’impianto. A ciò si è aggiunto un incendio divampato
questa mattina al reattore n.4, causato dallo scoppio dell’idrogeno, che ha provocato una fuga di
radioattività nell’atmosfera, nonostante fosse uno dei reattori che si riteneva non essere stato
danneggiato dal disastro dello scorso 11 Marzo.
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La centrale Fukushima 1 è uno dei 25 impianti nucleari più grandi del mondo: gestita dalla Tokyo
Electric Power Company (Tepco), la centrale si trova nella città di Okuma, a circa 200 chilometri da
Tokyo, nella prefettura di Fukushima, ed è costituita da sei unità separate fra loro, che
complessivamente hanno una produzione di 4,7 GW. A circa 11 km dalla centrale di Fukushima 1
(Daichi) si trova un altro impianto nucleare, quello di Fukushima 2 (Daini). Al momento del terremoto
erano in funzione tre dei sei reattori, che si sono spenti automaticamente, mentre gli altri tre erano fermi
per manutenzione. Si tratta di centrali del tipo BWR (Boiling Water Reactor), un modello progettato negli
Stati Uniti negli anni ‘50. Le centrali del tipo Bwr utilizzano acqua demineralizzata per raffreddare il
reattore. Il calore prodotto dal processo di fissione nucleare che avviene all’interno del reattore viene
raffreddato dall’acqua che, riscaldandosi, vaporizza. Il vapore così ottenuto viene utilizzato per azionare
una turbina e quindi viene fatto condensare e torna ad essere acqua allo stato liquido che rientra in
circolo nel reattore. Quindi il fumo che si nota fuoriuscire dalla centrale nelle riprese dei media non è
altro che vapore acqueo prodotto inseguito allo spegnimento del circuito primario che raffredda il
reattore.
La popolazione che vive nei pressi delle centrali nucleari di Fukushima è stata sfollata poiché le autorità
nipponiche hanno riscontrato che la fuga dalla centrale ha livelli di radioattività nell’aria di 400 millisiviert
per ora. Sono 210 mila le persone, di cui 70 mila bambini, evacuate a titolo precauzionale intorno alle
due centrali; inoltre il primo ministro Naoto Kan ha chiesto a tutti coloro che vivono ad una distanza di 2030 chilometri dalla centrale di rimanere al chiuso. Come a Chernobyl le autorità giapponesi stanno
distribuendo iodio alla popolazione che vive nei pressi della centrale di Fukushima, perché protegge
dalle radiazioni.
Secondo il premier giapponese Naoto Kan “non ci sarà un’altra Chernob yl”, eppure l’incidente alla
centrale nucleare di Fukushima rappresenta il terzo tra i peggiori della storia e potrebbe rivelarsi un vero
disastro se non si riuscisse ad arginare la fusione del nucleo del reattore. Secondo Joseph Cirincione,
esperto nucleare americano, responsabile del Ploughsares Fund, quanto accaduto a Fukushima
rappresenta già da ora un disastro, anche se venisse bloccato. L’incidente alla centrale di Fukushima 1
è stato valutato, dall’Agenzia nipponica per la sicurezza nucleare e industriale, a livello 4, incidente con
conseguenze locali, ossia non significative all’esterno dell’impianto, su una scala di 7. Il disastro
nucleare di Chernobyl del 1986 (Unione sovietica) fu valutato di livello 7, incidente molto grave,
catastrofico, con rilascio di materiale radioattivo di iodio 131 in un’area molto estesa, ed effetti acuti sulla
salute delle persone contaminate e sull’ambiente, sulla Scala internazionale degli Eventi Nucleari,
mentre l’incidente del 1979 a Three Mile Island (Usa) era di livello 5, incidente con possibili
conseguenze all’esterno dell’impianto e rilascio di materiale radioattivo tale da richiedere contromisure
parziali.
Il premier giapponese ha chiesto ai suoi cittadini di mantenere la calma e di non sprecare l’energia in
quanto vi è stato un taglio di circa un quinto della produzione di energia nucleare. Per tale ragione il
governo ha annunciato dei b lack-out programmati in vaste zone del Giappone, compresa la capitale,
diffondendo attraverso la società elettrica giapponese una scheda informativa con tutti gli orari e le zone
interessate. Questa situazione di emergenza ha fatto sì che le ambasciate italiana, cinese e francese
abbiano richiamato i propri cittadini in patria e invitato chi non abbia reale necessità di recarsi in
Giappone ad astenersene.
Dopo quanto sta accadendo in Giappone il mondo sta cambiando, le società industriali hanno messo in
discussione ciò che era ritenuto sicuro, sotto controllo e necessario per lo sviluppo e indipendenza
economica. In Germania il cancelliere tedesco Angela Merkel ha dichiarato la chiusura di due impianti
nucleari che si trovano in Assia e nel Baden-Wuettemberg poiché rappresentano i due siti più vecchi del
http://www.larosanera.it/?p=1988
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22/03/2011
Giappone: una nuova Chernobyl? | La …
paese. Per gli altri 17 impianti il governo tedesco rimanda di tre mesi la decisione per valutare meglio la
situazione. La Spagna, invece, conta di ridurre gradualmente la propria dipendenza dal nucleare e ha
dichiarato che per l’anno 2013 chiuderà la centrale di Garona.
Simona Esposito
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Emergenza migranti, Regioni in camp…
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Emergenza migranti, Regioni in campo “Pronte ad
accoglierne 50mila”
MARTEDÌ, 22 MARZO 2011 12:16
NESSUN COMMENTO
ROMA – Da regioni, provincie e comuni c’è stata adesione alla
richiesta di accogliere fino a 50mila migranti, “un numero
molto realistico”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto
Maroni, al termine di un incontro con i presidenti di regioni,
Anci ed Upi.
“Il piano predisposto dal ministero dell’Interno – ha spiegato
Maroni al termine del vertice – prevede una distribuzione che
tenga conto, sul territorio, del numero degli abitanti. Per cui si
tratterà di una distribuzione con un numero realistico che terrà
conto anche di alcuni, necessari correttivi per regioni che
hanno già una forte pressione migratoria come la Sicilia, la
Calabria o la Puglia o emergenze quali l’Abruzzo con il
terremoto”.
Maroni distribuirà il piano “nei prossimi giorni per
l’approvazione definitiva” di regioni, province e comuni. Sul
fronte finanziario, di cui si è parlato durante l’incontro al
Viminale, Maroni al termine ha confermato che “il piano
comporterà un impegno finanziario. Ho ricordato che il
Consiglio dei Ministri ha rifinanziato il fondo della protezione
civile con le risorse necessarie per gestire l’emergenza umanitaria, facendo le cose che servono”.
Infine verrà rafforzato il sistema Sprar (Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che
permetterà di accogliere circa un decimo del totale. Il presidente della conferenza delle Regioni, Vasco
Errani, ha parlato di “collaborazione inter istituzionale. Ci sarà presentato il piano – ha commentato – poi
insieme opereremo per gestire questa fase molto complessa. L’Upi garantisce “piena adesione” alla
proposta del governo, “piena disponibilità” anche dai comuni che parlano di criterio di distribuzione sul
territorio convincente.
Maroni ha, quindi, accennato al villaggio della solidarietà di Mineo dove si sperimenterà “la creazione di
un modello di eccellenza per l’accoglienza, un modello italiano che vogliamo presentare in tutta Europa”.
Nel residence di Mineo si trovano 800 rifugiati. Per quanto riguarda l’isola di Lampedusa, Maroni ha
spiegato come sia “in corso l’intervento per spostare chi è giunto a Lampedusa in altre strutture.
Dall’inizio dell’anno a oggi e dunque in meno di tre mesi sono già arrivati in 14.918 mentre erano stati
4mila nell’intero anno precedente: sono tutti tunisini, maschi, giovani, ovvero si tratta di un’intera
generazione che parte dalla Tunisia, dove mi recherò domani perché questo flusso di immigrati
clandestini rischia di essere sfruttato dai trafficanti. La Tunisia è un Paese amico dell’Italia e della Ue e
ha tutto l’interesse a mantenere con noi buoni rapporti”.
Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, è in “costante contatto” con il ministro Maroni per quanto
riguarda il problema di un possibile sbarco di immigrati libici in Sicilia. “Ci sono già – ha detto a margine
di una conferenza al Senato – la croce rossa e la regione Sicilia che tengono sotto controllo la
situazione. Noi siamo pronti a un coordinamento nazionale, ma serve un coordinamento europeo”.
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ROMA – Da regioni, provincie e comuni c’è stata adesione alla richiesta di accogliere fino a 50mila
migranti, “un numero molto realistico”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, al termine di
un incontro con i presidenti di regioni, Anci ed Upi.
“Il piano predisposto dal ministero dell’Interno – ha spiegato Maroni al termine del vertice – prevede una
distribuzione che tenga conto, sul territorio, del numero degli abitanti. Per cui si tratterà di una
distribuzione con un numero realistico che terrà conto anche di alcuni, necessari correttivi per regioni
che hanno già una forte pressione migratoria come la Sicilia, la Calabria o la Puglia o emergenze quali
l’Abruzzo con il terremoto”.
Maroni distribuirà il piano “nei prossimi giorni per l’approvazione definitiva” di regioni, province e comuni.
Sul fronte finanziario, di cui si è parlato durante l’incontro al Viminale, Maroni al termine ha confermato
che “il piano comporterà un impegno finanziario. Ho ricordato che il Consiglio dei Ministri ha rifinanziato
il fondo della protezione civile con le risorse necessarie per gestire l’emergenza umanitaria, facendo le
cose che servono”.
Infine verrà rafforzato il sistema Sprar (Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che
permetterà di accogliere circa un decimo del totale. Il presidente della conferenza delle Regioni, Vasco
Errani, ha parlato di “collaborazione inter istituzionale. Ci sarà presentato il piano – ha commentato – poi
insieme opereremo per gestire questa fase molto complessa. L’Upi garantisce “piena adesione” alla
proposta del governo, “piena disponibilità” anche dai comuni che parlano di criterio di distribuzione sul
territorio convincente.
Maroni ha, quindi, accennato al villaggio della solidarietà di Mineo dove si sperimenterà “la creazione di
un modello di eccellenza per l’accoglienza, un modello italiano che vogliamo presentare in tutta Europa”.
Nel residence di Mineo si trovano 800 rifugiati. Per quanto riguarda l’isola di Lampedusa, Maroni ha
spiegato come sia “in corso l’intervento per spostare chi è giunto a Lampedusa in altre strutture.
Dall’inizio dell’anno a oggi e dunque in meno di tre mesi sono già arrivati in 14.918 mentre erano stati
4mila nell’intero anno precedente: sono tutti tunisini, maschi, giovani, ovvero si tratta di un’intera
generazione che parte dalla Tunisia, dove mi recherò domani perché questo flusso di immigrati
clandestini rischia di essere sfruttato dai trafficanti. La Tunisia è un Paese amico dell’Italia e della Ue e
ha tutto l’interesse a mantenere con noi buoni rapporti”.
Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, è in “costante contatto” con il ministro Maroni per quanto
riguarda il problema di un possibile sbarco di immigrati libici in Sicilia. “Ci sono già – ha detto a margine
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22/03/2011
Emergenza migranti, Regioni in camp…
di una conferenza al Senato – la croce rossa e la regione Sicilia che tengono sotto controllo la
situazione. Noi siamo pronti a un coordinamento nazionale, ma serve un coordinamento europeo”.
Fonte: Repubblica.it
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Donna e cellulite: una lotta continua t…
Numero 18 del 15/03/2011
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Donna e cellulite: una lotta continua tra diete e
trattamenti estetici
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MARTEDÌ, 15 MARZO 2011 18:39
Cinema
NESSUN COMMENTO
Se bella vuoi apparire un po’ devi soffrire. E noi
donne ne sappiamo qualcosa sulla veridicità di
questa
affermazione.
Ogni
giorno
ci
sottoponiamo a trattamenti assurdi. Iniziamo la
mattina con doccia e scrub viso/corpo, creme e
cremine varie picchiettando delicatamente in
alcuni punti e massaggiando energicamente in
altri. E poi esercizi “on the road” quando
camminiamo, con addominali e glutei contratti, in
giro per la città o prima di arrivare a lavoro. Non
ci facciamo mancare diete estremamente povere
di calorie e “beveroni” per favorire la diuresi, oltre
a ore in palestra e in piscina per concederci un
“fuori programma” alimentare di tanto in tanto.
E quando tutto questo non basta per avere un
corpo all’altezza delle nostre aspettative? Ecco
che, nelle ventiquattro ore di trattamenti attivi e
passivi continui, riusciamo a trovare tempo anche per quelli estetici in centri specializzati. Purtroppo una
dieta controllata, ricca di frutta e verdura fresche, non basta ad eliminare i fastidiosi inestetismi della
cellulite. La palestra aiuta a distendere la pelle tonificando i tessuti, ma non elimina il problema. Anche
la rigorosa regola del bere almeno due litri di acqua povera di sodio al giorno confluisce nella
risoluzione di alcuni fastidi, ma non di tutti. Due sono le filosofie accreditate. C’è quel filone secondo cui
tutto quello appena elencato basta per modellare il corpo in base alle nostre aspettative. E poi esiste la
“teoria dell’esteta”: palestra, dieta, trattamenti amatoriali e medicina estetica.
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Numerose le terapie, soprattutto anticellulitiche, da poter programmare con gli specialisti. Il più delle
volte vengono associate tra loro per un risultato più evidente e duraturo. Purtroppo la cellulite è una
“malattia” sia da un punto di vista medico, sia, per molte donne, da un punto di vista mentale. Si tratta di
una patologia conosciuta anche come P.E.F., ovvero Panniculopatia Edemato-Fibrosclerotica, e ha tre
stadi in base alla gravità. Esiste la cellulite compatta, la flaccida e l’edematosa (conseguenza della
prima). Diverse le cause associabili: fattori ormonali, stress, ereditarietà, cattiva circolazione del sangue
dovuta anche all’uso improprio di determinati tipi di calzature e di un vestiario eccessivamente stretto
che, comprimendo, ostacola il giusto afflusso sanguigno e linfatico. Diversi sono i metodi per
combattere questo inestetismo: alla base c’è un massaggio drenante che aiuta la circolazione;
conosciuta anche l’elettrolipolisi attraverso la quale è possibile ridurre la circonferenza (in maniera
significativa delle cosce) grazie all’uso di correnti a basso voltaggio. Stesso sistema è utilizzato per la
ionoforesi con l’aggiunta di farmaci specifici quali, ad esempio, l’aminofillina, la carnitine e l’escina. Un
metodo indicato per la seconda tipologia descritta è la laser-terapia, che non comporta alcuna
controindicazione. Di contro c’è la mesoterapia. L’utilizzo di siringhe per microinfiltrazioni di farmaci la
rende più dolorosa rispetto a quelle descritte finora, ma l’associazione di quest’ultima al linfodrenaggio
e all’ozonoterapia (infiltrazione di ozono nelle aree localizzate) la rende efficace per un ottimo risultato.
In voga ultimamente ci sono tre metodi: pressoterapia, cavitazione e lpg. La prima è indicativa per
un’insufficienza linfatica e venosa di entità più importante. È un trattamento che non comporta dolore,
ma solo pazienza, visto che le sedute durano, in media, quaranta minuti. La cavitazione, invece, aiuta a
ridurre il grasso che viene assorbito dal sistema linfatico ed eliminato direttamente dal corpo attraverso
l’urina. Effetti collaterali di lieve entità si manifestano con una sensazione di torpore e di calore, nonché
lievi edemi. Il trattamento lpg consiste invece nell’aspirazione delicata della pelle che produce
l’arrotolamento e lo srotolamento di quest’ultima. Praticata da dieci anni, facilita l’eliminazione delle
tossine e aiuta la circolazione linfatica e venosa. Determina anche un rassodamento cutaneo e un
rimodellamento del corpo.
Casi estremi comportano infine la lipoaspirazione e la liposcultura, nonché la liposuzione. Si tratta di
interventi di chirurgia estetica a tutti gli effetti: vengono infatti praticate delle microincisioni, eseguite in
anestesia locale, attraverso le quali aspirare l’adipe grazie all’uso di cannule collegate a macchinari.
Numerose anche le controindicazioni per questa tipologia di trattamenti, i cui risultati sono a lungo
termine (ma non per sempre), ma che comportano anche numerose limitazioni per quanto concerne la
dieta alimentare. Va bene soffrire per migliorare il proprio corpo e rinvigorire l’autostima e l’accettazione
di se stesse, ma non bisogna eccedere, rischiando di scivolare nell’ossessione, quando intervenire
non è necessario da un punto di vista medico.
Roberta Santoro
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Donna e cellulite: una lotta continua t…
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R.E.M. Collapse Into Now | La rosa nera
Numero 18 del 15/03/2011
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MARTEDÌ, 15 MARZO 2011 18:50
Attualità
NESSUN COMMENTO
Cascare nel solito cliché del “nuovo disco più
elaborato/meno elaborato del precedente” con i
R.E.M. è piuttosto facile, ma in questo caso forse
ce lo risparmieremo. Collapse Into Now è
l’ennesimo (si è perso il conto) album da studio
per la band georgiana, attesa al varco dopo il pur
positivo Accelerate del 2008, che aveva riportato
Stipe e soci a “tirare” un po’ di più i propri pezzi, e
che rimane in ogni caso un album dai toni
estremamente rock e vivaci. Se con Accelerate ci
siamo convinti della poliedricità dei R.E.M., con
Collapse Into Now ce ne rendiamo sempre più
conto. Un album che offre pezzi tiratissimi e
b allad struggenti.
Il disco si apre con un uno-due efficace
(“Discoverer” e “All The Best”), due pezzi davvero
rock che riportano alla mente le atmosfere da
garage band (o quasi) del precedente disco.
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Notevoli chitarre di Peter Buck, come sempre.
Il Singolo “ÜBerlin” invece non convince come si deve, forse per mancanza di inventiva o per gli
arrangiamenti. Risultato: nulla di più che una b allad in chiave acustica corroborata da un organo in
primo piano.
Si va molto meglio con “On My Heart”, dove per un attimo si riascoltano i R.E.M. di “Losing My Religion”,
con una fisarmonica azzeccatissima che fa da tappeto al pezzo e ottimi incroci di chitarre e mandole
arpeggiate (perché non scegliere questa, come singolo?). La scia acustica prosegue con “It Happened
Today”, delicata al piano e alle acustiche, nonché impreziosita nel finale dalla partecipazione di Eddie
Vedder dei Pearl Jam ai cori che dominano il pezzo.
La scarsa vena compositiva però riappare sorniona in “Every Day Is Yours To Win”, pezzo che verrà
ricordato solo per il nome più lungo del solito. Strofe ripetute senza voglia e incisività da Michael Stipe
(non rendendo giustizia alla sua estensione vocale). “Mine Smell Like Honey” ha il merito se non altro di
togliere via il torpore con la sua vivacità, un onesto ed efficace pezzo guitar-rock (ciò che i R.E.M. sanno
forse fare meglio). “Alligator Aviator Autopilot Antimatter” è un deciso duetto con Peaches davvero fresco
e si erge fra i brani dell’album come tra i più godibili, così come l’ottima e “chitarrosa” (evviva!) “That
Someone Is You”.
La scaletta piuttosto disarticolata si chiude con due b allads, “Me, Marlon Brando, Marlon Brando And I”,
intensa e delicata, e “Blue”, che vede come ospite Patti Smith, che ormai gravita sempre più spesso
attorno alla band, dove un freddo Stipe si intervalla con una poco ispirata Smith, davvero una chiusura
non degna di questo nome.
Collapse Into Now è il disco di cui potevamo fare tutti a meno. Una sorta di Greatest Hits con brani inediti
che ricalcano stereotipi di vecchi pezzi del gruppo, con la differenza che i vecchi pezzi non erano affatto
stereotipi. Aspettiamo Stipe, Buck e Mills alla prossima, si spera migliore, avventura, e chissà che il tour
che verrà lanciato con il disco non ci faccia cambiare idea.
Marco Della Gatta
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Oltre il Giappone, la catastrofe è sul g…
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Oltre il Giappone, la catastrofe è sul grande schermo
Sezioni
MARTEDÌ, 15 MARZO 2011 18:47
NESSUN COMMENTO
Un terremoto di 8.9 magnitudo della scala
Richter che squarcia strade e fa crollare case.
Un’umanità spazzata via dalla forza distruttrice
delle acque alte 10 metri. Sembrava di essere
nel mezzo di un kolossal catastrofico. Purtroppo
non ci sono trucchi, niente computer graphic, né
stuntman. Non siamo in un film, tutto è
drammaticamente reale. Le immagini terrificanti
che in questi giorni ci sono arrivate dal Giappone
fanno impallidire anche il più geniale dei registi,
abituato a servirsi degli effetti speciali più
sofisticati per descrivere almeno in parte la
potenza devastante di cui è capace la natura. Ma
per
quanto
realistiche,
le
visione
cinematografiche restano relegate nel campo
della fantascienza mentre la realtà, come ci ha
dimostrato la tragedia che ha colpito il paese del
Sol Levante, spesso riesce a superare la
fantasia. E se di fronte a quella si resta
impassibili e attoniti, a guardare sullo schermo alluvioni, asteroidi che si abbattono sulla terra, terremoti,
vulcani che esplodono, tornado, glaciazioni, extraterrestri che minacciano l’uomo, bombe atomiche che
distruggono il pianeta e via dicendo, il pubblico si esalta.
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L’epopea cinematografica del disastro è assai fertile. L’industria del cinema negli ultimi 40 anni si è
sbizzarrita a produrre effetti speciali all’avanguardia e riprese ad altissima spettacolarità in grado di
rendere i cataclismi da celluloide quanto più realistici possibile. E’ del 1933 il film considerato
capostipite del genere, La distruzione del mondo (Delug) di Felix Feist. Ma la consacrazione vera e
propria avviene solo negli anni ’70, con l’avvento del catastrofismo “moderno” che coincide pressappoco
con l’uscita nelle sale di Airport (1970) e quattro anni più tardi de L’inferno di cristallo (1974). A mettere a
rischio la civiltà umana non ci sono più solo disastri naturali e animali (citiamo Terremoto del 1974,
Swarm del 1978 e Meteor del 1979), ma anche le azioni degli uomini stessi, e ciò che essi hanno
costruito. Dopo un decennio di break creativo, il genere catastrofico tornerà di moda prepotentemente,
rinvigorito dall’avvento della grafica computerizzata, a partire dagli anni ’90. Il film che segna la svolta è
Independence day, kolossal campione di incassi del 1996 diretto da un maestro del genere, Roland
Emmerich. Da allora i disaster movies non hanno più abbandonato le sale cinematografiche, e sono
arrivati i vari Armageddon, Twister, Dante’s Peak, Deep Impact, The Day after Tomorrow, 2012.
Ma perché hanno tanto successo queste pellicole? Cos’è tutta questa voglia collettiva di disastri
cinematografici? Il pubblico al cinema è sempre andato alla ricerca dell’insolito, di esperienze che
difficilmente si crede possano avvenire nella vita quotidiana, e alle quali, probabilmente, non si
riuscirebbe a sopravvivere. E non c’è nulla di più terrorizzante e ineluttabile di quei disastri naturali come
tsunami, terremoti e eruzioni vulcaniche che trascendono la volontà umana e mettono a rischio
l’esistenza sulla terra. Eppure al cinema l’uomo ha sempre trovato il modo di sopravvivere, di affrontare
la catastrofe e di superarla. Non si tratta di un semplicistico happy ending studiato a tavolino, ma di una
vera e propria necessità psicologica se vogliamo. Non è un caso infatti che questo cinema abbia vissuto
i suoi periodi d’oro in momenti di grande instabilità e incertezza mondiale. Gli Stati Uniti dei primi anni
’30 erano figli della Grande Depressione del ’29, il mondo negli anni ’70 faceva i conti con la crisi
petrolifera e i conflitti medio orientali, gli anni ’90 furono gli anni della disgregazione dell’Europa dell’Est,
e il nuovo millennio si apre con l’attacco terroristico alle Torri Gemelle. Andare al cinema a vedere
l’umanità sopravvivere a situazioni ben più tragiche di quelle che si vivono nella vita reale, e a illudersi
che grazie ad un’azione collettiva degli uomini tutto si può superare, è una grande iniezione di speranza
e fiducia nel futuro. Come sosteneva Aristotele, la rappresentazione collettiva delle nostre angosce
funziona da catarsi personale. Al sicuro tra le mura di una sala guardiamo in faccia le nostre paure più
recondite e ce ne liberiamo.
Per una filmografia della catastrofe vi consigliamo la visione di :
Airport (1970) – Un folle dinamitardo minaccia di far saltare in aria un aereo in rotta da Chicago a
Roma.
L’inferno di cristallo (1974) – Un inferno di fuoco scatena il panico in un grattacielo di cristallo alto 138
piani.
Armageddon – Giudizio finale – Un enorme asteroide minaccia la terra Terra. La Nasa invia una
squadra nello spazio per farlo esplodere con una testata nucleare a tempo.
The Day After Tomorrow – Eco-movie sulle conseguenze catastrofiche che potrebbe innescare il
riscaldamento globale del clima.
Deep Impact (1998) – Una cometa è in rotta di collisione il pianeta. Il genere umano ha un anno di
tempo per organizzarsi a sopravvivere all’impatto.
Dante’s Peak (1997) – Un vulcano inattivo si risveglia inaspettatamente minacciando la vita di 7000
persone.
Magnitudo 10.5 – L’incubo di sentire tremare la terra sotto i piedi. Un terremoto violentissimo devasta le
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22/03/2011
Oltre il Giappone, la catastrofe è sul g…
coste americane nordoccidentali.
Twister – La forza devastante degli uragani.
2012 – Un’avventura epica che punta su una delle nostre più recenti e radicate paure: la fine del mondo.
Vajont – La forza distruttrice dell’acqua e la superficialità umana. Catastrofe purtroppo realmente
accaduta nel 1963.
Enrica Raia
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Dimmi quando sei nato e ti dirò chi s…
Numero 18 del 15/03/2011
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Dimmi quando sei nato e ti dirò chi sei
Sezioni
MARTEDÌ, 15 MARZO 2011 18:56
NESSUN COMMENTO
Oggi, nell’era comunitaria dei social network,
scoprire le date di nascita dei nostri amici e
conoscenti non è mai stato tanto semplice: basta
un click per ricordarsi dei compleanni, fare gli
auguri ed evitare le eterne figuracce connesse
alle dimenticanze. Ma, regole del b on ton a parte,
sicuramente tutti avrete notato come i
compleanni si distribuiscano in maniera tutt’altro
che uniforme: a giorni privi di nascite, se ne
contrappongono altri decisamente troppo “pieni”
di compleanni, tanto da far pensare che esistano
dei giorni “preferiti” per venire al mondo.
Casualità statistica, destino o misteriose
influenze? Esistono delle regole che determinano la fertilità, l’avvicendamento delle nascite e i boom
demografici? Oppure la vita e la morte sono frutto soltanto dei voleri di un capriccioso Fato? Da sempre
l’essere umano tenta di dare un senso alla propria esistenza, e, tra le altre questioni su cui l’uomo si è
interrogato, probabilmente sin dalle origini della cultura, quella della fertilità e della previsione delle
nascite sembra occupare un posto centrale: le tematiche della fertilità femminile e della gravidanza, o
dell’influenza che la data di nascita può avere sulla personalità dell’individuo affascinano da sempre
l’essere umano, che ha tentato di isolare delle variabili ricorrenti allo scopo di fare previsioni. Previsioni
che si connettono primariamente all’astrologia, al movimento delle stelle e dei pianeti (ma anche
all’alternanza delle stagioni calde e fredde) che si ritiene abbiano una insospettabile influenza nei più
svariati ambiti della vita “terrestre”.
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Cicli lunari e fertilità. La Luna, satellite della Terra, è sempre stata considerata uno dei pianeti che
maggiormente influenza i cicli della vita umana, in particolare quelli legati alla crescita e alla nascita: se
da una parte è vero che la Luna, con la forza di attrazione gravitazionale che esercita sulla crosta
terrestre, è responsabile di fenomeni come le maree, d’altra parte, però, appaiono dubbie svariate altre
credenze, come quelle che ipotizzano l’esistenza di una connessione tra le fasi lunari e quelle relative ai
raccolti e alle semine, oppure alla crescita di unghie e capelli, e addirittura la congiunzione dei cicli
lunari con ciclo mestruale, fertilità e gravidanza. Si tratta di superstizioni antiche che accompagnano i
misteri della vita e della nascita: da sempre mamme e nonne sono attente a contare i giorni secondo un
calendario lunare per prevedere con esattezza la data del parto della puerpera, mentre le ostetriche
riferiscono un incremento sensibile dei parti nei giorni di luna piena. Quanto c’è di vero? Esiste un
momento “prediletto” per nascere? Il pediatra milanese Italo Farnetani, da anni impegnato nella
catalogazione delle nascite, ritiene di si. Esiste un giorno più “fortunato” degli altri per le nascite, che
varia di anno in anno ma che è sempre e comunque soggetto all’influenza dei cicli lunari – e in
particolare della luna piena – sulla gravidanza: la spiegazione scientifica sarebbe che l’alternanza tra la
luce diurna e quella notturna – e soffusa – della luna piena stimolerebbe l’epifisi, ghiandola del cervello
preposta alla secrezione di ormoni sessuali, favorendo l’avvio del travaglio. Esisterebbe quindi un
giorno “favorevole” alle nascite: e se nell’anno 2009 le previsioni del dott. Farnetani hanno indicato la
notte del 31 Dicembre, ovviamente rischiarata dalla luna piena, come “giorno X”, con l’attesa di quasi
5mila nascite italiane, nell’anno 2010 lo “scettro” del giorno con più nascite è passato al 23 Settembre
(che secondo le attese ha portato la cicogna in più di 5mila famiglie italiane), andando a rafforzare il
primato di mese più “prolifico” che Settembre già possiede da parecchi anni, con la maggior parte dei
concepimenti avvenuti tra Dicembre e Gennaio, a cavallo delle feste natalizie che si rivelano, per motivi
tutt’altro che incomprensibili, di anno in anno “fertilissime”.
Il metodo Jonas e la ricerca di Oliver Kuss. Eugene Jonas può senza dubbio essere considerato
predecessore di Italo Farnetani: scienziato cecoslovacco, astrologo per passione, Jonas elaborò un
famoso “metodo” in grado di prevedere le nascite attraverso il calcolo dei periodi fertili della donna, che
varia a seconda della sua data di nascita. Nello specifico, secondo Jonas la donna raggiungerebbe la
massima fertilità, e avrebbe quindi più possibilità di concepire, in quei momenti in cui la Luna e il Sole
formano, insieme alla Terra e altri pianeti, un angolo coincidente a quello presente nella volta celeste al
momento della sua stessa nascita. Insomma, secondo Jonas “vita chiama nuova vita”, perché ogni
donna avrebbe più possibilità di rimanere incinta quando i pianeti sono allineati allo stesso modo che
nella data della sua nascita. Il metodo Jonas permetterebbe addirittura di “decidere” il sesso del
nascituro, sempre attraverso una serie di calcoli astrali. E se questa affascinante ipotesi gode di forte
credito presso gli ambienti “astrologici”, a smentirla arriva uno studio statistico condotto dallo scienziato
tedesco Oliver Kuss, che insieme agli altri ricercatori dell’Università di Halle ha incrociato i dati relativi a
più di quattro milioni di nascite avvenute tra il 1966 e il 2003 con oltre 470 fasi lunari, dimostrando che
non vi è alcuna coincidenza tra la luna piena e l’incremento delle nascite, che si distribuiscono
uniformemente durante tutto il ciclo lunare, senza mai toccare picchi degni di nota. Eppure, la ricerca
conferma il mese di Settembre come quello con più compleanni, e aggiunge un altro interessante dato:
la maggior parte delle nascite si concentrerebbe nei primi giorni della settimana, tra lunedì e martedì.
Frutto della casualità?
Mese di nascita e fertilità. Un altro singolare studio che connette la data della nascita alla fertilità è
stato condotto da un’équipe austriaca dell’Università di Vienna, guidata dalla ricercatrice Susanne
Huber e pubblicato sulla rivista Human Reproduction. Il gruppo di ricerca non ha fatto altro che acquisire
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22/03/2011
Dimmi quando sei nato e ti dirò chi s…
i dati relativi ai mesi di nascita della popolazione austriaca a partire dal 1967, e incrociando questi rilievi
con il numero di figli per ciascun individuo, ha fatto delle interessanti quanto curiose scoperte. A quanto
pare, gli uomini nati nei mesi autunnali sarebbero meno prolifici di quelli nati in primavera, con la
possibilità di non diventare mai padri che supera di un buon 10% quella degli uomini nati tra Marzo e
Maggio; al contrario, le donne nate nei mesi invernali, soprattutto a Dicembre, risultano le più feconde,
rispetto a quelle nate a Luglio, che invece avrebbero il 13% in più di probabilità di non dare alla luce
nemmeno un bebè. Una situazione che sembra influenzata non tanto dalle stelle e dai pianeti, quanto
piuttosto da fattori climatici, dato che lo stesso studio, condotto in Nuova Zelanda, dove le stagioni sono
inverse alle nostre, avrebbe dato opposti risultati.
Ancora, altri studi hanno tentato di connettere la data, e più in generale la stagione di nascita con la
predisposizione a sviluppare alcune malattie specifiche: e se è già stato dimostrato che i neonati venuti
al mondo nei mesi più bui, come novembre e dicembre, hanno, da adulti, maggiore possibilità di
sviluppare una depressione a causa probabilmente della mancanza di luce di cui hanno sofferto nei
primi periodi di vita, più di recente un gruppo di epidemiologi del Veterans Affairs Medical Center di
Omaha in Nebraska ha tentato di dare risposte più precise all’ipotesi di una connessione tra malattie e
mese di nascita, estendendo la ricerca a un maggior numero di patologie. Emerge così che, solo per
fare un esempio, la schizofrenia colpirebbe i nati tra Gennaio e Marzo, mentre il Parkinson avrebbe
maggiore incidenza sui nati da Aprile a Giugno, e così via, in barba alle innumerevoli teorie che
ipotizzano l’esistenza di una predisposizione genetica per la comparsa di determinate malattie.
Ipotesi (scientifiche e non) che gettano luci e ombre su quello che resta uno dei misteri inaccessibili alla
cognizione umana: la nascita, e l’influenza che essa può avere, a seconda di quando avviene, sulla vita
futura del neonato. Riscontri senza dubbio affascinanti, ma a cui le coppie che intendono avere un figlio
forse farebbero meglio a non prestare troppa attenzione: tra un calcolo e l’altro per la previsione del
periodo migliore per far nascere il bebè, si rischierebbe di perdere il momento “buono” per concepirlo.
Giuliana Gugliotti
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Tamara de Lempicka, maestra di trasg…
Numero 18 del 15/03/2011
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Tamara de Lempicka, maestra di trasgressione
Sezioni
MARTEDÌ, 15 MARZO 2011 18:53
Attualità
NESSUN COMMENTO
Una babele di linguaggi pittorici, dal cubo-futurismo russo e
francese, all’iperrealismo e all’Art Déco, coniugati all’insegna
della sensualità più sfrontata: questa è l’arte (e potremmo
dire anche la vita) di Tamara de Lempicka (1898-1980),
pittrice di origine polacca tra le più apprezzate e discusse del
XX secolo, che oggi, a quasi ventuno anni esatti dalla sua
morte, viene celebrata al Museo del Vittoriano con una
“personale” tardiva che espone più di 120 tra disegni e quadri
della “regina del moderno”, molti di provenienza “privata”,
alcuni prestati anche da Jack Nicholson, appassionato
collezionista: un’esposizione che si pone l’ambizioso obiettivo
di ricostruire, insieme al suo percorso pittorico, anche quello
della vita privata dell’artista, attraverso una serie di documenti
e filmati che ne scandagliano le relazioni – intime e
intellettuali – e tentano di gettare nuova luce su una delle
personalità più controverse dell’epoca.
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Bisessuale dichiarata, cresciuta nella megalomanica
convinzione – trasmessale dalla nonna Clementine – di
essere straordinaria, vissuta sempre in viaggio tra Pietroburgo e Parigi, California e Italia, Tamara de
Lempicka fu davvero l’icona di un’epoca, quella delle follies parigine (e non solo) degli anni ’20, della
sfrenata ricerca della modernità e del gusto per l’esagerazione: non soltanto perché i suoi dipinti, con i
loro colori accesi, le forme definite e le forti ombreggiature che rendono le sue figure dipinte quasi
scultoree, sintetizzano appieno l’atmosfera di quegli anni, ma anche e soprattutto perché Tamara rese
la sua stessa vita, più che la sua arte, emblema di un’epoca, simbolo di uno stile di vita estremo e
ricercato, trasformando la sua stessa immagine in un’icona della modernità. Imprenditrice di se stessa,
pioniera inconsapevole delle nuove forme di comunicazione, Tamara de Lempicka seppe vendere la
propria arte anzitutto attraverso vere e proprie operazioni commerciali (che oggi potremmo definire
esempi del più scaltro marketing, come quando indisse un concorso – truccato – per eleggere una
modella per un suo nuovo dipinto, che ebbe una potente risonanza sui media) in cui a essere in vendita
non erano i suoi quadri, ma proprio lei, “Tamara”, con tutti i significati, gli echi, le risonanze che la sua
persona evocava nella pubblica opinione.
Corteggiata – senza successo – da Gabriele D’Annunzio durante un breve soggiorno al Vittoriale,
documentato nei racconti di Aélis Mazoyer, governante e amante dello scrittore, ammirata –
artisticamente parlando – dal visionario Salvador Dalì, Tamara de Lempicka ha affascinato intere
generazioni, e continua a esercitare la sua malia anche ben oltre la sua morte, con la sua immagine
circonfusa di mistero, primo fra tutti quello della sua nascita, che ella dichiarava essere avvenuta nel
1902 a Varsavia, a dispetto di documenti ufficiali recentemente rintracciati che la collocano in Russia
quattro anni prima; poi quello della sua vita, consumata tra locali notturni e relazioni extraconiugali,
apparentemente brillante – ed esaltata dagli effetti della cocaina – sotto i riflettori mondani, ma in realtà
inficiata nell’intimo dallo spettro della depressione; e infine quello della sua morte, avvenuta in
solitudine. Fanatica ammiratrice di Greta Garbo, probabilmente si ispirò alla sua immagine di diva
hollywoodiana per costruire, durante gli anni del suo soggiorno negli States, la sua figura di donna
libera e intraprendente, amante del bello e dell’eccesso, fin quasi a sfiorare il kitsch, a tratti attraversata
da una rudezza quasi mascolina, eppure permeata di una travolgente sensualità, di quelle che mettono
soggezione agli uomini (tanto da costringere il suo primo marito, Tadeusz Lempicki, ad abbandonarla a
causa della sua vita libertina, in cui non c’era posto per la famiglia, e da spingere il barone Kuffner, suo
secondo marito, a garantirle la più totale libertà, sessuale e non) e che solo una donna sfrontatamente
padrona di se stessa può avere. Una sensualità che dirompe nei suoi nudi, famosissimi fra gli altri
quelli dedicati alla sua burrosa amante, Rafaèla, esposti per la prima volta insieme al Complesso del
Vittoriano, e che invece recede in altri dipinti, sfumando nella trattenuta castità dei ritratti della figlia
Kizette, fino a scomparire definitivamente nelle tele a carattere mistico/religioso.
E’ alla luce della sua vita, così come scelse di costruirsela, che Tamara può essere considerata “regina
del moderno”, in assoluto prima “stella” di un “pop” inteso come “popular”, corrente culturale che
abbraccia varie forme d’arte e si rivolge, appunto, alla massa. E alla massa Tamara de Lempicka seppe
parlare facendo parlare di sé, prima ancora che delle sue opere, che, senza la magnetica attrazione che
ella esercitava tutt’intorno, tra la gente comune come nei ristrettissimi circoli d’arte, probabilmente non
avrebbero avuto, per quanto indiscutibilmente talentuose, lo stesso sfavillante successo. Perché, a ben
guardare, la sua pittura, piuttosto che essere un inno all’innovazione si presenta come un mélange
senza precedenti di vari elementi pittorici – classicismo italiano ispirato a pittori come Carpaccio,
Cubismo e avanguardia Realista – spesso in contrasto tra loro sia visivamente sia concettualmente,
che ben poco presenta di nuovo, se non la unica, irripetibile capacità dell’artista di conferire una sublime
armonia laddove ci si aspetterebbe di veder regnare il caos (emblematico l’esempio de Les jeunes
filles, in cui l’alone soffuso dell’amore saffico tra le due donne stride fortemente nel contrasto coi
grattacieli dello sfondo). E ancora una volta, a dominare la scena è sempre lei, Tamara, la sua
personalità carica di contrasti e per questo unificatrice, che si legge in trasparenza nella trama di ogni
suo dipinto: è l’autrice stessa la vera protagonista dei suoi quadri, i cui soggetti restano, nonostante
tutto, a fare da sfondo alla sua preponderante figura, quella dibattuta e ambigua della donna Tamara.
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22/03/2011
Tamara de Lempicka, maestra di trasg…
Giuliana Gugliotti
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150 anni Unità di Italia, Bolle danza al …
Numero 18 del 15/03/2011
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150 anni Unità di Italia, Bolle danza al San Carlo
Sezioni
MERCOLEDÌ, 16 MARZO 2011 01:42
Attualità
NESSUN COMMENTO
Roberto Bolle, un Romeo di mezzanotte nella
notte tricolore di Napoli.
Nella città partenopea, come nel resto del paese,
fervono i preparativi per rendere omaggio, il
prossimo 17 marzo, ai 150 anni dell’Unità
d’Italia. Un evento molto importante e sentito che
il Teatro San Carlo ha deciso di festeggiare con
una serata speciale destinata a farsi ricordare a
lungo: una notte bianca che avrà inizio mercoledì
16 marzo a partire dalle ore 24.00 e proseguirà a
notte inoltrata ad introdurre, quindi, la festa
nazionale del 17. Protagonista assoluto sul palco
del teatro partenopeo, l’étoile internazionale e
primo ballerino del Teatro alla Scala di Milano,
Roberto Bolle, che interpreterà in assoluta
anteprima le scene più suggestive ed
emozionanti de “I duelli di armi e d’amore” del
“Roméo et Juliette” firmato da Amedeo Amodio
su musiche dell’omonima sinfonia di Hector
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Berlioz.
Bolle torna dunque nel massimo teatro napoletano a quasi un anno dalla tanto discussa performance
di Giselle, dove il ballerino aveva “osato” danzare completamente nudo mettendo in risalto con la sua
danza vigorosa e dirompente le linee perfette del suo corpo statuario. Stavolta però sarà diverso.
Nessuno scandalo. Il ballerino originario di Casale Monferrato sarà Romeo nel celebre allestimento di
Amodio, una delle creazioni più applaudite e rappresentate del coreografo milanese – vincitrice tra l’altro
del Premio Danza&Danza nel 1987 – che tra le sue particolarità vede l’alternarsi di danza e prosa con la
recitazione di brani dal testo originale di William Shakespeare. Insieme a Lucìa Lacarra (Giulietta),
Alessandro Macario (Mercuzio), Edmondo Tucci (Tebaldo), Marco Spizzica (Benvolio) ed il Corpo di Ballo
del Teatro San Carlo, l’étoile interpreterà alcune delle scene più importanti dell’opera: i duelli iniziali
(musica e parlato), la festa in casa Capuleti e il primo incontro tra Romeo e Giulietta, la notte serena, il
duello tra Mercuzio e Tebaldo (parlato), la morte di Mercuzio, il duello tra Romeo e Tebaldo e, nel finale, il
passo a due con Bolle e la Lacarra. Al termine del balletto, l’Orchestra e il Coro stabili del San Carlo
eseguiranno l’Inno nazionale di Mameli diretti da Massimiliano Stefanelli.
I festeggiamenti di questo anniversario arrivano in un momento di enorme difficoltà per l’arte e la cultura
in generale nel nostro paese, come ci tiene a sottolineare Bolle. “Come è stato più volte ricordato da
illustri artisti e pensatori, cito uno per tutti l’insuperab ile Rob erto Benigni, l’arte, la cultura, la lingua hanno
fatto l’Italia, la nazione, prima della politica. Il nostro Paese possiede una storia gloriosa, affascinante,
ricca di b ellezza, di tragicità, di grandi uomini e grandi donne mossi da una forza meravigliosa, da
valori, orgoglio e un destino che l’hanno portato all’unità. A 150 anni dalla sua unificazione, l’Italia
semb ra oggi fragile, frastornata. È quindi ancora più importante ricordare da dove e da cosa veniamo
per non svilirci. Spero che il 17 marzo possa essere un’occasione anche di riflessione per chi, con una
politica miope, sta colpendo al cuore la nostra identità”.
Lo spettacolo di mezzanotte sarà un’anteprima in notturna del balletto in cartellone dal 22 al 29 marzo
2011. Domenica 20 marzo, alle ore 18, la prova generale, con incasso devoluto all’Ospedale Santobono
di Napoli, nell’ambito dell’iniziativa “Il San Carlo per il sociale”. L’attesa però è tutta per quella che
Rossana Purchia, soprintendente del San Carlo, ha definito “una grande festa” che permetterà – grazie
http://www.larosanera.it/?p=2011
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22/03/2011
150 anni Unità di Italia, Bolle danza al …
ai prezzi popolarissimi dei biglietti (posto unico da 30 euro) – a tutta la cittadinanza di festeggiare
degnamente un avvenimento così importante per il nostro Paese. E per chi non avrà la fortuna di
esserci, l’appuntamento è su Rai uno con due collegamenti in diretta nel corso della trasmissione
condotta da Pippo Baudo.
Enrica Raia
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Accordo Lactalis-fondi esteri per la ce…
Numero 18 del 15/03/2011
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Accordo Lactalis-fondi esteri per la cessione delle quote
Sezioni
MARTEDÌ, 22 MARZO 2011 12:18
NESSUN COMMENTO
MILANO – La Francia segna in contropiede un
goal pesantissimo all’Italia nella partita per
Parmalat. Lactalis, già
titolare di
una
partecipazione del 13,7% nel capitale di
Collecchio, ha raggiunto un accordo per
acquisire la quota del 15,3% in mano a Skagen,
MacKenzie e Zenit, i tre fondi che avevano
presentato una propria lista per il cda per
scalzare Enrico Bondi. La firma è arrivata nelle
prime ore di oggi dopo un braccio di ferro con
IntesaSanPaolo che in nome della cordata
italiana era da ore in pressing sugli investitori
istituzionali. I transalpini però – incuranti del
decreto anti-stranieri allo studio di Giulio
Tremonti 1 – hanno fatto saltare il tavolo con una
maxi-offerta a 2,8 euro per azione (il 13% in più della chiusura di ieri) per un totale di 750 milioni che ha
spiazzato Cà de Sass, costretta alla prudenza in attesa di un via libera di Ferrero all’operazione tricolore.
La società della famiglia Besnier – che in Italia controlla già Galbani, Invernizzi e Cademartori – definirà
nella giornata di oggi i dettagli tecnici del passaggio azionario che le consentirà di presentarsi
all’assemblea del 14 aprile con una partecipazione del 29%, appena sotto la soglia dell’Opa, un
pacchetto probabilmente decisivo per conquistare il controllo del cda di Parmalat e alzare su Collecchio
la bandiera francese.
Lo schiaffo di Parigi lascia ben poche speranze di ribaltare la situazione ai paladini dell’italianità. L’unica
strada “finanziaria” a disposizione è a questo punto il lancio di un’Opa sul 100% della società di Bondi.
Ma il prezzo è salatissimo (poco meno di 5 miliardi) e viste le difficoltà incontrate da Intesa a raccogliere
un miliardo per fronteggiare Lactalis in questo primo tempo della partita, il percorso è decisamente
impervio. La palla è quindi in mano al governo che ha già ribadito più volte di voler proteggere Parmalat
da scalate ostili per il peso che l’azienda ha nella delicatissima filiera lattiero casearia nazionale. E’
ancora possibile? Tremonti potrebbe trovare formule giuridiche (simili a quelle utilizzate proprio dalla
Francia) per bloccare le operazioni non gradite su società strategiche, ma ora che Lactalis ha in mano la
maggioranza relativa tutto è più complesso. E un eventuale intervento a gamba tesa di Roma
esporrebbe l’Italia un lungo contenzioso in sede Ue. La pressione delle organizzazioni agricole –
preoccupate che i francesi si approvvigionino di materia prima all’estero – potrebbe però convincere lo
stesso l’esecutivo a giocare questa carta.
A uscire con le tasche piene sono invece i fondi stranieri che dopo essersi dichiarati pronti a scendere
in campo per difendere l’italianità di Parmalat hanno deciso invece all’ultimo minuto di cedere alla
tentazione del denaro, incassando (in maniera del tutto legittima) un netto premio rispetto ai piccoli
azionisti e agli altri loro colleghi fuori dal patto a tre.
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MILANO – La Francia segna in contropiede un goal pesantissimo all’Italia nella partita per Parmalat.
Lactalis, già titolare di una partecipazione del 13,7% nel capitale di Collecchio, ha raggiunto un accordo
per acquisire la quota del 15,3% in mano a Skagen, MacKenzie e Zenit, i tre fondi che avevano
presentato una propria lista per il cda per scalzare Enrico Bondi. La firma è arrivata nelle prime ore di
oggi dopo un braccio di ferro con IntesaSanPaolo che in nome della cordata italiana era da ore in
pressing sugli investitori istituzionali. I transalpini però – incuranti del decreto anti-stranieri allo studio di
Giulio Tremonti 1 – hanno fatto saltare il tavolo con una maxi-offerta a 2,8 euro per azione (il 13% in più
della chiusura di ieri) per un totale di 750 milioni che ha spiazzato Cà de Sass, costretta alla prudenza in
attesa di un via libera di Ferrero all’operazione tricolore. La società della famiglia Besnier – che in Italia
controlla già Galbani, Invernizzi e Cademartori – definirà nella giornata di oggi i dettagli tecnici del
passaggio azionario che le consentirà di presentarsi all’assemblea del 14 aprile con una
partecipazione del 29%, appena sotto la soglia dell’Opa, un pacchetto probabilmente decisivo per
conquistare il controllo del cda di Parmalat e alzare su Collecchio la bandiera francese.
Lo schiaffo di Parigi lascia ben poche speranze di ribaltare la situazione ai paladini dell’italianità. L’unica
strada “finanziaria” a disposizione è a questo punto il lancio di un’Opa sul 100% della società di Bondi.
Ma il prezzo è salatissimo (poco meno di 5 miliardi) e viste le difficoltà incontrate da Intesa a raccogliere
un miliardo per fronteggiare Lactalis in questo primo tempo della partita, il percorso è decisamente
impervio. La palla è quindi in mano al governo che ha già ribadito più volte di voler proteggere Parmalat
da scalate ostili per il peso che l’azienda ha nella delicatissima filiera lattiero casearia nazionale. E’
ancora possibile? Tremonti potrebbe trovare formule giuridiche (simili a quelle utilizzate proprio dalla
Francia) per bloccare le operazioni non gradite su società strategiche, ma ora che Lactalis ha in mano la
maggioranza relativa tutto è più complesso. E un eventuale intervento a gamba tesa di Roma
esporrebbe l’Italia un lungo contenzioso in sede Ue. La pressione delle organizzazioni agricole –
preoccupate che i francesi si approvvigionino di materia prima all’estero – potrebbe però convincere lo
stesso l’esecutivo a giocare questa carta.
A uscire con le tasche piene sono invece i fondi stranieri che dopo essersi dichiarati pronti a scendere
in campo per difendere l’italianità di Parmalat hanno deciso invece all’ultimo minuto di cedere alla
tentazione del denaro, incassando (in maniera del tutto legittima) un netto premio rispetto ai piccoli
azionisti e agli altri loro colleghi fuori dal patto a tre.
Fonte: Repubblica.it
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22/03/2011
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Accordo Lactalis-fondi esteri per la ce…
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