Manifesto dei 19 - Alessandro Gogna

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Manifesto dei 19 - Alessandro Gogna
Il manifesto dei 19
1985, dieci anni che l'arrampicata libera si è sviluppata in Francia. Oggetto di
irrisione all'inizio, attualmente costituisce la regola del gioco per la maggior
parte degli arrampicatori.
1985, varie competizioni sono previste in Francia, alcune organizzate da
associazioni, altre da società commerciali e quindi sponsorizzate. Alcuni si
rallegrano di tale evoluzione.
Altri, no.
Noi facciamo parte di questa seconda categoria. Noi, cioè tutti gli arrampicatori
che, dopo aver letto ed approvato, hanno firmato questa lettera. Persone che
per tutto l'anno investono tempo, fatica e denaro allenandosi ed arrampicando
in falesia. Lo scopo di questo testo non è di tentare di analizzare le cause della
nascita delle competizioni (che non fu del tutto democratica...), né di
denunciare un responsabile, ma di tratteggiare le conseguenze possibili e
probabili di un'ulteriore evoluzione.
Innanzi tutto è falso credere che la maggior parte degli arrampicatori «forti»
sia favorevole e pronta a partecipare alle future competizioni. Questa lettera ne
è la prova.
Certi sport, come ad esempio il calcio o il tennis, traggono la loro ragione
d'essere dalle competizioni. Ma l'essenza dell'arrampicata è un'altra. La sua
finalità ultima è e deve restare la ricerca di una difficoltà tecnica e di un
impegno (solitarie, chiodature lunghe) sempre crescente. E già qui compare
una contraddizione con le gare. Siamo realisti. Ci si può immaginare una
competizione basata sulla difficoltà pura, ma le necessità dei media sono altre.
Per essere spettacolare e fruibile al grande pubblico, la gara deve fornire un
parametro di misura facilmente comprensibile a tutti; è del resto il problema di
altri sport visivamente troppo complessi, come la scherma ed il judo.
Il parametro più comprensibile è la velocità, il verdetto del cronometro.
L'arrampicata come lo sci: un circuito professionistico con una
monopolizzazione delle falesie.
Ed anche se si facessero le gare di difficoltà pura, cosa ci darebbero di più? Ci
mostrerebbero chi sono i migliori? Nemmeno quello, perché l'arrampicata
moderna è troppo complessa (salite in libera, a vista, a tentativi, in solitaria)
per dare giudizi netti. Attualmente esiste una competizione indotta (argomento
di fondo dei sostenitori delle gare) e la ricerca di un certo riconoscimento da
parte delle riviste specializzate. Ed allora? È proprio per queste cose che si
sono avuti i fantastici progressi degli ultimi anni. Ma sarebbe più giusto parlare
di emulazione. Certo, ci sono delle tensioni fra gli arrampicatori. Ma sono
inevitabili e questa lettera, firmata dagli arrampicatori del Nord e del Sud,
mostra che è possibile mettersi d'accordo sui temi di fondo.
Forse questa visione delle cose è un po' troppo individualista. Ma è quella di
un'arrampicata vista come rifugio, di fronte a certi archetipi della nostra
società, come opposizione a tutti questi sport giudicati, arbitrati, cronometrati,
ufficializzati ed istituzionalizzati. Arrampicare a tempo pieno, o quasi, implica
dei sacrifici ed anche una certa marginalità. Ma può essere un'avventura, una
scoperta, un gioco in cui ciascuno può fissare le sue regole. Noi non vogliamo
allenatori o selezionatori, perché arrampicare è innanzi tutto una ricerca
personale. Se nessuno reagisce, la competizione concepita e realizzata da una
minoranza può rapidamente e troppo facilmente diventare il riferimento
assoluto. Domani, ci saranno gare e concorrenti con il pettorale numerato, di
fronte alle telecamere della TV, forse. Ma ci saranno anche degli arrampicatori
che continueranno a praticare il vero gioco dell'arrampicata. Degli
arrampicatori che saranno i guardiani di un certo spirito e di una certa etica.
Seguono le firme di: Patrick Berhault, Patrick Bestagno, Eddy Boucher, Jean
Pierre Bouvier, David Chambre, Catherine Destivelle, Jean-Claude Droyer,
Christine Gambert, Denis Garnier, Alain Ghersen, Fabrice Guillot, Christian
Guyomar, Laurent Jacob, Antoine e Marc Le Menestrel, Dominique Marchal, Jo
Montchaussé, Françoise Quintin, Jean-Baptiste Tribout.