avifauna e arrampicatori
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avifauna e arrampicatori
RAPPORTI DI CONVIVENZA TRA AVIFAUNA ED ARRIMPICATORI NEGLI AMBIENTI RUPESTRI Come premessa al mio intervento, desidero fare alcune riflessioni di carattere generale sull’impegnativo tema che andremo ad affrontare. “Da sempre, ogni società, indipendentemente dal proprio grado di evoluzione e di democrazia raggiunto, ricerca l’equilibrio grazie all’osservanza di consuetudini o regole naturali che “dovrebbero”, anche se non sempre è così, facilitare le opportunità di convivenza reciproca e tutelare gli interessi collettivi. Ovviamente, questa considerazione di carattere generale vale anche per le montagne del mondo e gli ambienti naturali teatro della nostra attività alpinistica che, è bene non dimenticare, inizialmente animata da stimoli culturali, scientifici ed esplorativi, oramai spesso rincorre motivazioni ed esperienze strettamente personali. A mio avviso, in un contesto generale di consapevole rispetto delle regole, regole che non sempre siamo preparati a comprendere, dovremmo imparare ad accettare motivate rinunce alla nostra libertà d'azione, come ad esempio, rimanendo legati al tema della serata, accettare in casi specifici e motivati le limitazioni all’accesso a determinate aree naturali dove le attività umane, alpinismo compreso, non sono compatibili con la conservazione dell’ambiente naturale. Diverso è, quando la libertà d’accesso viene condizionata da speculazioni o interessi economici che sotto varie forme portano alla mercificazione della montagna e dei nostri stessi ideali. In questi casi analizziamo con attenzione l’origine delle limitazioni imposte alla nostra libertà, impugnandole e lottando contro di esse quando è legittimo. Non dimentichiamo però che spesso al nostro “diritto” di sognare mete inviolate ed esclusive, si contrappone l’esigenza di sopravvivenza, per etnie, culture o nel nostro caso, specie animali e vegetali. Concluderei invitando alla prudenza per non passare dal condivisibile desiderio di ricerca di libertà all’intransigenza o alla mancanza di rispetto dei “diritti dell’altro”. AVIFAUNA E ARRAMPICATORI: CONVIVENZA POSSIBILE! Un tema che annualmente si ripropone all’avvicinarsi della primavera è rappresentato dai delicati rapporti di interazione tra arrampicatori e avifauna nidificante negli ambienti rupestri. Oggi l’arrampicata viene praticata in vari ambienti: dalle falesie a picco sul mare, alle strutture rocciose isolate di pianura, alle caratteristiche strutture di fondovalle, alle pareti d’alta montagna. L’impatto ambientale dell’arrampicata, ed in particolare il disturbo all’avifauna nidificante, sarà generalmente debole in alta montagna e in quelle aree di fondovalle dove grazie alla disponibilità di pareti rocciose, non sempre adatte o utilizzate per la pratica dell’arrampicata, l’avifauna avrà modo di scegliere per la nidificazione siti idonei e lontani dal disturbo antropico. Al contrario, l’impatto ambientale aumenta e richiede attente strategie gestionali nelle strutture rocciose isolate di pianura o del piano collinare e nelle falesie a mare o su acque interne. Questi delicati ambienti, se da un lato rappresentano per molte specie di uccelli nidificanti su parete rocciosa gli unici siti riproduttivi disponibili, dall’altro vedono concentrarsi l’attenzione degli arrampicatori. Va evidenziato che negli ambienti rupestri vivono oltre ad alcune specie di uccelli rapaci, sia diurni che notturni, sui quali concentreremo la nostra attenzione, anche altre rare specie animali ad elevata valenza ecologica che necessitano di eguale rispetto e tutela. In questo capitolo saranno esaminate le storie parallele di uccelli rapaci ed arrampicatori, affrontando i problemi attuali e proponendo delle strategie gestionali concrete con l’obiettivo di migliorare i rapporti di convivenza e ridurre al minimo le limitazioni all’accesso alle pareti nel pieno rispetto delle esigenze di conservazione. L'uomo ed i rapaci, nella storia e nell’evoluzione dell’alpinismo Gli uccelli rapaci, gran parte dei quali compaiono nelle cosiddette “liste rosse” (elenchi delle specie animali minacciate d’estinzione), vedono generalmente i propri problemi legati all’evoluzione dell’uomo, che sin dall’antichità li ha perseguitati per ignoranza, superstizione e perché considerati dei “nocivi” in quanto predatori. Ma il vero declino per queste specie si è avuto nel secolo scorso, tra gli anni cinquanta e ottanta, in seguito alla distruzione ed impoverimento degli habitat ed all’aumento di elementi inquinanti nella catena alimentare di cui i rapaci stanno al vertice. In Europa prima, e dal 1977 anche in Italia, con la Legge quadro sulla caccia n. 968, sostituita dall’attuale e più restrittiva Legge 157/92, tutti i rapaci sono stati posti sotto tutela. I rapaci, sia diurni che notturni rientrano anche nella Convenzione di Washington (CITES) del 1973, applicata in Italia con la Legge 150/92, che tutela tutte le specie animali e vegetali a rischio di estinzione. Inoltre, grazie a normative ambientali più attente, l’uso di pesticidi è diminuito e quindi queste specie, in generale, sembrano vivere un momento di ripresa. Rimangono purtroppo i problemi dell’elettrocuzione dovuti a linee aeree di media e bassa tensione non idonee, del bracconaggio, del furto di uova e nidiacei da parte di professionisti al servizio di collezionisti di trofei della natura, e infine, come evidenzia la CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi), l’aumento esponenziale delle attività turistico ricreative all’interno degli ambienti naturali. A causa della grande riduzione delle aree naturali disponibili, in quei pochi ambienti rimasti intatti, fra le varie cause di disturbo legate ad attività antropiche, l’arrampicata ha un ruolo di primo piano, proprio per questa sorta di “convergenza evolutiva” tra rapaci ed arrampicatori, che li ha portati a condividere gli stessi ambienti. Il problema si è sviluppato di pari passo all’evoluzione dell’alpinismo. Ai tempi dell’alpinismo classico, anche nelle cosiddette "palestre", gli itinerari venivano aperti dal basso con chiodi tradizionali, sfruttando i punti più accessibili delle pareti e lasciando ampie zone intatte, che costituivano oasi di rifugio e nidificazione per l’avifauna. Dagli anni ‘80, con l’avvento del chiodo ad espansione, si sono aperti nuovi orizzonti. Nuovi sistemi di assicurazione, attrezzature e la conseguente evoluzione delle tecniche di arrampicata hanno portato alla diminuzione del rischio, consentendo la ricerca della massima espressione del gesto atletico. I nuovi itinerari sono proliferati sfruttando spesso integralmente le strutture rocciose, il numero dei loro frequentatori è cresciuto in modo esponenziale e con essi sono cresciuti anche i problemi per l’avifauna nidificante. I principali problemi attuali Nell’analisi dei principali problemi legati all’evoluzione della pratica dell’arrampicata in ambienti rupestri frequentati e utilizzati per la nidificazione da parte di uccelli rapaci, vanno evidenziati: La chiodatura spesso indiscriminata degli itinerari, senza alcuna pianificazione dello sfruttamento delle pareti disponibili dove vengano previste aree idonee a riserva integrale. L’aumento del numero degli arrampicatori e di conseguenza della pressione antropica nelle strutture rocciose, spesso al di là delle possibilità ricettive delle zone. La massima frequentazione delle strutture rocciose da parte degli arrampicatori durante la stagione primaverile coincidente con il delicato periodo riproduttivo per gran parte dell’avifauna presente. Il fatto che la pratica dell’arrampicata prevede tempi di permanenza in parete molto lunghi e perciò può causare l’allontanamento dell’adulto dal nido per tempi che possono compromettere il successo riproduttivo. La mancanza in molti casi della conoscenza del corretto comportamento da tenere durante il periodo riproduttivo e la mancanza in alcuni casi di una coscienza naturalistica negli arrampicatori. La mancanza di dialogo e di coordinamento tra alpinisti, ambientalisti, naturalisti e Pubbliche Amministrazioni, al fine di tutelare gli ambienti rupestri, sviluppando parallelamente dei modelli di fruizione sostenibili. Questi problemi hanno portato in Europa alla chiusura - non sempre giustificata di molte falesie usate come palestre d’arrampicata, dopo uno scontro frontale tra arrampicatori, che si arrogavano il diritto di arrampicare sempre e ovunque, e le frange più estremiste degli ambientalisti schierati a difesa dei rapaci. È fondamentale evitare di giungere a queste estreme contrapposizioni, puntando invece sull’informazione e soprattutto sull’educazione, e ricercando il dialogo costruttivo e la collaborazione tra alpinisti, ambientalisti e naturalisti, con l’obiettivo comune di trovare il giusto equilibrio tra le reciproche esigenze di avifauna nidificante ed arrampicatori, al fine di consentire ad entrambi di convivere utilizzando gli stessi ambienti. Indicazioni di tipo gestionale E’ dimostrato da varie esperienze concrete a livello italiano ed europeo che la convivenza è possibile elaborando delle adeguate strategie gestionali, specifiche per le singole realtà territoriali e concordate in sinergia tra associazioni alpinistiche e tecnici naturalisti ( Enti Parco, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Osservatori Faunistici, Corpi Forestali). L’obiettivo primario è di costituire un “tavolo di lavoro permanente”, che rappresenti un punto di riferimento certo per i soggetti pubblici (Amministrazioni Comunali, Enti Parco, ecc.) o privati (Sezioni del CAI, arrampicatori) responsabili della gestione degli ambienti rupestri utilizzati per la pratica dell’arrampicata ai quali fornire delle indicazioni di tipo operativo, condivise, corrette ed equilibrate. Inoltre, e fondamentale che, in mancanza di risorse interne al CAI, il “tavolo di lavoro”, attraverso i suoi esperti, coordini puntuali e periodici momenti formativi inseriti nei corsi di Alpinismo o Arrampicata e negli aggiornamenti degli Istruttori al fine di diffondere informazioni naturalistiche necessarie ad elevare la consapevolezza e la cultura naturalistica di chi frequenta questi delicati ambienti. Posso riportarvi ad esempio varie esperienze positive nell’area del Carso triestino nella gestione della nidificazione di gufo reale e falco pellegrino, dove negli anni si è trovato più volte l’accordo tra i soggetti interessati ottemperando sia alle esigenze di conservazione sia riducendo al minimo gli effetti negativi per gli arrampicatori. Questo si è reso possibile grazie alla creazione di un “tavolo di lavoro permanente”, che raccoglie tutti i soggetti a vario titolo interessati e che, davanti al problema da risolvere, elabora l’opportuna strategia operativa da proporre alla Pubblica Amministrazione per gli adempimenti di competenza. Con tale procedura, si evitano interventi casuali, tecnicamente immotivati o poco produttivi da parte della P.A. E ovvio che per ottenere risultati positivi nella trattativa tra le parti bisogna accettare consapevolmente qualche piccola e motivata rinuncia, possedere una buona capacità di negoziazione ed una buona cultura naturalistica in modo da arginare errori tecnici e eventuali impulsi integralisti non motivati. Non va dimenticato che la “controparte” ambientalista ha assoluto bisogno del nostro appoggio e collaborazione per garantire alla P.A. che l’intervento richiesto è supportato e condiviso dalle parti e quindi non diventi impopolare per la stessa. Esigenze dei rapaci diurni e notturni e criteri generali di tutela Va evidenziato che esistono delle differenze sostanziali nella biologia ed etologia tra rapaci diurni e rapaci notturni che inevitabilmente condizioneranno le scelte sulla corretta strategia gestionale da seguire. Gli strigiformi, essendo uccelli rapaci a biologia notturna, tollerano - a differenza dei rapaci diurni - la presenza dell’uomo durante il giorno negli ambienti in cui vivono, ad eccezione del delicato periodo riproduttivo. Per tutelare i rapaci notturni (in particolare il gufo reale), sarà necessario evitare di frequentare la zona di sicurezza attorno al nido, dal momento della deposizione delle uova all’involo dei piccoli. Particolare riguardo va prestato nel periodo iniziale della cova, quando la femmina non sente ancora un forte attaccamento alle uova e alla minima azione di disturbo abbandona il nido esponendo le uova sia al raffreddamento, sia al rischio di predazione. I falconiformi, essendo a biologia diurna e quindi in piena attività durante il giorno quando l’ambiente rupestre viene frequentato dagli arrampicatori, richiedono interventi di tutela attiva più restrittivi rispetto agli strigiformi, come nel caso dell’aquila reale, del falco pellegrino, del lanario, del grifone e del capovaccaio, specie molto sensibili al disturbo antropico. In generale per consentire la presenza di determinate specie di rapaci diurni nell’area interessata e favorire il raggiungimento del successo riproduttivo, sarà opportuno interdire l’arrampicata e più in generale la fruizione nella zona di sicurezza, a seconda della specie, dal momento in cui iniziano i corteggiamenti a quando i giovani ormai autosufficienti si disperdono e diventano erratici. Proposte operative In presenza di uccelli rapaci nidificanti in un ambiente rupestre utilizzato per l’arrampicata o in fase di studio per una sua futura utilizzazione, sarà fondamentale che il locale “tavolo di lavoro permanente”, mettendo in campo le specifiche competenze, effettui un’accurata analisi dell’area considerata ed elabori un’adeguata strategia gestionale. In seguito alle esperienze operative effettuate nelle varie tipologie di ambienti rupestri e considerando la nidificazione di specie dalle esigenze diverse (strigiformi e falconiformi), si propone di osservare il seguente schema operativo di base, opportunamente adattato alle specifiche esigenze territoriali. Operare il censimento delle varie specie presenti determinando il numero di coppie nidificanti nell’area. Individuare sulle pareti frequentate dagli arrampicatori i siti riproduttivi storicamente usati dalle varie coppie per la nidificazione. Qualora i siti riproduttivi si trovino in aree non soggette a disturbo antropico diretto, evitare assolutamente di divulgarne la localizzazione. Il divulgare, anche ai soli fini protezionistici, la localizzazione di un sito riproduttivo, sarà il risultato di un’attenta analisi del bilancio fra benefici e inconvenienti di tale azione. Purtroppo ciò comporta il rischio di richiamare curiosi o malintenzionati (ladri di uova o nidiacei, “fotonaturalisti” ignoranti o senza scrupoli), con inevitabili conseguenze negative per la specie nidificante che si cerca di tutelare. Determinare la zona di sicurezza attorno al sito riproduttivo che varierà in estensione secondo le esigenze delle singole specie, in base alla loro ecoetologia, sensibilità al disturbo antropico e all’estensione e caratteristiche geomorfologiche dell’ambiente rupestre. In ambienti frequentati e nei casi giustificati dall’importanza naturalistica dell’evento riproduttivo, richiedere al Comune di competenza o Ente Parco l’emissione di un provvedimento o un’ordinanza temporanea di divieto all’arrampicata limitata al solo periodo riproduttivo e suddivisa in due fasi successive: 1) In seguito all’individuazione dei siti riproduttivi storici, interdizione all’arrampicata all’interno delle singole zone di sicurezza nel periodo precedente la deposizione (variabile a seconda delle specie) durante il quale la coppia necessita di tranquillità per effettuare la scelta del nido, accoppiarsi e deporre le uova. 2) Dopo aver individuato l’effettivo sito riproduttivo saranno svincolate dall’ordinanza le aree non interessate e l’interdizione all’arrampicata permarrà nella sola zona di sicurezza del sito scelto sino all’involo dei piccoli dal nido. Nel caso di emissione di un’ordinanza, a questa dovrà essere data ampia diffusione; dovrà essere esposta non soltanto all’albo pretorio dei Comuni e/o dell’Ente parco, ma anche nelle sedi delle associazioni, nei rifugi e presso le principali vie d’accesso all’area interessata. Qualora l’ordinanza di divieto temporaneo all’arrampicata riguardi una zona poco frequentata, nel provvedimento si evidenzierà genericamente la “notevole importanza naturalistica dell’area”, definendone il perimetro ma evitando di fornire indicazioni precise sulla localizzazione del sito e sulla specie in riproduzione. In aree molto frequentate sarà opportuno supportare l’ordinanza con la sorveglianza organizzata del sito riproduttivo da parte delle autorità competenti e volontari qualificati. Inoltre, gli arrampicatori verranno sensibilizzati ed informati attraverso la stampa locale e sezionale e mediante il posizionamento ai limiti della zona di sicurezza di apposite tabelle (plurilingui) dove si invita a non arrampicare nell’area in quanto interessata dalla presenza di un’importante specie faunistica in riproduzione. Sulle tabelle sarà indicata l’esistenza dell’ordinanza di divieto, il periodo di interdizione e la delimitazione dell’area facendo riferimento agli itinerari riportati nelle guide d’arrampicata della zona. In un’ottica di gestione globale del territorio, un’interessante opportunità di soluzione del problema è rappresentata dal ripristino di eventuali cave di pietra non più produttive, situate vicino a falesie d’arrampicata. Le cave, opportunamente attrezzate, potrebbero costituire per l’avifauna dei tranquilli siti di riproduzione e rifugio, valide alternative alle pareti rocciose frequentate dagli arrampicatori. Conclusioni Concludendo questo mio intervento ritengo che la convivenza tra rapaci ed arrampicatori sia possibile, anche se ovviamente trovandoci ad un gradino evolutivo più elevato saremo noi ad accettare qualche motivata e consapevole rinuncia. Il Club Alpino Italiano, riveste un ruolo centrale nella tutela dell’ambiente naturale e nella formazione ed educazione di chi si avvicina alla montagna. Oggi è importante elevare la sensibilità e la cultura naturalistica di chi frequenta l’ambiente montano, perché solo alla conoscenza può seguire un motivato e consapevole rispetto. Roberto Valenti (CAAI-INSA) CENNI SULLA BIOLOGIA COMPORTAMENTALE DEGLI UCCELLI RAPACI L’uomo sin dall’antichità è stato affascinato dagli uccelli rapaci , sia per la loro eleganza mentre volteggiano alti nel cielo che per quel profondo senso di mistero che accompagna il loro canto nella notte. Questi predatori alati, dallo sguardo magnetico e glaciale hanno stimolato da sempre la fantasia dell’uomo, che solo ora dopo secoli di persecuzioni sta consapevolmente cercando di ristabilire con essi un rapporto equilibrato e positivo. Con l’obiettivo di comprendere e rispettare le esigenze di questa importante parte della nostra avifauna, viene proposto questo approfondimento sulla loro ecologia e biologia, perché solo alla conoscenza potrà seguire un giustificato e consapevole rispetto. Seguendo la classificazione zoologica, i rapaci appartengono alla classe degli uccelli e si dividono nell’ordine degli Strigiformi (rapaci notturni) e nell’ordine dei Falconiformi (rapaci diurni), a loro volta suddivisi in famiglie, generi, specie. I rapaci vivono in ogni tipo di ambiente, dall’alta montagna alle coste marine, alle città, purché vi sia una sufficiente disponibilità alimentare. Essi, occupando diverse “nicchie ecologiche”, entrano relativamente in competizione tra loro, scegliendo ambienti o momenti diversi per cacciare o incidendo su specie preda di diverse abitudini e dimensioni. Ogni singola specie ha peculiari esigenze alimentari, spaziando dagli insettivori agli ornitofagi ai predatori di mammiferi anche di notevoli dimensioni, sino ai necrofagi che si cibano di carogne. Caratteristica distintiva dei rapaci, sia diurni che notturni, sono le “borre” o “boli alimentari”, ammassi indigeribili di cibo che vengono rigurgitati e che si rivelano fondamentali agli studiosi per determinare lo spettro alimentare delle specie. Trovandosi al vertice della piramide alimentare, nell’ecosistema svolgono l’importante ruolo di equilibratori naturali, controllando le popolazioni delle specie preda ed operando una selezione qualitativa delle stesse, catturando individui malati, deboli o poco prudenti. Esiste però un sottile rapporto tra preda e predatore, quindi la densità dei rapaci e l’estensione dei loro territori oscillerà nel tempo, dipendendo dal numero di prede presenti nell’area. Nella tundra artica, un esempio ci viene offerto dal gufo delle nevi che nelle annate in cui il lemming, sua preda preferita, è numeroso, aumenta il numero delle uova deposte e di piccoli allevati, per poi addirittura evitare la riproduzione quando i lemming scarseggiano. Accanto alle specie stanziali, dove la coppia difende per tutto l’arco dell’anno un proprio territorio, vi sono varie specie che per motivi climatici o alimentari effettuano migrazioni stagionali anche di lunga portata. Esiste generalmente nei rapaci un certo “dimorfismo sessuale”, dove la femmina è più grande del maschio. Questo è determinato da più fattori, tra cui l’inibizione all’aggressività del maschio durante il corteggiamento, una migliore incubazione delle uova e difesa dei piccoli, e l’utilizzo di un più vasto spettro alimentare da parte della coppia. Il momento più importante nella vita di ogni animale sessualmente maturo è il periodo riproduttivo, durante il quale ogni sforzo è teso al conseguimento del successo riproduttivo e alla perpetuazione della specie. I rapaci sono generalmente monogami, e la coppia rimane legata al proprio territorio per tutta la vita, all’interno del quale utilizza alternativamente più siti riproduttivi. Dopo le parate nuziali ed i corteggiamenti, sarà la femmina che a seconda delle abitudini della specie sceglierà il posto dove nidificare, avendo comunque l’accortezza di utilizzare siti protetti dalle intemperie, nascosti e difficilmente accessibili ai predatori terrestri. La deposizione avviene a seconda della latitudine tra la fine dell’inverno e la primavera, ed il numero di uova è legato alla disponibilità alimentare, ma soprattutto segue la regola per cui maggiori sono le dimensioni della specie, minore è il numero di uova deposte. Nelle specie di maggiori dimensioni, le uova vengono deposte a distanza di alcuni giorni uno dall’altro, provocando una schiusa ed uno sviluppo differenziato che spesso porta all’uccisione o all’espulsione dal nido dell’ultimo nato (cainismo). Questo adattamento apparentemente crudele è spiegato dal fatto che l’equilibrio naturale non può tollerare la produzione di troppi predatori, e che la femmina depone un uovo in più solo per tutelarsi dalla eventuale sterilità del primo uovo. La prole è inetta, e viene nutrita e protetta dai genitori. Dopo l’involo dal nido, i giovani rapaci iniziano il severo periodo di apprendistato al volo e all’arte della caccia. In autunno, raggiunta l’indipendenza dai genitori, i giovani si disperdono diventando erratici sino al raggiungimento della maturità sessuale a cui coincide il reperimento di un’area disponibile dove instaurare il proprio territorio. Sarà questo il periodo dove si riscontra il tasso di mortalità più elevato, ma che permetterà agli individui più selezionati di costruire le nuove coppie destinate a perpetuare la specie nel tempo. Concludendo queste note sulla biologia ed ecologia degli uccelli rapaci, va evidenziato che, trovandosi al vertice della piramide alimentare, essi rappresentano dei precisi “indicatori biologici” (bioindicatori), estremamente esigenti e sensibili alle minime variazioni ecologiche. La loro presenza sarà quindi sinonimo e garanzia di elevata integrità per gli ambienti naturali in cui vivono. Nel seguito vengono proposte delle schede tecniche per approfondire la conoscenza e promuovere il rispetto nei confronti di alcune tra le specie più significative e caratteristiche degli ambienti rupestri. AQUILA REALE (Aquila chrysaëtos) Rapace diurno di grandi dimensioni che in volo si distingue per le larghe ali dalle remiganti primarie digitate, la testa prominente e la coda di media lunghezza. Negli adulti il piumaggio è uniformemente scuro con la testa superiormente più chiara color dorato. Gli immaturi presentano del bianco alla base delle primarie e una coda bianca con larga banda terminale scura; il bianco diminuisce con l’età, sparendo al raggiungimento della maturità sessuale. La femmina presenta dimensioni maggiori e raggiunge i 220 cm. di apertura alare. Il volo è veleggiato con rari battiti alari. L’habitat di questo Accipitriforme è rappresentato da regioni montuose e boscate intervallate da ampie praterie erbose. Caccia soprattutto nelle aree aperte al di sopra del limite superiore della vegetazione arborea, e negli ambienti dove ai boschi si alternano ampie radure. Le prede preferite sono le lepri, le marmotte, piccoli di ungulati, scoiattoli, mustelidi, e uccelli. E’ poco vocifera, la si sente durante i voli nuziali ed il corteggiamento mentre emette dei suoni simili ad un abbaiare acuto. Il territorio di caccia è occupato dal maschio e dalla femmina anche per tutta la vita, dimostrando una spiccata fedeltà di coppia. Per la riproduzione, generalmente vengono utilizzate pareti rocciose verticali e inaccessibili ai predatori terrestri, preferibilmente a quote inferiori ai territori di caccia. Nel nido, di grandi dimensioni ed utilizzato per più anni dalla coppia, vengono deposte 1-2 uova bianche tra l’inizio di marzo e l’inizio di aprile. La femmina le cova per 43-45 giorni e gli aquilotti, inetti, vengono accuditi nel nido per 74-80 giorni prima di involarsi, rimanendo poi ancora a lungo nel territorio dei genitori. Generalmente, vista la grande aggressività dei pulli, ne sopravvive soltanto uno. L’aquila reale è un uccello piuttosto longevo e può facilmente raggiungere un’età avanzata, superiore ai 20 anni. In Italia, questa specie è in ripresa e ben distribuita dalle isole maggiori, agli Appennini, alle Alpi, raggiungendo in varie aree la densità ottimale. Pericoli: bracconaggio; bocconi avvelenati; furto di uova e nidiacei; modificazione degli habitat; disturbo antropico nei siti riproduttivi. GUFO REALE (Bubo bubo) Il gufo reale è il più grande predatore notturno europeo, riconoscibile per il piumaggio marrone-nerastro nelle parti superiori, e la testa, massiccia ed arrotondata provvista di particolari penne che formano due ciuffi ("ciuffi auricolari"), la cui funzione non è collegata all'udito ma è otticomimetica. I grandi occhi hanno l'iride che varia a seconda dell'età da un colore giallo-arancio all'arancione intenso. La femmina è sensibilmente più grande del maschio, con una lunghezza di 75 cm, un'apertura alare che raggiunge i 190 cm ed un peso fino a 4200 g. La coppia è monogama, stanziale e fortemente territoriale. I corteggiamenti iniziano nel tardo autunno caratterizzati dal canto del maschio, un "UUHU" bitonale che viene emesso da mezz'ora prima a due ore dopo il tramonto con maggiore intensità vocale nei due mesi che precedono la deposizione. Durante questo periodo, l'attività canora del maschio può durare anche per oltre un'ora e spesso in duetto con la femmina. Dopo l'accoppiamento, sarà il maschio a proporre il sito riproduttivo alla femmina, che lo sceglierà generalmente tra quelli alternativamente utilizzati all'interno del proprio territorio. L'habitat del Gufo reale è rappresentato da un'alternanza tra ambienti rupestri, boschi ed ampie aree aperte, spaziando dalle zone costiere alla montagna. Per la riproduzione, utilizza in genere pareti rocciose dove non costruisce alcun nido, deponendo direttamente le uova su cenge, anfratti o cavità preferibilmente riparati. In genere vengono deposte 2-3 uova bianco-grigiastro ad intervalli di 2-4 giorni, che vengono covate per 34-36 giorni esclusivamente dalla femmina. Le uova si schiudono con intervalli di qualche giorno, per cui lo sviluppo dei pulli sarà differenziato. I pulli vengono accuditi nelle prime due settimane solo dalla madre mentre il maschio procura il cibo per tutta la famiglia, a 4-5 settimane si possono disperdere nei dintorni del nido e si involano a circa due mesi di età, rimanendo parzialmente dipendenti dai genitori fino all'autunno inoltrato quando diventano erratici e si allontanano alla ricerca di nuovi spazi. Il Gufo reale caccia all’agguato nelle zone aperte, e spesso nelle aree antropizzate presso le discariche di rifiuti dove trova topi in abbondanza. Nella dieta di questo strigiforme al vertice della piramide alimentare, i micromammiferi rappresentano la percentuale maggiore, pur potendo catturare animali fino alle dimensioni di un piccolo capriolo. La sua presenza è spesso tradita dai resti alimentari costituiti da ossa, boli di grandi dimensioni, pelli di ricci ecc. che si possono rinvenire numerosi presso i posatoi abituali generalmente ubicati ai margini superiori delle pareti rocciose. Pericoli: disturbo antropico nei siti riproduttivi; furto di uova e nidiacei; bracconaggio; elettrolocuzione ed investimenti automobilistici. FALCO PELLEGRINO (Falco peregrinus) Il Falco pellegrino è caratterizzato dalla figura tozza, ali lunghe ed appuntite e coda affilata. L'adulto presenta nella parte superiore una colorazione grigio-bluastra mentre nella parte inferiore è biancastro con barre trasversali nere. Sulla gola e sulle guance risaltano i mustacchi neri tipici della specie. I giovani sono grigio-bruni con i mustacchi meno evidenziati. La femmina è più grande del maschio e raggiunge i 110 cm. di apertura alare. Il pellegrino vive dalle coste marine alla montagna, in ambienti caratterizzati dalla presenza di alte pareti rocciose dove posarsi e riprodursi sicuro ed indisturbato. Caccia prevalentemente uccelli (ornitofago) al volo in zone aperte, lanciandosi in picchiata sulle prede a grande velocità, raggiungendo i 240 km/h. In inverno si verificano le spettacolari parate nuziali, dove la coppia emette chiassose grida che precedono la scelta del sito riproduttivo, posto in cengie o nicchie su pareti rocciose di difficile accesso. L'accoppiamento avviene in marzo-aprile e vengono deposte 3-4 uova ad intervalli di 2-3 giorni. La cova dura 29-32 giorni e viene portata a termine prevalentemente dalla femmina, mentre il maschio si occupa della ricerca del cibo. I piccoli si involano dal nido dopo circa 5 settimane e rimangono con i genitori ancora un mese prima di raggiungere l'indipendenza e diventare erratici. La maturita' sessuale viene raggiunta nel secondo anno di vita. Pericoli: furto di uova e nidiacei per scopi di falconeria ed imbalsamazione; disturbo antropico nei siti di riproduzione; bracconaggio; inquinamento da insetticidi e funghicidi usati in agricoltura. FALCO LANARIO (Falco biarmicus) Simile ad un Pellegrino come dimensioni ma dalla colorazione più chiara, con il vertice color sabbia ed il mustacchio più stretto. Il volo è agile e meno potente che nel Pellegrino, e la coda e le ali sono visibilmente più lunghe raggiungendo un'apertura alare di 115 cm. Caccia al volo, spesso in coppia, soprattutto uccelli di dimensioni medio-piccole. Il Lanario, predilige ambienti aridi e caldi, dalle zone costiere ai 1200 m. di quota, caratterizzati dalla presenza di ampie aree aperte e bassa macchia cespugliosa. Nidifica su pareti rocciose, deponendo le uova su cengie o cavità. Tra febbraio ed aprile vengono deposte 3-4 uova covate da entrambi i sessi per 31-38 giorni. I pulli inetti vengono accuditi dagli adulti per circa 45 giorni prima dell'involo. Rimangono nei pressi del nido per un mese e quindi diventano erratici. In Italia è distribuito nell'area appenninica dal centro-nord alla Sicilia con una popolazione stimata in circa 200 coppie. Pericoli: furto di uova e nidiacei; bracconaggio; disturbo nei siti di riproduzione. FALCO DELLA REGINA (Falco eleonorae) Il Falco della regina, presenta due forme tipiche di piumaggio: quella chiara, bruno-grigiastra superiormente con ventre e sottocoda rosso-bruni e quella scura uniformemente nero-bruna. Le ali e la coda sono lunghe e gli consentono un volo estremamente acrobatico e veloce. È un migratore di lunga distanza che sverna nel Madagascar e nidifica durante l'estate su falesie a mare in alcune localizzate isole del Mediterraneo. È una specie socievole, gregaria e si riproduce in colonie numerose. Si ciba di piccoli uccelli migratori e insetti utilizzando spettacolari tecniche di caccia, dove anche molti individui assieme di dispongono in aria nella caratteristica posizione dello "spirito santo" attendendo l'arrivo sulle coste dei migratori spossati dalle lunghe traversate marine. Nidifica in agosto per far coincidere l'allevamento della prole con le migrazioni autunnali dei passeriformi. In anfratti rocciosi o cengie, depone 2-3 uova che vengono covate per 28-33 giorni. Dopo la schiusa i pulli restano al nido per circa 30 giorni. I giovani appena autosufficienti inizieranno assieme agli adulti il lungo viaggio verso l'Africa per raggiungere le aree di svernamento. In Italia vive in colonie nelle isole Eolie, Pelagie e in Sardegna. Questa specie nidificando in colonie è estremamente vulnerabile e da anni viene protetta grazie a campi di sorveglianza organizzati dalla L.I.P.U. (Isola di Sant'Antioco). Pericoli: furto di uova e nidiacei per collezionismo e falconeria; bracconaggio specie durante la migrazione (Calabria - Sicilia); disturbo nei siti riproduttivi; sostanze inquinanti. GIPETO (Gypaetus barbatus) Il Gipeto o Avvoltoio degli agnelli, raggiunge i 270 cm di apertura alare ed è uno dei più grandi rapaci europei. E’ riconoscibile in volo per la silhouette da falcone con ali lunghe e appuntite e la coda lunga e cuneiforme. Nei soggetti adulti, la colorazione del piumaggio è grigio-nera nelle parti superiori, chiara inferiormente con sfumature rosso-ruggine sul petto e la testa bianca con la caratteristica barba nera. Grande veleggiatore, volteggia ad ali piatte battendole raramente, perlustrando lungo itinerari abituali il suo territorio (anche oltre 300 Kmq.) alla ricerca di animali morti di grandi dimensioni. E’ una specie legata agli ambienti montani ricchi di ungulati, sia selvatici che domestici. Si riproduce su pareti rocciose utilizzando per più anni lo stesso nido che viene costruito su cenge o in cavità naturali. La deposizione di uno o due uova avviene tra dicembre e marzo e la cova dura circa 53-58 giorni. Il piccolo resta nel nido per 110120 giorni e dopo l’involo si accompagna ai genitori ancora per alcuni mesi. Questo avvoltoio, dall’alimentazione estremamente specializzata, svolge un importante ruolo ecologico, cibandosi di carogne di cui utilizza anche le ossa, che se di grandi dimensioni, rompe lasciandole cadere sulle rocce da grandi altezze. Il Gipeto, si è estinto nelle Alpi con l’ultimo esemplare abbattuto in Valle d’Aosta nel 1913 e in Sardegna attorno al 1965, mentre nel resto d’Europa rimangono delle popolazioni in Corsica, sui Pirenei e nei Balcani. Grazie ad un progetto internazionale di reintroduzione della specie sulle Alpi iniziato nei primi anni ‘80, alcuni soggetti nati in cattività, dal 1998 hanno nidificato in natura raggiungendo il successo riproduttivo e dando l’avvio alla ricolonizzazione dell’arco alpino. Pericoli: Bracconaggio. Bocconi avvelenati. Diminuzione della pastorizia e disturbo antropico nei siti di riproduzione. GRIFONE (Gyps fulvus) È un avvoltoio di grandi dimensioni, che può raggiungere i 270 cm di apertura alare. È riconoscibile per le ali lunghe ed ampie, la coda molto corta e squadrata ed il collare piumoso bianco crema. La colorazione del piumaggio ha un netto contrasto tra il giallo-camoscio del corpo e delle copritrice del sottoala e la coda e le remiganti nere. Il Grifone è un abilissimo veleggiatore di abitudini gregarie che ricerca il cibo sfruttando le correnti ascensionali di aria calda che si sviluppano presso i dirupi posizionati ai margini delle vallate, raggiungendo in breve tempo grandi altezze. Si riproduce su pareti rocciose inaccessibili dal livello del mare alle zone interne montagnose. Il nido, costruito da entrambi i sessi, è una struttura piatta di rami, foglie ed erba secca, ubicato su ampie cengie o in cavità naturali. La stagione riproduttiva,durante la quale avviene la deposizione di un unico grande uovo bianco, inizia in dicembre e prosegue fino a metà febbraio. La cova viene effettuata da entrambi i sessi e si protrae per 48-54 giorni. Il pullus è inetto e viene allevato dai genitori, con carne predigerita e rigurgitata, per circa 110-115 giorni prima dell'involo. La completa maturità sessuale avviene dopo il quinto anno di età. In Italia il Grifone è localizzato come nidificante con un numero limitato di coppie (20-30) che si riproducono in Sardegna. Nelle Alpi nord orientali, durante il periodo estivo, si osservano regolarmente individui immaturi provenienti dalle isole della Dalmazia settentrionale (Cres, Krk, Prvic'), dove nidifica una contenuta popolazione costituita da circa 150 soggetti. Nella regione Friuli-Venezia Giulia è in atto da anni un programma di reintroduzione del Grifone nel settore orientale delle Alpi; a Forgaria (UD) è stato allestito un centro dove questi avvoltoi, provenienti da zoo o da località dove sono abbondanti come la Spagna, vengono tenuti per dei periodi di ambientamento in grandi voliere prima di essere liberati. Pericoli: bocconi avvelenati; diminuzione della pastorizia e disturbo antropico nei siti di riproduzione. CAPOVACCAIO (Neophron percnopterus) Il Capovaccaio, raggiungendo i 180 cm di apertura alare, è il più piccolo avvoltoio europeo. Il piumaggio negli adulti è biancastro con le sole remigranti primarie nere, mentre il capo e la gola presentano la pelle nuda e gialla. In volo si distingue per le ali lunghe ed appuntite e la coda corta e cuneiforme. Buon veleggiatore è dotato di un'acutissima vista. Il Capovaccaio vive in ambienti collinari o montani caratterizzati da clima caldo e secco ricchi di ungulati domestici e/o selvatici. La sua principale fonte alimentare è rappresentata dalle carogne ma si adatta anche a cacciare roditori, insetti e a cibarsi di frutta o sterco. Il sito riproduttivo è situato su pareti rocciose ed il nido, costruito con rami secchi, viene utilizzato per più anni. Tra marzo ed aprile vengono deposte 1 o 2 uova biancastre che vengono covate da entrambi i genitori per 42 giorni. Dopo la schiusa, i giovani abbandonano il nido dopo circa 80 giorni ed in seguito rimangono con i genitori per alcuni mesi prima di diventare erratici. La maturità sessuale viene raggiunta dopo 4 o 5 anni. In Italia, il Capovaccaio dopo un forte regresso nell'ultimo secolo, attualmente nidifica con alcune coppie nelle regioni centro-meridionali. Pericoli: bracconaggio; bocconi avvelenati: diminuzione della pastorizia ed in alcuni casi disturbo nei siti di riproduzione. PASSERIFORMI L'ordine dei passeriformi comprende un elevatissimo numero di specie, molte delle quali spiccatamente canore, che presentano morfologia, biologia, etologia ed esigenze ecologiche estremamente diversificate. Gli ambienti rupestri, dalle falesie a mare all'alta montagna, rappresentano l'habitat elettivo per molte specie, tra le quali alcune risultano particolarmente rare o sensibili al modificarsi delle condizioni ecologiche o al disturbo antropico. Il Gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) è un corvide, abilissimo volatore dal piumaggio nero e dalle zampe e becco lungo rossi. Vive in piccole colonie e nidifica su parti rocciose in grotte o profonde fessure. Il Corvo imperiale (Corvus corax) dalla colorazione nera iridescente, è il più grande rappresentante dell'ordine dei passeriformi. È dotato di un elevato grado di cerebralizzazione, onnivoro, abilissimo predatore di uova e nidiacei e spesso responsabile dell'insuccesso riproduttivo di rapaci diurni e notturni. Il Passero solitario (Monticola solitarius) è una specie tipicamente mediterranea che però si adatta a vivere anche in vari ambienti montani idonei (pareti roccciose esposte a sud). Il maschio, dal canto flautato che solennemente risuona tra le rocce, presenta una splendida colorazione blu metallica, mentre la femmina è grigiobluastra. Il Picchio muraiolo (Tichodroma muraria), presenta corpo grigio, ali larghe color rosso vivo e becco lungo e sottile. È caratteristico il suo volo a farfalla o il modo di arrampicarsi sulle rocce alla ricerca di cibo con le ali aperte a ventaglio. Mentre si arrampica emette un canto armonioso dagli alti toni fischianti. Questa specie nidifica nelle fessure delle rocce tra i 1000 metri di quota ed il limite delle nevi perenni; durante l'inverno sverna sulle pareti rocciose di fondovalle e falesie. Il Rondone alpino (Alpus melba), bruno con parti inferiori bianche e banda pettorale scura, raggiunge i 50 cm di apertura alare. Specie migratrice molto socievole, emette un forte e crescente trillo in volo. Caccia insetti al volo e nidifica nelle fessure di pareti rocciose verticali dove costruisce nidi a forma di coppa. La Rondine montana (Ptyonoprogne rupestris), ha colorazione bruna con parti inferiori più chiare. Caccia insetti al volo e nidifica sotto sporgenze rocciose o in piccole cavità e fessure. Specie migratrice dalle falesie dell'area mediterranea sino oltre i 1500 metri di quota prediligendo i luoghi soleggiati. Pericoli: modificazione dell'habitat; inquinamento da pesticidi usati in agricoltura; disturbo nei siti riproduttivi. Enrico Benussi e Roberto Valenti