recensioni - Ordine degli Avvocati di Milano
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RECENSIONI e note bibliografiche PATRIZIA DE CESARI - GALEAZZO MONTELLA: Le procedure di insolvenza nella nuova disciplina comunitaria - Commentario articolo per articolo del Regolamento CE n. 1436/2000 - Giuffrè Ed. 2004 Nella bella collana “Contratti e commercio internazionale” è apparso da ultimo il volume che qui si segnala e che è opera di due valenti avvocati esperti della materia concorsuale. Esso è ripartito in tre parti. La prima, sotto il titolo “le fonti in materia di insolvenza transfrontaliera”, descrive il lungo e laborioso percorso che ha portato alla disciplina comunitaria dell'insolvenza e da ultimo al Regolamento del Consiglio dell'Unione Europea n. 1346 del 29.5.2000, un regolamento che armonizza e coordina fra loro le procedure di insolvenza dei diversi ordinamenti giuridici. Pure in questa prima parte vengono esaminati temi connessi quali il risanamento e la liquidazione di enti creditizi e imprese di assicurazione nonché le direttive 98/26 e 2002/74. Nella seconda parte del libro, una prima sezione tratta degli aspetti generali del ricordato Regolamento comunitario 1346/2000 e così della base giuridica della nuova disciplina, del ruolo interpretativo della Corte di giustizia della Comunità e dei limiti al funzionamento delle norme di conflitto; la seconda sezione si occupa dei limiti dell'incidenza del Regolamento sul diritto interno, sulla giurisdizione in tema di revocatoria fallimentare e sulla insolvenza nei gruppi di società transfrontalieri. Segue una “parte terza” dedicata al commento dei quarantasette articoli dei quali consta il Regolamento, “articolo per articolo”. In appendice, oltre al testo del Regolamento che è l'oggetto del commento, sono pubblicate: la legge olandese 6.11.03 per l'applicazione del Regolamento; la legge tedesca di diritto concorsuale internazionale 14.3.2003; la legge fallimentare spagnola del 9.7.03; la circolare del Ministero della Giustizia francese 17.3.2003 relativa all'entrata in vigore del Regolamento 1346/00; la lista dei provvedimenti adottati dal Regno Unito per assicurare la compatibilità dell'ordinamento inglese con il Regolamento; il modello di invito all'insinuazione e di domanda di insinuazione di credito; le sentenze 20.2.2004 del Tribunale di Parma e 25.3.04 della High Court di Dublino, rese nel caso Eurofood IFS Limited. L'esegesi dei singoli articoli, alla quale è dedicata la parte terza del libro, è stata curata dai due Autori che si sono ripartiti un compito tutt'altro che facile, data anche la novità dei temi e le difficoltà che si presentano all'interprete. Valga per tutti l'esempio dell'art. 2 che, ad un tempo, definisce “procedure di insolvenza” quelle “fondate sull'insolvenza del debitore che comportano lo spossessamento parziale o totale del debitore stesso e la designazione di un curatore” e quelle che, “nell'allegato A”, sono nominativamente ed esplicitamente elencate (per l'Italia: “fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, amministrazione controllata”) con che vien da chiedersi a cosa serva la indicazione astratta dei requisiti se la consultazione dell'allegato A fornisce già l'elenco delle procedure dei vari Paesi. Interrogativo non secondario se si considera che, ad esempio, l'amministrazione straordinaria prevista dalla legge 18.2.2004 n. 39 (c.d. legge Marzano) non è elencata, nè poteva esserlo, nell'allegato A al Regolamento del 29.5.2000. Ribadito il pregio e l'utilità dell'opera, si deve solo lamentare l'assenza di un indice analitico che ci si augura non mancherà in una successiva edizione che non potrà mancare una volta che saranno disponibili ulteriori contributi della dottrina e della giurisprudenza. (Salvatore Morvillo). ANTONIO D'AVIRRO - GABRIELE MAZZOTTA: I reati di infedeltà nelle società commerciali - artt. 2634, 2635 c.c. - D.lgs. 11 aprile 2002 - Giuffrè Ed. 2004. Nell'introduzione gli AA. tracciano le tappe degli auspici da lungo tempo formulati dalla dottrina (G. Delitala, P. Nuvolone, Foppani e Militello) affinché si introducesse una norma che regolasse specificamente la condotta di infedeltà patrimoniale da parte dell'amministratore. Nel 1996 (D.lgs. 415/96 art. 38) venne previsto, per la prima volta, il reato di “gestione infedele”. Tale decreto rappresentò l'anticipazione della norma generale di cui all'art. 2634 c.c. a seguito della riforma dei reati societari (D.lgs. 61/02). Tale reato si colloca accanto al delitto di corruzione privata (art. 2635 c.c.) che presenta numerose analogie col delitto di abuso d'ufficio. Esso consiste nell'esercizio abusivo dei poteri da parte dell'amministratore in presenza di un conflitto di interessi fra l'amministratore stesso e la società, traducendosi in atti di disposizione di beni sociali finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto o altro vantaggio, produttivi di un pregiudizio patrimoniale nei confronti della società. Si affronta altresì (2634 c.c.) il tema dibattuto del vantaggio compensativo fra i gruppi, escludendo l'ingiustizia del profitto della società collegata o dei gruppi se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo. Ci si sofferma su altri aspetti, tra i quali una serie di reati finanziari, di illegalità nella gestione del risparmio ed altro ancora, oltre a valutazioni del comportamento dell'operatore all'interno dell'ente societario e di quanto attiene al fenomeno della c.d. corruzione privata. La trattazione complessiva dell'opera è connotata dalla articolazione del tema dell'infedeltà patrimoniale (trattato da D'Avirro) e di quella a seguito di dazione o promessa di utilità (trattata da Gabriele Mazzotta). Le conclusioni consistono in una dura critica della nuova disciplina cui viene rimproverata l'assenza di qualsiasi riferimento concreto al concetto di moralità nella gestione societaria (pubblica o privata che sia). Si è trattato, denunciano gli AA., della constatazione che l'art. 2635 c.c. è stato circoscritto al particolare settore delle società commerciali nonostante che gli stati membri dell'U.E. siano stati più volte sollecitati ad affrontare la corruzione in ambito privato in ogni settore nel quale essa si manifesta. Il legislatore italiano si è adoperato a recepire in minima parte le istanze espresse in seno all'Europa. Si è insomma ignorato che in sede sovranazionale si è posto l'accento sugli effetti distorsivi della corruzione sullo stesso funzionamento dello Stato di diritto, sulla concorrenza, sul corretto sviluppo economico. L'opera è corredata da una appendice legislativa e dalle relazioni al decreto legislativo di attuazione della legge-delega n. 366 del 3 ottobre 2001 per la riforma del diritto societario. (Giorgio Fredas). ENRICO E MARGHERITA ROTONDI: “L'agenzia nella giurisprudenza” - Giuffrè Ed. 2004. Il volume è la seconda edizione di un'opera uscita nel 1989 ed è, come la prima, articolata in 11 capitoli che non seguono l'ordine del codice civile ma l'inquadramento sistematico della materia. L'opera ha il taglio giurisprudenziale e non dottrinale della collana a cui appartiene e tende a registrare l'applicazione sul campo delle profonde innovazioni intervenute nella materia. Sono esaminati in forma completa, esaustiva e commentata le più significative sentenze (oltre duecento) che hanno risolto le più disparate controversie in tema di agenzia, alla luce non solo della disciplina codicistica e legislativa, ma anche di quella comunitaria e collettiva. Sono poi analizzate el differenze esistenti fra l'agente e le figure affini come il distributore, il procacciatore d'affari, il mediatore, ivi comprese quelle più innovative e non presenti nell'edizione del 1989 quali il franchising, la logistica e altre ancora. Particolare attenzione è dedicata ai requisiti di forma per la validità del contratto e delle sue modifiche nel corso del rapporto, nonché alle pattuizioni necessarie, connaturali e accessorie al rapporto quali l'esclusiva, le conseguenze della sua violazione a seconda della parte inadempiente ed il patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto. Viene presa in considerazione anche la figura dell'agente sia quale persona fisica, sia quale persona giuridica, con la conseguente applicabilità o meno degli istituti del processo del lavoro. Particolare attenzione è dedicata alla provvigione, al sorgere del diritto, alla sua esigibilità (o maturazione), ai rimedi offerti all'agente anche sul piano probatorio, nonché all'estinzione del rapporto ed alle relative indennità, soprattutto in relazione alla normativa comunitaria ed alla sua attenzione da parte dell'Italia, con particolare riguardo alle differenti prese di posizione della giurisprudenza. Infine vengono esaminati l'aspetto previdenziale e la struttura dell'ENASARCO. L'ultimo capitolo è dedicato ai problemi di carattere processuale. Il lavoro di Enrico e Margherita Rotondi offre certamente un panorama ampio dei vari orientamenti giurisprudenziali connessi ai fondamentali aspetti del contratto d'agenzia e si presenta dunque come utile strumento per la comprensione e l'approfondimento dei relativi problemi giuridici ed operativi. (Roberto Baldi ed Alberto Venezia). FRANCESCO ZACCHÉ: “Il giudizio abbreviato” - Giuffrè Ed. 2004. È il XXXV volume del “trattato di procedura penale” diretto da Giulio Ubertis e Giovanni Paolo Voena. L'opera di Zacché consiste in un'analisi di notevole spessore per chiarezza ed esaustività. L'A. non ha mancato di descrivere anzitutto il significato dei riti deflativi e specialmente del giudizio abbreviato nell'attuale crisi della giustizia penale con riferimento all'art. 111 Cost., alle modifiche legislative apportate all'istituto in esame ed ai precetti dettati dalle Carte internazionali sui diritti dell'uomo. Sulla specifica procedura di scelta del giudizio abbreviato (dall'introduzione del rito ai ruoli del pubblico ministero e del giudice; al ruolo della parte civile e della persona offesa nello svolgimento del giudizio abbreviato; alla decisione e alla disciplina dell'appello ed infine agli abbreviati “atipici”), il testo qui recensito è di notevole utilità per l'approfondimento dei vari temi e per l'utilità dell'operatore. Ogni aspetto trattato gode sia della già cennata chiarezza ed esaustività, sia dei richiami legislativi, dottrinali e giurisprudenziali (anche della Corte Costituzionale), così da offrire al lettore anche un contributo di certezza comportamentale nell'ambito, talvolta problematico, dell'applicabilità in concreto della nuova disciplina. Si pensi, ad esempio, ad diritto transitorio in relazione alle successive normative quanto ai reati punibili con la pena dell'ergastolo ed al caos manifestatosi in proposito nella prassi, oltreché ai ripensamenti in merito a tali reati. Si pensi, ancora, al giudice competente in appello in riferimento al giudice di primo grado. (Lucio Camaldo). ROCCO BLAIOTTA, “La causalità nella responsabilità professionale tra teoria e prassi”, Milano, Giuffrè Ed. 2004. Oggetto del libro di Rocco Blaiotta è la recente sentenza della Corte di cassazione (Sez. Un. 10 luglio 2002, Franzese) in tema di accertamento della responsabilità medica. Per far comprendere in tutta la sua importanza la carica innovativa di questa pronuncia, l'autore ricostruisce, in maniera completa ed approfondita, il vasto dibattito dottrinale e giurisprudenziale, sviluppatosi in Italia attorno alla delicata questione del nesso di causalità nella responsabilità professionale ed in particolare in quella medica. L'opera è suddivisa in quattro parti. La prima è dedicata alla tradizionale concezione condizionalistica del nesso causale. La seconda ricostruisce la teoria dell'imputazione oggettiva, nata per far fronte all'esigenza di delimitare in senso riduttivo la sfera di rilevanza causale della condotta umana. Il terzo capitolo prende in esame la complessa questione della ricostruzione del nesso causale nei reati omissivi, con particolare riguardo a quelli impropri; mentre l'ultima parte analizza il problema dell'indagine giudiziaria del nesso causale, che, come ricorda l'autore stesso, non è mai stata affrontata in modo esplicito e complessivo dalla giurisprudenza. La Corte Suprema si è mossa dalla constatazione del progressivo abbandono, nel campo della responsabilità medica di tipo omissivo, del modello condizionalistico, che richiede una relazione necessaria, espressa in termini di certezza, tra condizione ed evento. Di fronte alle difficoltà di pervenire ad un giudizio di certezza nel campo medico, la giurisprudenza di merito si era infatti orientata verso un modello deduttivo di tipo probabilistico-statistico, basata sull'aumento o la mancata diminuzione del rischio. Tale approccio si era però rivelato, a giudizio della stessa Corte, assai problematico poiché aveva condotto a delle pericolose deroghe al principio di certezza intrinsecamente necessario nell'applicazione di leggi statistiche. Le Sezioni Unite, osservando che tali incertezze giurisprudenziali riguardano i criteri di determinazione e di apprezzamento del valore probabilistico della spiegazione causale e non giustificano un'erosione del principio condizionalistico, riaffermano quindi la piena validità di tale statuto e individuano allo stesso tempo un nuovo modello di causalità di tipo ipotetico. Si tratta di un modello nel quale, in sintesi, « le generalizzazioni approssimate non vengono poste in chiave deduttiva, ma si confrontano, nell'irripetibilità di ciascun caso concreto, con le evidenze disponibili al fine di verificare, altrettanto concretamente, se in quello specifico caso esse possano costituire un'attendibile chiave di spiegazione dell'evento o se, invece, nell'evidenza vi sia un segno che ponga in crisi la spiegazione probabile ». Nel riconoscere l'importanza decisiva della decisione della Suprema Corte, che ha impresso alla discussione sul nesso di causalità una nuova direzione, l'autore non ha infine trascurato di porre in evidenza quella che sembra essere la maggiore lacuna della sentenza: l'esclusione dell'astrattezza del giudizio controfattuale dal dibattito sulla causalità omissiva (Federico M. Sinicato). BENITO V. FROSINI - Le prove statistiche nel processo civile e nel processo penale. Giuffrè Ed. 2004. È una lettura forse difficile, per il giurista non aduso ai numeri, in ogni caso stimolante, non solo perché si ammette che le regole di giudizio sono altro nel processo civile ed altro nel processo penale, ed in questo è da tendenzialmente azzerare il rischio di condanne di innocenti, ma soprattutto perché costringono chi giudica ad uno standard probatorio più “stringente” rispetto a quello proprio del processo civile. Numerosi i rilievi bibliografici. Nel processo penale, insomma, vale una regola probatoria, “oltre il ragionevole dubbio”, il richiamo a valori è evidente. A questo punto viene messa in discussione l'applicabilità dell'inferenza statistica che sul calcolo delle probabilità è fondata. Si parlava di lettura stimolante: numerosi sono i casi esemplari proposti alla lettura, le conclusioni raggiunte, (ved. ad esempio pag. 140-141 paragrafo 4.4) ed i quesiti sorgenti. L'affermazione per cui il giudice è perito dei periti, si converte allora in altra, “prova a valutazione libera”; ove domina il prudente apprezzamento. Ma questo non deve far dimenticare che il suddetto modello del processo penale… è una sovrasemplificazione della realtà che contrasta con il processo penale … e coi valori sociali cui questo obbedisce nei moderni sistemi giudiziari. Ed allora il richiamo al caso in cui Augusto Murri fu perito, bene serve a distinguere la sentenza penale dall'emergenza civilistica (pag. 63). Costituisce un utile punto di partenza per la riflessione del giurista; la premessa sulla riflessione al concetto di prova, di causa, di errore di analogia. La probabilità è in funzione dell'ignoranza, va eliminata? È ragionevole affermare che la nozione di causa dipende da quella di probabilità e va considerata alla stregua di una premessa logica dell'intero ragionamento induttivo? È credibile una probabilità che, fuori di noi, nel mondo circostante, misuri una probabilità oggettiva o essa è irrimediabilmente soggettiva? Si diceva che la lettura del saggio sia alquanto stimolante; va ribadita l'affermazione, non solo perché non esiste, oltre le prove legali, un criterio atto a limitare il “prudente apprezzamento del giudicante”, ma soprattutto perché in tema di prove è impossibile una codificazione e dunque è necessario il riferimento ai principi scientifici. È lo spiraglio per introdurre aspetti ignorati, moderni, in linea con lo sviluppo delle scienze. Compito dell'avvocato moderno che deve percorrere una strada tutta in salita, quale garante di principi irrinunciabili. (Federico Stellari). PETER TILLERS - ERIC D. GREEN: L'inferenza probabilistica nel diritto delle prove. Usi e limiti del bayesianesimo. Edit Giuffrè, 2003 (traduzione e introduzione di Alberto Mura). L'auspicio con cui sei anni fa terminammo la recensione al libro che inaugurava la nuova collana di “Epistemologia giudiziaria” della casa editrice Giuffrè non è caduto nel vuoto (49). La meritoria iniziativa editoriale di Giulio Ubertis, certamente l'esponente della comunità processualpenalista italiana più attento e sensibile alle implicazioni epistemologiche dell'attività giudiziale, è giunta ormai a piena maturazione. Il presente volume è infatti il quarto della collana e il terzo che si concentra sull'applicazione delle teorie della probabilità al contesto processuale. 49 M. VOGLIOTTI, Probabilità e processo di ricostruzione del fatto: la teoria del valore probatorio, in Ragion pratica, 1998, n. 11, p. 242. Più in particolare, il testo in esame si occupa dell'applicazione del teorema di Bayes alla questione cruciale della valutazione delle prove giudiziali. Esso raccoglie tutti i contributi dedicati a questa tematica che i più prestigiosi esperti in materia presentarono in occasione di un importante Simposio consacrato all'inferenza probabilistica nel diritto delle prove, svoltosi nell'aprile del 1986 sotto gli auspici della Boston University School of Law (il resto degli interventi si può consultare nella Boston University Law Review, 1986, vol. p. 377-952). Il teorema di Bayes, così chiamato dal nome del teologo e matematico inglese Thomas Bayes (1702-1761) che si suppone esserne lo scopritore, è una regola normativa che indica in quali modi la stima della probabilità di una data ipotesi debba essere modificata alla luce di nuova informazione. Il dibattito intorno all'applicabilità del modello bayesiano alle procedure giudiziali si accese negli Stati Uniti in seguito alla pubblicazione, nel 1970, del commento di Finklestein e Fairley alle sentenza People v. Collins (50). Come ricorda R. Lempert nel suo contributo al volume (“La nuova dottrina delle prove”, p. 95, nota 9), tale articolo non fu il primo che propose di ricorrere al teorema di Bayes per la valutazione della prova giudiziale, ma fu certamente quello che — per l'occasione e per il tono delle asserzioni ivi contenute, — riuscì a suscitare una florida letteratura intorno alla questione. Come sottolinea A. Mura nella chiara introduzione alla versione italiana (a cui si rinvia per una prima illustrazione del teorema di Bayes), la “nuova dottrina delle prove” — basata sulla probabilità matematica e, in particolare, sul modello bayesiano — si propone un duplice scopo: “da un lato di delucidare i concetti di base del diritto delle prove (indizio, presunzione, verosimiglianza, rilevanza e così via), dall'altro di ricostruire e valutare la razionalità dei comportamenti giudiziali che governano il giudizio di merito” (p. XIII). Il modello probabilistico di riferimento si fonda prevalentemente o sulla concezione logicista della probabilità, teorizzata all'inizio degli anni venti da J. M. Keynes e poi ripresa da R. Carnap a partire dagli anni quaranta, o dalla concezione 50 M.O. FINKELSTEIN - W.B. FAIRLEY, A. Bayesian Approach to Identification of Evidence, in 83 Harv. L. Rev., p. 489, 1970. personalista, proposta nella seconda metà degli anni venti da F.P. Ramsey e, indipendentemente, da B. de Finetti all'inizio degli anni trenta del secolo scorso. L'idea di applicare il teorema di Bayes — e, più in generale, la matematica e la teoria tradizionale della probabilità all'attività di valutazione delle prove processuali ha suscitato sia entusiastici consensi sia ferme reazioni, come quella di L. Tribe all'articolo, sopra ricordato, di Finklestein e Fairley (51). Se vi è un sostanziale consenso nel riconoscere i meriti della nuova dottrina delle prove per il contributo di chiarificazione apportato in un ambito tradizionalmente lasciato al senso comune e all'intuizione del giudice, fecero presto capolino scritti che evidenziavano le difficoltà e i paradossi che l'applicazione del teorema di Bayes generava nel contesto giudiziale. Di tali difficoltà, come ad esempio gli esiti controintuitivi ed in contrasto con i principi epistemici che regolano l'attività giurisdizionale rappresentato dalle c.d. prior probabilities o probabilità iniziali, danno conto i contributi raccolti nel volume (cfr., in particolare, i saggi di R. J. Allen e di L. J. Cohen). Seguendo l'indicazione di A. Mura, le principali reazioni a queste anomalie del bayesianesimo giuridico possono essere riassunte nelle tre seguenti, tutte rappresentate nel volume in esame. La prima, espressa in particolare da L. J. Cohen, consiste nel considerare quelle difficoltà come il segno dell'inadeguatezza del teorema di Bayes e, più in generale, della probabilità tradizionale a costituire il paradigma appropriato per il contesto processuale. L'autore propone, in alternativa, la teoria baconiana della probabilità induttiva (su cui il lettore interessato può attingere utili informazioni dalla sua Introduzione alla filosofia dell'induzione e della probabilità, ospitata anch'essa nella collana diretta da G. Ubertis (52). La seconda, sostenuta da R.J. Allen, è quella di considerare quelle anomalie non come la manifestazione dei limiti del modello bayesiano applicato al processo, ma come il segno dell'inadeguatezza “della maniera in cui vengono condotti i processi”. Da ciò la conclusione che “non sono tanto le nostre 51 L. TRIBE, Trial by Mathematics: Precision and Ritual in the Legal Process, in 84 Marv. L. Rev. p. 1329, 1971. 52 J. J. COHEN, Introduzione alla filosofia dell'induzione e della probabilità (1989), Milano, Giuffrè, 1998 (trad. it. e introduzione di P. GARBOLINO). concezioni della probabilità a aver bisogno di una seria revisione, quanto piuttosto la nostra concezione del processo “ (p. 33-34). La terza soluzione, seguita da diversi studiosi e considerata da A. Mura come la più promettente per il diritto delle prove, consiste nel tentare di risolvere quelle difficoltà all'interno del modello bayesiano. In questa prospettiva si colloca, ad esempio, il già ricordato primo volume della presente collana dedicato alla “teoria del valore probatorio”, concepita a livello intuitivo dal giurista svedese P.O. Ekelöf e presentata proprio come una particolare interpretazione del teorema di Bayes in grado i superare alcune difficoltà poste dalla versione ortodossa. Come sottolineano P. Tillers e E. D. Green nella premessa al volume, celata nei dettagli di queste discussioni “v'è la questione più generale del valore dei tentativi di ricorso a un qualche genere d'analisi formale per rappresentare la natura dell'inferenza probatoria nel giudizio” (p. XLVIII). Se anche si accede alla conclusione di R.J. Allen secondo cui le impostazione bayesiane “si lasciano meglio utilizzare euristicamente come guide al pensiero razionale piuttosto che come specifici schemi della deliberazione forense” (p. 31), la lettura dei vari contributi accolti in questo volume non può che confermare ulteriormente la convinzione dell'estrema utilità formativa per il giurista in spem della frequenza di un corso introduttivo al ragionamento probabilistico. In attesa che le Facoltà di Giurisprudenza si rendano permeabili ad un'idea di tal fatta, rinnoviamo l'auspicio che la collana di “Epistemologia giudiziaria” di Giulio Ubertis continui ad arricchirsi di contributi capaci di sensibilizzare la comunità giuridica italiana. (Massimo Vogliotti) BRUNO VETTORAZZO: Grafologia giudiziaria e perizia grafica. Giuffrè Ed., Milano 2004. Chi meglio del Prof. Vettorazzo potrebbe introdurci al tema, talvolta ancora troppo disatteso, della grafologia giudiziaria e della perizia grafica? Formatosi alla Scuola grafologica di Padre Moretti (il padre della Grafologia italiana), l'A. è stato tra i fondatori della Scuola Superiore di Urbino, oggi corso di Laurea in consulenza grafologica, dove ha insegnato fino al 2000. Da sempre attento anche agli aspetti più pratici della indagine sugli scritti contestati, l'A. svolge tuttora la professione di perito grafologo giudiziario. L'opera in commento offre una visione globale della grafologia giudiziaria attraverso un excursus storico e operativo dei diversi metodi teorizzati dai capiscuola. La trattazione, versione integrata ed arricchita del testo universitario del 1987, è articolata in tre parti: nella prima, con la competenza e l'esperienza che gli sono propri, l'A. fa il punto sulla perizia grafica-grafologica in Italia, descrivendone i principi scientifici che la governano. Interessanti i capitoli dedicati alla comprensione dell'elaborato peritale, alla interdisciplinarità della perizia grafologica con altre discipline utili o afferenti (grafologia patologica, microscopia, criminologia, ecc.), nonché ai procedimenti rigorosi ed oggettivi che, attraverso proposizioni nomologiche-causali e nomologiche-statistiche, consentano al perito di raggiungere conoscenze sempre più sistematiche ed unitarie. La seconda parte dell'opera presenta i “Metodi non grafologici”, più risalenti ed in parte ormai superati perché ancorati ad una analisi della grafia come segno statico, come “prodotto”. Pur dopo aver abbandonato il primo modello (calligrafico), che studiava il segno attraverso il mero confronto analitico-formale (l'analogia morfologica equivaleva ad omografia, la differenza ad eterografia), anche i più dinamici tra i metodi non grafologici (grafometrico, sperimentale e segnaletico-descrittivo) restavano infatti vincolati all'osservazione cinematica del gesto, cui era negata ogni correlazione con la personalità dell'autore dello scritto. La terza parte passa quindi in rassegna i “Metodi grafologici” dei Capiscuola europei, da Crépieux-Jamin a Klages, da Pulver a Saudek e ancora Périot, Pophal ed Hégar, fino al nostro Girolamo Moretti. Il salto di qualità è evidente: finalmente il gesto grafico viene visto come “processo”, correlato cioè con la matrice psicotica vitale da cui proviene. Lo scopo rimane comunque identificativoattributivo dello scritto, seppure mediato da una imprescindibile analisi fisio-psichica, senza che ciò assurga a perizia sulla personalità. Il metodo è chiaramente descritto dal Crépieux, altro pilastro della Grafologia: “come dall'individualità irripetibile di una scrittura si risale alla scoperta dei caratteri paralleli, così dallo studio dei caratteri paralleli si deve poter risalire a quella scrittura”. In pratica il perito grafologo deve enucleare le peculiarità psico-temperamentali emergenti di una grafia, ne enuclea i gesti più indicativi (“modi”, “contrassegni particolari”, “gesti fuggitivi” del Moretti) e ne individua il ritmo derivante dalla dinamica delle forze in gioco (risultanti), per fondare il confronto ed il giudizio attributivo che lo portano a riconoscere la grafia autentica del suo estensore. È su queste basi che la moderna grafologia può avere per prima diritto di cittadinanza in perizia grafica. E grazie a questa nuova maturità scientifica, fondata su rigorose ed oggettive “leggi” di fisica e psicologia scritturale, la moderna grafologia si è ormai affrancata dalla sua infanzia empirica, che per lungo tempo aveva portato a schierarla a fianco della chiromanzia. L'opera, già ricca di indicazioni bibliografiche specifiche per ogni capitolo, in questa sua ultima edizione è completata dalla relazione al Congresso internazionale di Bologna del 2000 su “metodi e proposte in perizia grafica. Rassegna critica”, in cui l'A. traccia un bilancio su “l'era della perizia scientifica” (dal 1980 ad oggi). Il miglioramento radicale della metodologia è ancora una volta frutto del sincretismo dell'indagine grafologica con altre discipline che pure si sono nel frattempo evolute. Così, il superamento della ripresa fotografica a favore di quella digitaleinformatica rende immediatamente disponibile l'immagine a scopo osservativo-grafometrico-documentale ed il perito può oggi gestire l'intero procedimento documentale e di desk-top-publisching in assoluta autonomia. Enormemente migliorate sono anche le possibilità osservative mediate sia a mezzo stereomicroscopio che a determinate lunghezze d'onda o attraverso zoom ottico-elettronico. Altrettanto interessanti sono infine la ripresa digitale di documenti statici (firme, atti, certificati) e la teleripresa di processi grafici, che offre la ritmica del segno in tempo reale (Daniela Natale). JESÚS-MARIA SILVA SÁNCHEZ: L'espansione del diritto penale Aspetti della politica criminale nelle società postindustriali, Giuffrè Ed., Milano, 2004. Il volume — con prefazione critica di Militello — inaugura la nuova collana dei Quaderni di diritto penale comparato, internazionale ed europeo', edita da Giuffrè e diretta da Bernardi, Donini, Militello, Papa e Seminara. Al centro delle riflessioni del penalista spagnolo Silva Sánchez, ordinario di diritto penale all'Università Pompeu Fabra di Barcellona, è il tema, sviluppato in ottica internazionalista e comparatista, del processo espansivo del diritto penale. Il fenomeno, del quale vengono considerate le cause in chiave socio-criminologica, viene preso in esame nelle sue attuali prospettive ed implicazioni, con riferimento alle tendenze di politica criminale rispetto alla globalizzazione ed integrazione sovranazionale. L'emersione di nuove forme di criminalità trasnazionale, soprattutto economica, implica un ampliamento del ricorso al diritto penale, la cui “forza comunicativa” sola sembra poter soddisfare il bisogno di protezione della società internazionale. Si ripropone così, in un tale contesto, il conflitto tra un diritto penale ampio e flessibile ed un diritto penale minimo e rigido, conflitto che Silva Sánchez propone di risolvere individuandone la soluzione nel “punto medio”, rappresentato da un “diritto penale a due velocità”. Il contrasto delle nuove forme di criminalità economica organizzata (c.d. crimes of the powerful), sia in forma imprenditoriale sia di macrocriminalità (terrorismo, narcotraffico, criminalità organizzata) richiede, per la sua efficienza ed efficacia, il ricorso a forme di imputazione dell'illecito penale più flessibili di quelle tradizionali e l'arretramento dei principi di garanzia propri del diritto penale liberale: in altri termini, l'individuazione, all'interno del diritto penale, di un settore caratterizzato da “minore intensità garantistica”, in corrispondenza di fattispecie incriminatrici che non siano sanzionate con pene detentive. Di qui le “due velocita” del diritto penale prospettate da Silva Sánchez: 1) il diritto penale della pena detentiva, ancorato alle regole d'imputazione e garanzie politico-criminali del diritto penale liberale; 2) il diritto penale delle altre sanzioni (pecuniarie e privative di diritti diversi da quello della libertà personale) che, non esigendo una stretta caratterizzazione personalistica, non richiedono la stessa caratterizzazione nemmeno per l'imputazione dei rispettivi illeciti. In tale seconda prospettiva sarebbe proprio l'assenza di “pene corporali” a dare la possibilità di rendere flessibile il modello d'imputazione, senza rinunciare alla tutela propriamente penale, della quale vi sarebbe un vero e proprio bisogno sociale trasnazionale, a fronte dei fenomeni presi in considerazione dall'Autore. Difficile da pronosticare — riconosce all'esito delle sue riflessioni lo stesso Silva Sánchez — quale potrebbe essere la “forza comunicativa” di un “submodello” di diritto penale dal quale si escludano le pene privative della libertà (Gian Luigi Gatta). REMO DANOVI: “Tra fantasia e diritto - List of Novels” Giuffrè Ed., Milano, 2004 La raccolta di recensioni e segnalazioni letterarie presentata da Remo Danovi in questo volume mutua il titolo “A List of Novels” da una precipua tradizione di ricerche dedicate all'approfondimento del contributo che romanzi e testi letterari in genere possono offrire alla illustrazione e comprensione di problematiche giuridiche. I testi suggeriti dall'A. e le tematiche in essi via via proposti, non aprono unicamente delle prospettive di intersezione fra il diritto e la sua applicazione (il “diritto forense” scrive l'A.); esse illustrano il teatro della vita autentica e partecipe di un avvocato che è un uomo a tutto tondo. e non a caso la rubrica della rivista “la Previdenza Forense” che ha ospitato le segnalazioni raccolte nella “List”, è intitolata “La mia professione”. Uno sguardo in rassegna, ai principali temi trattati nei testi commentati evidenzia i contorni della “mia professione”. Per convenienza espositiva si possono raccogliere i predetti temi in alcuni gruppi pur precisando che gli stessi temi (la qual cosa è molto bella) si avvicendano nella sequenza delle recensioni senza un ordine per così dire epistemologico, poiché l'intento della rubrica era di arricchire, di suggerire approfondimenti, casi di vita e anche curiosità con un fare partecipe e simpatico piuttosto che teoretico. Anzitutto ampio spazio è dedicato alla formazione dell'avvocato ed alla deontologia forense, alla verità e all'autenticità dell'azione di magistrati ed avvocati, alla descrizione di giudici che sono stati esempi di tali valori. Quindi l'interesse si sofferma su aspetti che possono descrivere la giustizia “nel suo farsi completo”: la giurisprudenza, le manchevolezza del processo, gli errori giudiziari, la psicologia applicata alle problematiche giuridiche, gli strumenti logici ed operativi per la ricostruzione di verità processuali, quali il concetto di probabilità. A fianco ai richiamati aspetti di pratica, sociologia ed antropologia giuridica, si trovano poi commenti a specifici istituti normativi: il nuovo processo penale, il diritto a tutela dell'ambiente, la responsabilità civile, la nozione di danno ed altro ancora. Nè mancano approfondimenti di filosofia del diritto concernenti in particolare i principi fondamentali del diritto e lo Stato di diritto, il primato della legge, l'uguaglianza dei diritti, l'elogio della democrazia, la tutela dei diritti inalienabili dell'uomo, la falsità della guerra, il rapporto fra governati e governanti, la nozione di potere, l'equità. Ed ancora si trovano spunti quasi di filosofia analitica del diritto riferiti al linguaggio normativo ed al discorso dialettico. E fin qui si sarebbe trattato di un'inventario di questioni che appartengono al consueto e necessario interesse dello studioso del diritto. Ma “La mia professione”, la professione di Remo Danovi, va oltre, si nutre di problemi e momenti di vita di carattere comune e per ciò stesso (nella accezione aristotelica), universale: la ricerca della felicità, il rinnovo della realtà morale, la civiltà, la memoria della storia, della cultura dei libri; la sapienza, l'educazione classica, la moderazione e la virtù, la scrittura, il mondo, la fantasia, lo spazio, il tempo, l'architettura dei luoghi di vita, l'anima ed il corpo, la leggenda, il mito, l'utopia della società ideale, la speranza. Questo pare essere il vero contributo delle segnalazioni letterarie di Remo Danovi: l'aver cioè fatto intendere che “La Professione” è un impegno civile che si fonda sulla cultura più ampia, sulla moralità, sulla speranza del miglioramento etico civile, politico e sociale, poiché, vivere come “Atlante che sorregge il mondo” è meglio che fuggire l'impegno e l'azione a favore della “leggerezza dell'essere” (Arianna Sansone).