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Jacques Vigne
Il matrimonio interiore
in Oriente e Occidente
Traduzione dal francese
di Paolo Giunta
e Roberto Darelli
Titolo originale: Le mariage intérieur en Orient et en Occident
© 2001 by Editions Albin Michel S.A.
© 2009 by La Lepre Edizioni
Via delle Fornaci, 425 – 00165 Roma
[email protected]
www.lalepreedizioni.com
Progetto grafico/Francesca Schiavoni
Coordinamento editoriale/Plan.ed - Roma
In copertina: illustrazione tratta da Aurora consurgens (xv secolo)
ISBN 978-88-96052-16-7
Indice
11 Prefazione all’edizione italiana
19 Introduzione
Unione mistica, yoga e interpretazione della Bibbia
21 Alcuni punti di riferimento sul rapporto tra yoga,
cristianesimo e interpretazione della Bibbia
32 Il corpo sottile, l’energia e l’Assoluto
37 Bibbia, archetipi e relazioni umane
42 Il Cantico dei cantici va interpretato?
45 Ringraziamenti
Parte prima
ASCESA INTERIORE E UNIONE DEI CANALI NELLO YOGA
51 1. L’ascesa interiore
51 Dal «Verso te, Signore, ho innalzato la mia anima»
all’«Alzati per incontrare te stessa»
54 Il corpo-montagna
57 Un microcosmo che sale
65 Il “condotto della colonna”
72 Il centro della Corona
82 Elevazione
87 2. Lo yoga delle lateralità (svara-yoga)
88
94
95
97
Scienza e svara-yoga
Esempi del ritmo di alternanza quotidiana
Cambiare lato a proprio piacimento
Postura meditativa e apertura delle narici
98 Il sonno e la lateralità dell’apertura delle narici
100 Consigli pratici
103 Importanza dello svara-yoga
105 3. La confluenza dei canali energetici
108 L’ascesa interiore nello yoga
111 Il simbolismo dell’apertura dei canali
116 4. Gli archetipi dell’unione mistica nell’hinduismo
124
130
132
135
Lo śivaismo del Kaśmīr e l’unione di Śiva e di Śakti
Matrimonio di Śiva e Śakti e l’esperienza dell’immortalità
La meditazione sul cuore sottile di destra
Lo yoga del bassorilievo di Mahābalipuram
139 5.Via del vuoto e unione dei canali nel buddhismo
tibetano e zen
141 L’unione mistica nel buddhismo vajrayāna
151 «Cosa passa tra i due pollici?». L’unione dei contrari nello zen
Parte seconda
IL MATRIMONIO INTERIORE NELLA BIBBIA,
NELLA KABBALAH E NEL CRISTIANESIMO
159 1. Corpo sottile e unione interiore nella mistica ebraica
159
169
173
177
184
189
196
Israele e l’India
Elohim a Sion, o l’ascesa interiore
Shekhinah, Śakti ed energia femminile
I centri: sefirot e cakra
I canali
Il matrimonio interiore
Kabbalah, yoga e vedānta
199 2. Il matrimonio interiore nell’Antico Testamento
199
203
207
208
Adamo ed Eva
Noè e il diluvio
Il matrimonio di Abramo e Sara
La scala di Giacobbe
210 La vita di Mosè
Il passaggio del mar Rosso e l’attraversamento del deserto, 212 Il cespuglio ardente, 216 - La tenda di convegno e le Tavole della Legge, 220
224 Tobi, o l’ottavo marito
228 Il matrimonio di Salomone con la sapienza
233 3. Il matrimonio con il Cristo e la mistica
essenziale nel cristianesimo
234 Il matrimonio spirituale nelle Scritture cristiane
e la tradizione antica
243 Il matrimonio delle religiose con il Cristo
246 L’unicorno, il Graal e altri racconti occidentali
253 4. Le beghine, Meister Eckhart e la “Nube della nonconoscenza”. Dalla mistica nuziale alla mistica essenziale
253 Hadewijch di Anversa, le beghine e l’amor cortese
258 Margherita Porete, o lo specchio della non-dualità
267 Meister Eckhart: una via di conoscenza nel Medioevo
L’ascesa interiore in Eckhart, l’amante-calamita che attira verso
l’alto, 269 - L’unione mistica in Eckhart, 272 - Eckhart, maestro
della via della conoscenza nel cristianesimo, 274
277 La “Nube della non-conoscenza”
283 5. Giovanni della Croce e il Cantico spirituale
284
287
293
297
Il contesto in cui scrisse Giovanni della Croce
Corpo sottile e salita del Monte Carmelo
Arresto della mente e fidanzamenti spirituali
La mistica della notte va opposta alla mistica della luce?
303 6. Il sufismo e la passione tra Majnun e Leila
Parte terza
L’ARMONIZZAZIONE DEI CONTRARI
309 1. L’androgino e i gemelli
309 L’androgino
316 I gemelli
326 2. Due miti greci
326 Lo yoga di Edipo
331 Teseo, o l’ascesa mancata
338 3. Jung, l’alchimia, il Mysterium coniunctionis e lo yoga
342
345
348
353
La polarità dell’alto e del basso nell’alchimia
La congiunzione dei canali laterali
L’ascesi dell’ascesa e il risveglio del canale centrale
Le nozze chimiche e l’assunzione della materia
361 4. Dio, il Sé e la Vacuità: è possibile una spiritualità
comparata?
361 Sé, Vacuità e Dio personale
365 Immagini, idee, idoli
369 È possibile una spiritualità comparata?
372 5. Un commento al Cantico dei cantici dal punto
di vista dello yoga
372
374
377
382
385
390
Linee guida
L’importanza del Cantico dei cantici
Dall’amore umano all’amore mistico
Il Cantico, l’India e il femminile interiore
Lo stile del commento
I commenti tradizionali al Cantico
Il Medioevo: san Bernardo e Guglielmo di Saint-Thierry, 391 Un commentatore del Cantico donna: Madame Guyon, 394
398 Ultime riflessioni
Parte quarta
COMMENTO AL CANTICO DEI CANTICI
405
434
454
468
484
496
1. Poema dei poemi
2. Il loto delle valli
3. Nozze
4. Vieni con me
5. Il mio amante
6. La mia amica
509 7. La Shulamita
530 8. Sui monti degli aromi
Parte quinta
EPISODI DELLA VITA DI GESÙ.
MEDITAZIONI SULLA CONVERGENZA TRA YOGA E CRISTIANESIMO
551 Il Natale
559 La presentazione al Tempio
562 La cattedrale e il corpo sottile secondo lo yoga
L’incensiere, 566 - L’organo, 567 - La campana, 568
569 La Samaritana
573 La parabola delle vergini stolte e delle vergini sagge
574 La Trasfigurazione
580 La domenica della palme
582 Il giovedì santo
590 Il venerdì santo
La crocifissione e la fisiologia sottile, 591 - Et inclinato capite..., 595
597 Commento
599 La Pasqua
L’uscita dal sepolcro, 600 - Le tre Marie, 601 - I discepoli sulla via
di Emmaus e il «Noli me tangere», 604
606 L’Ascensione
612 La Pentecoste
La preparazione: i cinquanta giorni e la riunione nella camera in
alto, 612 - Pentecoste interiore e ascesa dell’energia, 616 - Ruah.:
lo Spirito come energia femminile, 618 - Veni Sancte Spiritus, 625La Trinità, 628
629 L’Apocalisse
635 Glossario dei termini sanscriti
640 Glossario dei termini ebraici
643 Note
Prefazione all’edizione italiana
Sono felice di vedere avvicinarsi la data di pubblicazione del
Matrimonio interiore in Italia. Mentre scrivo questa prefazione mi
trovo sull’isola di Réunion, un territorio francese nei pressi del
Madagascar, luogo in cui sto conducendo un ciclo di seminari
e conferenze; ma vivo principalmente in India, spesso in eremitaggio o nei pressi dell’āśram di MāAnandamayī, a Hardwar,
là dove il Gange lascia l’Himālaya. Risiedo qui da ventiquattro
anni e seguo l’insegnamento di un vecchio medico francese
divenuto discepolo di Mā Anandamayī, certamente la guida
spirituale donna più conosciuta nell’India del XX secolo. Egli
mi ha mostrato l’importanza del ritiro spirituale, ed è nella
stessa regione himālayana in cui è stato eremita per diciassette
anni che anche io mi ritiro per meditare e, a volte, per scrivere libri di psicologia e mistica comparata, compresa quest’opera, il Matrimonio interiore.
Dal 2006, i miei rapporti con l’Italia e il suo pubblico di
ricercatori spirituali si sono fatti via via più stretti: prima sono
stato invitato a un congresso interreligioso tenutosi ad Assisi;
poi nel 2007, alla Cittadella – una grande istituzione fondata
da Giovanni XXIII nei pressi di Assisi – ho partecipato a un
congresso in cui venivano presentati al contempo lo yoga
indiano e quello europeo e al quale hanno partecipato più di
cinquecento persone. Nel maggio 2009 sono stato a Venezia
per un intervento al trentacinquesimo anniversario della
13
Federazione Italiana di Yoga, un’istituzione molto attiva grazie
alla quale in varie università sono stati accettati gruppi di yoga
nell’ambito dei corsi di Pedagogia. Per quanto riguarda i miei
scritti, inoltre, ho avuto la gioia di veder pubblicati a Milano il
libro sul mio maestro Vijayānanda1 e il mio contributo all’opera curata dal teologo cattolico Paolo de Benedetti sulla coscienza degli animali e sul maggior rispetto che si dovrebbe
avere nei loro confronti2. Di prossima pubblicazione presso lo
stesso editore milanese è poi il mio Anoressia e spiritualità: lo spirito dell’alimentazione giusta.
Pur sapendo che non bisogna lasciarsi andare a paragoni
avventati o a facili generalizzazioni, frequentando gli ambienti
spiritualisti e yoga sia francesi sia italiani mi sono reso conto
che tra i due esistono delle differenze: ho la sensazione che in
Italia l’equilibrio cuore-spirito venga salvaguardato meglio che
in Francia; in Francia si tende infatti ad affrontare le questioni
spirituali da un punto di vista strettamente intellettuale, il che
ha sicuramente il vantaggio della chiarezza, ma al contempo lo
svantaggio di una certa aridità di fondo. Forse la maggiore
devozione, dovuta a un più radicato cattolicesimo, in Italia permette una migliore apertura del cuore spirituale; ciò aiuta ad
apprezzare lo yoga in maniera più globale, a intenderlo cioè
non solo come un insieme di esercizi fisici da interpretare
intellettualmente, ma anche come una pratica che coinvolge il
cuore e lo spirito.
Per quanto riguarda le credenze religiose in Europa, si assiste oggi a un movimento di fondo, si potrebbe dire a una rivoluzione silenziosa, anche se i media ne parlano poco perché si
tratta di una rivoluzione che non fa scorrere sangue. In pratica, nonostante le Chiese continuino a conservare numerose
proprietà e immobili, e ad avere una certa visibilità mediatica
non esente però da critiche e polemiche, in Europa si è notevolmente ridotta la base sociologica della pratica cristiana.
Fatta forse eccezione per l’Irlanda e la Polonia, la percentuale
14
di persone che la domenica si recano regolarmente in chiesa è
scesa al 2 percento, che nella stessa Roma, il cuore della cristianità, “sale” al 3 percento. Questi dati, raccolti e analizzati dal
grande sociologo delle religioni francese Frédéric Lenoir3, non
possono non essere presi in considerazione se si vuole approntare una riflessione attuale e realista sulle credenze e le pratiche religiose e sulla loro evoluzione.
Nel clima di rinascita del pluralismo religioso che ci troviamo a vivere, i pensatori colti e dotati d’intuizione spirituale
cercano attivamente di andare al di là dell’esclusivismo religioso; quest’ultimo corrisponde infatti allo stadio neonatale dell’evoluzione spirituale ed è stato spesso la fonte diretta di ogni
tipo di violenza. Sono sempre di più le persone, scrittori e non,
che cercano di comprendere quale sia la base comune a tutte
le esperienze mistiche e religiose; certo, è importante seguire
con impegno una ben definita via spirituale, ma questo impegno deve essere controbilanciato da una cultura che permetta
di comprendere, accettare e apprezzare anche l’esistenza di vie
parallele. Come affermano numerosi saggi indiani e pensano
molti cittadini del mondo moderno, più che vie parallele, esse
sono vie convergenti.
Questo libro offre solide fondamenta alla comprensione
della base comune dell’esperienza mistica poiché tratta dell’esperienza vissuta sul corpo sottile, il cui funzionamento si
basa su quello del corpo fisico comune a ogni essere umano.
L’esperienza interiore si fonda sulla comprensione e focalizzazione dei movimenti delle sensazioni nel corpo, sensazioni
che influenzano costantemente le emozioni e la mente.
Quando viene sviluppata tale comprensione e focalizzazione,
si ha un risveglio dell’energia, un fenomeno comune a tutti i
mistici ma diversamente rappresentato da tradizione a tradizione: un praticante cristiano avrà una visione o una rivelazione di Gesù o di Maria, un musulmano quella di Mohamed,
mentre un hindu quella di Śiva o Kr.s.n.a. Nonostante possa
15
imbarazzare gli spiriti indecisi o quelli arroccati nelle proprie
credenze, questa constatazione resta comunque un dato di
fatto. Il nostro organismo ha una fisiologia con alcune caratteristiche riconosciute in tutte le tradizioni, e lo stesso vale per
il corpo sottile. I due poli rappresentati dal bacino e dalla testa,
ad esempio, danno luogo allo stesso tipo di associazione, e
l’equilibrio tra la lateralità destra e quella sinistra viene fondamentalmente vissuto alla stessa identica maniera da chiunque.
Ciò spiega la grande affinità tra gli archetipi usati dalle diverse tradizioni per esprimere l’esperienza interiore. Tale affinità
costituisce il tema centrale di questo libro, il quale vuole dar
seguito a quell’aspirazione a riscoprire i fondamenti dell’esperienza spirituale di cui parlò in maniera significativa Svāmi
Vivekānanda davanti al Parlamento delle Religioni di
Chicago nel 1893. All’epoca, questi fondamenti venivano studiati anche da William James, professore di Psicologia a
Boston. Grazie a eminenti rappresentanti della psicologia
transpersonale, quali ad esempio Maslow e Grof negli Stati
Uniti e Marc Alain Descamps (professore alla Sorbona), Pierre
Weil e Jean-Yves Leloup in Francia, a partire dagli anni
Sessanta questo tipo di studi ha acquisito nuova forza.
Parallelamente si è formato anche il concetto di “spiritualità
laica”, un invito concreto ad andare oltre le differenze religiose pur rispettando il fondamentale bisogno di esperienza interiore proprio dell’essere umano. Grazie poi agli studi sull’esperienza meditativa, è in corso un prolifico incontro tra
scienza e spiritualità: a partire dal 2000, ad esempio, il Dalai
Lama incontra regolarmente gli scienziati, e le loro conversazioni vengono pubblicate su un periodico intitolato “Mind
and Life”. Nell’ottobre 2005, inoltre, la guida spirituale dei
tibetani è stata invitata a presiedere un congresso di neuroscienza tenutosi a Washington al quale hanno partecipato
trentacinquemila ricercatori: si può affermare senza esagerazione che si tratta di un segno dei tempi.
16
Gli studi sociologici indicano che in Europa stiamo vivendo un pluralismo secondo solo a quello dell’Impero romano;
fondamentalmente si tratta di un politeismo in versione
moderna: si riconosce l’esistenza di un Essere supremo che trascende tutte le nostre proiezioni umane e che ciascuno può
adorare secondo la via e la forma che più gli conviene. È il
fondamento della teoria e della pratica delle vie religiose nate
in India, una verità semplicissima che le religioni bibliche non
vogliono accettare e assimilare nonostante i progressi fatti in tal
senso dall’ebraismo e dal cristianesimo.
Il fatto che un libro come il Matrimonio interiore venga pubblicato da una casa editrice romana è secondo me più che
significativo, è simbolico. Fino al IV o al v secolo, l’Impero
romano, pur essendo un’entità politicamente centralizzata, ha
permesso un forte pluralismo religioso. Inoltre, come ha dimostrato nei minimi dettagli il grande ricercatore francese
Georges Dumézil, il nucleo della religione romana tradizionale era molto legato all’India: ad esempio, i sacerdoti dell’antica
Roma si chiamavano i Flamini, termine simile all’indiano
brahmini; in entrambe le religioni le pratiche ruotavano intorno al culto del fuoco domestico, culto che nella moderna pratica dell’hinduismo sopravvive ancora nel sacrificio al fuoco.
Quindi il pubblicare questo libro a Roma segna un punto di
svolta: una porta chiusa quindici secoli fa comincia ad aprirsi
di nuovo. L’esclusivismo emotivo-devozionale sta lasciando il
posto a una più approfondita conoscenza dell’esperienza mistica in tutta la sua ricchezza. Il fatto che esistano molte famiglie
religiose contribuisce infatti alla vitalità e all’armonia della
società nel suo insieme, proprio come vi contribuisce l’esistenza di molti nuclei familiari equilibrati. Ovviamente, quanto
appena detto è vero solo se non vi sono comunità animate da
ciò che in psicologia del pensiero si chiama delirio di onnipotenza, comunità cioè convinte di avere la supremazia sulle pratiche religiose dell’umanità. L’equilibrio prodotto dal plurali17
smo è un indice di maturità della civiltà e della democrazia, e
noi ci stiamo arrivando; come dice la saggezza popolare, “meglio tardi che mai”. L’evoluzione umana tende chiaramente
all’aumento della libertà di scelta: a ciascuno il saper utilizzare
questa apertura per ciò che è migliore, piuttosto che per ciò
che è peggiore.
Dopo il Matrimonio interiore ho scritto un altro libro di mistica comparata, La mystique du silence 4; spero che anche questo
venga un giorno pubblicato in italiano. È un libro che mostra
come le differenti vie spirituali ruotino tutte intorno all’esperienza del silenzio mentale nonostante la esprimano in maniera leggermente diversa; è un libro ispirato alle parole del grande saggio indiano Rāman.a Mahārs.i: «Le religioni sono come
grandi fiumi che sfociano nell’oceano del silenzio».
Jacques Vigne
18
Introduzione
Unione mistica, yoga
e interpretazione della Bibbia
Così come il matrimonio sacro, hieros gamos, è alla base dell’esperienza religiosa degli esseri umani, l’unione mistica è al
centro della loro vita spirituale. Si dice che l’unione fa la forza;
ciò è assolutamente vero anche per quel che concerne la sfera
interiore. La nostra mente, infatti, è condizionata dalla dualità,
dall’opposizione dei contrari: se questi si trovano in sterile
conflitto, l’energia mentale ne verrà costantemente assorbita;
ma se gli opposti vengono armonizzati, essa sarà libera e potrà
partecipare pienamente alla crescita interiore.
Nella prima parte di questo libro si esaminerà nei dettagli
l’ascesa interiore in diverse tradizioni, poiché essa è indissolubilmente legata al matrimonio mistico. Si prenderà poi in considerazione lo yoga delle lateralità e gli archetipi del matrimonio interiore nell’hinduismo e nel buddhismo, il che fornirà
solide basi al nostro studio.
La seconda parte del libro sarà invece dedicata alla tradizione giudaico-cristiana. Prima di commentare alcuni passi
dell’Antico Testamento, si è infatti ritenuto opportuno trattare
approfonditamente la Kabbalah e la mistica ebraica, poiché ciò
sarà d’ausilio a comprendere meglio le interpretazioni che dei
detti passi verranno date dal punto di vista dello yoga.
Nella terza parte verrà esaminata l’unione dei contrari prendendo in considerazione la figura dell’androgino, quella dei
gemelli, i miti di Edipo e di Teseo, nonché il Mysterium coniun19
ctionis di Jung, apice della sua opera consacrata al congiungimento degli opposti in alchimia e nella psicologia del profondo. A tutto ciò faranno seguito alcune riflessioni su Dio, il Sé,
la Vacuità e i loro simboli, riflessioni utili a inquadrare meglio
le interpretazioni che seguiranno.Verrà poi offerta una presentazione del Cantico dei cantici e si discuterà il perché e il percome dell’interpretazione di un testo sacro; ciò servirà infatti a
introdurre il commento completo del Cantico, commento che
costituisce la quarta parte del libro.
La quinta parte, “Episodi della vita di Gesù”, applica le chiavi interpretative definite nelle precedenti parti del libro ad
alcuni importanti episodi dei Vangeli e, per concludere, a due
visioni dell’Apocalisse. Sarebbe stato possibile commentare
molti altri episodi della vita di Gesù, ma quelli trattati qui sono
sufficienti a dare un’idea di quanto siano fecondi gli accostamenti del cristianesimo con lo yoga. Nonostante nelle prime
quattro parti del libro sia presente un considerevole numero di
note, in questa ultima parte non ve ne sono. Nelle parti precedenti, infatti, si è voluto inquadrare l’ascesa interiore e il matrimonio spirituale facendo riferimento a diverse tradizioni e
scritti mistici, occorrevano quindi numerose citazioni. Quando
ci si avvicina ai Vangeli, però, lo stile diventa più meditativo, tra
gli episodi della vita di Gesù e l’esperienza interiore si instaura un dialogo; è proprio questo ciò che ho cercato di esprimere alleggerendo il testo di qualsiasi riferimento esterno.
Da quindici anni vivo principalmente in India e sono spesso in
eremitaggio nell’Himālaya. È qui, proprio di fronte al massiccio della Nanda Devī che domina il Nord dell’India dall’alto
dei suoi 7.860 metri, che ho scritto questo libro. L’insegnamento spirituale che seguo è quello di Mā Anandamayī, e
se nel corso del testo non cito direttamente le sue parole è perché so che la sua influenza è comunque presente, direttamente all’interno di me stesso. Questo libro rappresenta una fase
20
del mio cammino tra l’Oriente e l’Occidente, tra l’India e la
Francia. In Le Maître et le thérapeute (1991) ho parlato del rapporto con il maestro spirituale, un aspetto importante sin dall’inizio del cammino interiore; poi, in Eléments de psycologie spirituelle (1992) e Méditation et psychologie (1996)1, ho approfondito lo studio delle condizioni psico-sensoriali necessarie affinché l’interiorizzazione meditativa possa aiutare a guarire se
stessi e possa poi produrre il suo frutto, ossia la gioia spirituale, nonché il senso di unità con il mondo e gli altri. Sempre in
Eléments de psycologie spirituelle, ho parlato anche della differenza che intercorre tra hinduismo e cristianesimo per quel che
concerne la trasmissione spirituale. Nel 1995 ho scritto due
studi comparativi: il primo, sull’insegnamento dei monaci del
deserto del cristianesimo delle origini “esicasmo” in rapporto
al vedānta2; il secondo, più generale, sul non-dualismo e la
mistica cristiana3, presentando temi di riflessione più ampi;
quest’ultimo testo è un buon complemento alla presente
opera. Era naturale che questo libro facesse seguito ai precedenti, poiché il matrimonio interiore è il coronamento dell’esperienza meditativa.
Alcuni punti di riferimento sul rapporto tra yoga, cristianesimo
e interpretazione della Bibbia
Come si sa, il termine “religione” significa “collegare, unire”,
da una parte gli uomini a Dio e, dall’altra, gli uomini tra di loro
attorno a una medesima visione del Divino o dell’Assoluto;
anche “yoga” significa “unione”. Se si prendesse in considerazione l’iniziativa di unire tra loro tutte le religioni, come la si
potrebbe chiamare se non la religione delle religioni o lo yoga
degli yoga? L’ultima parte di questo libro, “Episodi della vita di
Gesù”, potrebbe essere intitolata “Meditazioni sulla convergenza tra yoga e cristianesimo”. La parola “yoga”, infatti, già
21
significa in sé “convergenza, congiunzione”, e il simbolo del
cristianesimo è la Croce, ossia l’incrocio delle direzioni, l’incrocio dei cammini; si potrebbe perciò dire che le meditazioni proposte nell’ultima parte del libro riguardano “la convergenza della congiunzione e dell’incrocio”.
Oggi sono molti i cristiani che si avvalgono della pratica
dello hat.ha-yoga, e lo fanno senza particolari rimorsi di
coscienza; ciò anche grazie all’attività di pionieri quali padre
Déchanet, uno studioso di Guglielmo di Saint-Thierry e della
tradizione mistica medievale: dal punto di vista fisiologico, le
diverse razze umane non differiscono praticamente in nulla,
perciò non sorprende che degli esercizi basati su questa fisiologia quali quelli dello hat.ha-yoga possano aiutare gli individui
di tutte le culture. Le riflessioni a cui faccio riferimento nelle
pagine seguenti si basano sulla fisiologia sottile del corpo
umano, la quale non ha altrettanta ragione di variare da individuo a individuo o da cultura a cultura; ciò che può variare è
la chiarezza con cui viene percepita e concettualizzata, e a tal
riguardo lo yoga fornisce un aiuto insostituibile.
Sono molti gli autori che hanno scritto sul rapporto tra
yoga, hinduismo e cristianesimo. Padre Monchanin ha definito i rapporti tra yoga ed esicasmo; padre La Saux, influenzato
da Rāman.a Mahārs.i e Svāmi Jñānanda di Tapovanam, ha riflettuto sulle possibilità di un non-dualismo cristiano4; Vandana
Mātājī ha condotto un influente e ben documentato studio in
lingua inglese sulla recitazione del Nome di Dio nelle tradizioni cristiana e hindu5; e Bettina Bäumer ha contribuito al
confronto tra lo śivaismo kaśmīro e il cristianesimo6. Raimon
Panikkar, poi, ha riflettuto sui molteplici aspetti del rapporto
tra cristianesimo e hinduismo, e recentemente si è interessato
in maniera particolare a comprendere il ruolo di Gesù7.
Arnaud Desjardins è sempre stato attento ai possibile confronti tra vedānta e cristianesimo8, mentre le edizioni La Table
Ronde (Parigi) hanno pubblicato un libro di un autore india22
no su Gesù9. Noutte Genton-Sunier, infine, particolarmente
ispirata dall’insegnamento di Śrī Aurobindo e Mā Anandamayī nonostante non sia mai venuta in India, ha scritto numerose opere sulla possibile interpretazione del cristianesimo in
chiave yogica10. Dal canto mio, in questo libro tento di mettere in luce la possibilità di utilizzare in un contesto cristiano la
conoscenza del corpo sottile insegnata dallo yoga. Dopotutto,
visto che le sefirot della Kabbalah forniscono l’ebraismo di una
fisiologia sottile simile a quella dello yoga, non si vede perché
anche i cristiani non dovrebbero avvalersi di un tale sistema.
Ciò aiuterebbe i cristiani più mistici a orientarsi nel loro
mondo interiore. Non dico che essi non sappiano dove vanno,
ma sembra che spesso non abbiano chiaramente coscienza del
modo in cui vi si dirigono.
Spiegare alcune determinate pratiche di meditazione yogica riducendo i termini tecnici al minimo e utilizzando immagini e concetti cristiani ha costituito per me una sfida molto
dura. Ho tentato di raccoglierla; sarà il lettore a valutare se si
sia trattato o no di una vittoria; in ogni caso, sono stato oltremodo felice di misurarmi con questa impresa. Non mi lancerò in esposizioni o in controversie teologiche, il mio obiettivo
è piuttosto pratico. Coloro che hanno letto Vivekānanda sanno
che ha tenuto due serie di conferenze, una sul bhakti-yoga e
una sul rāja-yoga, a lungo pubblicate separatamente ma poi
finalmente riunite in un unico volume dal titolo Yoga pratici11.
Il fatto che queste due serie di conferenze siano state a lungo
pubblicate separatamente non significa che i due tipi di yoga a
cui fanno riferimento siano completamente separati l’uno dall’altro; nella pratica hinduista, infatti, tra di essi vi sono numerose zone di sovrapposizione. Ora, visto che il cristianesimo è
principalmente una via devozionale, non è cosa insensata farlo
incontrare con il rāja-yoga, ossia con lo yoga tradizionale di
Patañjali, il quale prevede anche la meditazione sui centri
energetici, cakra, e sui canali sottili, nād.ī.
23
Precisiamo alcuni concetti chiave della meditazione yogica.
In essa si parla spesso di correnti d’energia che circolano in dei
canali. Sono correnti di sensazioni che si tenta di rendere
armoniose, potremmo dire fluide, come dei rivoli di olio. Esse
scorrono in tre canali, tutti situati nella schiena. Il canale centrale, sus.umnā, corre lungo la colonna vertebrale; i testi lo collocano spesso un po’ più avanti di quest’ultima, ma io preferisco percepirlo esattamente dietro di essa, perché penso che ciò
aiuti a controllare meglio la mente. Volendogli dare un nome,
ho trovato “condotto della colonna”: questo canale è infatti
una sorta di equivalente posteriore del condotto tracheale, il
quale si trova nella parte anteriore del corpo; e come quest’ultimo porta l’aria ai polmoni, il condotto della colonna porta i
soffi vitali, prān.a, in tutto il corpo12. Condotto tracheale e condotto della colonna sono poi simili anche nella loro struttura,
una via cava formata dall’impilamento di vari anelli. Inoltre, i
canali energetici si chiamano nād.ī, termine che significa anche
“arteria”13. Dunque, il nome “arteria-colonna” parrebbe
appropriato. Sembrerebbe che questo canale venisse percepito
già in epoca molto antica. Su un sigillo di Mohenjo-Daro
(probabilmente 4000-3000 a.C. circa), infatti, è rappresentato
un re-sacerdote che siede in una postura meditativa perfettamente simmetrica, e una linea verticale al di sopra della sua
testa e una al di sotto dei suoi piedi sembrano indicare che egli
percepisca l’asse centrale del suo corpo proseguire lungo queste due direzioni.
Per quanto riguarda i canali laterali, non gli ho attribuito
nessun nome particolare. In pratica, credo che sia meglio sentirli partire dai due lati del coccige, a metà strada tra le anche
e la linea mediana del corpo, e farli salire direttamente alla
sommità della testa o al centro della fronte, luoghi in cui confluiscono nel “condotto della colonna”, il quale segue l’asse
centrale del corpo; essi formano dunque una V rovesciata.
Vengono indicati anche altri percorsi dei canali laterali, legger24
mente differenti da quello qui proposto, che variano in base
alle forme di pratica o agli effetti che da essa ci si aspetta; ma
su questo ritorneremo più in là. Quando i tre canali si incontrano, si prova una grande gioia e l’esperienza meditativa
diventa molto più intensa. È questo ciò che si cerca di raggiungere con la meditazione, ma su coloro la cui mente non è sufficientemente purificata questa intensità può avere degli effetti collaterali, come ad esempio un aumento di tutti i tipi di
appetito e una maggiore propensione alla collera, e diventa
tanto più pericolosa quanto più coloro che la esperiscono non
ne sono consapevoli e credono che tutto vada per il meglio: da
questo punto di vista, assomigliano a delle persone ipomaniache. Bisogna perciò dire sin dall’inizio che questi esercizi non
saranno di alcuna utilità se non accompagnati da una ferrea
condotta di vita; l’aiuto di un maestro spirituale che abbia
esperienza di questo genere di lavoro interiore è dunque indispensabile. Ammesso che questo tipo di pratica possa essere
intrapreso da dei principianti, per essi è meglio rafforzare
prima di tutto la consapevolezza dei canali laterali e dei centri
energetici superiori.
Tra i tre canali dello yoga e i tre pilastri della Kabbalah c’è
una certa somiglianza. Questi ultimi costituiscono la struttura
in base alla quale i dieci centri, sefirot, vengono dislocati nell’uomo archetipico, Adam Kadmon, e li si deve immaginare
come luminosi, infatti vengono chiamati z.ah.z.ah.ot, gli “splendori nascosti”. Nella pratica della Kabbalah, i tre pilastri sono
molto importanti, altrimenti non si spiegherebbe perché il
libro che ne tratta sia stato intitolato con un nome pressoché
identico al loro, Zohar, il “Libro degli splendori”. Nella struttura di cui si è detto, si riscontra una distinzione tra un lato
destro, più attivo, connesso alla “Misericordia” (H.esed),
all’espansione e a Yahweh, e un lato sinistro, più passivo, connesso alla “Giustizia” (Gevurah), alla contrazione e a Elohim.
Tale distinzione di carattere sensibile ed emotivo tra destra e
25
sinistra viene chiaramente esplicitata nello svara-yoga e, da una
ventina di anni, è stata riscoperta anche dalla neuropsicologia
moderna, anche se non bisogna necessariamente mettere in
correlazione il livello fisiologico e quello dell’esperienza yogica, la quale riguarda il corpo sottile. Il pilastro centrale della
Kabbalah rappresenta l’equilibrio, corrisponde chiaramente alla
colonna vertebrale ed è spesso comparato alla scala di
Giacobbe, lungo la quale salgono e scendono le energie. Il percorso che congiunge le varie sefirot, invece, viene a volte paragonato al fulmine, ossia a quell’energia che lo yoga chiama
vajra, la folgore. Il tronco del corpo dell’Adam Kadmon, l’uomo
primordiale, ha due poli: “la Corona” (Keter), in alto, e “il
Fondamento” (Yesod), in basso; essi corrispondono rispettivamente al sahasrāra e al mūlādhāra-cakra. Anche la sefirah situata
alla base della struttura, “il Regno” (Malkhut), ha un equivalente nello yoga, la poco conosciuta bhūmi, la terra, che corrisponde alla forma quadrangolare che circonda i mand
.. ala (il più
conosciuto dei quali è lo Śrī Cakra, costituito da una serie di
sigilli di Salomone intrecciati gli uni agli altri). Nella Kabbalah,
i canali vengono chiamati z.innorot, un termine presente nella
Bibbia. Nel salmo 42,8, infatti, si trova un’espressione alquanto
misteriosa che la Bibbia di Gerusalemme traduce come «Un
abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi
flutti e le tue onde sopra di me sono passati» e che la traduzione di Chouraqui rende invece con «L’abisso grida all’abisso al
suono delle tue cascate, mentre tutti i tuoi flutti, tutte le tue
onde passano su di me». In questo caso, si potrebbe tradurre
z.innorot anche con “canali” e interpretare l’intero passo come
un riferimento al salire dell’energia dall’abisso inferiore, cioè la
sefirah della base e la “terra”, all’abisso superiore, ossia la sefirah
della Corona, rivolta al cielo; il che sembra corrispondere a
delle intense esperienze interiori che sopraffanno realmente
l’ego. Ci sono anche altri versetti biblici che possono essere
interpretati come riferimenti all’ascesa dell’energia, ad esempio
26
il salmo 24,9: «Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte
antiche, ed entri il re della gloria». Tra le sefirot e il sistema dei
canali dello yoga si riscontra dunque un’analoga struttura di
base, ma la Kabbalah non sembra mettere in risalto il concetto
della confluenza di questi canali, infatti descrive lo sviluppo
dell’albero delle sefirot più come una visione totalizzante del
mondo, in particolare come un sistema che dà conto della creazione del mondo e della discesa del Divino sulla terra.
In Oriente, le tradizionali posture a gambe incrociate offrono una solida base alle pratiche meditative. In un altro libro14
ho raccontato il mio incontro con il maestro dei novizi della
Grande Chartreuse, il quale mi disse che gli studenti preferivano svolgere le proprie pratiche assumendo posture simili a
quella del loto, posture che avevano conosciuto durante dei
corsi frequentati prima di entrare nella Chartreuse. Secondo
lui, non c’era alcuna ragione di scoraggiare ciò che li poteva
aiutare nella pratica di interiorizzazione: è dunque possibile
cambiare, anche in un ordine religioso il cui motto è sempre
stato nunquam reformata, “mai riformato”.
La confluenza dei tre canali insegnata dallo yoga garantisce
una struttura di base, una sorta di intelaiatura, una figura geometrica di base sulla quale si vanno a sovrimporre molteplici
rappresentazioni simboliche, come se a un unico disegno in
bianco e nero venissero sovrapposti colori via via differenti. La
si potrebbe paragonare anche a un attaccapanni a cui possono
essere appesi vari abiti, o a una formula matematica in grado
di risolvere problemi diversi.
Nelle pagine seguenti prenderemo in esame alcuni passi
dell’Antico e del Nuovo Testamento che sembrano riferirsi al
corpo sottile. Certo, un mistico che ha esperienza vede il
Divino dappertutto e non ha alcun bisogno di spiegazioni; ma
per colui che si trova in cammino, esse possono risultare molto
utili, rappresentano dei segnali che indicano il suo percorso e
gli mostrano di essere sulla buona strada. Il tipo di chiavi di let27
tura che proporremo, inoltre, potrebbe essere considerato troppo semplicistico, ma come affermano coloro che conoscono la
vita spirituale: «Più noi siamo complicati, più rimaniamo lontani da Dio; e nella misura, invece, in cui noi diverremo semplici, ci potremo avvicinare a Lui»15. Non si tratta di accontentarsi di una chiave di lettura passe-partout, ma di praticare una
meditazione che permetta di incarnare i testi nel corpo sottile
e nel suo essere. In questo processo è inevitabile una certa
ripetitività delle interpretazioni, ma essa non risponde a una
mancanza d’immaginazione, quanto – si potrebbe dire – al
desiderio di un approfondimento a spirale.
Tra tecnica e amore viene spesso instaurata un’opposizione
a mio avviso ingiustificata. La cosa ideale è praticare con l’ausilio di entrambi. Se la parola “tecnica” spaventa, ci si può
ricordare che etimologicamente significa “arte”; oppure si può
parlare anche di “metodo”. Sono convinto che coloro che da
tempo percorrono la via dell’amore senza un apparente ricorso alle tecniche hanno di fatto sviluppato in maniera tacita i
propri metodi, ma non hanno avuto l’interesse o l’idea o la
possibilità di considerarli come tali. Dopotutto, è Dio ad aver
creato le leggi del corpo sottile, allo stesso modo in cui ha
creato quelle che regolano la fisiologia e il movimento del
mondo. Perché “tentare Dio” chiedendogli continuamente
miracoli quando sappiamo che preferisce seguire le leggi che
egli stesso ha stabilite? Nel deserto Satana tentò Gesù chiedendogli di saltare giù da una delle torri del tempio e dicendogli
che gli angeli dell’Altissimo sarebbero giunti a sostenerlo. La
torre potrebbe essere un riferimento al tronco del corpo, mentre le sue scale interne, le sue finestre e i suoi pianerottoli
potrebbero corrispondere rispettivamente ai canali dell’energia e ai centri che vi sono dislocati. Saltare dall’alto della torre
significa voler cortocircuitare sia il naturale processo di salita e
discesa dell’energia lungo i canali sia, più in generale, tutte
quelle pratiche e quei metodi equilibrati che permettono di
28
“salire sulla cima della torre” e ridiscenderne con un rischio
minimo. Saltare giù dalla torre non è soltanto pericoloso per
se stessi, ma infastidisce e “tenta” Dio.
Ci si potrebbe chiedere come faccia una meditazione che in
fondo consiste nel far convergere delle correnti di sensazioni a
condurre verso Dio. Per comprenderlo, possiamo prendere in
considerazione, ad esempio, una delle principali pratiche della
via della devozione, la recitazione del Nome di Dio. Essa è
un’articolazione, ossia un movimento muscolare della bocca,
della faringe e della laringe; ma quando la recitazione è mentale, il movimento viene trasformato in correnti di sensazioni.
Se inoltre si decide, seguendo uno dei consigli tradizionali, di
collocare il Nome nel cuore, essa fa raccogliere, fa costantemente convergere tutti i propri pensieri e le proprie sensazioni in quel luogo; il che equivale alla convergenza delle correnti delle sensazioni nel cuore. Lo stesso avviene praticando lo
yoga dell’unione dei canali a livello del cuore. Quando si sarà
in grado di esperire tale confluenza con una regolarità pari a
quella della ripetizione del Nome di Dio, se ne potrà cogliere
il frutto.
Un’ulteriore obiezione: visto che la convergenza dei canali
è un metodo meccanico, come è possibile che riesca a far
discendere l’amore divino? Si potrebbe avanzare tale obiezione anche alla pratica della ripetizione del Nome di Dio, ma la
risposta sarebbe la stessa: se si è costantemente consapevoli di
quale sia il fine di queste pratiche, le quali sono di fatto slanci
verso l’amore divino e l’Assoluto, tale fine potrà essere raggiunto. Altrimenti si tratterebbe sicuramente di ripetizione
meccanica, sia in un caso che nell’altro. Il vero lavoro del cristiano non consiste tanto nel ripetere automaticamente che
Gesù è l’incarnazione di Dio, quanto nel cercare di diventare
egli stesso un’incarnazione dell’Incarnazione, e le pratiche trattate in questo libro possono aiutare a raggiungere questo
scopo.
29
Ci saranno sicuramente dei lettori che non hanno mai praticato la meditazione yogica o quella cristiana: se questo libro
farà loro venire la voglia di provare, non sarà stato inutile scriverlo; e anche se lo leggeranno come fosse un romanzo, gli sarà
comunque di giovamento. Se, malgrado tutto, i lettori non ne
accettassero i contenuti, avranno almeno avuto la possibilità di
porsi delle domande su temi di cui non avevano mai sentito
parlare. Non so se tornerò a scrivere sullo yoga biblico e cristiano, ma nelle pagine che seguono credo di aver detto ciò
che al riguardo ritengo più importante e di aver contribuito,
nella misura delle mie limitate capacità, alla grande opera del
matrimonio tra l’Oriente e l’Occidente, a ciò che si potrebbe
chiamare la “confluenza dei due fiumi”.
Prima di concludere questo paragrafo introduttivo, vorrei
tornare sul concetto di “ascesa dell’energia”, concetto fondamentale dello yoga. In questo libro, metto in evidenza come
tale concetto sia presente anche nel cristianesimo, benché gli
venga dato un simbolismo diverso; parlare di ascesa dell’energia in questa tradizione, dunque, non equivale ad attribuirle
qualcosa che non le appartiene. Nella mistica giudaico-cristiana, la scalata della “montagna sacra” è un tema ricorrente;
l’opera maggiore di Giovanni della Croce, La salita del Monte
Carmelo, ruota proprio intorno a questo tema, e anche il nome
dell’ordine religioso a cui egli apparteneva, il Carmelo, evoca
l’idea di una cima da scalare. Inoltre, nel suo celebre poema La
notte oscura, Giovanni della Croce fa riferimento alla sua fuga
mistica – quella dell’anima – utilizzando l’immagine di una
scala segreta: «A oscuras y segura / por la segreta escala, disfrazada / O dichosa ventura [...]» (Nello scuro e sicura / per la
segreta scala, mascherata, / oh, felice ventura! [...])16.
Quest’ascesa segreta ci mette in contatto con una sorgente non
meno segreta: «Qué bien sé yo la fonte que mana et corre /
aunque es de noche. / Aquella eterna fonte està ascondida /
qué bien sé yo do tiene sui manida / aunque es de noche [...]»
30
(La sorgente ben so che emana e scorre / anche se è notte. /
Quella fonte eterna sta nascosta, / ma io so ben dove sta riposta, / anche se è notte [...])17.
Considerare le espressioni di Giovanni della Croce come
puramente poetiche, indipendenti dal vissuto fisico, significherebbe non conoscere il modo di esprimersi dei mistici tradizionali. I mistici vivono l’universo delle Scritture e il mondo esteriore sia come se si trovassero dentro di loro, sia come se fossero il Tempio di Dio; si potrebbe dire che «percepiscono il
Tempio divino al centro delle loro due tempie». Le ben note
parole del Cristo «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio
nome, io sono in mezzo a loro»18 (Mt 18,20) vengono generalmente intese come una celebrazione della preghiera comunitaria, ma in esse si può scorgere un riferimento alla gioia divina
che deriva dall’unione delle correnti d’energia nei centri superiori: inizialmente si uniscono soltanto i due canali laterali; poi
vi si unisce il terzo, il canale centrale, offrendo così, nel contesto cristiano, la più viva esperienza della presenza di Gesù.
Mi ricordo un monaco benedettino a cui ero vicino prima
che morisse, nel 1985, don Hourlier, una persona sorridente e
grande specialista della concezione dell’Eterno durante il
Medioevo.Tra i salmi che aveva recitato durante tutta la sua vita
monastica, uno di quelli che lo avevano colpito di più era «Hai
disposto le ascensioni nel mio cuore» (salmo 83,6)19. Queste
stesse parole sono presenti alla fine della Scala del Paradiso di
Giovanni Climaco, un’opera di un monaco del deserto del
Sinai del VII secolo che ha influenzato tutto il monachesimo
successivo, sia d’Oriente che d’Occidente. Il testo ruota intorno all’idea della salita graduale, da cui il titolo Scala, e termina
con un vero e proprio inno a essa rivolto. Non posso resistere
alla tentazione di citarlo: dopo aver parlato del silenzio come di
un’“ascesa segreta”, alla fine dell’opera Giovanni Climaco
riprende il tema della salita: «Salite, fratelli, ascendete. Coltivate,
fratelli, nel vostro cuore il vivo desiderio di sempre salire (cfr.
31
salmo 83,6). Date ascolto alla scrittura che invita: «Venite,
ascendiamo al monte del Signore e alla casa del nostro Dio [cfr.
Is 2,3], che rese i nostri piedi rapidi come quelli di un cervo e
ci diede come meta un posto sublime, perché seguendo le sue
vie riuscissimo vincitori»20 (cfr. salmo 17,33). Se le meditazioni che propongo nel corso del libro riusciranno a “disporre
delle ascensioni nel cuore” dei miei lettori, ne sarò felice. A
questo proposito va notato che anche gli ultimi due episodi
della vita terrestre di Gesù, ossia la Crocifissione – che viene
paragonata al serpente di bronzo eretto da Mosè – e l’Ascensione – di cui parleremo in seguito –, richiamano chiaramente
il concetto di “salita”.
Ribadiamo che questo libro non è semplicemente uno studio sul simbolismo, ma è stato pensato per far attecchire nella
realtà del nostro corpo fisico e sottile alcune meditazioni sui
principali passi del Cantico dei cantici e della vita di Gesù, per
incarnarle. Nel momento in cui ciò avverrà, la contemplazione si intensificherà, diventerà pari a una quercia possente, un
cedro tranquillo e una palma frondosa.
Il corpo sottile, l’energia e l’Assoluto
Prima di affrontare gli argomenti esposti in questo libro, è
importante avere una chiara visione del rapporto tra il corpo
sottile e l’Assoluto. Affinché il corpo sottile possa costituirsi
come solida base alla totale dissoluzione nell’Assoluto, è necessario che esso sia saldo e stabile, e queste due condizioni possono essere conseguite solo in maniera graduale, attraverso una
pratica regolare. Al proposito, anche la tradizione tibetana raccomanda di dissolvere nella luce del corpo sottile le divinità
precedentemente visualizzate durante la sessione meditativa. Al
riguardo, e rimanendo ancora nell’ambito della tradizione tibetana, vale la pena esplicitare il significato che un episodio della
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storia di Milarepa assume dal punto di vista interiore. Il maesto
di Milarepa, Marpa, chiese al suo discepolo di costruire una
torre di sette piani per difendersi dai nemici. Gli fece costruire
questa torre e gliela fece subito distruggere per sei volte in sei
luoghi differenti cosicché i nemici pensassero che Marpa fosse
diventato pazzo e non gli prestassero più attenzione. La settima
volta, però, Marpa ordinò al suo discepolo di introdursi notte
tempo nel territorio nemico e di costruirvi la torre. Quando i
nemici si svegliarono, si resero conto di essere stati ingannati da
colui che credevano essere semplicemente un vecchio pazzo e
si decisero a firmare un trattato di pace con Marpa.
La torre a sette piani rappresenta il corpo sottile e i suoi
sette centri. La sua ripetuta costruzione e distruzione indica la
fragilità, la fluidità del corpo sottile: per rendere il corpo sottile stabile e abituare la mente-ego, ossia i nemici, alla sua esistenza, è necessario ricominciare il lavoro più e più volte; poi
viene un momento in cui la presenza del corpo sottile diviene talmente imponente ed essenziale che la mente è costretta
a sottomettersi alla sua autorità; da questa sottomissione deriva una pace duratura.
Ogni lavoro sul corpo sottile può condurci verso l’Assoluto,
ma ciò non esclude il fatto che esso vada ricominciato di volta
in volta: è come la fenice che nasce dalle sue ceneri ogni volta
che viene arsa. La meditazione sul corpo sottile corrisponde al
livello della comune fisica newtoniana, poiché vi si trova ancora la nozione di spazio-tempo; la meditazione sull’Assoluto,
invece, corrisponde al livello della fisica quantistica o relativista, dove viene meno ogni punto di riferimento: questo secondo tipo di meditazione non esclude il primo – che al suo livello resta comunque valido –, ma lo include. Il corpo sottile ha
le sue leggi, è quindi bene conoscerle e rispettarle.
Alcuni ci potrebbero criticare perché in questo libro attribuiamo ai testi presi in considerazione un significato che in
realtà non hanno; è una questione che è stata già affrontata, ed
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è stata risolta nel Medioevo distinguendo quattro livelli d’interpretazione: il significato storico o letterale; il significato allegorico, che indica le verità della fede; il significato morale, che
contribuisce al miglioramento dei costumi; e il significato anagogico, che è il più interiore. Lasciamo la parola ad Alessandro
di Canterbury, un autore del XIII secolo che discute questi quattro tipi di significato a proposito del commento al versetto 2,4
del Cantico dei cantici: «Mi ha introdotto nelle sue cantine». In
queste “cantine”, Alessandro di Canterbury distingue quattro
tipi di “botti”: «Nella bevanda contenuta nella quarta botte,
ossia l’anagogia, si trova la più soave percezione (affectus) dell’amore divino; attraverso la sua ineffabile dolcezza, la nostra
anima viene unita e in un certo modo riempita dalla divinità. I
perfetti bevono all’anagogia, vale a dire alla contemplazione [...]
e chiunque ne berrà quant’anche poco ne sarà subito ebbro»21.
Ciò detto, non è il caso di dover necessariamente interpretare
ogni cosa in senso spirituale; Gregorio di Nissa lo dice chiaramente nella sua Vita di Mosè, un testo che ha avuto grande
influenza sul cristianesimo a esso successivo: «Nessuno comunque pensi che l’esposizione dei fatti storici corrisponda perfettamente all’ordine di questa interpretazione spirituale del concetto»22.
Nell’India tradizionale, l’insegnamento relativo all’energia
vitale veniva custodito nel segreto della relazione tra guru e
discepolo; anche se alcuni testi tantrici venivano messi per
iscritto, era possibile studiarli solo dopo l’iniziazione e la loro
comprensione non poteva prescindere dall’insegnamento
orale. Oggi, sia in India che in Occidente, il concetto di “energia vitale” è molto diffuso, ma se ne conoscono soprattutto gli
usi nel campo della guarigione e in quello del tantrismo della
mano sinistra, che fa ricorso alle pratiche sessuali; ciò dà adito
a ogni tipo di fraintendimento e non rende giustizia alla
Kun.d.alinī-śakti, che nello yoga è in fin dei conti una forma
della Dea.
34
La stretta relazione che intercorre tra la circolazione dell’energia e la mistica tradizionale intesa come via verso la liberazione o verso la salvezza non è affatto esplicita. Nel caso delle
tradizioni indiane, tuttavia, è abbastanza facile ricostruirla, poiché oltre a essere trattata nei testi, è anche oggetto dell’insegnamento orale. Anche nella mistica giudaico-cristiana,
comunque, è possibile trovare riferimenti alle nozioni orientali di “energia”: le esperienze sono le stesse, ma è necessario
saperle interpretare stabilendone i legami appropriati, proprio
come si cercherà di fare nel corso di questo libro, malgrado i
miei limiti nel comprendere ciò che riguarda il sottile. Una
volta fatto questo, ci si renderà conto di come pochi semplici
concetti siano in grado di mettere in relazione esperienze
mistiche che prima sembravano non aver nulla in comune.
Una delle ragioni per le quali le mistiche tradizionali indiane e occidentali parlano con molta discrezione delle trasformazioni dell’energia interiore sta nel fatto che ciò le porterebbe a dover affrontare direttamente il tema della forza sessuale.
In un contesto religioso tradizionale, infatti, affrontare questo
tema non era affatto facile; lo è di più ai giorni nostri, soprattutto in Occidente, dove siamo stati abituati alle metafore dell’energia vitale già con la psicanalisi e, recentemente, con gli
sviluppi delle pratiche corporee e di guarigione che fanno
ricorso all’energia. I contesti sono molto diversi: il fatto che la
tradizione provasse pudore nei confronti di tali argomenti
viene spesso considerato dall’occidentale moderno come indice di ingenuità, anzi di ipocrisia.
Non è affatto un caso se oggi esiste una rivista intitolata
Génération Tao 23 dedicata allo yoga, al t’ai chi, al chi kung e alle
pratiche che coinvolgono la circolazione dell’energia. Ciò
indica che questi concetti sono oggi sempre più diffusi.
Secondo me, tra essi e l’insegnamento della Bibbia e l’esperienza mistica cristiana c’è un legame, ma come si è detto è
necessario saperlo individuare; proveremo a farlo nelle pagine
35
seguenti, Deo adjuvante. Durante la fase di preparazione del
libro, ho fatto circolare alcune sue parti presso degli amici, e ho
constatato che in effetti riscuoteva molto interesse tra le persone che seguivano una pratica che in un modo o nell’altro
aveva a che fare con la circolazione dell’energia, persone oggi
molto numerose.
Bisogna anche tener presente che gli occidentali moderni
non hanno più alcuna idea della tradizione orale, che in India
lega ancora il guru al discepolo. Se delle idee o delle pratiche
non vengono messe nero su bianco, per gli occidentali è come
se non esistessero affatto. Certo, si tratta sicuramente di una
forma di materialismo, ma quando si vuole comunicare con un
pubblico occidentale se ne deve tener conto. Devo aggiungere che l’obiettivo di questo libro non è offrire un insegnamento pratico sull’energia interiore, ma semplicemente mostrare,
attraverso un lavoro di mistica e simbolismo comparati, come
essa sia al centro di numerose esperienze spirituali.
Qualcuno potrebbe far notare che il tipo di energia a cui ci
si riferisce qui non è misurabile in maniera scientifica e, quindi, che essa non può esistere; si può però rispondere che anche
le emozioni non possono essere misurate e tuttavia svolgono
un ruolo fondamentale nella nostra vita psichica. Al massimo si
possono misurare alcuni effetti delle emozioni; ciò vale anche
per l’energia.
Saggi quali Mā Anandamayī parlavano raramente dell’energia; quando lei lo faceva, utilizzava l’espressione Bhagavan ki
śakti, “la śakti divina”; eppure Mā Anandamayī ne aveva in
abbondanza e la distribuiva generosamente a coloro che, intorno a lei, erano in grado di riceverla. Non tutti hanno la stessa
capacità di Mā di riuscire a trasmettere l’energia attraverso la
loro semplice presenza; quindi i comuni mezzi di comunicazione, come la scrittura, restano al riguardo validi. Mā non citava praticamente mai le Scritture sacre, ma ciò non significa che
coloro che seguono il suo insegnamento non traggano bene36
ficio dal farlo. Inoltre, va esplicitamente detto che non è per il
fatto di avervi riflettuto in questa sede che riesco a canalizzare l’energia con la padronanza di uno yogin esperto; sono un
comune sādhaka che, come gli altri sādhaka, cerca di calmare la
sua mente e, come altri ancora, a volte ha una visione intuitiva di ciò che si trova al di là dell’apparenza materiale.
Questo libro potrebbe sembrare una sorta di diario spirituale dove annoto il modo in cui rileggo e intendo la Bibbia dopo
quindici anni di pratica dello yoga in India, ma ciò non vuol
dire che l’ho scritto con questo intento. Come si è detto, infatti, il modo migliore per avvicinarsi al lavoro sull’energia interiore è l’insegnamento orale. In effetti, il problema principale
non è risvegliare tale energia, infatti vi sono molte tecniche
che, praticate con sufficiente intensità, possono riuscirvi; il vero
problema è sapere cosa farne una volta che è stata risvegliata,
e al proposito non c’è nulla che possa sostituirsi alla concreta
presenza di una guida. Devo dire che nella mia esperienza di
lettore di testi spirituali, quelli che hanno maggiormente suscitato il mio interesse sono stati quelli che trascrivevano un insegnamento orale. E se ripenso a quindici o venti anni fa, sono
sicuro che trovare riflessioni quali quelle proposte in questo
libro mi avrebbe aiutato a chiarire le mie idee e le mie pratiche. Da qui deriva lo sforzo che da un anno a questa parte sto
facendo per ordinare le mie concezioni su un tema importante quale il matrimonio interiore.
Bibbia, archetipi e relazioni umane
In questo libro non si proporranno ricette all’americana per
risolvere le tensioni o i litigi della vita di coppia in sette, nove
o dodici punti. Non ho niente contro i metodi pratici; quando ero terapeuta, anche io ne ho consigliati: meglio utilizzarli
piuttosto che continuare ad avere discussioni di coppia. Al
37
contrario, in questo libro si parlerà soprattutto di princìpi spirituali e di pratiche meditative che regolano l’armonia del
maschile e del femminile nella vita interiore. Una volta conosciuti, sorprenderà come questi princìpi siano in grado di risolvere problemi relazionali fino ad allora irrisolti da ogni tipo di
ricetta. Nel Femminile dell’essere24, anche Annick de Souzenelle
segue questo tipo di percorso. Grazie ai numerosi seminari e
conferenze che tiene da anni, essa è in contatto con un gran
numero di persone, e sa benissimo quali siano i problemi di cui
discutono le persone: «Quanto misera è la nostra attuale sessualità! Quanto misere le confidenze che mi hai fatto e che mi
permettono di parlarne!».
In Occidente, una delle caratteristiche dell’epoca attuale è la
profonda rimessa in discussione di quel contratto sociale e religioso che è il matrimonio. A Parigi, il 50 percento delle persone vive da solo, e ciò non significa certo che esso sia costituito
da monaci o mistici. Si può dunque affermare che non esiste
una vita priva di conflitti e dolori relazionali e che la meditazione sul matrimonio interiore può aiutare a risolverli. Essi possono dunque fornire uno stimolo a ricercare con maggiore
intensità l’unità interiore, ossia, in definitiva, a progredire spiritualmente.
Autori come Jung ed Eliade hanno mostrato molto bene
come culture mai entrate in contatto o tra le quali sono intercorsi solo pochi contatti possono produrre simboli simili o
identici. Ciò è particolarmente vero per gli archetipi che
riguardano il corpo, poiché, come si è già accennato, la fisiologia umana è uguale per tutti e il modo in cui viene vissuta ed
espressa in forma di fisiologia sottile non può essere molto differente; ciò fornisce una solida base per interpretare molte
immagini chiave della Bibbia ricorrendo, se ce ne è bisogno,
alle descrizioni relativamente chiare e sistematiche offerte dallo
yoga.
Detto ciò, è comunque possibile che tra Israele e l’India vi
38
siano stati scambi culturali. Queste due aree, infatti, non solo
erano separate soltanto dall’Impero persiano, o dai suoi predecessori o successori, cioè da un’area che spesso si presentava
politicamente unita e favoriva, quindi, viaggi più sicuri; ma la
distanza che le separava non era maggiore di quella che separava un capo dell’Impero romano dall’altro e che veniva quotidianamente percorsa da mercanti, funzionari e militari. Inoltre,
nonostante si spostassero più lentamente, i viaggiatori dell’epoca tendevano a risiedere molto tempo nei paesi di destinazione, anzi spesso vi si stabilivano definitivamente. È quindi molto
probabile che tra queste due civiltà vi sia stata una profonda trasmissione del sapere spirituale, anche se si tratta di un fenomeno difficile da identificare storicamente, ed è altrettanto probabile che questa trasmissione sia stata accompagnata non solo
dall’acquisizione di alcuni termini utilizzati nel vocabolario, ma
anche da quella dei concetti che caratterizzavano la cultura del
paese di arrivo. Su ciò torneremo a parlare meglio nel capitolo
dedicato alla mistica giudaica (parte 2, cap. 1).
Pur facendo riferimento agli archetipi di Jung (cfr. parte 3,
cap. 3), non sono così ingenuo da credere che lo studio dei
simboli sia iniziato nel XX secolo. Già nei monasteri medievali si tenevano corsi e conferenze sul simbolismo, e riscuotevano anche un vivo successo. La Kabbalah, inoltre, brulica di simboli, a tal punto che per comprenderli i discepoli devono
necessariamente rivolgersi a un maestro. L’opera di Annick de
Souzenelle sul Simbolismo del corpo umano nella Bibbia25 aiuterà sicuramente a comprendere meglio ciò che spiegherò nelle
pagine seguenti, quindi la citerò spesso. Come lei, anch’io
indico a cosa possono simbolicamente corrispondere la varie
parti del corpo, anche se seguo il procedimento inverso: partendo da simboli e immagini a prima vista eterogenei, li riconduco sistematicamente al corpo umano. Essendo influenzato
dalla pratica del rāja-yoga, però, le corrispondenze da me trovate si basano principalmente sul sistema dei tre canali energe39
tici. Ciò, comunque, non solo ha il pregio di semplificare il
mio compito e quello dei lettori che intendono seguirmi, ma
offre anche la possibilità di fare numerose interpretazioni e
appassionanti scoperte.
Il corpo è il primo oggetto che percepiamo e sicuramente
l’ultimo al quale restiamo aggrappati prima di morire; attraverso esso, inoltre, percepiamo tutti quegli oggetti esteriori che
possono poi diventare simboli del nostro psichismo. È per questo che le interpretazioni della struttura del corpo ci colpiscono così tanto.
La liturgia si fonda sui simboli. Le interpretazioni che si riferiscono al corpo trasformano la meditazione in una liturgia
interiore. La fisiologia sottile del corpo rappresenta un patrimonio comune a tutti i gruppi umani e a tutti i tipi di esperienza interiore; è una sorta di linguaggio unico precedente alla
torre di Babele. Grazie a chiavi simboliche relativamente semplici, essa permette di assimilare fino a un certo punto la diversità delle immagini mistiche; se così non fosse, si andrebbe
verso la dispersione, anzi l’anarchia, sia delle interpretazioni spirituali delle immagini, sia, e soprattutto, della pratica personale.
In fondo, nella preghiera e nella meditazione l’uso del corpo
è una cosa naturale. Nei suoi Esercizi spirituali, ad esempio,
sant’Ignazio consiglia di utilizzare i cinque sensi per rendere
più vivido l’episodio del Vangelo su cui ci si concentra26: i cinque sensi non fanno forse parte del corpo?
In India, si tende spesso a interpretare i testi sacri alla luce
dei processi yogici che avvengono nel corpo; è il caso, in particolare, del movimento dei sant, al quale appartennero Kabir e
Guru Nānak. Uno dei rappresentanti di spicco di tale tendenza è Tulsī Sāhib, che visse nel XIX secolo vicino Delhi e scrisse
il Ghat. Rāmāyan. – il termine ghat. , che originariamente significava “vaso”, si è poi attestato nel suo significato derivato di
“corpo”. Il principio su cui si basa il pensiero di Tulsī Sāhib è
semplice: «Tutto il Rāmāyān.a si trova nel corpo»27; ed egli lo
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argomenta dettagliatamente nel corso di tutto il libro, non
senza aver suscitato le reazioni dei fedeli di Rāma legati all’immagine classica del dio – con arco e frecce –, immagine che
essi conoscevano sin dalla loro infanzia (forse anche la presente opera provocherà le reazioni dei fedeli legati a una ben precisa immagine di Gesù). Ciò non ha comunque impedito che
il suo insegnamento sul “Rāmāyan.a nel corpo” e sull’ascolto
del silenzio (śabd dhun) sia stato trasmesso dal movimento dei
Rādhā Soāmi, un ramo del movimento dei sant che ha oggi in
India milioni di seguaci.
Quando parliamo della forza e della persistenza dei simboli
connessi al corpo, possiamo menzionare, ad esempio, il caduceo, quei due serpenti avvinghiati a un bastone che salgono
per bere da una coppa. In Occidente, esso è oggi l’emblema
dei medici, ma in realtà è un antico simbolo dell’alchimia e
dell’ermetismo greco; in India, il suo significato corporeo si
conserva intatto: si tratta dell’energia kun.d.alinī che sale lungo
l’asse centrale della schiena e dei canali laterali e va a bere alla
coppa, ossia a risvegliare i centri della testa. Ne riparleremo a
proposito dell’ascesa interiore (parte 1, cap. 1) e della confluenza dei canali energetici (parte 1, cap. 3).
Nel descrivere dettagliatamente i movimenti dell’energia
all’interno del corpo si corrono almeno due rischi. Il primo è
la suggestione. Leggere un libro che parla di un certo tipo di
esperienze o praticarle in gruppo, infatti, porta molti a credere di averle avute realmente (ciononostante, scuole del buddhismo tibetano come il Kagyupa o altre scuole tantriche non esitano a insegnare meditazioni dettagliate). Il secondo rischio è
quello del transfert, nel senso psico-spirituale del termine, su
colui che descrive le proprie esperienze: si crede che poiché ne
parla, ne abbia realizzato la quintessenza; ma le parole e la realizzazione di ciò di cui si parla sono separate da un mondo, si
potrebbe dire, per essere brevi, che sono separate dal mondo
della pratica.
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Avrei potuto parlare delle pratiche che riguardano il matrimonio interiore dedicandogli solo qualche pagina, anzi qualche riga, poiché il loro principio è semplicissimo, ma so che
per molti si tratta di concetti nuovi, soprattutto per i cristiani;
è per questo che mi sono preoccupato di passare in rassegna
un certo numero di testi dell’Antico e del Nuovo Testamento
e alcune nozioni della Kabbalah e dell’alchimia: per mostrare
che il matrimonio interiore è là, ben presente tra le righe del
testo, e che bisogna soltanto saperlo scorgere. Si potrebbe criticare la metodologia applicata in questo libro dicendo che
cerca di spiegare troppe cose utilizzando chiavi interpretative
troppo semplici; ma potremmo appellarci al fatto che, al di là
di tutto, ciò a cui si aspira è la semplicità del Divino. Spero che
quanto scriverò potrà aiutare coloro che seguono una via giudaico-cristiana a sentire meglio la Bibbia, e ciò all’interno del
proprio corpo: dopotutto, fondersi con la Bibbia, avere “la
Bibbia nel corpo” se si può dire, non significa anche prenderla a cuore?
Il Cantico dei cantici va interpretato?
Ci si potrebbe chiedere se interpretazioni troppo precise del
Cantico dei cantici non vadano a scapito della sua poesia. Io penso
il contrario: è meglio farne scaturire il profumo mistico.
Esistono due tipi di interpretazione dei simboli, uno discendente, l’altro ascendente. Il primo è riduzionista, e va effettivamente a scapito della poesia. Il secondo eleva al contempo il
lettore, il commentatore e il testo stesso; addita l’Assoluto, è una
poesia che si origina dalla poesia, è la poesia della poesia. È
importante distinguere, come fanno i buddhisti, due livelli della
verità: quello assoluto e quello relativo. Dal punto di vista assoluto, non solo non c’è alcun bisogno di commenti, ma non c’è
bisogno neanche di testi sacri: è già tutto qui, presente. Questo
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livello può essere esperito dai ricercatori spirituali avanzati. Dal
punto di vista relativo, però, i testi sacri, e quindi la loro interpretazione, conservano tutto il loro valore. Ciò è ancora più
vero nel caso di religioni quali il cristianesimo e il giudaismo;
non a caso le si chiama “religioni del Libro”. Per queste religioni, è lecito introdurre dei punti di vista nuovi, ma bisogna trovarvi un legame, per quanto tenue possa essere, con i testi sacri.
Sapendo quanto lo yoga o le idee di carattere non-dualistico
possano risultare nuovi agli ebrei o ai cristiani, mi sono impegnato a prendere dettagliatamente in esame i testi e le loro
interpretazioni per scoprirvi non un legame, ma una moltitudine di legami con le idee che espongo. È anche per questo che
ho deciso di commentare tutto il Cantico dei cantici, poiché nella
tradizione giudaico-cristiana è in qualche modo consueto
commentare questo testo quando si vuole presentare una corrente spirituale leggermente nuova. Questo poema funge da
intermediario, da tertium comparationis, da terzo termine di comparazione che permette di instaurare più facilmente un dialogo
tra idee apparentemente molto lontane tra loro.
Ho avuto cura di redigere il mio commento del Cantico
senza leggere quello di altri autori, e non me ne sono pentito.
Dopo averli letti, non ho cambiato praticamente nulla del mio,
vi ho semplicemente aggiunto alcune cose. Secondo me, ciò ha
avuto il grande vantaggio di mettermi in rapporto diretto con
il testo. Inoltre, sono consapevole che quando si studiano
approfonditamente tutti i numerosi commenti del Cantico, si
corre il rischio di farne una sorta di indigestione e si voglia dire
“basta!”. Si può anche arrivare a dire che il Cantico non ha
alcun significato, o nessun altro significato se non quello di una
semplice storia d’amore; ma è evidente che mistici del calibro
di Rabbi Akiba, che hanno insistito affinché questo testo venisse accettato nel canone biblico, sapevano ciò che volevano: la
loro intenzione non era certo quella di fare un assurdo scherzo introducendo nel Libro un testo che non voleva dire nulla.
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Non bisogna mai prendere troppo sul serio le interpretazioni, soprattutto le proprie. Sono le interpretazioni assolute a
inasprire le differenze settarie e a far scoppiare le guerre di religione; teniamo presente che una delle pseudoragioni dello scisma tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente è stata proprio la differente interpretazione dell’espressione Filioque presente nel Credo. Il testo dà lo spunto e l’interpretazione rivela l’esperienza spirituale di chi la sperimenta. Come ci ricorda
Frank Lalou, che ha lavorato molto sul Cantico, anche il Tao
può essere inteso in modi diversi28. Di fronte al Cantico, dobbiamo evitare l’atteggiamento degli eruditi di scarsa levatura,
che come ci dice il Tao Te Ching «si prendono gioco del Tao».
I cinesi dicono anche che per leggere un poema bisogna avere
degli occhi adamantini; vorrei aggiungere che bisogna avere
anche un cervello cristallino, capace di riflettere le minime sfumature dell’opera. Tutto ciò vale anche per lo studio di un
testo sacro. Io stesso ho scritto testi di poesia spirituale29, e se
qualcuno li interpretasse in un modo a cui non ho coscientemente pensato e che dice qualcosa di vero sull’esperienza interiore, ne sarei felice e lo vedrei come un arricchimento. Dio
non è avaro, non nega agli autori il dono dell’ispirazione, e lo
concede anche agli interpreti, come accade per la musica.
Come specificherò in seguito, il mio commento al Cantico
segue tre filoni principali: l’articolazione del dualismo e del
non-dualismo; lo yoga del matrimonio interiore e il rapporto
maestro-discepolo. Nel corso del commento, ciò porterà a inevitabili ripetizioni, ma queste avranno due vantaggi: da una
parte, trasmettere meglio il testo al lettore; dall’altra, mostrare
come queste interpretazioni hanno profonde e molteplici radici nel testo. In inglese si parla di plain meaning di un testo; questa espressione sta a indicare il significato piano, comune del
testo, ma la si potrebbe intendere anche come il “significato
della pianura”: coloro che preferiscono fermarsi al senso letterale non sono forse come gente di pianura che si accontenta di
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vedere la punta delle proprie scarpe e non vuole alzare lo
sguardo per vedere la montagna che ha davanti?
Nel capitolo Episodi della vita di Gesù, mi concentrerò esclusivamente a interpretare i Vangeli secondo lo yoga dei canali
energetici. In effetti, in Eléments de psycologie spirituelle 30 ho già
parlato degli aspetti non-dualistici dell’insegnamento del
Cristo e del suo ruolo di maestro spirituale. Non faccio del
simbolismo fine a se stesso, il mio obiettivo è chiaro: offrire
chiavi interpretative concrete per meglio integrare le immagini più significative del testo sacro con qualunque tipo di pratica meditativa o contemplativa che lo riguarda. I simboli sono
un linguaggio, ma bisogna stare attenti a non farli diventare
una ciancia; sono come un cavallo di cui bisogna saper tenere
le redini affinché non si imbizzarrisca. All’inizio pensavo che
Vijayānanda, con il quale studio da una quindicina di anni, mi
stesse insegnando una ridda di simboli del mondo interiore.
Sicuramente me ne ha spiegati alcuni, ma ora che ha alle spalle circa cinquanta anni di pratica intensiva dello yoga, di cui
diciassette trascorsi in solitudine nell’Himālaya, la sua conclusione è: «Meno simboli si hanno, meglio è». È la pratica stessa
a essere al contempo il simbolo e la sua interpretazione, la
domanda e la sua risposta.
Ringraziamenti
Ringrazio G. de Marliave e M. Cocchi per avermi portato a
più riprese dalla Francia i libri che mi servivano per scrivere
questo libro, e padre Gisper-Sauch, un membro della Fondazione Svāmi Abhis.iktānanda (Henri Le Saux): egli non solo
mi ha permesso di accedere alla biblioteca del Vidyajyoti
College of Theology di Delhi – che con i suoi circa centotrentamila titoli è una delle più grandi biblioteche cristiane
dell’India e il luogo in cui ho potuto studiare e scoprire ogni
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tipo di fonte che ha arricchito il presente testo –, ma ha anche
riletto il mio manoscritto e dato alcuni suggerimenti.
Jean Dupuche, di padre francese ma residente in Australia,
dove è sacerdote; è anche sanscritista e ha studiato lo śivaismo
del Kaśmīr. L’ho conosciuto durante una conferenza interreligiosa organizzata dalla Fondazione Svāmi Abhis.iktānanda a
Sarnath, vicino Benares, la cui seduta finale è stata presieduta dal
Dalai Lama. Lo ringrazio d’aver riletto il manoscritto di questo
libro e di avermi confidato le sue impressioni. Con le sue lettere dedicate ad alcuni punti di questo libro, mi ha aiutato anche
suor Matthias, una benedettina che pratica l’ascolto del silenzio
quasi allo stesso modo di alcuni yogin indiani.
Thierry Cazals ha letto il mio manoscritto e mi ha illuminato con i suoi commenti, in particolare quelli sul simbolismo
di Adamo ed Eva. Anche Elisabeth Chalier-Vishuvalingam, che
è sia indologa, sia filosofo e ora insegna all’Università di
Chicago dopo aver trascorso dodici anni a Benares, ha lavorato sul mio manoscritto.
Ringrazio anche Bettina Bäumer per aver organizzato il
seminario della Fondazione Henri Le Saux nel dicembre
1999; era durante il periodo in cui stavo scrivendo questo
libro, e gli scambi con i membri del gruppo animato da
Raimond Panikkar sono stati fruttuosi. Questa riunione interreligiosa sui concetti di “pienezza” e “vacuità” si è tenuta
nell’Istituto tibetano di Sarnath, il luogo in cui ha avuto inizio
la predicazione del Buddha. Il Dalai Lama ha dimostrato il suo
interesse a quell’incontro dandoci un’autorizzazione speciale
per tenere le nostre sessioni di meditazione collettiva nel tempio del Kālacakra, rimasto chiuso dopo il grande rituale che vi
si svolse dieci anni or sono. Il Dalai Lama ha presieduto anche
la seduta di chiusura. Nel corso di quest’ultima, ha spiegato in
maniera chiara che ognuno ha la possibilità di giungere al
Supremo seguendo la propria religione, ma solo alcuni, in particolare i sapienti religiosi e universitari, hanno la vocazione e
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il dovere di favorire una migliore comprensione tra le tradizioni. Ringrazio anche Malou Lanvin per aver dedicato il suo
tempo a rileggere il mio manoscritto; era amica di Svāmi
Abhis.iktānanda a Rishikesh e gli aveva presentato Marc
Chaduc de Lyon; ora anche lei ha intrapreso il sannyās di Svāmi
Chidānanda, come aveva fatto Marc nel 1973. Ringrazio inoltre Stéphane Auboueix, presente durante le riletture di questo
testo, che ci ha amabilmente offerto il suo punto di vista di
imprenditore di Parigi interessato alla via mistica solo a titolo
personale.
Spero che questo libro possa essere d’ispirazione per il più
grande dei viaggi, quello di se stessi verso se stessi, dell’uomo
verso il Divino e dell’individuo diviso verso l’Indivisibile.
Dietro il chiasso delle diverse istituzioni religiose e dei loro
rapporti condizionati da una politica generalmente movimentata, il suono discreto ma puro del Cantico dei cantici, della
Melodia delle melodie, al limite del silenzio, potrà sempre essere percepito da coloro che sanno ascoltarlo.
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