La successione nei dati personali e nei beni digitali

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La successione nei dati personali e nei beni digitali
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA SARDEGNA, Sez. II, 18 febbraio 2013 — SCANO Presidente — ARU
Estensore – M.I.C. (avv.ti Torre e Casu) c. ASL 1 Sassari.
Accesso agli atti e documenti amministrativi - Documenti recanti
dati sensibili di un terzo - Ammissibilità dell’accesso - Condizioni - Necessità di conoscere i documenti al fine di valutare
la sussistenza dei presupposti per proporre un’azione giudiziale - Sussiste.
(L. 7 agosto 1990 n. 241, art. 22 ss.; d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196,
art. 60).
Accesso agli atti e documenti amministrativi - Richiesta della moglie divorziata di estrarre copia della cartella clinica dell’ex
marito risposatosi e poi deceduto - Ammissibilità della richiesta - Condizioni - Necessità di valutare la possibilità di domandare giudizialmente l’annullamento del secondo matrimonio per poi ottenere l’intera pensione di reversibilità - Sussite.
(L. 7 agosto 1990 n. 241, art. 22 ss.; d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196,
art. 60).
Nel bilanciamento tra la tutela della riservatezza e diritto di accesso ai documenti amministrativi, è da ritenersi che quando la conoscenza di un documento detenuto dall’amministrazione, benché recante dati sensibili di un terzo, costituisca, sulla base delle circostanze concrete, elemento decisivo per valutare la sussistenza dei presupposti per
la proposizione di un’azione giudiziaria, il diritto di accesso debba
avere prevalenza in ordine all’esigenza di tutela della riservatezza (1).
Qualora l’ex moglie di un soggetto che, dopo aver contratto con lei
matrimonio ed aver divorziato aveva contratto nuove nozze ed era poi
deceduto, presenti istanza di accesso ad una ASL per avere copia della
cartella clinica dell’ex marito (defunto) al fine di accertare se questi
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fosse capace di intendere e di voler al momento della prestazione del
consenso al secondo matrimonio – avvenuto due giorni prima del decesso – e motivi la richiesta con l’esigenza di valutare la possibilità di
proporre un’azione di annullamento dei detto matrimonio allo scopo di
vedersi poi riconosciuto il diritto all’intera pensione di reversibilità
(anziché ad una quota in concorso con il secondo coniuge dell’ex marito), l’ASL è tenuta a consentire l’accesso richiesto (2).
(Omissis). FATTO. — La sig.ra M. I. C. ed il sig. G. C. erano legati da vincolo matrimoniale celebrato a Sassari nel 1974, dal quale
sono nate 2 figlie.
Con sentenza del 1994, su loro concorde richiesta, il Tribunale
civile di Sassari dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio, disponendo, tra l’altro, a carico del padre e nell’interesse
delle minori, il versamento della somma mensile di L. 500.000, da
adeguarsi a cadenze annuali secondo gli indici ISTAT.
Nel 2011 il sig. G. C., cessava per pensionamento la sua attività
di dipendente, divenendo così percettore di pensione INPS.
Sennonché, in data 2012, il predetto G. C. decedeva.
La sig.ra C., titolare dell’assegno di mantenimento, presentava
all’INPS, per quanto di competenza, la domanda di pensione di reversibilità.
Con nota del 2012, tuttavia, l’Istituto previdenziale la informava della reiezione della sua domanda in quanto «… il suo ex coniuge aveva contratto nuovo matrimonio e pertanto lei potrà richiedere una quota della pensione rivolgendosi al Tribunale competente
per il divorzio».
In sostanza, per effetto dell’anzidetta nota dell’INPS, la sig.ra
C. dovrebbe adire le vie giudiziali per accertare la mera quantificazione della quota della pensione di reversibilità ad essa spettante in
concorso con la coniuge superstite del C.
La ricorrente, rilevando che le seconde nozze erano avvenute
appena 2 giorni prima del decesso del C., al fine di accertare la piena coscienza e capacità di intendere e di volere dall’ex marito al
momento della prestazione del consenso matrimoniale, presentava
istanza di accesso alla Asl n. 1 di Sassari al fine di estrarre copia della
sua cartella clinica relativamente all’ultimo ricovero, avvenuto presso
il Reparto di Oncologia dell’Ospedale Civile di Sassari nel 2012.
(1-2) La nota segue a p. 448.
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Sennonché, con l’impugnata nota n. PG/2012/0075906 del
2012, il Direttore dell’adito presidio ospedaliero, nella comparazione degli interessi coinvolti, respingeva tale richiesta nell’assunto che
le informazioni contenute negli atti di cui all’istanza di accesso riguardavano dati relativi alla salute di un terzo, per i quali doveva ritenersi prevalente il diritto alla riservatezza.
Avverso tale provvedimento la sig.ra C. ha proposto il ricorso
in esame, lamentando che la necessità di conoscere le effettive condizioni di salute dell’ex marito al momento della celebrazione del
secondo matrimonio concerneva il suo diritto alla pensione di reversibilità, a tutela del quale si sarebbe potuta configurare un’azione giudiziaria volta a dimostrare l’invalidità del secondo matrimonio contratto dall’ex coniuge.
Di qui la richiesta di accoglimento della sua domanda di accesso, con annullamento dell’impugnato diniego e vittoria delle spese.
L’azienda USL n. 1 di Sassari non si è costituita in giudizio.
Alla camera di consiglio del 13 febbraio 2013, nessuno comparso per le parti, la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO. — La sig.ra C., intendendo accertare, a tutela delle
sue prerogative patrimoniali, la sussistenza delle condizioni per ottenere, con azione giudiziaria, in relazione alla possibile incapacità
a prestare un valido consenso, la declaratoria di nullità del matrimonio contratto dal suo ex coniuge in limine mortis, ha chiesto all’ASL n. 1 di Sassari, presso il cui Ospedale civile, reparto di Oncologia il coniuge era stato ricoverato, di accedere, mediante presa visione ed estrazione di copia, alla cartella clinica dell’ultimo suo ricovero, avvenuto nel giugno 2012.
Come esposto in narrativa, con l’impugnata nota n. PG/2012/
0075906 del 2012, il Direttore dell’adito presidio ospedaliero, nella
comparazione degli interessi coinvolti, ha respinto tale richiesta
nell’assunto che le informazioni contenute negli atti di cui all’istanza di accesso riguardavano dati relativi alla salute di un terzo, per i
quali doveva ritenersi prevalente il diritto alla riservatezza.
Il ricorso proposto dalla sig.ra C. avverso tale diniego merita
tuttavia accoglimento.
Non è superfluo premettere che, per giurisprudenza pacifica,
condivisa dal Collegio, non spetta alla P.A. che detiene la documentazione cui accedere di diliberare la fondatezza della pretesa sostanziale per la quale occorrano tali atti, o sindacare sulla loro utilità ef-
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fettiva, giacché, quand’anche siano implicate conoscenze su dati
sensibili, il diritto d’accesso è conformato dalla legge per offrire al
titolare poteri autonomi volti ad implementare l’esperimento di
mezzi di tutela di un interesse giuridicamente rilevante (cfr., da ultimo, Cons. St., IV, 22 maggio 2012, n. 2974).
Ed invero, il limite di valutazione della P.A. sulla sussitenza
d’un interesse concreto, attuale e differenziato all’accesso, che è
correlativamente pure il requisito di ammissibilità della relativa
azione, si sostanzia nel solo giudizio estrinseco sull’esistenza di
un legittimo bisogno differenziato di conoscenza in capo a chi richiede i documenti, purché non preordinato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato di chiunque sull’azione amministrativa (espressamente vietato dall’art. 24, comma 3° della l. 241/
1990).
Nel caso di specie, peraltro, come sopra evidenziato, la richiesta della ricorrente ha incontrato esito negativo presso l’amministrazione sanitaria sotto il profilo dell’esigenza di tutelare la riservatezza del sig. C., ritenuta prevalente rispetto all’esigenza della
sig.ra C. di acquisire conoscenza della richiesta di documentazione
medica.
La materia dei rapporti tra tutela della riservatezza e diritto di
accesso è stata – e continua ad essere – al centro del dibattito dottrinario nonché oggetto di ripetuti pronunciamenti giurisprudenziali, tesi tutti all’individuazione di un punto di equilibrio tra le
due contrapposte esigenze, soprattutto allorché nella fattispecie siano coinvolti dati supersensibili come quello alla salute.
In tali casi, come noto, il legislatore limita l’accesso alle sole
ipotesi in cui esso sia necessario a garantire una situazione giuridicamente rilevante di rango almeno pari ai diritti dell’interessato ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto
o libertà fondamentale e inviolabile.
Orbene, tale bilanciamento fra posizioni giuridiche contrapposte va condotto tenuto conto delle possibilità che il sistema consente di tutelare in concreto i propri diritti fondamentali, nel senso
che la tutela dei dati «supersensibili» può essere vinta solo quando
risulti provato in concreto che la loro acquisizione da parte di un
terzo è assolutamente indispensabile al fine di tutelare un suo diritto fondamentale.
Nel caso di specie il diritto contrapposto alla privacy che viene
in rilievo è quello di agire in giudizio per la tutela dell’interesse a
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veder dichiarato, per non subire decurtazioni nella quota di reversibilità spettante, l’annullamento del vincolo matrimoniale contratto
dall’ex coniuge due soli giorni prima della morte.
Va detto che nella giurisprudenza amministrativa si è recentemente affermato l’orientamento secondo cui, trattandosi di acquisire dati cosiddetti «supersensibili» di un terzo, non è sufficiente allegare quale interesse l’intenzione di proporre un’azione giudiziaria
finalizzata all’annullamento del vincolo matrimoniale.
Si afferma, infatti, che la particolare protezione che l’art. 60
d.lgs. n. 196 del 2003 accorda ai dati in materia di salute personale
sarebbe resa vana se fosse sufficiente a vincerla la semplice (e sempre revocabile) intenzione di proporre un’azione giudiziaria da parte del richiedente.
E si conclude che per vincere la particolare tutela accordata
alla riservatezza dei dati supersensibili (in materia sanitaria e sessuale) occorra quanto meno che il giudizio sia stato promosso e
che il richiedente dimostri che gli strumenti processuali (ivi compreso il potere istruttorio del giudice) non siano sufficienti a garantire il diritto della parte di tutelare in giudizio la propria posizione.
Il Collegio, in linea di massima condivide tale orientamento,
ma ritiene, che in talune particolari fattispecie, tra le quali non
può non farsi rientrare quella in esame, la soglia della tutela dell’interesse del richiedente debba arretrarsi fino al momento – antecedente alla proposizione dell’azione giudiziaria – nel quale
debbono valutarsi gli estremi della sussistenza dei presupposti per
il suo inizio.
Opinando diversamente, infatti, si obbligherebbe il cittadino a
proporre un’azione giudiziaria sostanzialmente «al buio», esponendolo, oltretutto, al rischio di una soccombenza processuale con addebito delle spese.
Nella specie, in particolare, anche a prescindere da ogni valutazione in ordine alle argomentazioni contenute in ricorso circa l’affievolimento alla riservatezza di un soggetto deceduto, l’esercizio
del diritto di tutela giurisdizionale – di rango costituzionale – resta
necessariamente condizionato dal possesso della specifica documentazione sanitaria inerente al coniuge e detenuta dal servizio sanitario pubblico.
Deve pertanto ritenersi che quando la conoscenza di un documento detenuto dall’amministrazione, benché recante dati sensibili
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di un terzo, costituisca sulla base delle circostanze concrete elemento decisivo in ordine alla possibile proposizione di un’azione giudiziaria, il diritto di accesso debba avere prevalenza in ordine all’esigenza della tutela della riservatezza.
Di qui l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del provvedimento impugnato, con ordine all’ASL n. 1 di Sassari di consentire
l’accesso richiesto previo pagamento dei diritti di copia. (Omissis)
(1-2) La successione nei dati personali e nei beni digitali.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I dati condivisi. – 3. Dati personali post-mortem.
1. Premessa. – La decisione in oggetto evidenzia in modo lampante la deriva
patologica che ha ormai assunto la disciplina dei dati personali, soprattutto nella
sua applicazione da parte della p.a.
Patologia cui ha, opportunamente, posto rimedio, nel caso in esame, il TAR
della Sardegna.
Sul principio enunciato – e cioè sulla preminenza del diritto di agire e difendersi in giudizio rispetto alla protezione dei dati personali – la giurisprudenza
civile si è pronunciata ripetutamente, ci si augura in maniera definitiva (1). Anche perché molti dei casi affrontati hanno evidenziato – per usare un termine assai di moda – un abuso del diritto da parte dell’interessato per paralizzare il ricorso al giustizia e, spesso, per nascondere il lamentato illecito sotto l’«invisibility
cloak» della privacy.
Ma la decisione in oggetto sollecita un commento non tanto sulla ratio decidendi espressa nelle massime, quanto su un punto non espresso e su un obiter dictum.
2. I dati condivisi (2). – Il caso in esame fa comprendere come i dati raramente siano «personali», nel senso che attengono ad un unico soggetto. La cate(1) Da ultimo le sentenze gemelle Cass., SS.UU., 8 febbraio 2011, n. 3033 e 3034 secondo cui «La disciplina in materia di trattamento dei dati personali posta a tutela dell’interesse alla
riservatezza dei dati personali è derogabile quando il relativo trattamento sia esercitato per la difesa
di un interesse giuridicamente rilevante e nei limiti in cui ciò sia necessario per la tutela di quest’ultimo interesse». In precedenza v. Cass., sez. lav., 7 dicembre 2004, n. 22923 (in materia di produzione di documenti); Cass., sez. I, 15 maggio 2008, n. 12285 (sempre in tema di produzione di documenti); Cass., sez. lav., 7 luglio 2008, n. 18584 (in tema di deposizione in giudizio);
Cass., Sez. III, 11 febbraio 2009, n. 3358, secondo cui, espressamente, «l’esercizio del diritto di
difesa prevale rispetto a quello alla riservatezza». Cass., sez. lav., 30 giugno 2009, n. 15327 (in
tema di divulgazione di dati); Cass., sez. lav., 5 agosto 2010, n. 18279, secondo cui il diritto di
difesa è «inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost., comma 2°), [e] non può
incontrare nel suo esercizio ostacoli ed impedimenti».
(2) Ho cercato di sviluppare il tema in La «comunione» dei dati personali. Un contributo
al sistema dei diritti della personalità, in Dir. inf., 2009, p. 5.
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goria dei dati personali è stata costruita seguendo l’archetipo dei diritti della personalità: è ovvio che il nome, l’immagine, l’identità personale, la reputazione
fanno capo ad un solo soggetto. Se ciò non accade, o manca la legittimazione,
oppure siamo di fronte a casi di usurpazione o appropriazione.
Con riguardo ai dati – nella misura in cui essi attengono non solo all’essere
del soggetto, ma anche al suo fare – essi sono rappresentativi di situazioni non
isolate bensì relazionali.
Nella sua manifestazione più comune – si pensi solo ad un rapporto contrattuale – i diritti e gli obblighi delle parti sono inscindibilmente connessi e non
possono essere atomizzati: il pagamento fatto da Tizio a Caio non è un dato di
Tizio o di Caio bensì di entrambi.
Ma anche taluni dati apparentemente personalissimi (e «supersensibili»,
come li qualifica la sentenza) presentano caratteristiche simili: si pensi solo allo
stato di paternità/filiazione (3), oppure al DNA che riguarda un soggetto ma anche i genitori, i parenti, i figli i quali hanno, dunque, diritti di pari livello potenzialmente in conflitto (4).
Nel caso preso in esame dalla sentenza, il rapporto di coniugio, nella misura
in cui, nonostante il divorzio, non aveva esaurito i suoi effetti, produceva dati
comuni ad entrambi i soggetti, così come il decesso di uno dei soggetti era suscettibile di far espandere ovvero restringere i diritti del superstite.
In concreto, mentre con riguardo alle cartelle cliniche del defunto la loro accessibilità da parte dell’ex coniuge poteva fondarsi non solo per quanto si dirà infra, ma anche attraverso la prevalenza del diritto di cui all’art. 24 Cost., con riguardo agli altri dati, rilevanti ai fini previdenziali, essi erano comuni alla ricorrente in
quanto attinenti al proprio rapporto di coniugio e ai diritti da esso derivanti.
Tale circostanza impone la elaborazione di una appropriata teoria della comunione dei dati personali, nella quale gli interessi dei comunisti possono essere con(3) V. BUTTARELLI, Banche dati e tutela della riservatezza. La privacy nella società dell’informazione, 1997, p. 167 («talune informazioni facilitano l’identificazione anche quando non riguardano direttamente l’interessato ed attengono ad un diverso soggetto legato al primo da una particolare legame (ad esempio, in base a rapporti di famiglia)».
(4) V. D’ANTONIO, I dati genetici, in CARDARELLI-SICA-ZENO ZENCOVICH (a cura di), Il codice dei dati personali. Temi e problemi, 2004, p. 351 («L’individuo da proprietario assoluto diviene semplice comproprietario del dato genetico o addirittura mero fiduciario di un lascito generazionale», ivi, p. 352). Ed in effetti vedi la decisione del Garante per la protezione dei dati personali
22 maggio 1999 relativa all’accesso della figlia ai dati genetici del padre. Secondo il Garante
«Qualora l’interessato neghi il consenso o rimanga inerte, l’ospedale universitario potrà acquisire,
nell’interesse della richiedente, i dati sanitari del genitore presso l’ospedale civile dove sono custoditi,
anche in assenza del consenso di quest’ultimo, sulla base del citato articolo 23 e dell’autorizzazione
generale del Garante n. 2/1998. L’accesso ai dati sanitari del padre della richiedente appare giustificato dall’esigenza di tutelare il benessere psico-fisico della stessa e tale interesse può, nella circostanza
in esame, comportare un ragionevole sacrificio del diritto alla riservatezza dell’interessato». Per i
commenti v. RODOTÀ (estensore del provvedimento), Tra diritto e società. Informazioni genetiche
e tecniche di tutela, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 571 (in part. p. 588 ss. ove si esaminano le
conseguenze derivante dalla classificazione dei dati genetici come «strutturalmente condivisi»);
ANNECA, Il trattamento dei dati genetici, in PANETTA (a cura di), Libera circolazione e protezione
dei dati personali, I, 2006, p. 1138 ss.).
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vergenti – ed allora occorre fissare criteri sostanziali di legittimazione ad agire e criteri processuali in ordine a contraddittorio e litisconsorzio – oppure sono antagonistici, ed allora occorre individuare le regole per il loro bilanciamento, stabilendo
quando e fino a che punto un comunista possa prevalere su (e contro) un altro.
In generale laddove l’utilizzo dei dati sia funzionale, in misura non emulativa, all’esercizio di un diritto è evidente che il diniego equivale a una inibizione
fattuale scarsamente compatibile con il nostro ordinamento.
3. I dati personali post-mortem. – La seconda questione – quella che i dati
appartenevano ad una persona deceduta – è solo accennata dalla sentenza, che ha
ritenuto di decidere poggiando sul principio di prevalenza dell’art. 24 Cost. Ma
sia con riguardo al caso concreto che in termini generali il punto è di notevole
importanza. Nel caso affrontato dalla sentenza, la domanda semplificata al massimo è: chi può esercitare dei diritti sulle cartelle cliniche del defunto? Diventano adespote? Cadono in successione? È possibile che vi si applichino regole particolari? Oppure che siamo affidate ad un esecutore (in senso atecnico) designato
dallo stesso defunto (5)?
È facile allargare la riflessione dalle cartelle cliniche a tutti gli infiniti dati che
ciascun soggetto dissemina sulla rete. Cosa succede dopo la morte dell’interessato?
a) La risposta al quesito deve partire dall’art. 9, comma 3°, secondo cui «I
diritti di cui all’articolo 7 riferiti a dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o
per ragioni familiari meritevoli di protezione» (6).
Dunque tali soggetti possono ottenere:
I. L’accesso ai dati detenuti;
II. L’aggiornamento, la rettificazione ovvero la integrazione dei dati;
III.La cancellazione, l’anonimizzazione o il blocco «dei dati trattati in violazione di legge» ivi compresi quelli «di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati» sono stati raccolti o trattati;
IV. La cessazione del trattamento anche di dati pertinenti, ovvero dell’utilizzo a fini di comunicazione commerciale.
La formula utilizzata dall’art. 9, comma 3°, riprende, e fonde, quelle utilizzate dal codice civile e dalla legge sul diritto d’autore in materia di nome, di corrispondenza epistolare e di diritto morale.
Nella esperienza concreta dell’art. 9 (ed il suo precedente disposto dell’art. 13
l. 675/96 (7)) è stato ampiamente applicato con riguardo al diritto all’accesso (8), il
che di per sé darebbe risposta alla domanda di giustizia posta al TAR.
(5) Il riferimento obbligato è a RESTA, Autonomia privata e diritti della personalità, 2005,
p. 375 ss.; in precedenza, volendo, v. ZENO-ZENCOVICH, Profili negoziali degli attributi delle personalità, in Dir. inf., 1993, p. 545.
(6) In generale i commenti sul punto sono assai scarni: v. NERVI, I diritti dell’interessato,
in CUFFARO-D’ORAZIO-RICCIUTO, Il codice del trattamento dei dati personali, 2007, p. 73.
(7) Anche in questo caso – nonostante la formula ancor più ampia e generica – i commenti
sono assai limitati: v. RISTUCCIA, sub art. 13, in GIANNANTONIO-LOSANO-ZENO ZENCOVICH, La tu-
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È tuttavia evidente che dopo la morte del soggetto i dati non sono più «personali», ma seguono un percorso ormai disgiunto dall’originario interessato. Fino
a che punto le ragioni che hanno imposto la minuziosa e casuistica disciplina del
«Codice della privacy» si impongono ancora? In fondo essa si fonda sull’idea della «autodeterminazione informativa», ma può questa valere anche per il defunto?
b) Le domande poste sono di particolare attualità con riguardo alla possibilità che il defunto deleghi un soggetto alla gestione post mortem dei suoi dati.
L’espressione «agisce a tutela dell’interessato» offre diverse letture.
Sicuramente comprende il soggetto designato all’uopo in un testamento, sia
egli erede, legatario o esecutore.
Deve tuttavia chiedersi se possano valere nel nostro ordinamento gli atti,
elettronici, frequentemente messi a disposizione dagli operatori che offrono
servizi e spazi informatici/telematici, con i quali il titolare di un indirizzo di
posta elettronica, di un «profilo» su un «social network», di un archivio di documenti o immagini può indicare chi ne abbia la disponibilità dopo la sua
morte (9).
Si tratta di mandati post-mortem (10)? La questione si offre a numerosi dubbi, il primo dei quali riguarda la natura patrimoniale o non patrimoniale dei
beni digitali di cui si intende disporre. Costituisce infatti opinione diffusa tanto
in dottrina (11) quanto in giurisprudenza che nella prima ipotesi la disposizione
avrebbe natura di patto successorio (e dunque vietato ex art. 458 c.c.), mentre se
tela dei dati personali. Commentario alla L. 675/1996, II, 1999, p. 178: PARDINI, sub art.13, in
BIANCA-BUSNELLI, Tutela della privacy, in Nuove leggi civ. comm., 1999, p. 420.
(8) Fra le decisioni più recenti del Garante v. i provvedimenti dell’8 novembre 2012 (doc.
web n. 2273401); 25 ottobre 2012 (doc. web n. 2248166); 4 ottobre 2012 (doc. web n. 2091885);
12 luglio 2012 (doc. web n. 2069521).
(9) Ad esempio, Google offre un servizio definito «Gestione account inattivo» con le seguenti indicazioni:
«Che cosa vuoi fare di foto, email e documenti quando smetti di utilizzare il tuo account?
Google ti consente di decidere.
Potresti scegliere di condividere i tuoi dati con un amico o un familiare fidato oppure potresti scegliere di eliminare completamente il tuo account. Sono molte le situazioni che potrebbero impedirti di accedere o di utilizzare il tuo account Google. Qualunque sia il motivo, ti offriamo la possibilità di decidere cosa fare dei tuoi dati.
Con Gestione account inattivo puoi decidere se e quando il tuo account deve essere trattato come inattivo, ciò che accade ai tuoi dati e chi viene informato».
(10) Obbligato e dovuto il riferimento a LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, in
Trattato Cicu-Messineo, XXXII, 1984, p. 125 ss. secondo cui il mandato post mortem è lecito
purche non si ponga in contrasto con norme imperative.
(11) Ex multis v. IRTI, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, 1967, p. 226
(che ritiene la figura inammissibile al di fuori del testamento); AZZARITI, Le successioni e le donazioni, 1982, p. 604 (in generale contrario alla figura); GENGHINI-CARBONE, Le successioni per
causa di morte, I, 2012, p. 68 ss. (nettamente contrari in generale alla figura in applicazione del
principio mandatum morte finitur); assai più articolata e approfondita, con frequenti distinzioni fra le diverse ipotesi, PALAZZO, Le successioni, I, II ed., 2000, p. 51 ss.
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vi si attribuisce un valore eminentemente morale il divieto non varrebbe (12). Occorre dunque verificare, di volta in volta, quale sia la natura dei beni digitali oggetto del mandato. Ma occorre anche tenere conto che la disposizione con la quale il
Codice della privacy legittima taluni soggetti ad esercitare i diritti di cui all’art. 7,
non costituisce una investitura di titolarità. In altri termini i soggetti – e già la loro
molteplicità dovrebbe mettere sull’avviso – da quella norma menzionati non possono configurarsi quali successori ope legis nei dati personali del de cuius.
Va poi considerata la questione della forma utilizzata (13). Sembrerebbe doversi escludere – anche in relazione alla diffusione del fenomeno e al modesto, in
genere, valore economico dell’oggetto dell’incarico – che possano essere richieste
forme vincolate o addirittura solenni. In questi casi appare evidente il favor mandantis, le cui ragioni eminentemente o prevalentemente morali appaiono da privilegiare.
Peraltro, è bene chiarire, il mandato post-mortem non implica di per sé attribuzione dei beni (in questo caso, digitali) al mandatario: l’incarico potrebbe infatti essere quello di cancellazione (14).
Solo se e quando i beni digitali assumessero un particolare valore economico e l’incarico potesse configurarsi come mandato anche nell’interesse del mandatario (15) potrebbero sorgere interferenze con le vicende più strettamente successorie (16).
c) L’esperienza pratica, tuttavia, sta mettendo in luce nuove, e finora impensate, ipotesi: il mandatario non è una persona fisica ma un operatore il quale riceve l’incarico di «mantenere in vita» il profilo del defunto, mandando messaggi,
rispondendo a richieste, simulando una esistenza ultra-terrena. In sostanza si effettua post mortem quello che normalmente effimere celebrità dello spettacolo o
(12) Il punto è approfondito in particolare da GRADASSI, Mandato post mortem, in Contratto e Impresa, 1990, p. 827 (in particolare p. 844 ss., ove riferimenti alle ipotesi dell’opera
dell’ingegno e della corrispondenza epistolare); v. pure CARNEVALI, Negozio fiduciario e mandato
post mortem, in Giur. comm., 1975, II, p. 694 secondo cui il mandato post mortem sarebbe valido «tutte le volte in cui ha per oggetto beni che non appartengono all’asse ereditario».
(13) Cass. civ., 29 aprile 2006, n. 10035 nello stabilire che «L’atto di iscrizione a società di
cremazione costituisce mandato oneroso post mortem, lecito e vincolante per gli eredi» risolve la
questione prendendo atto della cirostanza che la adesione con richiesta di cremazione era stata
firmata ed autenticata, e che era stata adeguatamente motivata la tesi che si doveva equiparare
l’atto ad un testamento olografo. Sempre con riferimento a vicende funerarie v. Tribunale Palermo 16 marzo 2000, in Contratti, 2000, p. 1101 (con nota di BONILINI, Una valida ipotesi di
mandato post mortem) e in Giust. civ., 2001, I, p. 540, secondo cui «È valido il mandato, che
debba essere eseguito dopo la morte del mandante, avente ad oggetto la tumulazione delle spoglie
mortali di questi, anche in difformità della sepoltura attuata dal coniuge superstite del mandante
medesimo».
(14) Per questo non appare applicabile la disciplina delle liberalità c.d. non negoziali su
cui v. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, 1996, p. 195 ss.
(15) V. NANNI, Estinzione del mandato, in Comm. Scialoja-Branca, sub art. 1722, Bologna-Roma, 1994, p. 127.
(16) V. Cass. civ., 25 marzo 1993, n. 3602.
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dello sport fanno in vita dando incarico ad un soggetto di rispondere ai messaggi
dei «fans». È evidente che in questo caso non può applicarsi la disciplina dei dati
personali – quanto post mortem creato non pertiene alla personalità del defunto –
e tuttavia fa sorgere un ipotetico conflitto con eventuali opposte ragioni degli
eredi del defunto i quali potrebbero opporsi, per ragioni religiose o di decoro,
alla attività dall’oltretomba del loro dante causa. Lo scenario che potrebbe presentarsi – degno della migliore tradizione della commedia napoletana – è quello
fra la corretta esecuzione del mandato conferito in vita e la «gestione» della identità del defunto da parte dei familiari e degli eredi.
In ogni caso si può dire che le nuove tecnologie digitali se forse non spostano in là la scomparsa della persona, certamente infondono nuova vita agli studi
sulla successione.
VINCENZO ZENO-ZENCOVICH