recensioni - Ordine degli Avvocati di Milano

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recensioni - Ordine degli Avvocati di Milano
RECENSIONI
e note bibliografiche
PATRIZIA DE CESARI - GALEAZZO MONTELLA: Le procedure di
insolvenza nella nuova disciplina comunitaria - Commentario
articolo per articolo del Regolamento CE n. 1436/2000 - Giuffrè Ed.
2004
Nella bella collana “Contratti e commercio internazionale” è
apparso da ultimo il volume che qui si segnala e che è opera di due
valenti avvocati esperti della materia concorsuale.
Esso è ripartito in tre parti. La prima, sotto il titolo “le fonti in
materia di insolvenza transfrontaliera”, descrive il lungo e laborioso
percorso che ha portato alla disciplina comunitaria dell'insolvenza e
da ultimo al Regolamento del Consiglio dell'Unione Europea n.
1346 del 29.5.2000, un regolamento che armonizza e coordina fra
loro le procedure di insolvenza dei diversi ordinamenti giuridici.
Pure in questa prima parte vengono esaminati temi connessi quali il
risanamento e la liquidazione di enti creditizi e imprese di
assicurazione nonché le direttive 98/26 e 2002/74.
Nella seconda parte del libro, una prima sezione tratta degli
aspetti generali del ricordato Regolamento comunitario 1346/2000 e
così della base giuridica della nuova disciplina, del ruolo
interpretativo della Corte di giustizia della Comunità e dei limiti al
funzionamento delle norme di conflitto; la seconda sezione si occupa
dei limiti dell'incidenza del Regolamento sul diritto interno, sulla
giurisdizione in tema di revocatoria fallimentare e sulla insolvenza
nei gruppi di società transfrontalieri.
Segue una “parte terza” dedicata al commento dei quarantasette
articoli dei quali consta il Regolamento, “articolo per articolo”.
In appendice, oltre al testo del Regolamento che è l'oggetto del
commento, sono pubblicate: la legge olandese 6.11.03 per
l'applicazione del Regolamento; la legge tedesca di diritto
concorsuale internazionale 14.3.2003; la legge fallimentare spagnola
del 9.7.03; la circolare del Ministero della Giustizia francese
17.3.2003 relativa all'entrata in vigore del Regolamento 1346/00; la
lista dei provvedimenti adottati dal Regno Unito per assicurare la
compatibilità dell'ordinamento inglese con il Regolamento; il
modello di invito all'insinuazione e di domanda di insinuazione di
credito; le sentenze 20.2.2004 del Tribunale di Parma e 25.3.04 della
High Court di Dublino, rese nel caso Eurofood IFS Limited.
L'esegesi dei singoli articoli, alla quale è dedicata la parte terza
del libro, è stata curata dai due Autori che si sono ripartiti un
compito tutt'altro che facile, data anche la novità dei temi e le
difficoltà che si presentano all'interprete.
Valga per tutti l'esempio dell'art. 2 che, ad un tempo, definisce
“procedure di insolvenza” quelle “fondate sull'insolvenza del
debitore che comportano lo spossessamento parziale o totale del
debitore stesso e la designazione di un curatore” e quelle che,
“nell'allegato A”, sono nominativamente ed esplicitamente elencate
(per l'Italia: “fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta
amministrativa, amministrazione straordinaria, amministrazione
controllata”) con che vien da chiedersi a cosa serva la indicazione
astratta dei requisiti se la consultazione dell'allegato A fornisce già
l'elenco delle procedure dei vari Paesi.
Interrogativo non secondario se si considera che, ad esempio,
l'amministrazione straordinaria prevista dalla legge 18.2.2004 n. 39
(c.d. legge Marzano) non è elencata, nè poteva esserlo, nell'allegato
A al Regolamento del 29.5.2000.
Ribadito il pregio e l'utilità dell'opera, si deve solo lamentare
l'assenza di un indice analitico che ci si augura non mancherà in una
successiva edizione che non potrà mancare una volta che saranno
disponibili ulteriori contributi della dottrina e della giurisprudenza.
(Salvatore Morvillo).
ANTONIO D'AVIRRO - GABRIELE MAZZOTTA: I reati di infedeltà
nelle società commerciali - artt. 2634, 2635 c.c. - D.lgs. 11 aprile
2002 - Giuffrè Ed. 2004.
Nell'introduzione gli AA. tracciano le tappe degli auspici da
lungo tempo formulati dalla dottrina (G. Delitala, P. Nuvolone,
Foppani e Militello) affinché si introducesse una norma che
regolasse specificamente la condotta di infedeltà patrimoniale da
parte dell'amministratore. Nel 1996 (D.lgs. 415/96 art. 38) venne
previsto, per la prima volta, il reato di “gestione infedele”. Tale
decreto rappresentò l'anticipazione della norma generale di cui
all'art. 2634 c.c. a seguito della riforma dei reati societari (D.lgs.
61/02). Tale reato si colloca accanto al delitto di corruzione privata
(art. 2635 c.c.) che presenta numerose analogie col delitto di abuso
d'ufficio. Esso consiste nell'esercizio abusivo dei poteri da parte
dell'amministratore in presenza di un conflitto di interessi fra
l'amministratore stesso e la società, traducendosi in atti di
disposizione di beni sociali finalizzati al conseguimento di un
ingiusto profitto o altro vantaggio, produttivi di un pregiudizio
patrimoniale nei confronti della società. Si affronta altresì (2634 c.c.)
il tema dibattuto del vantaggio compensativo fra i gruppi,
escludendo l'ingiustizia del profitto della società collegata o dei
gruppi se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente
prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al
gruppo. Ci si sofferma su altri aspetti, tra i quali una serie di reati
finanziari, di illegalità nella gestione del risparmio ed altro ancora,
oltre a valutazioni del comportamento dell'operatore all'interno
dell'ente societario e di quanto attiene al fenomeno della c.d.
corruzione privata.
La trattazione complessiva dell'opera è connotata dalla
articolazione del tema dell'infedeltà patrimoniale (trattato da
D'Avirro) e di quella a seguito di dazione o promessa di utilità
(trattata da Gabriele Mazzotta).
Le conclusioni consistono in una dura critica della nuova
disciplina cui viene rimproverata l'assenza di qualsiasi riferimento
concreto al concetto di moralità nella gestione societaria (pubblica o
privata che sia). Si è trattato, denunciano gli AA., della
constatazione che l'art. 2635 c.c. è stato circoscritto al particolare
settore delle società commerciali nonostante che gli stati membri
dell'U.E. siano stati più volte sollecitati ad affrontare la corruzione in
ambito privato in ogni settore nel quale essa si manifesta. Il
legislatore italiano si è adoperato a recepire in minima parte le
istanze espresse in seno all'Europa. Si è insomma ignorato che in
sede sovranazionale si è posto l'accento sugli effetti distorsivi della
corruzione sullo stesso funzionamento dello Stato di diritto, sulla
concorrenza, sul corretto sviluppo economico.
L'opera è corredata da una appendice legislativa e dalle
relazioni al decreto legislativo di attuazione della legge-delega n.
366 del 3 ottobre 2001 per la riforma del diritto societario. (Giorgio
Fredas).
ENRICO E MARGHERITA ROTONDI: “L'agenzia nella giurisprudenza”
- Giuffrè Ed. 2004.
Il volume è la seconda edizione di un'opera uscita nel 1989 ed
è, come la prima, articolata in 11 capitoli che non seguono l'ordine
del codice civile ma l'inquadramento sistematico della materia.
L'opera ha il taglio giurisprudenziale e non dottrinale della collana a
cui appartiene e tende a registrare l'applicazione sul campo delle
profonde innovazioni intervenute nella materia. Sono esaminati in
forma completa, esaustiva e commentata le più significative
sentenze (oltre duecento) che hanno risolto le più disparate
controversie in tema di agenzia, alla luce non solo della disciplina
codicistica e legislativa, ma anche di quella comunitaria e collettiva.
Sono poi analizzate el differenze esistenti fra l'agente e le figure
affini come il distributore, il procacciatore d'affari, il mediatore, ivi
comprese quelle più innovative e non presenti nell'edizione del 1989
quali il franchising, la logistica e altre ancora. Particolare attenzione
è dedicata ai requisiti di forma per la validità del contratto e delle
sue modifiche nel corso del rapporto, nonché alle pattuizioni
necessarie, connaturali e accessorie al rapporto quali l'esclusiva, le
conseguenze della sua violazione a seconda della parte inadempiente
ed il patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto. Viene
presa in considerazione anche la figura dell'agente sia quale persona
fisica, sia quale persona giuridica, con la conseguente applicabilità o
meno degli istituti del processo del lavoro.
Particolare attenzione è dedicata alla provvigione, al sorgere del
diritto, alla sua esigibilità (o maturazione), ai rimedi offerti all'agente
anche sul piano probatorio, nonché all'estinzione del rapporto ed alle
relative indennità, soprattutto in relazione alla normativa
comunitaria ed alla sua attenzione da parte dell'Italia, con particolare
riguardo alle differenti prese di posizione della giurisprudenza.
Infine vengono esaminati l'aspetto previdenziale e la struttura
dell'ENASARCO. L'ultimo capitolo è dedicato ai problemi di
carattere processuale.
Il lavoro di Enrico e Margherita Rotondi offre certamente un
panorama ampio dei vari orientamenti giurisprudenziali connessi ai
fondamentali aspetti del contratto d'agenzia e si presenta dunque
come utile strumento per la comprensione e l'approfondimento dei
relativi problemi giuridici ed operativi. (Roberto Baldi ed Alberto
Venezia).
FRANCESCO ZACCHÉ: “Il giudizio abbreviato” - Giuffrè Ed. 2004.
È il XXXV volume del “trattato di procedura penale” diretto da
Giulio Ubertis e Giovanni Paolo Voena.
L'opera di Zacché consiste in un'analisi di notevole spessore per
chiarezza ed esaustività. L'A. non ha mancato di descrivere anzitutto
il significato dei riti deflativi e specialmente del giudizio abbreviato
nell'attuale crisi della giustizia penale con riferimento all'art. 111
Cost., alle modifiche legislative apportate all'istituto in esame ed ai
precetti dettati dalle Carte internazionali sui diritti dell'uomo.
Sulla specifica procedura di scelta del giudizio abbreviato
(dall'introduzione del rito ai ruoli del pubblico ministero e del
giudice; al ruolo della parte civile e della persona offesa nello
svolgimento del giudizio abbreviato; alla decisione e alla disciplina
dell'appello ed infine agli abbreviati “atipici”), il testo qui recensito è
di notevole utilità per l'approfondimento dei vari temi e per l'utilità
dell'operatore. Ogni aspetto trattato gode sia della già cennata
chiarezza ed esaustività, sia dei richiami legislativi, dottrinali e
giurisprudenziali (anche della Corte Costituzionale), così da offrire
al lettore anche un contributo di certezza comportamentale
nell'ambito, talvolta problematico, dell'applicabilità in concreto della
nuova disciplina. Si pensi, ad esempio, ad diritto transitorio in
relazione alle successive normative quanto ai reati punibili con la
pena dell'ergastolo ed al caos manifestatosi in proposito nella prassi,
oltreché ai ripensamenti in merito a tali reati. Si pensi, ancora, al
giudice competente in appello in riferimento al giudice di primo
grado. (Lucio Camaldo).
ROCCO BLAIOTTA, “La causalità nella responsabilità professionale tra teoria e prassi”, Milano, Giuffrè Ed. 2004.
Oggetto del libro di Rocco Blaiotta è la recente sentenza della
Corte di cassazione (Sez. Un. 10 luglio 2002, Franzese) in tema di
accertamento della responsabilità medica. Per far comprendere in
tutta la sua importanza la carica innovativa di questa pronuncia,
l'autore ricostruisce, in maniera completa ed approfondita, il vasto
dibattito dottrinale e giurisprudenziale, sviluppatosi in Italia attorno
alla delicata questione del nesso di causalità nella responsabilità
professionale ed in particolare in quella medica.
L'opera è suddivisa in quattro parti. La prima è dedicata alla
tradizionale concezione condizionalistica del nesso causale. La
seconda ricostruisce la teoria dell'imputazione oggettiva, nata per far
fronte all'esigenza di delimitare in senso riduttivo la sfera di
rilevanza causale della condotta umana. Il terzo capitolo prende in
esame la complessa questione della ricostruzione del nesso causale
nei reati omissivi, con particolare riguardo a quelli impropri; mentre
l'ultima parte analizza il problema dell'indagine giudiziaria del nesso
causale, che, come ricorda l'autore stesso, non è mai stata affrontata
in modo esplicito e complessivo dalla giurisprudenza.
La Corte Suprema si è mossa dalla constatazione del
progressivo abbandono, nel campo della responsabilità medica di
tipo omissivo, del modello condizionalistico, che richiede una
relazione necessaria, espressa in termini di certezza, tra condizione
ed evento. Di fronte alle difficoltà di pervenire ad un giudizio di
certezza nel campo medico, la giurisprudenza di merito si era infatti
orientata verso un modello deduttivo di tipo probabilistico-statistico,
basata sull'aumento o la mancata diminuzione del rischio. Tale
approccio si era però rivelato, a giudizio della stessa Corte, assai
problematico poiché aveva condotto a delle pericolose deroghe al
principio di certezza intrinsecamente necessario nell'applicazione di
leggi statistiche. Le Sezioni Unite, osservando che tali incertezze
giurisprudenziali riguardano i criteri di determinazione e di
apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale e
non giustificano un'erosione del principio condizionalistico,
riaffermano quindi la piena validità di tale statuto e individuano allo
stesso tempo un nuovo modello di causalità di tipo ipotetico. Si
tratta di un modello nel quale, in sintesi, « le generalizzazioni
approssimate non vengono poste in chiave deduttiva, ma si
confrontano, nell'irripetibilità di ciascun caso concreto, con le
evidenze disponibili al fine di verificare, altrettanto concretamente,
se in quello specifico caso esse possano costituire un'attendibile
chiave di spiegazione dell'evento o se, invece, nell'evidenza vi sia un
segno che ponga in crisi la spiegazione probabile ».
Nel riconoscere l'importanza decisiva della decisione della
Suprema Corte, che ha impresso alla discussione sul nesso di
causalità una nuova direzione, l'autore non ha infine trascurato di
porre in evidenza quella che sembra essere la maggiore lacuna della
sentenza: l'esclusione dell'astrattezza del giudizio controfattuale dal
dibattito sulla causalità omissiva (Federico M. Sinicato).
BENITO V. FROSINI - Le prove statistiche nel processo civile e nel
processo penale. Giuffrè Ed. 2004.
È una lettura forse difficile, per il giurista non aduso ai numeri,
in ogni caso stimolante, non solo perché si ammette che le regole di
giudizio sono altro nel processo civile ed altro nel processo penale,
ed in questo è da tendenzialmente azzerare il rischio di condanne di
innocenti, ma soprattutto perché costringono chi giudica ad uno
standard probatorio più “stringente” rispetto a quello proprio del
processo civile. Numerosi i rilievi bibliografici.
Nel processo penale, insomma, vale una regola probatoria,
“oltre il ragionevole dubbio”, il richiamo a valori è evidente.
A questo punto viene messa in discussione l'applicabilità
dell'inferenza statistica che sul calcolo delle probabilità è fondata.
Si parlava di lettura stimolante: numerosi sono i casi esemplari
proposti alla lettura, le conclusioni raggiunte, (ved. ad esempio pag.
140-141 paragrafo 4.4) ed i quesiti sorgenti.
L'affermazione per cui il giudice è perito dei periti, si converte
allora in altra, “prova a valutazione libera”; ove domina il prudente
apprezzamento. Ma questo non deve far dimenticare che il suddetto
modello del processo penale… è una sovrasemplificazione della
realtà che contrasta con il processo penale … e coi valori sociali cui
questo obbedisce nei moderni sistemi giudiziari.
Ed allora il richiamo al caso in cui Augusto Murri fu perito,
bene serve a distinguere la sentenza penale dall'emergenza civilistica
(pag. 63). Costituisce un utile punto di partenza per la riflessione del
giurista; la premessa sulla riflessione al concetto di prova, di causa,
di errore di analogia. La probabilità è in funzione dell'ignoranza, va
eliminata?
È ragionevole affermare che la nozione di causa dipende da
quella di probabilità e va considerata alla stregua di una premessa
logica dell'intero ragionamento induttivo?
È credibile una probabilità che, fuori di noi, nel mondo
circostante, misuri una probabilità oggettiva o essa è
irrimediabilmente soggettiva?
Si diceva che la lettura del saggio sia alquanto stimolante; va
ribadita l'affermazione, non solo perché non esiste, oltre le prove
legali, un criterio atto a limitare il “prudente apprezzamento del
giudicante”, ma soprattutto perché in tema di prove è impossibile
una codificazione e dunque è necessario il riferimento ai principi
scientifici. È lo spiraglio per introdurre aspetti ignorati, moderni, in
linea con lo sviluppo delle scienze. Compito dell'avvocato moderno
che deve percorrere una strada tutta in salita, quale garante di
principi irrinunciabili. (Federico Stellari).
PETER TILLERS - ERIC D. GREEN: L'inferenza probabilistica nel
diritto delle prove. Usi e limiti del bayesianesimo. Edit Giuffrè, 2003
(traduzione e introduzione di Alberto Mura).
L'auspicio con cui sei anni fa terminammo la recensione al libro
che inaugurava la nuova collana di “Epistemologia giudiziaria” della
casa editrice Giuffrè non è caduto nel vuoto (49). La meritoria
iniziativa editoriale di Giulio Ubertis, certamente l'esponente della
comunità processualpenalista italiana più attento e sensibile alle
implicazioni epistemologiche dell'attività giudiziale, è giunta ormai
a piena maturazione. Il presente volume è infatti il quarto della
collana e il terzo che si concentra sull'applicazione delle teorie della
probabilità al contesto processuale.
49
M. VOGLIOTTI, Probabilità e processo di ricostruzione del fatto: la teoria del valore
probatorio, in Ragion pratica, 1998, n. 11, p. 242.
Più in particolare, il testo in esame si occupa dell'applicazione
del teorema di Bayes alla questione cruciale della valutazione delle
prove giudiziali. Esso raccoglie tutti i contributi dedicati a questa
tematica che i più prestigiosi esperti in materia presentarono in
occasione di un importante Simposio consacrato all'inferenza
probabilistica nel diritto delle prove, svoltosi nell'aprile del 1986
sotto gli auspici della Boston University School of Law (il resto
degli interventi si può consultare nella Boston University Law
Review, 1986, vol. p. 377-952).
Il teorema di Bayes, così chiamato dal nome del teologo e
matematico inglese Thomas Bayes (1702-1761) che si suppone
esserne lo scopritore, è una regola normativa che indica in quali
modi la stima della probabilità di una data ipotesi debba essere
modificata alla luce di nuova informazione. Il dibattito intorno
all'applicabilità del modello bayesiano alle procedure giudiziali si
accese negli Stati Uniti in seguito alla pubblicazione, nel 1970, del
commento di Finklestein e Fairley alle sentenza People v. Collins
(50). Come ricorda R. Lempert nel suo contributo al volume (“La
nuova dottrina delle prove”, p. 95, nota 9), tale articolo non fu il
primo che propose di ricorrere al teorema di Bayes per la
valutazione della prova giudiziale, ma fu certamente quello che —
per l'occasione e per il tono delle asserzioni ivi contenute, — riuscì a
suscitare una florida letteratura intorno alla questione.
Come sottolinea A. Mura nella chiara introduzione alla
versione italiana (a cui si rinvia per una prima illustrazione del
teorema di Bayes), la “nuova dottrina delle prove” — basata sulla
probabilità matematica e, in particolare, sul modello bayesiano — si
propone un duplice scopo: “da un lato di delucidare i concetti di
base del diritto delle prove (indizio, presunzione, verosimiglianza,
rilevanza e così via), dall'altro di ricostruire e valutare la razionalità
dei comportamenti giudiziali che governano il giudizio di merito”
(p. XIII). Il modello probabilistico di riferimento si fonda
prevalentemente o sulla concezione logicista della probabilità,
teorizzata all'inizio degli anni venti da J. M. Keynes e poi ripresa da
R. Carnap a partire dagli anni quaranta, o dalla concezione
50
M.O. FINKELSTEIN - W.B. FAIRLEY, A. Bayesian Approach to Identification of Evidence,
in 83 Harv. L. Rev., p. 489, 1970.
personalista, proposta nella seconda metà degli anni venti da F.P.
Ramsey e, indipendentemente, da B. de Finetti all'inizio degli anni
trenta del secolo scorso.
L'idea di applicare il teorema di Bayes — e, più in generale, la
matematica e la teoria tradizionale della probabilità all'attività di
valutazione delle prove processuali ha suscitato sia entusiastici
consensi sia ferme reazioni, come quella di L. Tribe all'articolo,
sopra ricordato, di Finklestein e Fairley (51). Se vi è un sostanziale
consenso nel riconoscere i meriti della nuova dottrina delle prove per
il contributo di chiarificazione apportato in un ambito
tradizionalmente lasciato al senso comune e all'intuizione del
giudice, fecero presto capolino scritti che evidenziavano le difficoltà
e i paradossi che l'applicazione del teorema di Bayes generava nel
contesto giudiziale. Di tali difficoltà, come ad esempio gli esiti
controintuitivi ed in contrasto con i principi epistemici che regolano
l'attività giurisdizionale rappresentato dalle c.d. prior probabilities o
probabilità iniziali, danno conto i contributi raccolti nel volume (cfr.,
in particolare, i saggi di R. J. Allen e di L. J. Cohen).
Seguendo l'indicazione di A. Mura, le principali reazioni a
queste anomalie del bayesianesimo giuridico possono essere
riassunte nelle tre seguenti, tutte rappresentate nel volume in esame.
La prima, espressa in particolare da L. J. Cohen, consiste nel
considerare quelle difficoltà come il segno dell'inadeguatezza del
teorema di Bayes e, più in generale, della probabilità tradizionale a
costituire il paradigma appropriato per il contesto processuale.
L'autore propone, in alternativa, la teoria baconiana della probabilità
induttiva (su cui il lettore interessato può attingere utili informazioni
dalla sua Introduzione alla filosofia dell'induzione e della
probabilità, ospitata anch'essa nella collana diretta da G. Ubertis (52).
La seconda, sostenuta da R.J. Allen, è quella di considerare quelle
anomalie non come la manifestazione dei limiti del modello
bayesiano applicato al processo, ma come il segno
dell'inadeguatezza “della maniera in cui vengono condotti i
processi”. Da ciò la conclusione che “non sono tanto le nostre
51
L. TRIBE, Trial by Mathematics: Precision and Ritual in the Legal Process, in 84 Marv.
L. Rev. p. 1329, 1971.
52
J. J. COHEN, Introduzione alla filosofia dell'induzione e della probabilità (1989), Milano,
Giuffrè, 1998 (trad. it. e introduzione di P. GARBOLINO).
concezioni della probabilità a aver bisogno di una seria revisione,
quanto piuttosto la nostra concezione del processo “ (p. 33-34). La
terza soluzione, seguita da diversi studiosi e considerata da A. Mura
come la più promettente per il diritto delle prove, consiste nel tentare
di risolvere quelle difficoltà all'interno del modello bayesiano. In
questa prospettiva si colloca, ad esempio, il già ricordato primo
volume della presente collana dedicato alla “teoria del valore
probatorio”, concepita a livello intuitivo dal giurista svedese P.O.
Ekelöf e presentata proprio come una particolare interpretazione del
teorema di Bayes in grado i superare alcune difficoltà poste dalla
versione ortodossa.
Come sottolineano P. Tillers e E. D. Green nella premessa al
volume, celata nei dettagli di queste discussioni “v'è la questione più
generale del valore dei tentativi di ricorso a un qualche genere
d'analisi formale per rappresentare la natura dell'inferenza probatoria
nel giudizio” (p. XLVIII). Se anche si accede alla conclusione di
R.J. Allen secondo cui le impostazione bayesiane “si lasciano
meglio utilizzare euristicamente come guide al pensiero razionale
piuttosto che come specifici schemi della deliberazione forense” (p.
31), la lettura dei vari contributi accolti in questo volume non può
che confermare ulteriormente la convinzione dell'estrema utilità
formativa per il giurista in spem della frequenza di un corso
introduttivo al ragionamento probabilistico. In attesa che le Facoltà
di Giurisprudenza si rendano permeabili ad un'idea di tal fatta,
rinnoviamo l'auspicio che la collana di “Epistemologia giudiziaria”
di Giulio Ubertis continui ad arricchirsi di contributi capaci di
sensibilizzare la comunità giuridica italiana. (Massimo Vogliotti)
BRUNO VETTORAZZO: Grafologia giudiziaria e perizia grafica.
Giuffrè Ed., Milano 2004.
Chi meglio del Prof. Vettorazzo potrebbe introdurci al tema,
talvolta ancora troppo disatteso, della grafologia giudiziaria e della
perizia grafica? Formatosi alla Scuola grafologica di Padre Moretti
(il padre della Grafologia italiana), l'A. è stato tra i fondatori della
Scuola Superiore di Urbino, oggi corso di Laurea in consulenza
grafologica, dove ha insegnato fino al 2000.
Da sempre attento anche agli aspetti più pratici della indagine
sugli scritti contestati, l'A. svolge tuttora la professione di perito
grafologo giudiziario.
L'opera in commento offre una visione globale della grafologia
giudiziaria attraverso un excursus storico e operativo dei diversi
metodi teorizzati dai capiscuola. La trattazione, versione integrata ed
arricchita del testo universitario del 1987, è articolata in tre parti:
nella prima, con la competenza e l'esperienza che gli sono propri,
l'A. fa il punto sulla perizia grafica-grafologica in Italia,
descrivendone i principi scientifici che la governano. Interessanti i
capitoli dedicati alla comprensione dell'elaborato peritale, alla
interdisciplinarità della perizia grafologica con altre discipline utili o
afferenti (grafologia patologica, microscopia, criminologia, ecc.),
nonché ai procedimenti rigorosi ed oggettivi che, attraverso
proposizioni nomologiche-causali e nomologiche-statistiche,
consentano al perito di raggiungere conoscenze sempre più
sistematiche ed unitarie.
La seconda parte dell'opera presenta i “Metodi non
grafologici”, più risalenti ed in parte ormai superati perché ancorati
ad una analisi della grafia come segno statico, come “prodotto”. Pur
dopo aver abbandonato il primo modello (calligrafico), che studiava
il segno attraverso il mero confronto analitico-formale (l'analogia
morfologica equivaleva ad omografia, la differenza ad eterografia),
anche i più dinamici tra i metodi non grafologici (grafometrico,
sperimentale e segnaletico-descrittivo) restavano infatti vincolati
all'osservazione cinematica del gesto, cui era negata ogni
correlazione con la personalità dell'autore dello scritto.
La terza parte passa quindi in rassegna i “Metodi grafologici”
dei Capiscuola europei, da Crépieux-Jamin a Klages, da Pulver a
Saudek e ancora Périot, Pophal ed Hégar, fino al nostro Girolamo
Moretti. Il salto di qualità è evidente: finalmente il gesto grafico
viene visto come “processo”, correlato cioè con la matrice psicotica
vitale da cui proviene. Lo scopo rimane comunque identificativoattributivo dello scritto, seppure mediato da una imprescindibile
analisi fisio-psichica, senza che ciò assurga a perizia sulla
personalità.
Il metodo è chiaramente descritto dal Crépieux, altro pilastro
della Grafologia: “come dall'individualità irripetibile di una scrittura
si risale alla scoperta dei caratteri paralleli, così dallo studio dei
caratteri paralleli si deve poter risalire a quella scrittura”. In pratica il
perito grafologo deve enucleare le peculiarità psico-temperamentali
emergenti di una grafia, ne enuclea i gesti più indicativi (“modi”,
“contrassegni particolari”, “gesti fuggitivi” del Moretti) e ne
individua il ritmo derivante dalla dinamica delle forze in gioco
(risultanti), per fondare il confronto ed il giudizio attributivo che lo
portano a riconoscere la grafia autentica del suo estensore. È su
queste basi che la moderna grafologia può avere per prima diritto di
cittadinanza in perizia grafica. E grazie a questa nuova maturità
scientifica, fondata su rigorose ed oggettive “leggi” di fisica e
psicologia scritturale, la moderna grafologia si è ormai affrancata
dalla sua infanzia empirica, che per lungo tempo aveva portato a
schierarla a fianco della chiromanzia.
L'opera, già ricca di indicazioni bibliografiche specifiche per
ogni capitolo, in questa sua ultima edizione è completata dalla
relazione al Congresso internazionale di Bologna del 2000 su
“metodi e proposte in perizia grafica. Rassegna critica”, in cui l'A.
traccia un bilancio su “l'era della perizia scientifica” (dal 1980 ad
oggi). Il miglioramento radicale della metodologia è ancora una
volta frutto del sincretismo dell'indagine grafologica con altre
discipline che pure si sono nel frattempo evolute. Così, il
superamento della ripresa fotografica a favore di quella digitaleinformatica rende immediatamente disponibile l'immagine a scopo
osservativo-grafometrico-documentale ed il perito può oggi gestire
l'intero procedimento documentale e di desk-top-publisching in
assoluta autonomia. Enormemente migliorate sono anche le
possibilità osservative mediate sia a mezzo stereomicroscopio che a
determinate lunghezze d'onda o attraverso zoom ottico-elettronico.
Altrettanto interessanti sono infine la ripresa digitale di documenti
statici (firme, atti, certificati) e la teleripresa di processi grafici, che
offre la ritmica del segno in tempo reale (Daniela Natale).
JESÚS-MARIA SILVA SÁNCHEZ: L'espansione del diritto penale Aspetti della politica criminale nelle società postindustriali, Giuffrè
Ed., Milano, 2004.
Il volume — con prefazione critica di Militello — inaugura la
nuova collana dei Quaderni di diritto penale comparato,
internazionale ed europeo', edita da Giuffrè e diretta da Bernardi,
Donini, Militello, Papa e Seminara.
Al centro delle riflessioni del penalista spagnolo Silva Sánchez,
ordinario di diritto penale all'Università Pompeu Fabra di
Barcellona, è il tema, sviluppato in ottica internazionalista e
comparatista, del processo espansivo del diritto penale.
Il fenomeno, del quale vengono considerate le cause in chiave
socio-criminologica, viene preso in esame nelle sue attuali
prospettive ed implicazioni, con riferimento alle tendenze di politica
criminale rispetto alla globalizzazione ed integrazione
sovranazionale.
L'emersione di nuove forme di criminalità trasnazionale,
soprattutto economica, implica un ampliamento del ricorso al diritto
penale, la cui “forza comunicativa” sola sembra poter soddisfare il
bisogno di protezione della società internazionale. Si ripropone così,
in un tale contesto, il conflitto tra un diritto penale ampio e flessibile
ed un diritto penale minimo e rigido, conflitto che Silva Sánchez
propone di risolvere individuandone la soluzione nel “punto medio”,
rappresentato da un “diritto penale a due velocità”.
Il contrasto delle nuove forme di criminalità economica
organizzata (c.d. crimes of the powerful), sia in forma
imprenditoriale sia di macrocriminalità (terrorismo, narcotraffico,
criminalità organizzata) richiede, per la sua efficienza ed efficacia, il
ricorso a forme di imputazione dell'illecito penale più flessibili di
quelle tradizionali e l'arretramento dei principi di garanzia propri del
diritto penale liberale: in altri termini, l'individuazione, all'interno
del diritto penale, di un settore caratterizzato da “minore intensità
garantistica”, in corrispondenza di fattispecie incriminatrici che non
siano sanzionate con pene detentive. Di qui le “due velocita” del
diritto penale prospettate da Silva Sánchez: 1) il diritto penale della
pena detentiva, ancorato alle regole d'imputazione e garanzie
politico-criminali del diritto penale liberale; 2) il diritto penale delle
altre sanzioni (pecuniarie e privative di diritti diversi da quello della
libertà personale) che, non esigendo una stretta caratterizzazione
personalistica, non richiedono la stessa caratterizzazione nemmeno
per l'imputazione dei rispettivi illeciti. In tale seconda prospettiva
sarebbe proprio l'assenza di “pene corporali” a dare la possibilità di
rendere flessibile il modello d'imputazione, senza rinunciare alla
tutela propriamente penale, della quale vi sarebbe un vero e proprio
bisogno sociale trasnazionale, a fronte dei fenomeni presi in
considerazione dall'Autore.
Difficile da pronosticare — riconosce all'esito delle sue
riflessioni lo stesso Silva Sánchez — quale potrebbe essere la “forza
comunicativa” di un “submodello” di diritto penale dal quale si
escludano le pene privative della libertà (Gian Luigi Gatta).
REMO DANOVI: “Tra fantasia e diritto - List of Novels” Giuffrè Ed.,
Milano, 2004
La raccolta di recensioni e segnalazioni letterarie presentata da
Remo Danovi in questo volume mutua il titolo “A List of Novels” da
una precipua tradizione di ricerche dedicate all'approfondimento del
contributo che romanzi e testi letterari in genere possono offrire alla
illustrazione e comprensione di problematiche giuridiche.
I testi suggeriti dall'A. e le tematiche in essi via via proposti,
non aprono unicamente delle prospettive di intersezione fra il diritto
e la sua applicazione (il “diritto forense” scrive l'A.); esse illustrano
il teatro della vita autentica e partecipe di un avvocato che è un
uomo a tutto tondo. e non a caso la rubrica della rivista “la
Previdenza Forense” che ha ospitato le segnalazioni raccolte nella
“List”, è intitolata “La mia professione”.
Uno sguardo in rassegna, ai principali temi trattati nei testi
commentati evidenzia i contorni della “mia professione”. Per
convenienza espositiva si possono raccogliere i predetti temi in
alcuni gruppi pur precisando che gli stessi temi (la qual cosa è molto
bella) si avvicendano nella sequenza delle recensioni senza un
ordine per così dire epistemologico, poiché l'intento della rubrica era
di arricchire, di suggerire approfondimenti, casi di vita e anche
curiosità con un fare partecipe e simpatico piuttosto che teoretico.
Anzitutto ampio spazio è dedicato alla formazione dell'avvocato ed
alla deontologia forense, alla verità e all'autenticità dell'azione di
magistrati ed avvocati, alla descrizione di giudici che sono stati
esempi di tali valori. Quindi l'interesse si sofferma su aspetti che
possono descrivere la giustizia “nel suo farsi completo”: la
giurisprudenza, le manchevolezza del processo, gli errori giudiziari,
la psicologia applicata alle problematiche giuridiche, gli strumenti
logici ed operativi per la ricostruzione di verità processuali, quali il
concetto di probabilità. A fianco ai richiamati aspetti di pratica,
sociologia ed antropologia giuridica, si trovano poi commenti a
specifici istituti normativi: il nuovo processo penale, il diritto a
tutela dell'ambiente, la responsabilità civile, la nozione di danno ed
altro ancora. Nè mancano approfondimenti di filosofia del diritto
concernenti in particolare i principi fondamentali del diritto e lo
Stato di diritto, il primato della legge, l'uguaglianza dei diritti,
l'elogio della democrazia, la tutela dei diritti inalienabili dell'uomo,
la falsità della guerra, il rapporto fra governati e governanti, la
nozione di potere, l'equità. Ed ancora si trovano spunti quasi di
filosofia analitica del diritto riferiti al linguaggio normativo ed al
discorso dialettico. E fin qui si sarebbe trattato di un'inventario di
questioni che appartengono al consueto e necessario interesse dello
studioso del diritto. Ma “La mia professione”, la professione di
Remo Danovi, va oltre, si nutre di problemi e momenti di vita di
carattere comune e per ciò stesso (nella accezione aristotelica),
universale: la ricerca della felicità, il rinnovo della realtà morale, la
civiltà, la memoria della storia, della cultura dei libri; la sapienza,
l'educazione classica, la moderazione e la virtù, la scrittura, il
mondo, la fantasia, lo spazio, il tempo, l'architettura dei luoghi di
vita, l'anima ed il corpo, la leggenda, il mito, l'utopia della società
ideale, la speranza.
Questo pare essere il vero contributo delle segnalazioni
letterarie di Remo Danovi: l'aver cioè fatto intendere che “La
Professione” è un impegno civile che si fonda sulla cultura più
ampia, sulla moralità, sulla speranza del miglioramento etico civile,
politico e sociale, poiché, vivere come “Atlante che sorregge il
mondo” è meglio che fuggire l'impegno e l'azione a favore della
“leggerezza dell'essere” (Arianna Sansone).