Le destabilizzanti tribù del video di Valentina Valentini L`ipotesi che

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Le destabilizzanti tribù del video di Valentina Valentini L`ipotesi che
Le destabilizzanti tribù del video
di Valentina Valentini
L’ipotesi che ci ha guidato nel tracciare un percorso fra opere
e autori video pertinente al tema della mostra, è stata quella
di verificare se, nella breve storia del video, si siano
prodotte delle pratiche che abbiano accomunato, sulla base di
istanze ideologiche ed estetiche, quegli artisti che hanno
utilizzato il dispositivo elettronico. La prospettiva, a
partire da questa considerazione, è“storica”, di una storia
però che non è ancora né documento né monumento e che va
interrogata da urgenze poste dal presente che inducono a
riconsiderare
le
accreditate
letture
di
fenomeni
già
“inventariati del recente passato, mettendo in essere un
esercizio di confronto e sintesi. Ci riferiamo, per esempio, al
rinnovato
interesse
per
la
Performance,
come
anche
all’insistenza con cui si mettono in relazione nuove tecnologie
e pensiero radicale, come se di per sé le tecnologie
telematiche ( e chi intorno ad esse modellizza l’operare
artistico) fossero destabilizzanti e portatrici di pensiero
critico. Procedendo in tale direzione, abbiamo individuato,
nella breve storia del video, delle costanti che permettono di
attribuire, ad alcune esperienze, una coesione sulla base di
discendenze da mitici capostipiti ( la tribù dei Fluxus)e di
circoscrivere dei modi produttivi comuni: il video come utopia
rigenerante TV e cinema, come strumento di lotta politica e
come autorappresentazione dell’artista in azione ( body-art)1
La TV intelligente
Nella metà degli anni Ottanta un sentimento di onnipotenza ha
animato gli ambienti del video: la parola d’ordine era quella
di impossessarsi della televisione per trasformarla, superando
il sentimento di disprezzo che aveva segnato le origini del
video. Questo nuovo atteggiamento derivava – esaurite le
esperienze
delle
avanguardie
concettuali
e
minimali
–
dall’esigenza di voler conquistare un pubblico di massa,
abbandonando gli spazi elitari dell’arte per occupare i luoghi
e i canali dove si svolge la vita sociale, le discoteche come
le reti televisive.
Negli USA sono stati gli artisti, fra la metà degli anni
Settanta e i primi anni Ottanta, a gestire i laboratori
sperimentali della Television Art, come la WGBH di Boston e il
WNET di New York, dove Peter Campus, Bill Viola, Nam June Paik,
William Wegman hanno prodotto una parte consistente delle loro
opere video. In quegli anni Robert Ashley e John Sanborn
realizzavano Perfect Lives (1876-1983); in Europa Peter
Greenaway iniziava la sua collaborazione con Channel Four, il
cui intento era quello di promuovere la sperimentazione e la
produzione indipendente. Robert Wilson produceva per l’INA
Video 50 e Stations, mentre il WNET di New York mandava in onda
le memorabili trasmissioni di Nam June Paik:Good Morning MR
Orwell ( 1984) e Bye Bye Kipling ( 1986)
Gli anni Novanta hanno sancito la fine del sogno della TV
salvata dalla forza della nouvelle image, con la spettacolarità
degli effetti speciali e con l'orgoglio di poter disporre di un
apparato produttivo e distributivo indipendente e di poter
controllare, come singolo autore, l’intero processo produttivo.
L’ipotesi che ha retto l’ideologia dell’incontro fra video
e televisione è stata quella di uno scambio rigenerativo da cui
sarebbe potuta nascere non solo una nuova televisione, dalla
vocazione
sperimentale
e
dalle
finalità
culturali,
ma
indirettamente anche un nuovo cinema. Infatti, sia il cinema
che la televisione, sosteneva Godard nel suo manifesto del
1981, Changer d'image, sono occupati dai nemici, ambedue quindi
dovrebbero essere interessati a cercare la "formula" per
cambiare le immagini. La fondazione del suo laboratorio
elettronico rientrava in questa strategia del cambiamento,
perché sperimentalmente finalizzato ad affrontare il problema
centrale: l’essere diventata, la produzione audiovisuale in
genere, natura indifferente. In questa prospettiva la TV era
assunta da Godard come luogo di un metadiscorso sui modi degli
scambi fra emittente e destinatario, fra autore e spettatore,
come interrogazione sul ruolo e il compito del regista (in
crisi) che, da allora, incomincia a mettersi in scena,
sdoppiandosi in più ruoli:l'intervistato e l'intervistatore,
l'actor e lo spectator, meccanismi che esaltano la vocazione
autoriflessiva della TV.
L' estetica analitica che aveva ispirato la fondazione del
laboratorio video di Godard ( bisogna scomporre, rallentare il
flusso delle immagini, trattare un'immagine alla volta, come
con la fotografia...),diventava il modo costruttivo delle sue
successive opere video, crollata l'utopia che il video fosse
capace di rigenerare cinema e TV .
La storia dei rapporti della grande e per niente omogenea
famiglia dei media audiovisuali, oggi si legge all’interno di
un considerevole flusso di scambi e interferenze: il video si
lascia
modellizzare
dal
cinema,
affascinato
dal
suo
immaginario, dalla sua materia espressiva e dalla modalità di
visione ( lo schermo come nostalgia di centralità prospettica).
In questa ottica, il video sembra aver accantonato la
tradizione della nouvelle image, fatta di sovraimpressione,
giochi di finestre, incrostazioni, quella tipica mescolanza
delle immagini che Philippe Dubois chiama “l’immagine come
composizione” 2, sedotto da strutture compositive e narrative
lineari, orizzontali, estranee al procedimento costruttivo del
mixage. Dal canto suo la televisione, che non ha mai sfruttato
la peculiarità della diretta ( se non per i grandi eventi e lo
sport ), adotta - con i cinquanta giorni di ripresa continua de
IL Grande Fratello -, in un’ottica rovesciata rispetto al
video, quella che è stata una sua pratica diffusa – la ripresa
di eventi in tempo reale, attratta, a sua volta, dalla
dimensione di un reale che si presenta, apparentemente, senza
mediazioni, osceno, perché fa a meno del lavoro immaginativo e
compositivo del soggetto.
Oggi, eccettuata questa rimossa e ignorata avventura del video
a favore di “una televisione intelligente”,gli scambi fra i
media vanno in direzione di un riammodernamento dell’apparato (
tagliare i costi di produzione ) piuttosto che di una effettiva
trasformazione dei processi produttivi
Immagini verità/immagini di sintesi
Marita Sturken in un testo pubblicato sul numero monografico di
“Communication|” ( 1988) dedicato al video, accusava i critici
statunitensi di aver distorto la storia del video amputando la
sua dimensione militante e di controinformazione politicosociale, così come il rapporto con gli altri media, per
privilegiare esclusivamnete la dimensione ”da museo”, che è
quella che ha trovato dimora nel sistema delle arti visive.
Alle origini invece, il video è stato un medium di cui si sono
impossessati
movimenti femministi e
gruppi
politici di
controcultura
e
controinformazione,
in
quanto
favorisce
processi di partecipazione e di socializzazione. E’ stato il
medium della creatività diffusa che ha alimentato il mito della
trasformazione dello spectator in operator. La sua efficacia si
misurava pragmaticamente, dall’intensità del coinvolgimento che
riusciva a suscitare nel contesto in cui interveniva. A partire
dalle dimostrazioni del movimento studentesco del Sessantotto
,alle proteste per il diritto alla casa, alle occupazioni delle
fabbriche, il video è stato strumento di denuncia immediata e
diretta in mano a chi lottava contro i poteri dominanti. Il
gruppo romano Videobase ( Leonardi,Lombardo, Lajolo), Silvano
Agosti,Ant Farm, Paul Garrin, i Gorilla Tapes, in periodi, modi
e aree geografiche diverse, sono stati motivati da analoghe
istanze: far circolare immagini scomode, escluse dai canali
dell’informazione ufficiale e testimoniare di una realtà che
non ha accesso nei mass media.
Dai cinegiornali del ‘68 ricomposti di recente da Silvano
Agosti, alle raffinate sovraimppressioni di immagini di donne
aborigine che vogliono cambiare il proprio destino di
colonizzate(dagli uomini bianchi) in Nice Coloured Girls (1987)
dell’australiana Tracey Moffatt, il percorso è frastagliato con
sintomatici capovolgimenti del rapporto fra medium e realtà.
In Home(less) is where the revolution is (1990),di Paul Garrin,
la rappresentazione dei conflitti sociali viene compromessa
dagli effetti dell’editing elettronico che rende indistinti i
ruoli antagonisti, confondendo vittime e carnefici, percepite
come caricature elaborate al computer di personaggi presi dai
cartoon.
Il radicalismo di Paul Garrin o di Tracey Moffatt appartiene a
una dimensione in cui l’uso trasparente e immediato della video
camera, l’occhio che registra in diretta quanto scorre con il
segreto desiderio che dal flusso irrompa l’evento straordinario
,si è sostituito a una composizione strutturata in cui il”
video verità” cede il posto a immagini immagazzinate in
archivio, da cui la realtà si è ritirata, cedendo il posto alle
immagini di sintesi. Del carattere esorbitante ed esplosivo del
video si conserva una propensione ironica che non riesce però a
essere aggressiva rispetto ai suoi bersagli, siano essi il
mondo dell’arte (Artist’s Mind di Alex Bag,)o quello delle
superpotenze politiche (D.I.A.L History di Joan Grimonprez ).
Il radicalismo del terzo millennio si consuma interamente
sulle reti telematiche, nell’editing digitale e nei giochi
interattivi che danno allo spettatore l’illusione di essere lui
stesso a condurre il gioco, a essere l’elemento determinante
del darsi dell’opera. Il mito dell’interattività, elevato a
condizione principe di un’estetica relazionale (differente
rispetto alla
partecipazione a una creazione collettiva –
secondo le teorizzazioni dei movimenti di contestazione del
’68), sia che esso si inveri nello sterminato campo delle reti
informatiche o che si strutturi attraverso un’azione materiale
all’interno di regole prestabilite, implica la condivisione e
non la contestazione di una condizione sociale 3.
Soggetti che dileguano
Che la Body Art abbia significato un’affermazione del soggetto,
in quanto presenza assoluta, è stato già a suo tempo
brillantemente confutato con argomentazioni convincenti da
Rosalind Krauss (1978 ). Il feedback che molti video mettono in
gioco, quel guardarmi sul monitor di fronte, in simultanea alla
telecamera che mi sta riprendendo, produce una situazione di
scollamento fra presente e passato, rappresenta ”il tempo
presente che sta crollando”, un soggetto senza rapporti con il
mondo, in quanto il disinvestimento nei suoi confronti si è
trasformato
in
concentrazione
su
di
sé,
attraverso
l’annullamento della distanza fra soggetto e oggetto: “Il
doppio riflesso non è un altro da sé ma uno sdoppiamento, una
dislocazione da sé al riflesso“5. Di fronte a una telecamera
fissa, in uno spazio vuoto in cui non c'è limite fra sfondo e
figura, artisti come Nauman, Acconci, Baldessari si mettono in
azione e, grazie al dispositivo elettronico della ripresa in
diretta, vedono se stessi fare qualcosa nell’esatto momento in
cui si sta facendo. Questo meccanismo, che connota il video
delle origini, si presta efficacemente a rappresentare il
dramma dell’io diviso, oltre che il costituirsi dell’autore
come spettattore, espressione dell’inscindibile nesso fra agire
e
guardarsi
agire,
che
è
condizione
peculiare
della
autoreferenzialità dell’arte contemporanea, o per dirla con
Rosalind Krauss, della sua “riflessività”.
In queste opere dei primi anni Settanta, lo spazio disegnato da
telecamera e monitor diventa una palestra-laboratorio entro i
cui confini l’artista può, in solitudine, restando nel suo
studio, sperimentare una nuova grammatica di rapporti fra il
corpo e lo spazio, l’io e il tu, il soggetto e l’ambiente, il
fisico e il mentale. Questa nuova grammatica è fondata
essenzialmente sulla cancellazione della distanza fra soggetto
dell’enunciazione e enunciato, ovvero fra soggetto ( sia esso
autore e/o spettatore) e opera, e fra io e mondo. Nascondere il
volto ( il soggetto è inquadrato di spalle) o, viceversa,
riprenderlo in un primo piano così ravvicinato da renderlo
irriconoscibile,
in
entrambi
i
casi,
l’effetto
è
la
depersonalizzazione, pur nell’eccessiva presenza di sé.
Le letture più accreditate delle performance di body-art
delle origini enfatizzano la dimensione eroica, di sfida e di
rischio personale dell’artista, aggressiva, sfiancante, votata
alla produzione e al consumo di energia. Le azioni di
Abramovic&Ulay, Douglas Davis, Joan Jonas, Vito Acconci, in un
certo senso opponevano resistenza alla cancellazione dell’io e
del tu, mettevano in scena -i Corridors di Nauman –la
possibilità - negata allo spettatore - di mettersi in immagine.
Ciononostante, quello del video delle origini è un narcisismo
dell’io diviso che non comunica con il mondo, piuttosto che un
vitalismo dell’artista onnipotente : “l’opera sono io”.
A quale distanza si situano le performance, ritornate attuali
da più di un decennio, rispetto a quelle dei capostipiti?
Lavorano nel solco della stessa tradizione dei padri fondatori,
e come l’attualizzano?
Il corpo come elemento figurativo, tematico e compositivo è
diventato una presenza trasbordante nella produzione artistica
dell’ultimo decennio. Rispetto alla body-art degli anni
Settanta, individuiamo alcune macroscopiche differenze: il
procedimento ”minimalista” della scomposizione non è più in
rapporto all’intero e non porta a concentrare sui singoli pezzi
una intensità capace di gettare una luce nuova sul tutto di cui
è parte; il dispositivo elettronico, anche nelle performance
che si svolgono davanti a una telecamera (Head,1993,Sets,1997
di Cheryl Donegan, Egg Yang, 1995 di Alix Pearlstein, ad
costruttivo
e
esempio)
non
funziona
come
dispositivo
modellizzante l’azione dell’artista, come
nelle performance
video di Vito Acconci, Theme Song (1973) o Open Book (1974), ma
è strumento di registrazione.
Il sentimento ironico nei confronti del sistema e del mondo
dell’arte (”I am making Art”,ripete, toccandosi le diverse
parti del suo corpo, scomponendolo in modo che vengano
inquadrate solo le gambe o le braccia, John Baldessari”; Art
Must Be Beautiful. Artist Must Be Beautiful”, ripete Marina
Abramovic, spazzolando con sempre maggiore violenza i lunghi
capelli), comune a molte performance video delle origini è in
gran parte scomparso nelle performance recenti. La cultura pop,
il sesso, il voyeurismo e la storia dell’arte sono i mondi che
affiorano da queste performance in cui il grottesco ha preso il
posto dell’ironia.
La mancanza di distanza fra sé, il mondo e l'opera è ancora la
costante che accomuna nel corso del tempo, questa tribù,
certamente la più consistente, fra quelle individuate. ".Penso
che
il mio lavoro – afferma Kiki
Smith
- non sia
particolarmente sull'arte. E' piuttosto su di me, sull'essere
qui in questa vita, in questa pelle.[...] Per me non c'è
differenza fra vivere e fare il mio lavoro- non c'è
separazione. Di fatto faccio quello che mi viene naturale...
Penso che ho scelto il corpo come soggetto del mio lavoro, non
consciamente
ma
perché
è
l'unica
forma
che
tutti
condividiamo..."6. Ma si sono accentuati i tratti “osceni”, la
presentazione/rappresentazione di un mondo nello stesso tempo
traumatico e caramelloso. Le immagini dei corpi danneggiati,
malati, dei cadaveri fotografati da Andres Serrano ; le figure
mostruose, perché indiscernibile e indecidibile è se siano
uomini o donne, umani o animali, statue o creature viventi di
Yoel Peter Witkin; il corpo appesantito da braccia virtuali" di
Sterlac che pretende al passaggio dal corpo attuale( "il cui
funzionamento è imperfetto e la cui chimica genera emozioni
obsolete), al cybercorpo che non è più pensato come soggetto ma
come oggetto di ingegneria 7, sono solo qualche esempio fra i
tanti.
I pezzi di corpo che navigano sospesi nei colori pastello da
mondo da Barbie nel video di Pipilotti Rist, Pickelporno (1992)
( bocche, piedi, seni,capezzoli, unghie, organi sessuali, un
corpo smontabile come quello di una bambola), esprimono
edonismo e autocompiacimento, incapace di aggredire sentimenti
autentici. Così pure le figure dei video di John Maybury hanno
completamente
disintegrato
nel
sintetico
la
dimensione
corporea, nonostante l’esibizione di corpi nudi, un corpo reso
artificiale dal travestimento e dall’imitazione di stereotipi
presi dai mass media , un mondo claustrofobico e ossessivo.
Note
1. Ho trattato in modo più ampio questi temi in saggi
pubblicati in: (a cura di V. Valentini ),Dissensi, ,Sellerio,
Palermo, 1991; ( a cura di V. Valentini), Video d’autore 19861995, Gangemi, Roma, 1996; ( a cura di V. Valentini), Dal Vivo.
Lithos, Roma 1998.
2.CFR Philippe Dubois, “L’elettronica: la questione estetica”,
in Il Video a Venire ( a cura di Valentina Valentini),
Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999 p 25
3.Marita Sturken,” Les grandes espérances et la construction
d’une histoire”, in Communication Video,n.48.1988, Seuil,
pp.125-149
4. Cfr.J Glicenstein, “La
interactive”
in
Artifices
perspective,1996
place du sujet
4,
St
Denis
dans l’oeuvre
Languages
in
5. Rosalind Krauss, Video: The Aesthetics of Narcissism in New
Artists Videob ( a cura di Gregory Battock, New York,E.P.
Dutton,1978, trad it. “Il video, l’estetica del narcisismo”, in
Allo specchio, Lithos, Roma 1998 p.54.
6. Kiki Smith, Flash Art, aprile maggio 1996 p.75
7. Sterlac,a cura di Fam e di Jolly Red, Virus, aprile 1995,
pg.38.