PICCOLA NEVE

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PICCOLA NEVE
PICCOLA NEVE
di Marco Codognotto
Copyright 2014 by Marco Codognotto
Smashwords Edition
Smashwords Edition, Licenza d’uso
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altre opere di questo autore. Grazie per il vostro sostegno.
Ogni riferimento a persone è puramente casuale
L’immagine di copertina è tratta da Panoramio on http://static.panoramio.com/photos/original/7298624.jpg
(con il permesso dell’autore Christoph Rehage)
PREMESSA
La peculiarità di questo romanzo è il non aver avuto una trama fissa durante la stesura, come invece
avviene per la maggior parte dei testi, esclusi i diari. Ho deciso di non rimanere legato ad uno
schema fisso e ad una trama preordinata, bensì di scrivere giorno per giorno e senza aver la minima
idea di come potesse essere l’epilogo.
In più questa soluzione mi avrebbe consentito di descrivere le scene con precisione realistica ed in
“tempo reale” con estrema accuratezza.
Uso descrivere accuratamente perché voglio rendere il romanzo come un film: il lettore non deve
immaginare a modo suo l'ambiente e i personaggi, ma li deve vedere esattamente come li vedo io.
In un film non si percepisce solo la voce dei dialoghi, ma anche le inquadrature, la scenografia, le
luci, ecc... che nel romanzo possono essere realizzate solo con una accurata descrizione,
coinvolgendo tutti i cinque sensi. A renderla ancora più efficace, i luoghi esistono davvero, così
come esistono davvero le condizioni meteorologiche: ad esempio, se scrivo che a Dengqu il primo
giorno di Xiaoman pioveva e la temperatura era di 19° C, sicuramente il 21 maggio 2009 in un
paese che esiste davvero e che davvero si chiama Dengqu, veramente c'era la pioggia e facevano
19°C !
Oppure se scrivo che sulla strada G108 a trecento metri da Yanli su un muro a destra v’è la scritta
Baiyunshan e un numero di telefono con prefisso 0357, è sicuramente certo che tutto ciò
corrisponda alla realtà. La collocazione temporale è esatta.
Il silenzio è una costante in ogni descrizione e nella lettura del romanzo.
Uno degli scopi di questo romanzo è sottolineare il concetto di "deserto" esterno, cioè l'assenza di
suoni (ad eccezione del vento e dell'acqua) dovuta all’assoluta assenza di persone e animali. Il
“deserto” è anche interno: il lettore deve provare dall'inizio alla fine un senso di "deserto" e di
"naturale" (non "ovvio") ove riconoscersi.
Il mistero che aleggia su Linfen e sulla sparizione delle persone è solo un pretesto per far viaggiare i
personaggi da un luogo all'altro, e più che un viaggio esteriore è un viaggio interiore.
Piccola Neve non è un romanzo d’amore. La stessa parola compare solo sette volte e non tutte si
riferiscono ai protagonisti.
L’amore fra Marco e Xiaoyu, fra un uomo e una donna, è meramente una parte del mondo, della
vita, come lo sono le nubi, i silenzi, il freddo.
L’amore è quel sentimento che accomuna silenzi e deserti dell’anima nella piena consapevolezza
della vita.
Per quanto riguarda i personaggi, Jack/Marco sono io, nulla è inventato in lui. Io sono il romanzo
che ho scritto. In Piccola Neve c’è tutto me stesso. Sogni, speranze, desideri, stati d’animo, pensieri,
sentimenti: tutto; mentre Xiaoyu, al contrario di quanto si possa pensare, non è la mia donna ideale
ma è il mio alter ego.
Durante la stesura del romanzo sono stato particolarmente attento alle simmetrie. La tecnica della
ripetizione di parte di un paragrafo all’interno dello stesso o di un altro mi è utile per aumentare
l'effetto di una situazione particolare quando mi mancano le parole o per rievocare una scena.
Infine, le note. Ho pensato di aiutare il lettore a comprendere meglio il testo, la collocazione dei
luoghi e il significato di alcune parole cinesi con delle note descrittive, accompagnate sempre dalla
corretta pronuncia traslitterata nell’alfabeto italiano.
Consiglio vivamente di leggere gli Approfondimenti in chiusa al romanzo, per meglio comprendere
i significati più profondi.
Potete accedere a materiale multimediale (blog, contenuti, file per visualizzare i luoghi con Google
Earth ©, commenti, suggerimenti e tutte le foto dei luoghi scattate da Christoph Rehage e da me,
ecc…) gratuitamente all’indirizzo: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/piccolanevexiaoxue/info
PICCOLA NEVE
Xiàoxuè
Dalla finestra
ho visto cadere
leggeri fiocchi di neve.
E' così lieve
la traccia delle ruote
del carro e perdere
se stessa fra le vuote
curve della strada maestra.
(...)
Xiàoxuè1.
Non credevo facesse così freddo. Avevo le dita dei piedi e delle mani ghiacciate, che mi facevano
male come se me le avessero schiacciate. Camminavo a fatica, con i muscoli delle gambe irrigiditi.
Anche la punta del naso non sentivo più. L’aria fredda che saliva dalle narici scendeva fino ai
bronchi, pizzicandoli. Di tanto in tanto con un gesto delle labbra dirigevo il fiato caldo verso il naso,
oppure tra la camicia e lo sterno per scaldarmi un poco. Gli occhi erano freddi e secchi, ed ogni qual
volta stringevo le palpebre per umettarli li sentivo scottare.
Respiravo, ma non percepivo alcun odore: l’aria era priva di essenza ma dava l’impressione d’esser
solida come un immenso cubo di ghiaccio secco.
Non un suono giungeva ai miei orecchi. Pareva di essere avvolto in un ciuffo di cotone.
Davanti a me si estendeva un campo di neve bianca, uniforme come la superficie di un batuffolo di
ovatta. Quel colore però poco si distingueva dal grigio chiaro, anch’esso uniforme, della foschia
mattutina. Sì, era mattina: lo sapevo solo per aver guardato l’orologio poc’anzi. Infatti ogni cosa
immersa in quel paesaggio latteo non produceva ombra alcuna. Avanzavo a lenti passi attraverso i
campi della campagna di Xiawu2 in mezzo ad un frutteto appena piantato. I bordi del sentiero erano
idealmente segnati da due filari di alberelli, piantati lì come si conficcano secchi rametti nella
sabbia. Erano curiosamente piegati verso di me, tetri e silenziosi. La neve non si era fermata sui loro
esili rami verticali, ma lo aveva fatto nel frutteto di vecchi peri più avanti sulla mia sinistra, separato
da un fosso di irrigazione. Qua e là fra la neve spuntavano piccole scure piantine di chissà quali
erbe, stecchi che non si erano piegati sotto la coltre, nemmeno tanto spessa, di neve.
I lati del sentiero parevano che si restringessero mano mano che il mio sguardo s’allontanava. Di
lontano, sulla mia destra, scorgevo fra la nebbia leggera una fila di alberi a guardia di qualche fosso,
ed ancor più lontano un traliccio dell’alta tensione ma non i suoi fili.
Osservai meglio: una sagoma umana, snella, procedeva davanti a me circa cento metri barcollando.
Aumentai la velocità del mio passo per raggiungerla. Quando fui a metà della distanza la vidi
cadere in ginocchio. In breve tempo la raggiunsi.
A carponi, con le mani quasi più chiare della neve, le dita intirizzite e immobili, il capo scoperto,
con indosso un solo maglione di cotone e dei jeans, stava ai miei piedi una ragazza.
Occhi a mandorla scuri e fluenti capelli neri sui quali si erano posati piccoli fiocchi di neve. Uno
d’essi le attraversava la gota arrossata e si era attaccato al labbro inferiore. Dalla bocca semiaperta
due grandi incisivi erano a tratti obliterati da nuvole di vapore e fiato che si condensavano in
goccioline sulla punta del naso, alto e un poco lungo.
Tremava come una foglia al vento.
“Signorina! Signorina! Come si sente?”
Non aveva la forza di rispondere.
“Mioddio, è congelata. Su, venga qui, la scaldo io”
La aiutai ad alzarsi. Tolsi il mio braccio sinistro dalla manica del cappotto e aiutai quella poverina a
infilarvi dentro il suo. Col suo braccio destro sotto il giubbotto mi strinse il fianco e quand’ebbi
chiuso un poco l’indumento avvertii che le sue sottili dita dell’altra mano si erano delicatamente
appoggiate sulle costole del mio petto. Era di statura più bassa di me, cosicché la mia bocca sfiorava
i suoi capelli solleticandomi un poco il naso. Inspirai. Quasi avevo paura di farle male se avessi
respirato più forte, o normalmente. Avvertii un profumo di fiori di ciliegio, delicato.
Mai in vita mia una fragranza sì dolce aveva toccato il mio cuore.
***
***
***
Ci riparammo ai piedi di quel traliccio dell’alta tensione che vidi dapprima in lontananza.
Ci sedemmo, rimanendo abbracciati. Ella non parlava. Se ne stava fra le mie braccia a capo chino.
Mi presentai.
“Io mi chiamo Jack. Sono italiano. Scusa se parlo il cinese non troppo bene...”
Mi rispose con una vocina flebile.
“Il mio nome è Guan Xiaoyu3. Vengo da Houma4 e devo raggiungere Linfen5”
“Io sono partito oggi da Xiawu e devo dirigermi anch’io a Linfen. Sono in Cina per lavoro, abito a
Quwo6. Non dovevo partire con questo tempo, ma per fortuna sono partito ugualmente. Tutta la
mattina che cammino ma non ho ancora visto anima viva. Se non ci fossi stato, tu... Ma che ci fai
sola in mezzo alla campagna, senza un vestito adatto?”
Rispose senza alzare il capo.
“Linfen... E tu? Niente bus o auto o treno?”
“Ho lasciato alle mie spalle una città deserta: luci spente, non un rumore, niente bus o treni. In
stazione la biglietteria era chiusa. Deve essere successo qualcosa...”
“Linfen”
Continuava a pronunziare quel nome, ma questa volta in tono affermativo, non evocativo. Come se
quel luogo fosse la causa di tutto quel deserto. Come se già sapesse.
Il freddo mi stimolò l’appetito.
“E’ meglio raggiungere la strada e incamminarci verso il prossimo centro abitato. Forse lì
troveremo di cui sfamarci”
Sollevò la testa e volse il suo sguardo verso me. I suoi occhi presero a sorridere, come pure
accennarono le sue labbra screpolate dal freddo.
“Andiamo!” disse.
Ci alzammo insieme e insieme riprendemmo il cammino verso la strada principale, quella che
doveva portarci verso Nord.
***
***
***
Raggiungemmo in breve la strada principale.
Il piano stradale era più elevato della campagna intorno. Lungo i fossi laterali si sviluppavano da
entrambi i lati due filari di alberi scheletrici, i cui rami principali erano chiaramente visibili in forte
contrasto col grigiore dell’aria, mentre i bronchi più sottili e numerosi apparivano sfumati e
disparivano. All’orizzonte anche i rami più grossi seguivano la stessa sorte di quelli minuti. Poi
tutto convergeva e spariva in un punto laggiù.
Le banchine erano uniformemente coperte di neve e non presentavano orma alcuna; procedendo
verso la mezzeria della strada si notavano lunghe tracce di autoveicoli, poi l’asfalto coperto da una
scivolosa paciuga nera.
Niente veicoli, niente rumore.
Dopo aver salito faticosamente la china, guardammo la via a destra e a sinistra, e poi ci guardammo
in volto entrambi. Mi assalì un senso di smarrimento e di paura. Anch’ella tremava, ma per il
freddo.
Da che parte proseguire? Ripensando al tragitto percorso da Quwo...
“Di là” disse, precedendo i miei calcoli.
“Camminiamo sulla neve fresca: eviteremo di scivolare” risposi.
Procedere abbracciati sotto un unico cappotto non è cosa facile, e camminare nella neve fresca e
spessa è faticoso. Ma non avevamo scelta.
Arrancavamo a zig-zag come due ubriachi.
Camminavo. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Neve bianca. Alberi neri. Silenzio. Aria fredda.
Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Le gambe, il seno, il volto, i capelli, il profumo di Xiaoyu.
Gli occhi mi dolevano.
Il profumo, i capelli, il volto, il seno, le gambe di Xiaoyu. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro.
Aria fredda. Silenzio. Alberi neri. Neve bianca. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Camminavo.
Ogni cinque minuti ci fermavamo a prender fiato per trenta secondi appena.
Non pensavo. Avevo solo quelle immagini nella mente. Null’altro.
Camminavo. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Neve bianca. Alberi neri. Silenzio. Aria fredda.
Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Le gambe, il seno, il volto, i capelli, il profumo di Xiaoyu.
Un casolare. A sinistra. Nei campi. Non molto distante.
“Un casolare! Guarda, Jack!” esclamò.
Anch’io guardai. Poi dissi:
“E allora? Ne incontreremo altri prima di raggiungere il prossimo paese. Coraggio: andiamo!”
Feci per proseguire, ma mi fermò.
“No. Andremo là”
“Ma se Licun è solo a quattro chilometri da qui!”
“Non ho più forze... Riposiamoci un po’ lì”
La guardai. Era pallida in volto e continuava a tremare. In quelle condizioni, pensai, quattro
chilometri avrebbero potuto peggiorare la sua salute.
“Hai ragione. E forse in quell’abitazione troveremo cibo e vestiti adatti per te”
“E un fuoco per scaldarci” aggiunse.
Scendemmo nel fosso al pie’ della strada e ci incamminammo verso la nostra nuova meta.
***
***
***
Più che un cascinale sembrava un ripostiglio.
Un vano unico e pochi mobili: un tavolo, una stufa, una cucina a gas, qualche elettrodomestico, due
letti su base di mattoni - i tradizionali kan - e una branda. C’era ancora un po’ di fuoco nella stiva
che stava esaurendosi.
Era tutto in ordine, pulito.
“Chissà chi ci abitava...” mi chiesi.
“Ormai, più nessuno” rispose Xiaoyu senza distogliere lo sguardo dagli oggetti perlustrati.
“E se dovessero ritornare?”
“Non ritorneranno più”
“Xiaoyu, cercati subito dei vestiti più pesanti. Io penserò a trovare qualcosa da mangiare”
“Va bene”
Quando abbandonò il mio abbraccio e il mio cappotto avvertii un senso di gelo, e mi parve che una
parte del mio corpo fosse stata sottratta da un invisibile chirurgo.
In quel momento compresi il motivo per il quale avrei voluto proseguire per Licun.
Mentre Xiaoyu sceglieva gli indumenti nel guardaroba, io aprii la porta di un piccolo frigorifero
bianco. Non v’era luce all’interno, ma non mi stupii: oltre alle persone, quel mattino era scomparsa
pure l’energia elettrica.
Che diavolo sarà successo a Linfen? - pensai, ma la risposta fu interrotta dalla vista delle numerose
vettovaglie. Verdure fresche, frutta, carni, uova, bottiglie di bevande e un cospicuo numero di
scatolette di latta.
“Xiaoyu, qui c’è molto cibo. Conviene prima consumare quello fresco e le carni, per ultimo lo
scatolame” le dissi ad alta voce.
“Porteremo via il cibo in scatola quando ce ne andremo. Sei d’accordo?” disse e chiese.
Mi voltai in direzione della sua voce. La vidi, Xiaoyu. Veniva verso di me con passo deciso.
Indossava dei jeans pesanti blu scuro, sopra la camicetta un maglione di lana di vari colori con il
rosso come tinta dominante e con le maniche che raggiungevano metà del dorso delle mani, e un
sorriso bellissimo. Sorridevano pure gli occhi, e i capelli neri appena pettinati, e il tavolo, le sedie,
la credenza, la vecchia pendola, le pareti non più buie, l’intera baracca. Come il tempo si fosse
fermato. Pure il mio respiro. Molti pensieri attraversarono veloci la mia mente, ma ella li fermò,
chiedendomi ancora:
“Sei d’accordo?”
Annuii, e abbassai lo sguardo, come intimidito.
***
***
***
Pranzammo, razionando scientemente il cibo. Poi trascorremmo l’intero pomeriggio e la sera, dopo
aver cenato, a studiare segreti e potenzialità di quella povera abitazione.
Venne in breve l’ora del riposo.
I ciocchi di legno nella stufa scoppiettavano nel fuoco. La pendola segnava le dieci. I letti, ad
eccezione della branda, erano dotati di coperte di lana e spessi piumoni variopinti.
Scostai le coperte di uno dei letti, quello più grande vicino alla finestra.
Mi raggiunse Xiaoyu dal bagno e mi gettò addosso un indumento. Era un pigiama grigio di lana,
ben piegato e stirato.
La stanza era poco illuminata, tant’è che avevo preparato una candela e degli zolfanelli.
“Mettiti questo, altrimenti sotto il piumone scoppierai di caldo”
Obbedii. Da sotto le coperte le augurai una buonanotte.
Non passò il tempo di un minuto che avvertii le lenzuola scostarsi e un peso muovere giù e su il
materasso. Disse la sua voce:
“Accendi la candela, ti prego. Questo buio mi spaventa”
Strofinai il bricchetto ed ecco una luce. Di lì a poco la candela prese vita e per qualche attimo
rimase un gradevole profumo di zolfo.
In quella luce tremolante apparve accanto a me Xiaoyu.
Non riuscii ad indovinare il colore del suo pigiama, ma il forte contrasto di luci ed ombre mi rivelò
l’esatta forma del suo seno. Aveva le gote rosse, ma non a causa del freddo. Si strinse al mio
braccio destro e pose il capo sulla mia spalla. Chiuse gli occhi. Guardai alla mia sinistra, oltre la
piccola finestra. Nella foschia una sottile parte di luna, destinata a giorni a scomparire, rubava tutto
me stesso. Un immenso zitto che andava e veniva.
Senza domande, chiusi gli occhi e mi addormentai.
***
***
***
Secondo giorno.
“Quando ripartiamo per Licun?” chiesi a Xiaoyu.
Stava seduta su una seggiola di legno accanto al tavolo, in parte sdraiata, un piede sul bordo, le
braccia mollemente adagiate sullo schienale e i gomiti all’indietro, le lunghe mani penzolanti come
foglie morte. Una parte dei capelli lisci cadeva tra spalla e collo, mentre l’altra seguiva dolcemente
il contorno del seno. Lo sguardo era già oltre la porta, gli occhi di poco socchiusi, la bocca rossa
lievemente aperta, i denti appena mordenti il labbro inferiore.
Senza mutare espressione, rispose:
“Quando nel frigo rimarranno solo scatolette”
“Credevo avessi fretta di giungere a Linfen...”
“Tu ne hai?”
“No”
Mi spaventava questa sua sicurezza, e m’incuriosiva. Da una parte c’era una Xiaoyu dal carattere
molto deciso e risoluto, dallo sguardo pungente e freddo, dal volto triste ma mai melanconico. Mi
impressionava la sensazione che su di lei poggiasse il destino dell’intero mondo. Dall’altra parte
esisteva una Xiaoyu molto fragile, dallo sguardo ridente, bisognosa di affetto e carezze e
protezione. Ma fra le due Xiaoyu, mi sorprendeva soprattutto la terza: quella Xiaoyu che, vincendo
la timidezza, non attendeva le mie attenzioni ma le catturava attivamente con abbracci gratuiti o con
la spudorata intraprendenza di coricarsi la notte accanto a me senza chiederne il permesso, come
fosse atto dovuto o semplice legge naturale.
Aveva paura del buio, sì, ma non son certo di quale oscurità avesse timore.
***
***
***
Terzo giorno.
Trascorse normalmente come quello già passato.
Poche parole, solo quelle necessarie. Non conoscevo bene quella ragazza e avevo timore di chiedere
informazioni su di lei e il suo passato. Preferivo stare in silenzio e osservarla. Ma il silenzio a volte
non era sopportabile, tanto meno quel velo di tristezza che le si posava sul volto. Più volte le chiesi
se stesse bene, ed ella annuiva con un sorriso. Solo quello. Lo prendevo ad ore fisse come fosse una
medicina. Per chi, non lo so.
Venne il momento di coricarsi a letto. Ella venne accanto a me come era uso ogni notte. Non
ricordo come si fece in me il coraggio di domandarle di raccontarmi la sua infanzia.
“Sono nata ventidue anni or sono a Houma. Mio padre e mia madre erano due studiosi che
lavoravano al Dipartimento di Fisica di un’organizzazione governativa. Il lavoro non permetteva
loro di dedicarmi molto tempo, per cui fui allevata da mia nonna paterna a Linfen. Quegli anni
furono meravigliosi per me. La mia cara nonna era così premurosa. Di lei ho solo bellissimi ricordi.
Ancora adesso abita a Linfen”.
E tanto altro mi raccontò della sua infanzia. Gli chiesi:
“Descrivimi uno di questi bei ricordi, se vuoi”
“Va bene. La nonna soleva cantarmi una filastrocca quando ero un po’ triste, ma ho vergogna a
cantarla...”
“La voglio sentire. Ti prego”
“Va bene. Ma non devi ridere di me.
‘Xiao bai tu guai guai
Ba men kai kai, mama jin lai’.
‘Bu kai, bu kai, wo bu kai, mama bu jin lai’ ” 7
Ad ogni verso mimava il lupo e il coniglio con buffe espressioni del volto e curiose movenze delle
mani, come avesse davanti a sé un bimbo piccino.
“Adesso canta tu una filastrocca per me!”
“Va bene. Ma tu devi imitare gli stessi miei movimenti, capito?”
“Si. Comincia, sono pronta”
“ La bella lavanderina, che lava i fazzoletti, per i poveretti della città. Fai un passo, fanne un altro,
fai la penitenza, fai la riverenza, guarda in su, guarda in giù...”
Ripeteva ogni mio gesto come se già conoscesse quella nenia. Accompagnava ogni movimento con
un sorriso.
“...dai un bacio a chi vuoi tu”
Ed ella così fece. All’improvviso. Pinse con le proprie mani le mie spalle e mi baciò ad occhi
chiusi, poi rise coprendosi la bocca con le dita, abbassò gli occhi e le sue gote mutarono di colore,
arrossendo un poco.
Sebbene fu un bacio molto rapido, mi rimase a lungo la sensazione della sua bocca sulle mie labbra.
Rimasi per una buona manciata di secondi come inebetito, senza parola e pensiero alcuni. Quando
mi ripresi, dissi, per spezzare il suo imbarazzo:
“Te la canto ancora una volta?”
Il nostro cuscino condiviso mi arrivò in faccia. Contraccambiai. Ridemmo a lungo, fin che il sonno
ci vinse.
***
***
***
Quinto giorno.
La luce del sole, seppur velato dalla nebbia, filtrava dalla finestra e dipingeva di giallo ogni cosa.
Sentivo il suo tepore sulla pelle e sul viso e per nulla al mondo avrei voluto abbandonare le
lenzuola. Ne godevo infinitamente.
Quei raggi dorati però non sortivano lo stesso effetto sulla mia giovane compagna di viaggio.
Si svegliò e si mise seduta, con ancor le gambe sotto le coperte. Seguì dopo quel faticoso atto, un
gran sbadiglio che era pari solo a quello d’un ippopotamo.
Si voltò verso me, dunque verso il sole, e in una smorfia strinse gli occhi. Molti erano i capelli che
le celavano il volto, di più quelli che aveva arruffati.
Mi fece tenerezza e la baciai in fronte.
“Buongiorno, Jack...” mi salutò con una voce da orso.
“Riposato bene?” chiesi io. Ne ebbi come risposta un mugugno incomprensibile che supposi fosse
un sì.
“Ho sognato Linfen” aggiunse.
“Linfen? Spero che sia stato un bel sogno...”
“La mattina di cinque giorni fa, verso le sette, squillò il telefono di casa mia, a Houma. Feci per
andare a rispondere. Ero ancora a letto, come adesso. E un bagliore molto intenso quasi mi accecò,
più intenso di questo sole che non mi lascia aprire gli occhi. Dopo due secondi tornò tutto normale,
e il telefono si zittì. Mi venne alla mente quello che mi disse un giorno mio padre: Quando verrà
quel giorno di cui già ti dissi, mettiti subito in cammino, senza indugiare, e vai dalla nonna a
Linfen. Se non la troverai, troverai senz’altro un suo messaggio. Tenevo i maglioni di lana e i
giubbotti in un guardaroba dalla chiusura telecomandata - un’invenzione di mia madre - ma non
riuscii ad aprirlo poiché era venuta a mancare la corrente. Ripiegai sui vestiti autunnali che erano
rimasti fuori dell’armadio, pronti per essere portati in lavanderia. Quando uscii di casa trovai solo
neve e silenzio, ma non ne fui stupita. Sapevo che a Linfen dovevo andarci a piedi e da sola, ma non
credevo che da lì a poco il freddo mi avrebbe vinta. Non pensai subito di procurarmi degli
indumenti adatti, e quando lo volli fare, ero già oltre Quwo”
“Curioso, come sogno”
“No. Questa che ti ho raccontato è la realtà. In vero questa notte ho sognato Linfen priva di
smog8...”
Scese dal letto e si diresse verso i fornelli con andatura incerta. Aggiunse:
“Preferisci il tè verde o l’orzo?”
“Tè verde, grazie”
“Invece ti preparerò del latte di capra. Se continui a bere tè, diventerai magro come un’acciuga. E a
dire il vero, lo sei già!”
Quando fummo seduti al tavolo a far colazione, le chiesi del bagliore, di Linfen, della mancanza di
corrente elettrica e di persone. Ella mi spiegò tutto quello che sapeva, non molto però. Era tutto così
difficile da credere, ma era reale.
Trascorsi i due giorni seguenti a capacitarmi dell’accaduto e a cercare un motivo per proseguire il
viaggio per Linfen. Avrei potuto tornare a Quwo, ma difficilmente sarei sopravvissuto a lungo da
solo. Ad affrontare l’ignoto, pensai, conviene essere in due.
***
***
***
Ottavo giorno.
Quel pomeriggio me ne stavo fuori dalla porta ad ammirare la campagna che ci circondava.
Nel grigiore di quell’eterna foschia tutto mi appariva uniformemente bianco, e il peso di quella neve
schiacciava ogni mio pensiero.
Nel giardino antistante la cascina cresceva un grande albicocco: era l’unica cosa nera in tutto quel
candore. La parte superiore di ogni ramo, dal più grosso al più minuto stecco, era ricoperta di una
striscia di neve, né sottile né spessa. Il contrasto fra lo scuro dei rami e il chiaro della neve mi
portava l’impressione che quell’albero fosse animato e volesse comunicare con me. Rimasi rapito
da tal sentimento fin quando Xiaoyu apparve accanto a me, e mi chiese:
“Perché devi andare a Linfen?”
Con lo sguardo sempre rivolto all’albicocco, risposi:
“Sono un paleontologo. Devo portare un fossile al Dipartimento di Scienze della Terra di Linfen per
farlo analizzare”
“Un fossile?”
“Sì, un fossile ben conservato di Sinolepis, un Placoderma9 di 400 milioni di anni fa”
“Ma se devi recarti a Linfen e sei partito da Xiawu, perché ti sei incamminato nella direzione
opposta?”
“Avevo dimenticato di prendere un osso, rimasto sull’affioramento nella campagna a Sud di
Xiawu”
“L’hai trovato?”
“No, ho trovato te”. Sorridemmo entrambi.
“Adesso dove si trova quel reperto?”
“Ancora a Xiawu”
“E saresti andato a Linfen senza quell’osso, passando prima da Xiawu a prendere l’intero scheletro,
giusto?”
“Si, ma vista la situazione, da Xiawu non ci passerò. A Linfen non c’è più alcuno che possa
analizzarlo, e a Quwo ritornare ormai non avrebbe senso”
“Non capisco. Allora perché vuoi ancora recarti a Linfen?”
Mi voltai verso di lei e vidi i suoi occhi scuri scrutare il mio intimo, alla ricerca di una risposta,
proprio come stava facendo quell’albicocco là fuori.
“Perché ora ci sei tu” risposi.
Girò su se stessa e rientrò in casa, col viso imbronciato, dicendo con incredulità:
“Non sono un osso di Sinolepis!”
Poi si mise a ridere, senza freno.
Rimasi stupito. Guardai con altrettanto stupore l’albicocco ed ebbi la sensazione che esso dirigesse i
suoi rami verso di me dicendomi: “Non chiedermelo. Non lo so”.
***
***
***
Dodicesimo giorno.
Rovistando qua e là per la cascina trovai una mappa stradale dello Shanxi10 meridionale abbastanza
dettagliata e proposi a Xiaoyu di elaborare insieme un piano di viaggio.
Occorreva per raggiungere Linfen percorrere la Strada G108 in direzione Nord e attraversare alcuni
paesi dove potevamo rifornirci di cibo, medicinali ed altri generi di prima necessità.
Il prossimo centro era Licun, poi in successione Xincheng, Shanü, Jiecun, Xiangfen, Dengqu,
Zhaodian, Zhaoqu, Xinjian, Zhangli, Lingbo, Jinjing, fino a Linfen. 11
Discutemmo di strategie e particolari per tutto il resto della giornata, fino a tarda sera.
All’imbrunire il cielo si fece più scuro del previsto, il silenzio si fece più pesante.
Xiaoyu guardava spesso fuori dai vetri della finestra ed era piuttosto inquieta. A cena mangiò
volgendo in continuazione gli occhi alle finestre; dopo cena non fece altro che balzare dalla
seggiola al balcone. E mi fissava con aria di interrogazione, tanto che si accese in me la medesima
inquietudine, come la fiamma più alta del focolare, mossa dal vento, s’appiccia al ciocco vicino,
duplicandosi.
Fu ella a rompere quel silenzio non oltre sopportabile.
“Dobbiamo partire”
“Ora?”
“Si”
“Perché? Non si era detto che saremmo partiti quando fosse esaurito il cibo deperibile? Nel frigo ce
ne è ancora per due giorni!”
“Il cielo si fa scuro. Arriverà molta neve e rischiamo di rimanere bloccati qui per molto tempo”
“Sempre meglio che rimanere bloccati in aperta campagna senza alcun riparo! Eppoi Licun12 è solo
a quattro chilometri da qui. Se partiamo finita la nevicata, mal che vada in un giorno ci saremo. Stai
tranquilla...”
“Scusa... Hai ragione...”. Lo disse non molto convinta.
Quella notte andammo a riposare presto. La luna, sebbene crescente e prossima al primo quarto, non
rischiarava più col suo pallore celato dalla foschia la nostra dimora.
Xiaoyu si strinse più forte a me. Sentivo le sue unghie come spilli nella pelle. Feci fatica a prender
sonno. La luce della candela, tremula, animava gli oggetti a me tutti intorno.
Di contro quel silenzio mi opprimeva orribilmente.
***
***
***
Tredicesimo giorno.
Giunse il mattino. La luce del sole, anche se velato, non mi permetteva di vedere alcun colore se
non il rosso. Ma quando aprii gli occhi tutto a me si svelò nelle tinte e nelle forme consuete, tranne
Xiaoyu che non era più accanto a me.
Scesi dal letto ancora intorpidito e la cercai senza chiamarla, ma non la trovai in quell’enorme sala,
né in bagno.
Un poco preoccupato mi vestii in fretta e uscii di casa.
Tutto era grigio, di un solo tono, tanto che non potevo distinguere quale fosse la neve e quale fosse
il cielo. Ma la foschia, par strano, era minore dei giorni precedenti. Davanti ai miei occhi cadevano
bianchi fiocchi di neve, tutti uguali, tutti alla medesima velocità. Volsi lo sguardo a sinistra e vidi
cadere bianchi fiocchi di neve, tutti uguali, tutti alla medesima velocità. Poi a destra, e vidi scendere
dal cielo o da qualunque cosa ci fosse sopra di me ancora bianchi fiocchi di neve, tutti uguali, tutti
alla medesima velocità. Tutta questa uniformità mi rapiva, tanto che avevo smarrito l’orientamento
e quasi ero pronto a perdere tutto me stesso. Una voce mi rinvenne.
“Si sono salvati solo questi pezzi di legna. Sono ancora asciutti. Domani dovremo partire, che
nevichi ancora o no”
Xiaoyu veniva verso di me con alcuni tronchetti fra le braccia. Il suo maglione rosso luccicava di
mille cristalli, finissimi aghi di ghiaccio. I capelli neri, perfettamente lisci e lucidi, le cadevano sulle
spalle, sul petto e in parte celavano ambedue i lati del suo volto. Grandi fiocchi di neve le si erano
posati sopra. La pelle del viso era pallida e le gote erano rosse. Altre parole ancora non trovo per
descriverla, poiché esse non le posso cercare nei vocabolarî qui accanto sullo scrittoio. Dovrei
cercarle nel cuore, ma non adesso bensì in quel preciso istante che la vidi.
Ella si avvicinava sempre di più, ed io dissi:
“Posso ancora cantarti la filastrocca della bella lavanderina?”
“Jack, se vuoi un bacio basta chiederlo”
Mutò il suo passo di un angolo retto in modo deciso e con un calcio aprì la porta della cascina, ed
entrò. Ricordo che aveva in volto un sorriso compiaciuto, e di sfida. Ma io non la raccolsi.
Stetti lì a guardare la neve che continuava a cadere.
***
***
***
Quattordicesimo giorno.
Cessò di nevicare nel tardo pomeriggio e già l’ultimo ciocco di legno s’era consumato nella stufa.
Nel frigo erano rimaste solo scatolette. Prendemmo tutto il necessario e lo mettemmo in due grandi
zaini, uno per ciascuno.
Ci incamminammo verso la Strada G108, quella che avevamo lasciato due settimane prima.
Era molto difficile e faticoso muoversi in quella spessa coltre di neve. Avanzavamo in silenzio. Si
udiva solo il frup frup dei piedi nella neve.
Giunti che fummo sulla via maestra, non scorgemmo più alcuna traccia della carreggiata e dei
veicoli. Se ne intuivano i limiti solo dall’allineamento degli alberi e dei cartelli stradali. In quelle
condizioni quattro chilometri sarebbero stati come quaranta. Il sole era già basso all’orizzonte, a
giudicare dalla tonalità della foschia che si faceva sempre più cupa.
Xiaoyu mi prese per mano e mi sorrise.
Riprendemmo così il cammino e andammo avanti muti per circa un’ora, o forse più, fino a scorgere
non lontano dalla strada un altro cascinale, più piccolo del precedente. Ridendo ella mi disse:
“Facciamo a chi arriva prima?”
“Veramente sono stracco, ed a giudicare dal fiato grosso che hai, lo sei anche tu”
“Se vinci ti do un bacio”
“Un bacio?”
“Mm - mm” annuì due volte.
Sempre tenendola per mano la trascinai in una goffa corsa a ginocchia alte in quella neve ove era
impossibile non sprofondare. Non eravamo ancora a metà strada che ella si fermò a prender fiato.
Grosse nuvole di vapore uscivano dalla sua bocca. Disse, ansimando:
“Sono troppo stanca per correre”
Si alzò un poco in punta di piedi e avvicinò le sue labbra alle mie. Mi baciò. Aggiunse:
“Ecco fatto. Adesso, piano piano, andremo alla cascina”.
GRANDE NEVE
Daxue
(...)
Affascinato guardo
la vitrea aria e i fiocchi:
io sono quei rami secchi
coperti da freddi cristalli:
il mio tempo cerco
laggiù, fra quei neri uccelli
(...)
Daxuè13.
Era una casetta piccola, con un ampio monolocale e poco arredo: un tavolino, tre sedie, una stufa,
un letto singolo, un piccolo armadio. E tanta polvere e ragnatele dappertutto. Era rimasta disabitata
per parecchio tempo. Non c’era un frigorifero, ma in compenso l’armadio era colmo di cibo in
scatola non ancora scaduto.
Decidemmo di rimanere lì tanti giorni quanti ne occorrevano alla neve a sciogliersi un poco:
avremmo camminato verso Licun con passo più agile; comunque saremmo partiti non più tardi di
due settimane.
***
***
***
Dodicesimo giorno.
Xiaoyu appariva triste e silenziosa. Strano. Pensai che avesse perso fiducia in se stessa.
Per vincere la noia, quella settimana ci raccontammo la storia delle nostre vite. Nulla le celai e lo
stesso fece ella con me: l’infanzia, l’adolescenza, le amicizie, gli amori, le delusioni.
Le speranze, quelle no. Non potevamo permetterci di coltivare illusioni prima di arrivare a Linfen.
Forse era proprio questa incertezza a crucciare Xiaoyu.
Se ne stava lì, fuori dalla porta, ad osservare silenziosa il muto paesaggio invernale.
Lo sguardo era perso fra le dune di neve, e i suoi occhi erano ravvivati da piccoli riflessi di luce.
Il pallido sole illuminava i campi e i loro lunghi solchi candidi, come fossero di zucchero, o come
una gigantesca focaccia bianca.
Mi avvicinai a lei e le chiesi:
“Cosa ti preoccupa, Xiaoyu?”
“Riusciremmo mai ad arrivare a Linfen? Siamo soli in tutto questo deserto...”
Chiuse gli occhi. Dalle palpebre uscirono piccole gocciole d’acqua. Quando li riaprì, si volse verso
di me. Il suo sguardo mutò espressione: era tenero e supplichevole.
Ci abbracciammo. Le accarezzai i capelli e le baciai il capo.
Avvertii, come il primo giorno nella campagna di Xiawu, il delicato profumo di ciliegio.
Lo avvertii in fondo al cuore.
***
***
***
Quattordicesimo giorno.
Di buon mattino Xiaoyu si avventurò per la campagna a far legna. Non volle che l’accompagnassi
perché, così mi disse, aveva bisogno di stare un poco da sola. Non domandai oltre, ma le feci solo
promettere di non allontanarsi molto.
Il sole, che aveva diradato la nebbia, era già alto in cielo ed io stavo apprestando la tavola per il
pranzo. Non vedendola tornare, uscii di casa per controllare. Un lamento giungeva di lontano.
Presi a correre e la raggiunsi poco distante, in un fosso.
Xiaoyu era coricata a terra e sul suo volto era dipinta una smorfia di dolore. Aveva una gamba
impigliata nella biforcazione di un ramo spezzato.
“Cosa è successo?”
Mi rispose con un filo di voce appena udibile.
“Sono scivolata sulla terra ghiacciata e la gamba si è impigliata in quel ramo”
Feci per liberarla da quella morsa, ma quando afferrai la gamba ella gemette di dolore.
La sollevai ed ella si mise in piedi reggendosi in parte sulla gamba sana e in parte abbracciata a me.
Al primo passo quasi cadde. La sostenni.
“Jack, non posso appoggiare il piede. Mi fa male e non mi regge”
La presi fra le braccia e la trasportai fino a casa. Con un calcio aprii l’uscio e la misi distesa sul
letto.
La sofferenza la fece più pallida. Chiesi:
“Ce la fai a toglierti i pantaloni? Così posso vedere cosa ti sei fatta”
“Non posso da sola, mi fa troppo male. Aiutami”
Tirò su un poco il maglione, slacciò la cintura e aprì la zip dei jeans.
“Cerco di sollevarmi. Tu sfilami i pantaloni”
Presi con ambedue le mani i jeans in vita e, quand’ella con fatica sollevo il bacino, glieli sfilai fino
quasi a metà coscia. Indossava degli slip neri bordati di pizzo disegnato a roselline, molto graziosi.
Conclusi l’operazione togliendo i pantaloni dal fondo.
La gamba era dritta ma presentava una grande tumefazione all’altezza del ginocchio, molto gonfio.
Staccai dei candelotti di ghiaccio che pendevano dalla grondaia del tetto, li spezzai e li misi dentro
uno straccio pulito a mo’ di borsa e misi questa sull’arto dolorante.
Cercai di tranquillizzarla.
“Vedrai che dopo starai meglio”
“Devo stare meglio, perché i viveri sono finiti ormai e dovremmo quindi riprendere il viaggio,
domani”
“Ci penseremo domani. Ora riposati”
Mi prese la mano e me la accarezzo. Poi, con un dolce sorriso e gli occhi un poco socchiusi, mi
ringrazio. Ricambiai, anch’io con un sorriso.
***
***
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Quindicesimo giorno.
Mi alzai di buon mattino, quando ancora Xiaoyu dormiva, e preparai gli zaini.
Dovevamo partire, senza aspettare oltre, poiché i viveri scarseggiavano e molto di più perché
Xiaoyu aveva urgente bisogno di cure e medicinali.
Feci rumore ed ella si svegliò. Ancora la gamba le faceva molto male, cosicché l’aiutai a vestirsi.
Quando il sole era ad un quarto del suo cammino, ci mettemmo in viaggio per Licun.
Passo dopo passo raggiungemmo la strada principale, abbracciati come il primo giorno, molto
lentamente a causa del suo infortunio e della neve che era ancora alta.
Ci riposavamo ogni cinquanta metri circa, Xiaoyu per calmare il dolore, io per prender fiato. Ogni
sosta durava circa cinque minuti.
Mi pareva che quella strada non finisse mai, che fossi sempre al punto di partenza. Non una curva.
Un albero al lato della via non faceva in tempo a scomparire dietro di noi che subito ne appariva
uno davanti, in tutto simile al precedente. Così fu, finché giungemmo a Licun, dopo cinque ore.
Di gitto apparvero da ambedue i lati le prime case di Licun. Parevano piccoli mattoncini di legno, di
quelli che usano i bambini per costruire piccole città. Avevano due piani: al piano inferiore c’erano
le bottegucce, tutte piccole e uguali; al piano superiore gli alloggi. Queste casupole, in aderenza
l’una l’altra, si sviluppavano lungo la via principale che aveva aiole e due controviali.
Non c’era vita in quella città. Le porte dei negozi erano aperte, ma non v’era traccia di passaggio,
non un’orma, niente. Persino i variopinti fengling14 appesi alle porte non emettevano alcun suono.
Eravamo padroni di tutto, d’ogni ricchezza che potesse celarsi in quella città morta; ma oro e
gioielli non erano più beni preziosi bensì inutili pesi.
Preziosi per noi erano cibo non deperibile, medicinali, abiti, prodotti per l’igiene personale.
Soprattutto avevamo bisogno di una casa, e Xiaoyu di cure speciali.
Prendemmo di tutto solo il necessario, perché gli zaini erano quasi colmi.
***
***
***
Il sole era già basso e dovevamo sbrigarci a trovare un alloggio. Lo trovammo sopra la farmacia,
perché quello era l’ultimo negozio che visitammo.
Non era una casa molto pulita, ma c’erano letti ben ordinati e una stufa: non avevamo bisogno
d’altro.
Aiutai ancora una volta Xiaoyu a togliersi i jeans per poter curare bene la gamba.
Il ginocchio era molto gonfio ed ella non lo poteva piegare. Non essendo un medico, cercai di
curarla come potevo, applicandole una crema di cui non ricordo più il nome. Fasciai il ginocchio
con una benda ben stretta. Feci tutto ciò ogni giorno, con la medesima attenzione.
Per alzarsi e camminare si arrangiava con un bastone, e pure per togliersi jeans e slip aveva studiato
un metodo molto intelligente. Il problema era semmai quello di riuscire a indossare quegli
indumenti, poiché una gamba rimaneva dura e dritta.
Per i pantaloni ormai ero avvezzo a quella manovra, ma quand’ella mi chiese aiuto per indossare gli
slip fui preso da un certo imbarazzo.
Era sul letto, con ambedue le gambe adagiate sopra.
“Su, dai! Aiutami, per favore, a mettermi gli slip”
“Cosa?” domandai stupito.
“Vieni qui, più vicino. Gli slip sono lì, sul comodino”
Mi avvicinai al letto e cercai di non guardare la sua intimità. Glielo dissi, rispettosamente.
“Va bene. Ma terrò gli occhi chiusi”
“Non sono un mostro. Sono una donna come le altre” disse, un poco indispettita.
“Appunto. Terrò gli occhi chiusi per rispetto” risposi con l’orgoglio d’un nobile cavaliere.
“Non mi importa del rispetto. Occhi aperti o chiusi, basta che ti muovi a mettermi quegli slip, ché
ho freddo. Ci manca anche che mi prenda un raffreddore!”
Così feci. Ad occhi aperti, e vidi molto bene: affinché io glieli calzassi bene in vita, ella dovette
sollevare i glutei e il pube. Visto che tutto si era svolto senza incidenti, la aiutai pure ad indossare i
pantaloni del pigiama.
Anche nei giorni seguenti Xiaoyu dimostrava un carattere più duro, il viso quasi sempre
imbronciato. Impartiva ordini ed io li eseguivo senza troppo discutere, da bravo soldatino. Sapevo
che era il dolore costante a renderla così grezza.
SOLSTIZIO D’INVERNO
Dongzhi
(...)
Or è già sciolta.
Al balcone io sono
quell'uomo
che il Silenzio ascolta.
Dongzhi15.
Quarto giorno. Venne la vigilia di Natale. Era sera. Il sole era per metà nascosto dai tetti delle case
di fronte alla nostra e la foschia stava prendendo il sopravvento. I lampioni della via, una volta
lucenti, rimanevano bui e scuri, come tante anime silenziose. Era proprio il silenzio che mal si
sopportava, soprattutto quel giorno che doveva essere una grande giostra di emozioni.
Dov’erano i bimbi che si rincorrevano per la via? E il vociare quasi fastidioso delle persone dentro e
fuori i negozi? Solo neve, tutta bianca, tutta livellata.
Solo il silenzio. Nemmeno i passerotti alla ricerca di qualche briciola, c’erano. Solo il silenzio,
ancora silenzio.
L’unico suono che avvertivo, ormai da un mese, era il ronzio del sangue nelle orecchie.
E la voce di Xiaoyu.
Stavo col naso schiacciato al vetro della finestra, e un grande alone di condensa s’era formato sul
cristallo vicino alla mia bocca.
“A cosa stai pensando?” mi chiese Xiaoyu, che si era avvicinata a me.
“Oggi è la vigilia di Natale...”
“Allora bisogna essere più buoni”
Rimase qualche attimo in silenzio, poi riprese:
“Scusami se ti ho trattato male in questi giorni... Vorrei farti un regalo...”
Aveva sorriso, dopo tanto tempo. Per me già quello era un dono.
***
***
***
Quinto giorno.
Era Natale, ma sembrava un giorno come un altro. Non mi sembrava giusto. A Natale ci vuole un
presepe, un albero addobbato... Ricordavo i Natali trascorsi in passato, insieme alla mia famiglia.
Se essi sono ancora in vita, questo sarà un Natale triste senza me. Saranno preoccupati non avendo
mie notizie, pensai. Se almeno avessi potuto telefonare.
C’era un apparecchio in casa. Provai ad alzare la cornetta e ascoltare, ma non udii alcun segnale.
Allora mi prese una voglia irresistibile di fuggire da tutto quel silenzio, ma non potendo esaudire il
mio desiderio decisi almeno di fuggire per strada. Dissi a Xiaoyu che uscivo a cercare una bottiglia
di vino per festeggiare un poco, ed ella acconsentì.
La strada era vuota, poco illuminata dalla luna calante vicina al plenilunio. Tutto appariva del
medesimo grigiore e faceva molto freddo. Non un suono.
Ero consapevole che avrei potuto fare ogni cosa, compiere ogni gesto scellerato: potevo prendere a
calci i cassonetti dell’immondizia, rompere le vetrine dei negozi, spaccare ogni cosa senza essere
visto o sentito da alcuno.
Entrai nella bottega dei liquori e presi una bottiglia di vino di riso. Il fatto di non dover pagare mi
faceva sentire in colpa.
Uscii ratto e mi fermai davanti alla vetrina.
Potevo mandarla in frantumi con un calcio, ma non lo feci. Sentivo però il gran bisogno di
ribellarmi a tutto quell’inesorabile monotono destino.
Feci così un lungo e rumoroso peto liberatore, poi un sorriso di ineguagliabile soddisfazione alla
mia immagine riflessa nel cristallo della vetrina, infine tornai sui miei passi verso casa fischiettando
Jingle Bells.
***
***
***
Nella stufa strideva il carbone e nostri volti erano rossi di calore. Ci sovvenivano melanconici
ricordi dei precedenti Natali e per ore ce li raccontammo a vicenda.
Da uno di questi mi venne spontaneo chiedere a Xiaoyu quale fosse il regalo che mi aveva
promesso il giorno prima.
Ne ebbi un bacio come risposta.
“Ecco il mio regalo. Ti è piaciuto?”
Non era il solito bacetto rapido della buonanotte o di ringraziamento, come soleva darmi ogni
giorno rigorosamente sulla bocca. Questo era più lungo. Ricordo la pressione delle sue labbra sulle
mie, il battito del cuore che le attraversava. Pure avvertii il suo respiro che usciva dalle sue piccole
narici e stuzzicava i miei baffi brizzolati.
“Molto. Grazie” risposi, talmente sconvolto da non trovare la forza di sorridere.
“Allora, qual è il dono che hai preparato per me?” chiese fiduciosa.
La baciai. Ci baciammo. Un lungo bacio.
Al distacco, subito dissi:
“Vorrei che fosse sempre Natale”
Ella non rispose, sorrise.
Era quasi mezzanotte. Si alzò dal divano ove eravamo seduti e disse:
“Su, Jack! Andiamo a letto”
Quella notte fui felice di ascoltare il silenzio.
PICCOLO FREDDO
Xiaohan
Si apre una finestra.
Scruto
nel nero più cupo
con fame da lupo
in quel gelido cubo
un oggetto sicuro.
Appare un volto
rosso di sole morente.
Lo scorrer di un fiammifero al vento
ed è sparito nel solito niente.
Xiaohan16.
Trascorremmo ancora una decina di giorni a Licun. Le giornate erano interminabili. Quello che più
mi preoccupava non era trovare il modo per ingannare il tempo - facevamo lunghe chiacchierate o
giocavamo a carte - ma lo stato di salute di Xiaoyu.
Venne il giorno della partenza, cinque dì dopo la notte di San Silvestro.
Xiaoyu stava seduta sul bordo del letto, lo sguardo tra il triste e il preoccupato.
Prese il bastone che era appoggiato al comodino, lo impugnò stretto e rimase alcuni istanti con lo
sguardo fisso verso il pavimento. Poi, con una smorfia, fece forza sul bastone e si alzò.
Poi fece una cosa che non mi aspettai in quel momento: buttò via il bastone e lentamente portò il
peso del suo corpo sulla gamba malata. Cadde immediatamente indietro, seduta come prima ma con
diverso sguardo. Portò le mani al volto e pianse.
Appena udii i suoi singhiozzi accorsi in suo aiuto e mi sedetti accanto.
“Lasciami qui! Non voglio più andare a Linfen. Non ce la faccio! Si deve essere rotto un tendine, un
legamento... non lo so. Non mi regge più!”
Di fronte al dolore e alla disperazione altrui, non sono mai riuscito a dire qualche parola di conforto.
Nel cuore sentivo fiumi d’amore e compassione, ma mi è sempre stato difficile tradurre ciò in
parole. Ora accanto a me stava Xiaoyu, non una persona qualunque, e soffriva.
Le presi una mano. Gliela baciai. Le sue dita erano ancora umide di lacrime.
Mi guardò con occhi spalancati e impauriti e molto sorpresi. Avevo la sensazione che in quel
momento a lei non piacesse quel gesto d’umanità. Dissi:
“Ce la faremo ad arrivare a Linfen. Ci vorrà solo un po’ più di tempo... Se invece vuoi rimanere, per
me va bene. Ma ricordati che hai una missione, ricordati le parole di tuo padre. Non ti lascio qui.
Non ti lascio sola. Mai accadrà che ti lasci sola”
Il miracolo più bello forse è quello di riuscire a trasformare un pianto in un sorriso.
Le sue lacrime, che continuavano a sgorgare, non mutarono d’aspetto ma di natura: da gocce di
dolore a gocce di commozione.
“Perché?” chiese.
“Cosa?”
“Perché sono così importante per te?”
Una domanda, alla quale lì per lì non seppi rispondere.
Sorrideva con gli occhi e con la bocca. Attendeva.
Improvvisamente il mio cuore ormai colmo trovò quella risposta e cominciò a pompare parole
anziché sangue. Veloci come rondini nel cielo, esse salivano su, in alto, ancora di più, fino in bocca,
fino a posarsi sulla lingua. Ecco un respiro, ecco son pronte!
Le sue labbra sigillarono le mie. Un rapido bacio. La sua fronte sulla mia.
“Non parlare”
Dopo poco aggiunse:
“Andiamo. Linfen ci aspetta”
***
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***
La G108 per Linfen era sempre dritta, senza curve. Il cielo era tornato sereno. Sentivo sulla pelle
del volto il contrasto fra il calore del sole e l’aria pungente. La temperatura quel mattino era
sottozero mentre il mio cuore era caldo.
Respiravo aria ghiacciata ed ero tranquillo. Ero così sereno che non mi importava più di arrivare a
Linfen, forse perché i raggi del sole mi avvolgevano e mi cullavano al contempo. Invece di
preoccuparmi del raggiungimento della nostra meta, avevo la sensazione di aver già conseguito il
mio obiettivo, come se tutta la tensione accumulata nel tempo si fosse sciolta come neve al sole.
Sorridevo e beato mi godevo ciò che il verno ancora portava: la monotonia dei campi immacolati
alternata a strisce di bruna terra, gli alberi qua e là nel mezzo della campagna, i rovi piegati sotto il
peso della neve.
Camminavo senza fretta, piano piano, tanto che Xiaoyu col suo passo claudicante era avanti a me di
un metro.
Quel silenzio che nei giorni addietro mi aveva oppresso, ora come un grande pennello dipingeva di
luce ogni cosa io guardassi.
Non so spiegare questa moltitudine di sentimenti. La mia serenità forse era dovuta alla mia libertà:
dopo sette lustri di vita dedicati interamente al lavoro, attento ad osservare con zelo tutte le regole,
ora potevo agire come meglio credevo. Già, sarà stato quel peto liberatorio a Licun... No, non fu
così. Libero non lo ero, perché ero responsabile della vita di Xiaoyu. Molto di più - forse è la
spiegazione migliore - avrei fatto qualunque cosa per meritarmi il maggior numero di baci
quotidiani.
***
***
***
Era difficoltoso per lei camminare nella neve ancora alta, e si fermò spesso per prender fiato.
Dopo alcune ore giungemmo in un piccolo abitato tra Wenjing17 e Xincheng18, nei pressi di
Wenming19 ed ivi trovammo riparo.
Decidemmo di dimorare in quel luogo fino a che il manto nevoso non si fosse ridotto un poco, quel
che bastava per proseguire il viaggio con minor fatica.
Davanti a noi, volgendo lo sguardo da settentrione a oriente, si ergevano in tutta la loro
magnificenza i monti di Xinlongzhuang20 e Cuijiazhuang21.
Da cima a valle la neve li aveva ricoperti, ma non interamente: apparivano come linee scure i solchi
di ruscellamento che si dipartivano dallo spartiacque fino a valle, e come piccoli spilli gli alberi
d’una ricca vegetazione che cresceva da secoli sulle loro pendici.
Più a oriente, fin dove gli occhi potevano scrutare l’orizzonte, stava solitario l’Erfen Shan22, un
monte che dominava la pianura dai suoi millecentonovanta metri d’altitudine.
A occidente, invece, si intravedeva ove il cielo incontrava la terra, la catena di montagne che
separava la valle del Fei He23 da quella del Huang He24, e il Chenjia Shan25.
Fantasticavo che un giorno sarei andato a visitare quei luoghi, almeno quelli più vicini.
Ma ancora non sapevo ciò che sarebbe successo a Linfen.
***
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Quindicesimo giorno.
Non ostante il cielo nuvoloso, la temperatura era prossima ai dieci gradi Celsius.
Quel pomeriggio eravamo usciti a passeggiare un poco. Era possibile perché il manto nevoso si era
ridotto molto. Alcuni sassolini facevano capolino di sotto il portico, ove la neve era già scomparsa.
Camminavamo accanto allo steccato che si perdeva in lontananza fra le piante di un boschetto, lo
seguivamo lentamente, cercando di capire cosa ci fosse oltre.
Xiaoyu mi teneva il braccio. Non aveva voluto prendere il bastone. Continuando a camminare mi
chiese:
“Come immagini il tuo futuro?”
“Non lo immagino. E tu?”
Si fermò. Senza guardarmi mi abbracciò forte forte, con il capo sul mio petto, quasi come volesse
ascoltare il mio cuore. Nei pugni serrati dietro la mia schiena, sotto il giubbotto, stringeva il mio
maglione e me. Pareva avesse paura di perdermi.
Ancora quel profumo di ciliegio...
Chiusi gli occhi e reclinai il capo all’indietro. Quando li riaprii, ecco le nuvole grigie del cielo,
ferme, a guardarmi. Non potevo credere di esser lì, in quel momento, in quel preciso istante. Non
credevo d’esser vivo. Percepivo il suo calore, anche il candore della neve, pure il freddo dell’aria.
Sensazioni unite e distinte. Chi ero? Dov’ero? Cosa c’era intorno a me? Perché?
Eppure era vero quel profumo di ciliegio.
Feci per staccarmi da lei, dicendo:
“Si fa buio e freddo. Torniamo a casa”
“Non muoverti” mi disse sicura e si strinse ancor più a me, quasi togliendomi il respiro.
Le mani mie, uscirono lentamente dalle tasche del cappotto e si posero delicate su di lei, poi la
strinsero forte, sempre più, sempre più.
Rimanemmo così avvinti per quasi mezz’ora, ad ascoltare l’un l’altra il nostro respiro, in silenzio.
Un silenzio non opprimente né sereno. Questo era un silenzio diverso.
Venne davvero il buio e il freddo. Ritornammo a casa.
“Buon compleanno, Jack!” mi disse.
Ringraziai. Poi ella aggiunse:
“Il mio è passato da poco: ora ho ventitré anni”
“Xiaoyu...”
Xiaoyu.
GRANDE FREDDO
Dahan
Spesso
avrei voluto
correre
nel quadrante fesso
della mia cipolla e vivere
in altro tempo sognato.
Invece son qua
a sentir l'acqua che piove,
a guardare il gabbiano che vola
in qualche suo altrove.
Dahan26.
Il cielo era sereno. La strada aveva abbandonato la pianura e si inerpicava serpeggiante su per le
colline. La valle si faceva stretta e ai nostri lati le colline spuntavano innevate e scure. Terrazze e
sentieri erano evidenziati dall’alternanza di neve e roccia. Arbusti bruni e sterpaglie marroncine ci
accompagnavano lungo i campi ai piedi delle alture e dalle vette dal profilo addolcito immensi
tralicci dell’alta tensione ci osservavano a mo’ di sentinelle. Di lontano, ancora colline, e colline
ancora. Più proseguivamo e più si facevano a noi incontro a stuzzicarci la curiosità di scoprire cosa
vi fosse al di là d’esse. Xiaoyu appariva rapita da tale spettacolo naturale, ed io con lei mi fermavo
spesso ad ammirare la molteplicità delle forme e dei colori, seppur solo tonalità di marrone e grigio.
La neve che si stava sciogliendo ruscellava giù dalle scarpate e giungeva a noi un suono cristallino
come fosse il canto di cento fringuelli. Ci fermammo ad ascoltarlo, per cancellare un poco il
silenzio assoluto che ci aveva accompagnato per due mesi.
Poco più avanti la strada si divideva e un cartello verde indicava la via per una città di nome
Xincheng27. Ci incamminammo in quella direzione, con la collina a sinistra e la pianura a meridione
sulla destra. Avevo lo sguardo dritto nel cielo azzurro, e il riverbero della neve mi abbagliava, tanto
che tutto mi appariva verde e rosso ogniqualvolta chiudevo e riaprivo gli occhi.
Il cuore mi batteva forte in petto, forse per la stanchezza o forse per l’emozione che quel paesaggio
mi donava.
***
***
***
Giungemmo al paese di Xincheng. Simile a Licun, ci accolse con le sue strette stradine e le sue
casette ammucchiate, vuoi di mattoni, vuoi di cemento. Quasi tutte le finestre erano aperte ma
nessuno ci guardava. Eppure in quel silenzio pareva che quella città ci osservasse, ci parlasse.
Avevo la sensazione che quelle case fossero in qualche modo animate e che ci respirassero addosso.
Passammo accanto ad una casa alla nostra sinistra con la facciata dipinta d’azzurro e le finestre tutte
chiuse. Quando fu alla nostre spalle, mi voltai indietro, per istinto più che per mia volontà.
Mi sembravano aperte quelle finestre. Guardai meglio. Erano chiuse.
Un cigolìo attirò la nostra attenzione verso il lato destro della strada. L’altalena di un giardinetto
dondolava, mossa dal vento che non c’era. Poi si fermò. Venne da quella direzione una brezza
gelida che ci avvolse. Poi si acquietò, ma il freddo era ancora presente sui nostri volti.
Notammo che l’altalena si era fermata non perpendicolare al terreno, bensì di un certo angolo.
Dopo alcuni secondi riprese il suo dondolio fino ad esaurirsi poco dopo.
Xiaoyu si era stretta ancora di più al mio braccio. Senza togliere lo sguardo da quell’altalena, mi
disse:
“Andiamo via”
Così facemmo, dopo aver raccolto le necessarie provviste.
***
***
***
Ritornammo sui nostri passi verso la G108 e ci rifugiammo in una cascinetta che avevamo
incontrato poco prima di entrare in Xincheng. Era una casetta molto graziosa. Costruita in legno,
con un piccolo portico e due panche, era piccola e molto accogliente. Le pareti emanavano calore e
protezione, lo scoppiettio del fuoco ci teneva compagnia, mentre il tavolo e le sedie ci raccontavano
la loro storia.
Non ci sentivamo soli, non avevamo paura, non come a Xincheng. Quella città aveva segnato il
nostro umore e quasi ci aveva privato dell’ottimismo a fatica conquistato. Non parlammo di ciò che
avevamo osservato quel mattino, perché conoscevamo già la risposta.
Il silenzio aveva ripreso ad angosciarmi, non quello della campagna d’intorno ma quello di Xiaoyu.
Non sorrideva più, parlava poco. Strano, non c’era tensione, ma pace e tranquillità.
Era tornata ad essere la Xiaoyu di Piccola Neve, come se i due mesi d’affetto fossero stati
cancellati. Rimanevano i bacini della buonanotte, con i quali voleva tranquillizzarmi, o ancor più
tranquillizzare se stessa.
***
***
***
Quinto giorno.
Volevo prender aria quella sera. Il calore del fuoco mi aveva stretto le tempie. Fuori c’era freddo,
ma non troppo. Uscii sotto il portico e inspirai a pieni polmoni quell’aria fresca, ed in breve quel
cerchio alla testa se ne andò.
Mi sedetti su una delle due panche, fredda, gelata. Non mi piacque quella sensazione. Mi rialzai, ma
un senso di impotenza mi vinse, dunque ripresi la scomoda posizione.
I sassolini della ghiaia, un po’ grigi e un po’ arancioni, catturavano il mio sguardo e i miei pensieri.
Ero come ipnotizzato dai loro disegni senza senso che si formavano al prolungato mio osservare.
L’uscio si aprì e ritornai alla realtà.
“Che fai qui? Prenderai freddo...”
Era Xiaoyu. Benché la panca fosse larga a sufficienza, ella venne a sedersi sulle mie gambe.
Prese le mie mani con le sue e le mise in grembo, le sue sopra le mie. Le nostre guance si
avvicinarono. Osservammo in silenzio il tramonto oltre le colline. Il cielo aveva preso una tinta
d’azzurro ceruleo, mentre le poche nuvole avevano la parte inferiore dipinta di rosa acceso e pian
piano d’arancio. Del medesimo colore era il volto di Xiaoyu, le sue gote e le sue tempie, mentre gli
occhi e gli iridi s’accendevano d’una luce marrone metallica, le pupille erano neri opali.
Guardava e sorrideva. Sentivo palpitare il suo cuore ed ero già immerso nel suo respiro, quand’ella
disse:
“Vorrei un coniglietto, sai?”
“Un coniglietto?”
“Un coniglietto, sì. Tutto bianco, ma non con gli occhi rossi, ché mi fa paura. L’ho sempre
desiderato, fin da piccola. Ho tanta voglia di dargli un bacino sulla testa, fra le orecchie...”
La baciai io, fra i capelli, come fosse lei il mio coniglietto.
“Anch’io lo volevo, da piccolo...”
“Mi pare che tu lo voglia anche adesso”
Si voltò a guardarmi. Il suo sorriso mutò. Le labbra, vicinissime alle mie, si rilassarono.
Un bacio venne spontaneo. La sua bocca però incontrò la mia in un angolo delle labbra.
Il sole calò oltre le colline e il tepore rimase solo un ricordo, lasciando il passo a tremiti di freddo.
Quello fu l’ultimo giorno dell’Anno del Topo.
***
***
***
Sesto giorno.
Ovvero il primo giorno dell’Anno del Bove. Mi alzai presto quella mattina e uscii di casa per
ammirare il sorgere del sole. Un piccolo termometro appeso al muro, vicino alla porta, segnava sei
gradi Celsius. Non mi sedetti sulla panca, pensando che fosse fredda, ma rimasi in piedi, con le
mani al caldo nelle tasche del cappotto.
Il cielo era tinto d’azzurro chiaro e presentava grandi nembi uniformi di blu cobalto, graduati in
rosa pallido man mano che lo sguardo s’allontanava verso l’orizzonte, ove le colline apparivano
come un unica montagna scura. Un festone di nuvole frastagliate lambiva le colline e si univa ad
esse tanto che non percepivo il loro confine, ma più ad oriente la linea tra terra e cielo si faceva più
netta, sotto piccole nubi di blu e rosa. Tra la coltre nuvolosa superiore e quella lontana c’era una
striscia di cielo sereno azzurro chiaro. In primo piano i campi innevati e gli alberi solitari avevano la
medesima tinta delle nubi, con particolari più o meno scuri a seconda del gioco di luci ed ombre.
Esistevano in quel paesaggio aurorale solo tre colori con le loro sfumature: il blu cobalto, l’azzurro
e il rosa. Il sole era ancora sotto la linea dell’orizzonte, ma già irradiava la sua luce oltre le prime
nubi. Avrei voluto rimanere lì per sempre, in quella casetta vicino alle colline, con Xiaoyu.
Al passar del tempo e dei miei pensieri, il sole si fece più alto nel cielo e le nuvole scomparvero.
Nuovi colori avevano dipinto la campagna. Xiaoyu mi chiamò, avvisandomi che la colazione era
pronta. Ritornai in casa, in silenzio, con il mio segreto.
AVVENTO DI PRIMAVERA
Lichun
Una rondine sola
sfiora i tetti d'ardesia
della città.
Dove andrà?
Si è posata
sui fiori d'acacia
di qualche aiola
incantata.
E' scomparsa piano piano:
non credevo fosse andata
così lontano.
Lichun28.
Avevamo lasciato quella casetta di malavoglia, e a più riprese ci volgemmo indietro a guardarla
un’ultima volta finché divenne sempre più piccola, fino a scomparire.
La strada era tutta in salita, con molte curve.
Giungemmo dopo alcune ore di cammino nel punto più alto della collina; oltre, la strada riprendeva
a scendere verso la pianura di Jiecun29 e Xiangfen30.
Davanti a noi si estendevano per quattro chilometri cinque o sei file di colline perpendicolari al
nostro sguardo. A occidente, a metà di una valle, scorgemmo piccolo l’abitato di Baishe31.
Alla nostra destra, sul fianco d’una collina, ci aspettava un’altra casetta simile alla precedente.
Non senza fatica per Xiaoyu, la raggiungemmo.
Anch’essa sembrava in ordine. Mi colpì subito la grandezza dell’unico kan, il letto di mattoni al
centro della sala: avrebbe potuto dormirci una famiglia intera.
Xiaoyu stramazzò sul materasso, stravolta, a braccia aperte. Un lieve dondolio l’accompagnò.
Sarà stato il freddo mattutino, sarà stata la stanchezza, non lo so, fatto sta che quella sera presi a
starnutire, molto forte.
Prima Xiaoyu rise di quegli sbuffi; in seguito, sentendomi imprecare ad ogni starnuto - tipo: etciii,
bastardo!, o: etciuuu-elaa, bagascia! - ella si innervosì e mi disse ad ogni occorrenza: “Scoppia!”
oppure “Non puoi essere più discreto!”. Ma io, imperterrito, continuavo lo spettacolo.
Il giorno successivo, placato il solletico al naso, presi a respirare con affanno. Mi sentivo un
macigno che gravava sui bronchi. Nel pomeriggio mi bruciavano gli occhi: non riuscivo a tenerli
aperti e quando li richiudevo lagrimavano come quelli di un personaggio dei soho-manga32
giapponesi. Più passavano le ore e più peggioravo. Camminavo avanti e indietro per la stanza senza
avere una meta, con la schiena curva. Mi dolevano i lombi. Tremiti di freddo scendevano lungo la
spina dorsale. Sentivo la testa leggera, come fosse sospesa nel cielo fra le nuvole. Anche i pensieri
si fecero liberi e presero concretezza in vaneggiamenti vari. Ogni tanto scuotevo il capo e dicevo:
“Linfen... l’inferno...non dobbiamo andarci, sai, Xiaoyu?... Conigli bianchi per vossignoria!
L’altalena, il biglietto della nonna... Non dobbiamo andarci, a Linfen...”
Xiaoyu, seria, mi si avvicinò, prese con ambedue le mani le mie tempie e accostò le sue labbra alla
mia fronte.
“Mioddio, scotti! Stenditi a letto, ché ti misuro la febbre”. Così feci.
“Oltre quarantadue gradi!” esclamò.
Prese immediatamente del ghiaccio e lo mise dentro un canovaccio, poi sulla mia testa. Forse mi
diede anche delle medicine, non ricordo. Continuavo a ripetere, sorridendo un poco:
“Oh, animula, vagula, blandula...” 33
Xiaoyu si protese su di me. Mi accarezzò, e la sua mano fredda rimase a lungo sulla mia guancia.
I nostri volti erano vicinissimi, tanto che nuovi particolari del suo viso furono svelati al mio
febbricitante sguardo. Venne in me il senso della poesia e principiai a declamare estasiato:
“Principessa, sei tu? I tuoi iridi marroni hanno già rapito l’animo mio e le ciglia, lunghe e sottili,
accarezzano il mio respiro. Minuscole imperfezioni e piccoli pori della tua pelle non si corrugano
fra le sopracciglia. Perché sei così seria? Cosa ti cruccia, Xiaoyu mia? Ascolti i miei vaneggiamenti,
quelli d’un moribondo. Il tuo nasino, or vedo. E le tue mani, così graziose”
“Non parlare, Jack. Cerca di riposare” mi disse, senza mutare di atteggiamento e posizione.
Ripresi il mio canto.
“Questi capelli, oh! Neri, dritti, leggermente aperti dall’invisibile pettine di sentimenti. Questa tua
piccola boccuccia, le labbra secche come le mie... La tua mano sul mio volto che accarezza le corde
della cetra del mio cuore... Parole. Sentimenti. Sei così cara con me, così importante...”
Il profumo di ciliegio. Fu quello, lo so.
“Ho il cuore gonfio, principessa. Più non reggo”
La mano sinistra sul suo orecchio, le dita fra i capelli. L’altra dietro la nuca. Velocissimamente le
sue labbra sulle mie.
Più non ricordo. Oltre quel gesto il buio.
Rimasi incosciente per molto tempo. Quando mi ridestai, mi accolsero il suo sorriso e i suoi occhi
dolcissimi. Era un sorriso diverso, più familiare.
***
***
***
Decimo giorno.
Passai una settimana a letto in convalescenza. Mi aveva infastidito quella lunga permanenza sotto
le coperte, consolato dal tempo brutto e piovigginoso che imperversava fuori.
Appena tornò il sereno, ardii ad uscire dalle soffici coltri e vagare tossicchiando per la stanza.
Temetti che la mia infermiera mi scorgesse, quindi controllai la sua posizione. Era sdraiata su una
poltroncina e dormiva serena. Avevo un po’ freddo. Dalla finestra entrava un fascio di raggi di sole
che facevano apparire diffusi granelli di polvere e fuliggine mossi dall’aria calda del camino. Presi
una seggiola dal tavolo e la misi non lontano dalla finestra in modo che, una volta seduto, i raggi del
sole m’investissero. Mi sedetti.
Fuor dai vetri, cercando di non essere abbagliato dal sole, vidi un cielo profondamente azzurro e
terso, mentre il forte vento animava rumoroso i rami degli alberi del giardino.
Quasi non lo sentivo. Percepivo invece il silenzio di quella casa e il mio come un continuo acufene.
Ero continuamente pervaso dal calore di quei raggi di sole. La pelle delle mani sulle gambe era
colpita di striscio dalla luce e metteva in risalto ogni ruga dalla più minuta al più grande solco fra
un’articolazione e l’altra.
Xiaoyu in quei giorni era molto premurosa con me. Mi curava, mi misurava la febbre, mi teneva
compagnia, mi stava vicino fisicamente con abbracci sia teneri che appassionati.
Mi accorsi che raramente sosteneva il mio sguardo per più di due secondi. Per timidezza o per
timore?
La luce colorava d’arancio la mia pelle. Con il pollice della mano sinistra premetti il dorso della
destra e spinsi verso le nocche per due centimetri. La pelle molto elastica si corrugava formando
enormi pieghe parallele come mostruose colline, rosse di luce in vetta e oscure d’ombra nelle valli.
Timidezza e timore sono due aggettivi che non le si addicono. Piuttosto venne in me il dubbio che
fosse accaduto qualcosa di particolarmente intimo fra me e lei durante il periodo che rimasi fra la
scienza e l’incoscienza, febbricitante, prima dell’oblio. La domanda era: ne sarebbe stata capace?
Osservai il pollice destro, la sua falangina deforme per un condroma, dovuto ad un trauma di
parecchi anni addietro. L’unghia appariva molto più larga della sua gemella. La luce radente del
sole evidenziava solchi e sfaldature a partire dalla grossa lunula bianca, e tutta la superficie era
ondulata. In sezione appariva come un tetto nordico dalle falde molto inclinate. Non mi doleva e
m’affascinava.
La risposta che mi diedi fu che Xiaoyu non poteva essere arrivata a tanto. Ma, allora, perché il suo
comportamento si fece più familiare e complice dopo il mio risveglio? Più che un’amica
intraprendente mi dava l’idea di una moglie soddisfatta. Di che?
Mi accarezzai il dorso delle mani. Il calore e il colore della luce andavano scemando e il sole quasi
non c’era più. Tornò il freddo nelle mie ossa, ma il silenzio rimase.
Mi alzai, misi la sedia a posto con l’accortezza di non svegliare Xiaoyu, e rapidamente ritornai sotto
le lenzuola, un po’ fredde. Dopo un minuto si scaldarono. Era un altro calore, era il mio.
ACQUA DI PIOGGIA
Yushui
Si confondono
le betulle e i tremoli
sotto la finissima
pioggia.
Pìgolano
nel mio cuore, soli
silenzi lunghissimi
della vita mia chioccia.
Yushui34.
Dopo il nevischio di due giorni prima, era tornato a splendere il sole nel cielo di Shanü35.
Questa era un piccolo abitato ai piedi dei monti di Cuijiazhuang, al quale giungemmo dopo qualche
ora di cammino. Il paese era situato al termine di una valle stretta che aveva origine da un ampio
anfiteatro montuoso, in una posizione ricca di energia. Aveva tutte le configurazioni del terreno
propizie al Fengshui36: un alta catena montuosa alle spalle come Tartaruga Nera37, un pendio dolce e
riccamente vegetato come Drago Verde, dirimpetto a questo un altro pendio scosceso con rocce
chiare come Tigre Bianca, infine di fronte un vasto altipiano coltivato come Uccello Rosso.
Alloggiammo in una vecchia casetta adiacente al torrente che nasceva poco lontano da quel monte
alto e benevolo.
Grandi alberi costeggiavano il canale, con i rami bruni rivolti verso l’acqua, come se volessero
scendere gli argini di pietra grigia e immergersi nel rivo. Un piccolo ponticello, a forma di omega38,
riuniva pacifico le due sponde avverse. Alcune delle pietre, grigie come quelle degli argini,
riflettevano abbaglianti la luce del sole; ed ancora più fulgido era il parapetto di marmo candido,
costruito a piccoli archetti e colonnine. Tutto, alberi e ponte, si riflettevano sulla superficie
dell’acqua ma la loro immagine era scomposta da minute onde che seguivano la corrente del fiume.
L’acqua scorreva calma e lenta. Nel mezzo galleggiava solitario un ramo secco, impotente contro la
forza dell’acqua e del destino, a meno che non avesse condiviso la sorte di un suo compagno di
viaggio, bloccato a ridosso dell’arco del ponticello. Il lento scorrere del rivo produceva solo un
caldo infinito silenzio, rigido come le pietre degli argini, bianco come il marmo del parapetto del
ponticello, continuo come il viaggio del ramo secco. Silenzio. Gioioso silenzio nel tepore di quella
giornata di sole. Un sottile odore di alghe e muffa si liberava dal corso d’acqua.
Ruppe quella magia la voce di Xiaoyu:
“Quando ero piccola mio padre mi portava la domenica presso un canale vicino a casa nostra e mi
insegnava a pescare. Salivamo su un ponticello come questo ed egli mi mostrava i pesci che
apparivano sotto il velo dell’acqua. Un giorno gli chiesi: «Papà, perché non hai ancora preso un
pesce?». Mi rispose: «Piccola mia, non siamo qui per prendere pesci: siamo qui per diventare
pesci». Non compresi. «Dobbiamo diventare pesci, papà?». Con un sorriso mi disse: «Il fiume che
vedi è un grande canale di energia che proviene dal cielo e dalla terra. I pesci sono fortunati, perché
vivendo nell’acqua si nutrono di questa forza vitale. La lenza che ho gettato ora è a contatto con
l’acqua, e pure, attraverso la canna, è a contatto con me: così anche io, come i pesci, sono parte
dell’Universo intero. Xiaoyu, se mi dai la mano, lo sarai anche tu»”
Per istinto guardai oltre il parapetto e vidi con mio stupore che nell’acqua v’erano alcuni pesci.
“Xiaoyu, guarda! Ci sono dei pesci nel fiume! Come è possibile? Non erano scomparsi tutti gli
animali da questo mondo?”
“Tutti, sì, tranne quelli di piccole dimensioni interamente immersi nell’acqua. Pesci, insetti, anche
bisce, rane o altri uccelli e mammiferi, sempre minuti, che casualmente si trovavano sotto il pelo
dell’acqua al momento dell’accaduto. Ma un essere umano, seppur bambino, nelle stesse condizioni
sarebbe scomparso”
Rimanemmo un poco in silenzio, ad ammirare il lento scorrere del fiume, così lento da non
percepire in qual senso esso si muovesse.
Ella aveva mutato espressione e guardava senza sorriso l’immagine del suo volto riflessa e
scomposta dalle onde che si frangevano ai lati dell’arco del ponticello.
“Ti manca tuo padre?” le chiesi.
“No. Ero preparata a questo evento”, mi rispose.
Non le credetti, perché nei suoi occhi c’era ancora l’immagine di suo padre e di lei bambina, mano
nella mano, su un ponticello di un canale a Houma.
***
***
Sesto giorno.
***
Era il primo giorno di Quaresima. Faceva ancora freddo, ma il sole scaldava molto, quindi
decidemmo di passeggiare un poco lungo il fiume.
Tutto era calmo e tranquillo, come il fiume che lento scorreva. Non c’era più neve e l’erba
cominciava a rinnovarsi. Era verde come la giada, chiara, uniforme, in contrasto con la corteccia
scura degli alberi ancora dormienti. Qualche foglia scura, solitaria, saltellava sul terreno delle aiole
e sull’asfalto, come se stesse fuggendo da qualcosa di spaventoso. Dapprima una foglia, poi due,
poi tre, adesso una decina, sempre di più, sempre più veloci. L’aria prese a sferzare i nostri volti e a
raggelare le nostre mani. Il vento si fece in breve tempo più forte e comparvero quasi dal nulla
molte nuvole nere e minacciose.
Xiaoyu si fermò e consigliò di tornare indietro, poiché presto sarebbe piovuto ed ella non sarebbe
stata abbastanza celere da mettersi immediatamente al riparo.
Non feci in tempo a riflettere che intorno a noi gocce d’acqua fittissime piovvero dal cielo, tanto
che non riuscii a veder alcun particolare del paesaggio oltre una brevissima distanza. Tutto
m’appariva sfocato e distorto, uniformemente dipinto di grigio. Le gocce percuotevano l’asfalto, la
terra, le pietre del ponte, si frangevano in schizzi ripetuti di brevissima durata. Scivolavano sui fili
d’erba delle aiole e si ricongiungevano in numerosi rivoli e pozze. Udivo il forte tamburellare della
pioggia, solo quello, uniforme. Penetrava dentro me quell’unico suono, dentro la mente e il petto, e
il respiro si fece faticoso. Era tutto dentro di me, come lo fu il silenzio dei giorni passati.
Tutti bagnati come pulcini, col vento gelido che ci soffiava contro, sentivamo il freddo fin nelle
ossa, e Xiaoyu cominciò a tremare. Avevo i capelli che grondavano acqua e questa rigava il mio
viso e ne solleticava la pelle. I pantaloni si fecero pesanti e attillati, mentre le scarpe erano colme
d’acqua, i calzini viscidi fra le dita. Cento goccioline erano sulle lenti dei miei occhiali che non mi
permettevano di guardare bene il volto di Xiaoyu nei particolari. Ricordo che aveva una smorfia,
occhi stretti quasi chiusi, e si era aggrappata a me, con la fronte sul mio petto in un inutile tentativo
di non bagnarsi il viso. La sua pelle umida emanava un deciso e delicato odore.
Improvvisamente come venne, l’acquazzone si spostò altrove e il sole riapparve fra le nuvole.
Ci incamminammo silenziosi verso casa. L’asfalto emanava un acre lezzo di bitume e petrolio.
***
***
***
Giunti in casa, raggiungemmo subito il camino ove era acceso un bel fuoco accogliente.
I nostri maglioni di lana erano inzuppati fradici e al tatto parevano infeltriti. Ce li togliemmo.
La maglietta bianca di Xiaoyu era completamente bagnata e se ne intuiva il colore in quelle sole
zone irregolari in cui non era appiccicata alla pelle, nelle cuciture e nei bordi. Ugualmente bianca
appariva la zona dello sterno, mentre la stoffa avvolgeva incolore tutta la pienezza dei seni e li
sosteneva. In perfetta trasparenza erano le areole scure e piccole dei capezzoli e gli stessi in rilievo.
Tolse quell’ultimo indumento che le copriva la parte superiore del corpo e venne vicino a me.
Mi stava di fronte. I capelli bagnati erano tutti schiacciati e non si distinguevano fra loro. Erano
divenuti più neri del solito. Alcuni d’essi cadevano sulla spalla sinistra e sulla parte alta del seno, in
gruppi filiformi ben distinti che terminavano in ampi uncini.
“Dai, spogliati. Levati la camicia e la maglia”, mi disse decisa, ma un poco sottovoce.
Mi aiutò. Sentivo le sue unghie sulla pelle del petto.
Poi mi abbracciò, con forza. Quasi mi soffocava. Percepivo il respiro del suo ventre sul mio. I suoi
seni erano schiacciati su di me. Morbidi. Ne avvertivo i capezzoli fra le costole.
Con la testa sul mio petto ne ascoltava il respiro. Vedevo il suo orecchio, e la nuca, e il collo
scoperto dai capelli.
Volli baciarla proprio lì, ma il profumo di ciliegio mi fermò.
Chiusi gli occhi. Inspirai. Avevo il cuore che batteva veloce, pareva volesse uscire.
Desideravo entrare in lei, ed ella in me.
L’abbracciai più forte.
RISVEGLIO DEGLI INSETTI
Jingzhe
Mi pare d'averti già visto,
il colore dei tuoi occhi
improvviso il tuo sorriso.
Eppure non ci sei
qui con me.
Sopra Laura è già l'alba.
Jingzhe39.
Era proprio una bella giornata di sole, con l’aria ancora un po’ fresca ma non fredda, e l’acquazzone
di otto giorni prima era solo un ricordo. I giorni a Shanü trascorsero sereni e senza grandi novità.
Come ogni addio, quel giorno era carico di malinconia. Non potevamo fare altrimenti, non
potevamo restare: Linfen con i suoi segreti ci aspettava.
Trovai sotto il portico di una casa un vecchio carretto, un caratteristico triciclo a pedali, e mi venne
l’idea di utilizzarlo come mezzo di trasporto per il nostro lungo viaggio, così capiente da poter
trasportare più di due zaini e Xiaoyu perennemente inferma.
A Xiaoyu piacque molto l’idea.
Montammo io in sella ed ella sul carretto e lasciammo per sempre il fiume, il ponte, i ricordi felici.
Feci un po’ fatica a pedalare ma subito fu facile perché la strada prese a scendere verso la pianura.
Andavo giù veloce, velocissimo, sempre di più, noncurante dei sobbalzi e delle curve strette.
Il vento mi fischiava nelle orecchie e le piante, dagli alberi all’erba appena cresciuta, mi
sfrecciavano rapide di fianco agli occhi ché non ne intuivo i particolari ma solo la forma e il colore.
Ad ogni curva nuove colline e nuove balze mi apparivano nel loro fresco splendore e tutto si
susseguiva con tale euforica rapidità da esserne contagiato. Sorridevo ad ogni nuovo particolare, mi
stupivo, gonfiavo i polmoni estasiato, urlavo di libertà: iahuuu. Ma con voce bassa, temendo di
essere deriso dalla mia compagna di viaggio. Alla prima esclamazione la sentii ridere, alla seconda
udii un timido eco dietro di me. Gridai più forte. Gridammo insieme, come impazziti.
Le case dei villaggi in fondo valle ci venivano incontro a braccia aperte, ci salutavano con i loro
tetti rossi e azzurri. Tutto era una festa in quella folle corsa verso Jiecun40.
Solo il Liujia Shan41 era immobile, inespressivo e magno. Ad un passo dalla pazzia, era quel monte
l’unico nostro punto di riferimento, il nostro guardiano e custode.
Una macchia scura ben presto ci apparve. Piccoli punti neri e strisce grigie, poi tetti lucenti, poi
strade, poi insegne e cartelli vivacemente colorati, poi il silenzio o il cigolio della catena del triciclo
mal oliata: Jiecun.
***
***
***
Il nostro viaggio non fu una corsa ininterrotta verso Jiecun.
Xiaoyu vide un tempio e volle fermarsi a pregare un poco. Era scavato nella roccia marrone della
collina sul lato destro della strada, con l’ingresso e i gradini che ivi portavano modellati anch’essi
nella pietra. Ogni singolo gradino era consumato al centro e la scala assumeva un movimento
ondulato e sinuoso. Su di un muretto di vecchi mattoni e pietre, appoggiati su piccoli sacchi di iuta,
stavano ritti tre sacchetti di frutti rosso marroncini che si sostenevano vicendevolmente e altri
cinque, trasparenti anch’essi, contenenti ciascuno vent’otto mele arancioni e gialle disposte per
quattro colonne di sette pomi. Incuriosito, chiesi a Xiaoyu a cosa potessero servire quelle vivande.
“E’ frutta votiva. Ora ne prenderò un sacchetto e la porterò ai piedi del Buddha dentro il tempio”
Aprì un sacchetto, prese in mano una mela e ne saggiò la consistenza fra l’indice e il pollice. Poi
disse:
“E’ ancora fresca”.
Portò quel frutto vicino al naso e inspirò. Aggiunse:
“Ancora profuma...”
“Il freddo l’ha conservata bene”
Ella rimise la mela nel sacchetto e sollevo questo dal muretto, intenta a portarlo alla divinità nella
grotta. Quando lo ebbe in mano, fermò lo sguardo su un lato del sacchetto. Più non si mosse, poi
disse a voce bassa ed incerta:
“Liang ling ling jiu nian, san yue, si ri... 42”
“Ieri? Come è possibile?”
Sempre con gli occhi fissi sull’involucro rispose:
“Non lo so”
“Sarà la data di scadenza...”
“No. C’è scritto che questa è la data di confezionamento”
“L’avranno postdatata” asserii senza riflettere.
“Di quattro mesi?” mi fece notare giustamente.
Xiaoyu decise comunque di entrare nel tempio, ma ne uscii quasi subito a passo veloce, barcollando
giù per la scalinata. Sul penultimo gradino scivolò poiché la gamba malata non la sostenne.
Con una mano si resse alla fredda parete di roccia e con l’altra si massaggiò il ginocchio dolorante.
L’aiutai a rialzarsi. Era pallida in volto. Mi disse, senza attendere la mia domanda:
“C’erano alcuni bastoncini di incenso accesi. Nessuno c’era in quella stanza, ne sono sicura!”
“Andiamo via”
Pedalai veloce lungo la G108, ma con umore diverso. Xiaoyu rimase in silenzio fino a Jiecun.
***
***
***
Ottavo giorno.
La temperatura si era abbassata di molto e il cielo era coperto di nubi.
Pensavo all’accaduto di una settimana prima, alla grotta vicino a Jiecun. Cercavo di darmi delle
spiegazioni plausibili sul mistero dei bastoncini di incenso accesi e pure dell’altalena immobile di
Xincheng. Avevo una tesi accettabile: forse eravamo rimasti intrappolati in un’altra dimensione e
un altro tempo, e ritornavamo per alcuni attimi alla realtà dalla quale fummo sottratti.
Xiaoyu era molto preoccupata... Per quale motivo? Perché tali avvenimenti la spaventavano così
tanto? Il ritorno alla quotidianità precedente l’esperimento di Linfen avrebbe dovuto produrre gioia
e speranza, non terrore.
Mi chiesi allora se veramente conoscessi Xiaoyu. Sebbene mi raccontò molto della sua vita e dei
suoi desideri, molti particolari del suo io mi rimanevano oscuri. In primo luogo la sua
determinazione nel proseguire il viaggio verso Linfen. Sicuramente conosceva molti più dettagli di
quanto mi avesse raccontato, altrimenti non si sarebbe spiegata la sua caparbietà. Conosceva la meta
del nostro viaggio, e non era la sola città di Linfen o il messaggio della nonna. Mi parve che ella
fosse in missione e che avesse un obiettivo ben preciso da raggiungere. Per chi? Per che cosa? Mi
venne il dubbio che il nostro incontro fra le nevi di Xiawu non fosse casuale, e che io avessi avuto
un ruolo ben preciso.
Avevo perlopiù una conoscenza fisica di lei, dovuta più che altro ai baci quotidiani, agli abbracci, al
supporto che le davo per superare gli ostacoli della sua infermità. Voglio scrivere una lista di tutto
ciò che allora conoscevo della sua fisicità:
ogni tipo di sguardo
ogni tipo di sorriso
le pose e l’andatura
la sensazione nell’accarezzarle i capelli e la pelle
la forma, l’armonia e l’espressione degli occhi, del naso, delle labbra
la forma delle dita e dei piedi
le varie inflessioni della voce
i piccoli tic nervosi
la posizione e la grandezza dei nevi
i denti lucenti e i canini curiosamente aguzzi
le piccole spalle
le curve del corpo, i fianchi, la vita, i glutei, i ginocchi ossuti
la forma dei seni e dei piccoli capezzoli
le costole, il ventre piatto, l’ombelico perfetto
le ossa delle anche nel basso ventre
il monte di Venere e la sua intimità
la fragranza della pelle
quel profumo di ciliegio
Ma conoscevo i suoi sentimenti? La gratuità dei baci e degli abbracci, l’assenza di vergogna quando
il mio sguardo si posava inevitabilmente sul suo intimo, ciò che accadde a Shanü dopo
l’acquazzone, fece crescere in me il sospetto che ella volesse esprimermi il suo smisurato affetto ma
non potesse farlo assolutamente. E forse di questo ne soffriva.
Ed io? Cosa volevo da lei? A Shanü come in tutti gli altri luoghi visitati desideravo essere una sola
cosa con lei, fisicamente. Era la mia Xiaoyu, sentivo che mi apparteneva e io le appartenevo. Non
mi bastavano più i baci e gli abbracci. Se avessi voluto, avrei potuto osare di più, ma avevo timore
di perderla, ne ero terrorizzato. Temevo quell’eventualità più della morte.
Perché? Quali erano i miei sentimenti? Non era solo il suo corpo che desideravo, no.
Xiaoyu. Cos’altro?
Le nubi correvano veloci nel cielo bluastro. Il sole un po’ accecava e un po’ nascondeva i suoi raggi
ed io soffrivo gelide ombre. Così furono i miei pensieri per tutta la giornata.
***
***
***
Sedicesimo giorno.
Era l’ultimo soggiorno a Jiecun, l’indomani dovevamo partire alla volta di Xiangfen43.
Quel mattino uscii di casa e vagai solo per le strade desolate di Jiecun con l’intenzione di cercare le
ultime provviste. Nel cielo azzurrino erano comparse molte nuvole grigie e la temperatura dell’aria
si era abbassata sensibilmente. Si alzò il vento, improvviso. Man mano che camminavo esso
aumentava di intensità, e ad ogni incrocio mi sfidava e mi respingeva. Veniva a me incontro d’ogni
direzione, tanto che a momenti persi l’orientamento. Quello zefiro ribelle s’era impadronito della
città. Avanti. Coraggio. Jiayou! 44
Un sacchetto di carta rimbalzava per la via, pareva una farfalla: ora saltellava, ora turbinava e
saliva, ora ancora si posava sulle mattonelle colorate del marciapiede.
Similmente volavano i miei pensieri, sospinti dal desiderio di raggiungere presto Linfen.
Presto. Perché? Non era possibile? Senza l’impedimento della neve e con il triciclo potevamo
percorrere i ventisei chilometri che ci separavano da Linfen in due giorni. Per quale motivo Xiaoyu
voleva percorrere pochi chilometri ad ogni viaggio e trascorrere due settimane fermi ad ogni tappa?
Ma non volli cercare una risposta: gradivo l’idea di vivere ancora molti mesi in sua compagnia, e
temevo che a Linfen le nostre strade si sarebbero divise.
Trovai tregua rifugiandomi dietro un muro.
Trovai tregua, non solo dal vento.
EQUINOZIO DI PRIMAVERA
Chunfen
Sbuffa il vento soffia
e stroscia lento i rami
di goffa foglia che fruscia.
Scricchia il fusto storto
e ritornando scheggia
briciole di corteccia.
Un profumo di rose
invade l'aria,
un leggero senso di fieno
accompagna per l'aia,
sereno,
il ricordo di un bove.
(...)
Chunfen45.
In quella calda giornata d’equinozio, dopo esser giunti a Xiangfen ed aver preso alloggio in una
stanza di una piccola pensione, passeggiavamo lungo la sponda d’un canale.
Gli alberi del viale erano punteggiati di piccole gemme verdi ed alcuni di fiori un po’ rosa e un po’
bianchi. Non s’udivano però i garruli festosi delle rondini. In quell’innaturale silenzio anche la
primavera perdeva parte del suo fascino.
Camminavo a testa bassa, con le mani nelle tasche del giubbotto, e di tanto in tanto lanciavo un
sassolino avanti a me con un calcio. Xiaoyu arrancava col bastone, piano piano.
Fu ella a rompere il silenzio divenuto imbarazzante.
“Quando ero ad Houma solevo passeggiare col mio ragazzo lungo il canale principale... come
stiamo facendo noi adesso”
“E’ da tanto tempo che non siete più insieme, vero?”
Sempre continuando a camminare, mi raccontò la sua storia sentimentale.
Conobbe quel ragazzo al tempo della scuola secondaria. Condivisero felici oltre un lustro di progetti
comuni e speranze, finché queste non svanirono al sole come la neve, e la realtà apparve dura come
la gelida terra dei campi. Alcuni anni dopo, al tempo dell’università, s’invaghì di un ragazzo del suo
stesso corso di studi, il quale ebbe cuor sincero a dirle che solo amicizia poteva sussistere fra loro.
Ella soffrì molto e visse questo rifiuto tristemente, versando da sciocca fiumi di lacrime.
“Ci fu un altro uomo dopo di lui?” le chiesi.
“Si. Lo conobbi in un momento di grande difficoltà. Egli si prese cura di me, mi aiutò, non volle
lasciarmi sola, mi disse che ero molto importante per lui, mi sussurrò che ero la sua principessa...”
La sua voce si fece sempre più fievole, sì che compresi a malapena le ultime parole.
Continuava a camminare, a testa bassa.
Volli ancora domandare, ma ella mi precedette.
“E tu? Quante ragazze hai avuto?”
Narrai le mie esperienze, del tutto simili alle sue. Dopo il mio racconto mi chiese:
“C’è un’altra donna, ora, nel tuo cuore?”
Fui sincero e le dissi:
“Si. La conobbi per caso, quand’ella aveva urgente bisogno d’aiuto. Mi presi cura di lei, la aiutai
senza mai stancarmi, non la volli lasciare sola ed ebbi fiducia in lei contro ogni mio dubbio o
perplessità, a fronte d’ogni mistero. Era per me una... la mia piccola principessa...”
Terminai la frase con le parole fra gola e bocca.
Xiaoyu comprese ugualmente. Alzò il viso e mi guardò, con occhi improvvisamente grandi e
luminosi.
“Perché non le dici tutto questo?”
“Ho paura. Non so dare un nome a questo timore. Preferisco volerle bene in silenzio”
Xiaoyu continuava a guardarmi. S’era fermata. Le sopracciglia in su, la fronte corrugata, gli occhi
umidi di lacrime.
Poi volse lo sguardo a terra, impotente e disse:
“Maledetta Linfen!”
Cominciò ad urlare, a proferire quelle due parole senza sosta, con la rabbia d’una tigre in gabbia.
Quella frase maledetta rimbalzava sul tronco nero degli alberi del viale, echeggiava per tutto il
canale. Brandiva il bastone come una scure e percosse le lastre del selciato finché cadde in
ginocchio, dolorante ed irruppe in pianto. Singhiozzava e rantolava senza fine, coi pugni serrati a
terra.
Ero lì, ancora con le mani in tasca, impotente di fronte a tanto strazio.
L’aiutai a rialzarsi. Tornammo in silenzio alla pensione.
***
***
***
Settimo giorno.
Ancora pioggia. Ancora una volta.
Tic. Toc. Plik. Plik. Tictoc. Plik. Tic. Tocplik. Tit-tocplik.
Un fruscio ovattato. Aprii la finestra per controllare, ed ecco udii più forte il tamburellio dell’acqua:
avvolgeva tutto, avvolgeva gli alberi dalla corteccia più scura e nera, madidi e infreddoliti,
avvolgeva prepotente anche me, faceva freddo il mio respiro.
Chiusi i vetri. Ancora il rumore attenuato. Osservavo le gocce di pioggia sul vetro. Alcune grandi,
altre più piccole. Le prime portavano riflessi di luce nera. Improvvisamente alcune di loro
precipitarono giù per la superficie del vetro seguendo un percorso a zig zag, unendosi con altre più
minute, velocemente. Volli andare oltre con lo sguardo: mentre le gocce si offuscavano e svanivano
ecco che apparivano davanti a me gli alberi di color corvino. Quella visione plumbea, quel contrasto
fra staticità vegetale e mobilità acquea recava in me un’insolita inquietudine che m’opprimeva il
cuore. Volevo fuggire. Gli alberi tornarono sfuocati e subito si ridefinirono le gocce ai miei occhi.
Tic. Toc. Plik. Plik. Tictoc. Plik. Tic. Tocplik. Tit-tocplik.
“Cosa stai facendo, Jack?”
Era Xiaoyu. Il cuore si riscaldò. M’allontanai da quell’umidità. Xiaoyu, così accogliente la sua
voce, come un gattino insicuro che sereno dorme con il muso fra la pelliccia della madre così mi
sentivo.
“Piove”
Venne vicino a me. Continuai:
“Spesso avrei voluto correre nel quadrante fesso della mia cipolla e vivere in altro tempo sognato.
Invece son qua a sentir l'acqua che piove, a guardare il gabbiano che vola in qualche suo altrove”
“Sei un poeta!?” disse divertita.
Mi voltai a guardarla. Che bella. Che dolce sorriso.
“Tu sei la mia musa, lo sai?”
Abbassò lo sguardo e il capo. Mi disse con voce timida:
“Per quello che è successo la settimana scorsa io...”
La interruppi, accarezzandole il volto.
“Non parlare. E’ inutile prenderci in giro: conosciamo benissimo l’affetto che proviamo l’un l’altra”
“E’ questo che mi fa andare avanti, fino a Linfen” disse.
La sua mano, sulla mia, sul suo volto.
“Oltre Linfen mai più silenzio. Te lo prometto, Xiaoyu”
Così forte come quel giorno mai l’abbracciai. Alcune lacrime salirono ai miei occhi, ma gelarono
prima di uscire. Vinse il sorriso, il nostro sorriso.
***
***
***
Decimo giorno.
Tornò il sereno, nel cielo e nei nostri cuori.
Quel mattino faceva ancora freddo, circa 10 gradi Celsius.
Eravamo entrambi seduti sull’erba di un prato d’un parco di Xiangfen. Accanto a me fiorivano
odorose violette e gialli tarassachi, mentre intorno a Xiaoyu spuntavano graziose margheritine
bianche, rosa alla base dei petali. Ne colse una e l’annusò, poi le accarezzò il bottoncino giallo al
centro. Sognava sorridente, ed io l’ammiravo.
“Dedicami una poesia, Jack”, mi chiese con timido sguardo.
“Una poesia?”
“Sei un poeta, no?”
“Si”
Alzai gli occhi e vidi un grande albero di ciliegio che possedeva molti fiori, alcuni ancora in
bocciolo, altri già schiusi.
“Quanti fiori ha il ciliegio?
Non so. Forse cento.
Improvvisamente tu
fra i boccioli,
fra i petali dei fiori.
Il tuo sorriso, i tuoi occhi!
Nel mio cuore, un ciliegio:
ha centouno fiori”
“Ma se il ciliegio nel tuo cuore ha centouno fiori e io sono l’ultimo di quelli, allora chi sono gli altri
cento?” mi chiese divertita.
“Tutte le altre Xiaoyu che sono venute prima di te”
Mi diede un buffetto scherzoso, dicendo:
“Che scemo!”
Ridemmo. Mi sentivo felice. Mi sentivo contento.
Forse avevo già raggiunto la mia Linfen.
SERENO E LUMINOSO
Qingming
Calmo era il mare
e freddo il vento
faceva volare
i lunghi capelli
di Marina.
Pallido era il viso
e caldo a me
pareva il sorriso
i sottili occhiali
di Marina.
Lontani sono i ricordi
e quasi ignoti
a chi non ha l'arte
di sentirli vivi.
Qingming46.
Quel giorno ci allontanammo dalla città per raggiungere la periferia di Xiangfen presso il fiume Fei.
Le nuvole passavano stanche nel cielo, in tutto simili a miti pecorelle. Il sole, buon pastore,
rimaneva fermo ad osservarle, mentre un fresco vento a guisa di cane, ora le radunava, ora le
disperdeva.
La campagna a quel tempo era già tutta rinverdita e principiavano a fiorire le prime erbe di campo.
Con stupore vidi alcuni insetti, tra i quali dei bombi, che raccoglievano nettare da una corolla
all’altra.
Dai semi sopravvissuti al verno, ora spuntavano gracili germogli di cereali nei campi e di verdure
negli orti. Ne raccogliemmo alcuni per coltivarli in piccoli vasi: così facendo, nel tempo avremmo
avuto sementi, e dalle sementi altre piante, quindi cibo poiché le scorte di scatolame non ancora
scaduto si sarebbero esaurite in capo a due anni.
Fra un orto e un campo di mais s’ergeva una statua marmorea di Buddha, antica e corrosa dal
muschio e dal tempo. Fredda e provata dalle intemperie, comunque rideva.
Xiaoyu le si fece vicino e ivi s’inginocchiò.
La osservai mentre pregava a mani giunte e occhi chiusi. Anch’ella appariva imperturbabile, come
fosse di pietra. Il busto si fletteva in avanti con tale armonica lentezza ed uniforme precisione che
pareva uno stelo di riso incurvato dal vento: prima s’inchinava verso terra, poi ritornava indietro.
La bocca muoveva parole incomprensibili, ataviche litanìe dimenticate.
Era Qingming quel giorno, lo sapevo.
Xiaoyu commemorava i suoi defunti e pregava per tutti coloro ch’erano scomparsi il passato giorno
di Xiaoxue.
La imitai, recitando però un Requiem Æternam e il De Profundis, con l’intenzione di meglio
celebrare la loro memoria il prossimo 2 novembre.
Per il resto del giorno rimanemmo in silenzio, senza pronunziare parola alcuna.
Non v’era bisogno.
***
***
***
Il giorno volgeva lentamente al termine e il sole ci osservava basso all’orizzonte.
La luce radente illuminava l’erba dei campi e le foglioline degli alberi ai lati dei fossi. Il verde
acceso dei vegetali contrastava lo scuro fra un filo d’erba e l’altro, fra una foglia e l’altra.
Tutto era d’un verde nuovo e lucente, mentre di lontano le sagome delle piante erano nere e ben
definite. Quel paesaggio dalle luci drammatiche faceva nascere in me una sensazione di irrealtà, di
estraneità a ciò che mi circondava.
Il mio sguardo vagava perplesso, senza meta fra canali, solchi di terra, colline, rami d’alberi e cielo.
In quei lunghi istanti non pensavo a Linfen o a Xiaoyu o a me stesso. Pensavo a ciò che i miei occhi
vedevano: canali, solchi di terra, colline, rami d’alberi e cielo.
Il silenzio permeava tutto, il silenzio era me ed io ero esso e in esso. Giusto in esso navigavo, come
una piccola barca di legno vuota sospesa sulla superficie calma d’un lago, portata qua e là
passivamente, equidistante d’ogni riva sì che non avrebbe potuto il timone prender la via di
Settentrione o Meridione, Oriente od Occidente.
Fra il bruno e il verde mi apparì al limitare di un bosco una macchia di un colore che non doveva
essere lì.
Io guardai Xiaoyu ed ella guardò me. Insieme ci dirigemmo in quella direzione, percorrendo a
balzelloni col triciclo una stradina sterrata. L’erba cresceva solo fra le tracce delle ruote dei carri
che percorsero quella via, dalla notte dei tempi a Xiaoxue.
Pedalavo veloce, mosso dalla curiosità di conoscere cosa fosse quell’oggetto chiaro nello sfondo
scuro delle fratte. Man mano che m’avvicinavo, quella cosa prendeva forma, sempre più definita.
Era questa una piccola casetta rosa coi quattro vertici dipinti di bianco. Alla facciata di settentrione
stava saldamente attaccata un’edera dalle foglie verde scuro. In giardino un piccolo pozzo in pietra
era sovrastato da una cupola di ferro ove s’avvinghiava il glicine odoroso. I suoi fiori emanavano
una penetrante quanto delicata fragranza e tutt’attorno in terra si stendeva un tappeto di petali lilla.
Fu invero questo profumo a suggerirci di soggiornare in quel luogo.
***
***
***
Dodicesimo giorno.
Benché fosse ancora primavera il termometro segnava già ventisei gradi Celsius. Il cielo era coperto
da spesse nubi grigie e non v’era traccia di vento. Un umido soffocante ci impediva di respirare,
tanto che a Xiaoyu venne l’idea di trovar frescura nel bosco alle spalle della casa. Mi parve una
buona idea così l’accompagnai.
Ci addentrammo timorosi seguendo un sentiero lastricato. Ai nostri lati una foresta oscura ed
impenetrabile ci respirava addosso ed ebbi come la sensazione di essere osservato.
Al posto del canto degli uccelli regnava un silenzio soffocante e opprimente. Cortecce d’alberi,
arbusti, liane, tutto ci avvinghiava. La poca luce che filtrava dalle alte fronde degli alberi bastava
appena a distinguere le ramaglie secche che ostacolavano il nostro cammino.
Ad ogni respiro percepivo nel naso e in bocca un forte sentore di muschio.
Volevo tornare indietro ma vidi Xiaoyu intenta a proseguire, come se cercasse qualcosa che già
sapeva trovarsi in quella selva. Niente le dissi, e continuai a scortarla.
Non trovammo il fresco tanto sognato perché in quel bosco l’umidità era doppia di quella pur
elevata all’esterno.
Xiaoyu si fermò e si diresse verso un albero. Qui vi poggiò la schiena per riposare un poco.
Indossava un paio di calzoni militari, con molte tasche a metà gamba, tenuti da una cintura alta a
due file di occhielli, e una camicia di egual colore verdastro di cotone spesso.
Sbuffò per l’aria irrespirabile e con le sue dita sottili si aprì la camicia. Altro sotto non indossava.
Volse il capo alla sua destra e lo sguardo in basso. Alcuni dei suoi capelli seguirono la gravità
coprendole in parte il volto. Il braccio destro e la mano semichiusa penzolavano lungo il fianco
piegato e si posavano sull’anca all’altezza della cinghia. La spalla sinistra era più alta e il braccio
mancino piegato, con la mano s’appigliava ad una liana. In quel movimento i seni si scoprirono, ma
solo quello più basso rivelò il proprio capezzolo. Il mio sguardo era rapito dal ventre suo attorno
all’ombelico che si alzava e s’abbassava ad ogni ansimo.
Xiaoyu mi rivolse gli occhi e colse il mio stupore.
“Beh, è la prima volta che vedi una tetta? Mi hai visto più nuda di adesso”
La mia mandibola riprese aderenza con la mascella e mi scusai. Rispose:
“Non ti devi scusare. Andiamo”
“Ma dove vuoi arrivare?”
Non mi rispose. Proseguimmo.
Dopo un’ora di cammino in quell’afa soffocante il sentiero si fece più aspro e sconnesso.
Xiaoyu non poteva proseguire a causa della sua infermità.
“Non possiamo più andare avanti. Peccato” disse.
“Perché? Dove vuoi arrivare?” chiesi nuovamente.
“Lo senti questo?” disse accostandosi la mano all’orecchio.
Udii un sommesso gorgoglìo lontano, a tratti più intenso e ad altri meno.
“E’ il Fei He” disse.
Si tolse la camicia e ormai spossata trovò riposo seduta sopra una grossa pietra al margine del
sentiero. Il busto era piegato in avanti, il dorso curvo. I gomiti sulle ginocchia e il capo chino con lo
sguardo fisso a terra. Una parte di capelli restò sulle spalle, mentre i seni, perpendicolari al terreno,
mutarono di forma e, credetti, di consistenza sotto la gravità del proprio peso.
Fra quel tanfo di muschio non riuscii a percepire il suo profumo di ciliegio che ugualmente
emanava.
La desideravo. Il Cielo sa quanto.
PIOGGIA DEL GRANO
Guyu
Ti ho vista
da sola
venirmi incontro.
Voglio fermare
il tuo rapido passo,
devo proferire
veloci parole,
posso abbracciare
il tuo piccolo cuore,
manca l'ardire
di lanciare il mio asso.
Ormai sei già
alle mie spalle.
Resto qui
a contare i minuti.
Guyu47.
Ancora vivo era in noi il ricordo di quel bosco oscuro che non han sì aspri sterpi né sì folti quelle
fiere selvagge che ‘n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi colti48, tanto che decidemmo di
partire per la tappa successiva del nostro itinerario alle prime luci dell’alba, o forse prima.
In silenzio caricammo i bagagli sul triciclo e fuggimmo via dal luogo, che ci aveva ospitato per due
settimane, come ladri nel buio della notte. Non fu semplice raggiungere la strada G108: la luna con
la sua metà di luce non illuminava appieno il sentiero ghiaioso e molte furono le buche insidiose.
Dopo alcuni minuti giungemmo con sollievo alla strada asfaltata; le pedalate furono più leggere e
più veloci ed il rumore stridente delle ruote e della ghiaia cessò.
Ovunque volgessi lo sguardo, tutto appariva del medesimo colore grigio, ed oltre una breve distanza
il nero del nulla inghiottiva ogni cosa. Per non capitolare in un fosso seguivo attentamente la linea
di mezzeria della carreggiata.
L’aria era umida, non fredda e non calda, senza vento.
Tra un paracarro bianco nero e l’altro la mente vagava nei ricordi più lontani. Da ragazzo solevo
pedalare in bicicletta fino a notte tarda. Fendevo le tenebre ed esse si richiudevano alle mie spalle:
mi sentivo tutt’uno con la natura e le cose d’intorno. Talora sostavo sul piazzale della chiesa del
paese, ad ascoltare i dodici rintocchi delle campane e i dodici echi silenziosi del tiglio centenario.
Era un suono familiare, rassicurante, che interrompeva il silenzio fatto di mille presenze
impalpabili.
Lo stesso suono familiare della radio che solevo ascoltare le notti d’estate sdraiato in giardino,
mentre ammiravo il firmamento stellato del cielo. Le onde corte mi rimandavano la voce di Radio
Cina, i racconti del signor Shang49 e le suggestive note di pipa suggerite dalla dolce Ning50.
Grazie a loro mi ero innamorato della Cina; i giardini di Suzhou51, le porcellane di Gaolin52, il tè
Shuixian53, i manoscritti di Mawangdui54...
Ma non immaginavo che la Cina fosse così bella, bella fin nell’asfalto della G108 che percorrevo o
dei campi grigi illuminati dalla metà di quella luna che si rifletteva nelle pupille nere di Xiaoyu.
***
***
***
L’orologio automatico che avevo al polso, un tempo appartenuto a mio nonno, segnava le cinque e
un quarto quando alla strada si affiancò il rilevato della ferrovia che proseguiva verso Linfen ed
oltre. Sentivo lontano un rumore costante e cupo. Subito pensai che si trattasse di un treno che
sopraggiungeva e ne ebbi timore, memore delle apparizioni di Xincheng e di Jiecun.
Il suono non si avvicinava, dunque doveva avere un’altra origine.
Xiaoyu mi suggerì di percorrere una stradina alla nostra sinistra. Così feci, senza domandarle il
motivo di quella scelta.
Man mano che mi avventuravo su quel sentiero, le tenebre lasciarono il posto alla luce del nuovo
giorno e il rumore misterioso svelò nuove note già conosciute. Oltre un canneto ci aspettava un
largo ed acuto meandro del Fei He.
L’acqua era calma e lambiva la spiaggia di finissima rena bianca.
Xiaoyu s’avvicinò alla riva e si tolse le scarpe. Stette un poco ad osservare l’orizzonte. Sia il cielo
che l’acqua avevano il medesimo colore azzurro chiaro; solo una sottile linea rosa li divideva.
Nel controluce di quell’alba la sagoma di Xiaoyu congiungeva aria e acqua, con varie tonalità di
grigio.
Incrociò le braccia avanti e prese con le dita delle mani i lembi della maglietta e, descrivendo due
semicerchi verso l’alto, la sfilò via. In quel gesto inarcò il busto indietro e il petto infuori, il capo un
poco in basso. Come la cenere presenta scaglie più scure e più chiare, così il corpo di Xiaoyu
mutava tinta in quel movimento. Scuri erano i fianchi, le costole, il seno ovale, chiare la linea della
schiena fino ai lombi e le scapole appuntite; neri i jeans e i capelli per metà celati sotto il bianco
ceruleo della maglietta che le copriva in quell’istante il volto.
Si sedette e tolse i jeans e gli slip. Avvicinò la punta dei piedi all’acqua della riva e s’accovacciò in
punta di piedi sedendosi sui propri malleoli. I fluenti capelli neri le scivolavano sulla schiena fino a
metà.
L’indice della mano destra toccò l’acqua. La superficie s’increspò di piccole onde concentriche e da
quell’unico azzurro apparirono diverse tonalità di blu cobalto che s’avvicinavano a gruppi al grigio
della sabbia.
Ritrasse la mano, volse il capo verso sinistra. Gli occhi erano stretti, come volesse il suo sguardo
indagare un particolare lontano, la bocca era semi aperta.
Si alzò e volse le spalle al fiume. Prese la nuca con entrambe le mani e reclinò il capo all’indietro,
lo sguardo perso nel cielo terso. La bocca era semiaperta, come soleva tenere. Le braccia, dai gomiti
alle ascelle erano perfettamente perpendicolari alla terra, così pure il lungo crine.
Il sole avanti a lei s’avvicinava alla linea dell’orizzonte sottile e scura ed il cielo lì vicino assumeva
varie tonalità tenui di rosa. Quelle del fiume erano identiche, uniformi in lontananza e, vicino alla
riva, solo sulle creste delle piccole onde.
Il corpo di Xiaoyu aveva la schiena arcuata e il petto infuori, sì teso da far apparire tutte le costole a
fior di pelle; le gambe erano strette e le ginocchia piegate.
La luce dell’alba la colpiva di striscio e illuminava d’arancio e rosa solo alcune membra: gli zigomi,
l’interno del labbro superiore, il mento e il collo, i tricipiti; una ciocca nera di capelli interrompeva
quella continuità armoniosa; i seni ma non i capezzoli, lo stomaco contratto, il ventre piatto ma non
l’ombelico; il nero del pube e il suo segreto ancora fermava la luce; la superficie delle cosce fino al
ginocchio...
Il resto era immerso nello scuro del controluce, ed io con esso.
Giungeva alle mie orecchie il suono della risacca di quelle piccole onde senza schiuma, come di
mille campanellini di vetro. Poi silenzio. Ancora silenzio.
Una leggera brezza giunse da lontano e avvolse Xiaoyu come una seconda pelle.
Anch’io da lì a poco ne fui investito. Una fragranza mi scosse, così forte da percepirne pure il gusto
in bocca e in gola.
Ciliegio.
Mai in vita mia, prima di quel momento e dopo fin ora, provai e vissi una simile sensazione.
Estasiato, rapito, senza più respiro né corpo, ero solo pensiero sul corpo di Xiaoyu.
Le mani liberarono la nuca, le braccia si aprirono un poco e i gomiti scesero all’altezza dei seni;
stese le braccia in avanti e giunse le mani a mo’ di prece.
Non sentite anche voi queste finissime voci, sottili bisbigli e lucenti parole?
Silenzio: fate piano. Potreste raccogliere il buio della solitudine, o preziosi consigli, forse piccoli
pensieri d'amore.
Silenzio: fate piano. Fermate il pum-pum del cuore, raggelate il vostro respiro affinché la sua calda
mano e la vostra diventino preghiera.
Con lo sguardo rivolto allo zenit, abbassò le braccia, le mani lungo i fianchi, le ginocchia sempre
piegate.
S’avviò verso oriente, camminando lungo la riva, coi piedi nell’acqua e il capo chino. La sagoma
del suo corpo era tornata ad essere nera contro la luce sempre più intensa del sole che cominciava
proprio in quegli attimi ad albeggiare.
Piccoli passi. Xiaoyu s’allontanava claudicando e divenendo a poco a poco più piccola.
***
***
***
Undicesimo giorno.
Soggiornammo in un cascinale in prossimità di Geda55.
Era il giorno della Festa del Lavoro, il secondo di pioggia.
Annoiati entrambi, eravamo seduti attorno al tavolo del soggiorno a giocare a carte. Rammento che
fosse briscola...
Xiaoyu era silenziosa, non commentava nemmeno i miei frequenti errori di gioco che andavano a
suo favore. Le chiesi:
“A cosa stai pensando, Xiaoyu?”
Senza distogliere il proprio sguardo dalle carte che teneva in mano, rispose:
“Linfen. Cosa troveremo lì? Ho paura di...”
Alle sue parole rimaste in sospeso, la incalzai:
“Di cosa hai paura, amore?”
“Di come mi hai chiamata adesso”
“Lo sai che ti voglio bene. Ti ho promesso che dopo Linfen...”
Xiaoyu mi interruppe:
“Non puoi farmi certe promesse se non sei certo di poterle mantenere”
Mi colpì questa risposta. Aveva ragione. Aggiunse:
“Voglio dare un futuro al nostro legame. E questo potrà accadere solo dopo aver conosciuto il
segreto di Linfen. Sei d’accordo, Jack?”
Annui tristemente, non potendo far altro. Ella s’accorse del mio stato d’animo e disse, col sorriso
che le splendeva in volto:
“Sei d’accordo, amore?”
Nel mentre chiuse l’ultima mano del gioco con il carico di briscola, un tre di fiori.
Di ciliegio.
AVVENTO D’ESTATE
Lixia
Eri sola
nella stanza
in mezzo a tanta
gente.
Per niente
le tue mani al viso
mi celavano il profilo
morbido del tuo volto.
Ero assolto
da la tua voce
verso me, invece
era limpido silenzio.
All'improvviso
di netto! di gitto!
nel mio cuore confitto
il tuo sorriso.
Lixia56.
Eravamo in viaggio verso Dengqu57 quando incontrammo un fiumiciattolo che attraversava la strada
sotto un ponte. Sebbene fosse mattina, il sole era velato e l’aria molto umida con una temperatura
prossima ai trenta gradi Celsius.
Xiaoyu volle che mi fermassi e che la accompagnassi in riva al fiume perché voleva rinfrescarsi un
poco. Dovevamo scendere la scarpata di un terrapieno molto ripida per cui la sollevai con le braccia
e raggiunsi in breve la riva. Non feci in tempo a prender fiato che ella era già interamente spogliata
e con le gambe a bagno fino al ginocchio.
Aveva desiderio di tuffarsi ma l’acqua era gelida e la sua pelle era già come quella d’un’oca, le
labbra quasi viola e i capezzoli ritti. Immergeva le mani nell’acqua per saggiarne la temperatura, si
bagnava le spalle, piegava le gambe per tentare di immergersi, ma le mancava il coraggio.
La incitai a buttarsi. Mi chiese:
“Perché mi guardi così?”
Era lì nel fiume, con il bacino più avanti delle spalle, le quali erano chiuse in avanti come a
proteggersi, le braccia sui seni e i gomiti quasi uniti; con le mani s’aggiustava i capelli fluenti sul
viso e sugli occhi, sul collo e sul petto. E rideva.
Ridevano gli occhi, ridevano le labbra, ridevano i denti, ridevano i grandi incisivi e i piccoli canini
aguzzi. Rideva a singhiozzi, a perdifiato, come una ragazzina.
Mi fece tenerezza.
Mi spogliai anch’io, restando in boxer ed entrai in acqua vicino a lei. Cominciai per gioco a
spruzzarle acqua con le mani. Xiaoyu alternava risolini e urla e mi pregava divertita di smetterla.
Non avendo frutto le sue richieste, mi ricambiò la scortesia degli spruzzi.
Fuggii sulla spiaggia, ma piano piano perché sapevo che Xiaoyu non poteva correre, e mi lasciai
raggiungere. Poi fui io a ricorrerla, un po’ maldestramente: inciampai fra le sue gambe e cademmo
entrambi sulla sabbia calda. Ella supina ed io prono su di lei. Ridemmo ancora per qualche secondo,
poi con ancora il sorriso sulle labbra ci guardammo muti negli occhi. Fu ella a sciogliere il silenzio.
“Sono davvero felice, Jack”
Ci abbracciammo. Le baciai lievemente la bocca, poi la guancia, poi i capelli sul collo, infine le
spalla. Le accarezzai la nuca. Ella mi strinse ancor più forte a sé.
Ci addormentammo come bimbi, paghi di felicità, e ci risvegliammo verso mezzogiorno.
Ancora stesi sulla rena, mi disse, accarezzandomi il volto:
“Dobbiamo raggiungere Dengqu prima che faccia troppo caldo”
“Dì piuttosto che hai fame, bimba!”
Mi colpì scherzosamente e disse imbronciata:
“E’ vero: ho fame. Ma non chiamarmi bimba! Uff!”
“Non lo sei ma lo fai”
“A te piace, no?”
La baciai ancora una volta e dissi, mettendomi seduto:
“Su, ché ti aiuto a vestirti!”
“Si, papà...” rispose ella, ancor distesa, con un pollice in bocca e quell’aria da bambina che tanto mi
piaceva.
Tornai prono su di lei a baciarla una terza volta. Le sue braccia attorno al mio collo non mi
lasciarono più. Non so per quanto tempo continuò quello scherzoso tiramolla. Forse alle due del
pomeriggio eravamo ancor lì a giocare.
***
***
***
Tredicesimo giorno.
Dopo un giorno di pioggia e una settimana di brutto tempo, passeggiavo da solo per la campagna di
Dengqu. La terra era bruna, quasi nera, fangosa. Sparute e sparse, piccole piantine di mais
crescevano in quell’immenso territorio abbandonato. Le foglie avevano un verde nuovo, con piccole
gocce d’acqua fra le sottili e lunghe nervature. Alle otto del mattino l’aria era già calda. Rosolacci
rossi e gramigna m’accompagnavano ai lati del sentiero. Ogni tanto ne appariva uno bianco, una
rarità. Ritornerò a casa più tardi e racconterò ciò che ho visto a Xiaoyu - pensai.
A casa... Non avevamo più una casa dove tornare alla fine di quel viaggio. Tutte le abitazioni erano
nostre, e non lo erano. Forse, per eredità, solo l'appartamento della nonna di Xiaoyu a Linfen poteva
considerarsi nostro.
Nostro... Perché non ho pensato suo?
Avevo la certezza in cuor mio di vivere per sempre insieme a Xiaoyu.
I miei pensieri volavano veloci come cirri in cielo, sospinti dal vento dei desideri e delle speranze.
Apparivano ai miei occhi istantanee di vita futura: momenti di tenerezza, momenti d'affetto, la
nascita dei nostri figli, una vecchiaia serena... Questi erano sogni che m'accompagnavano da molto
tempo, fin da quand'ero ragazzo. Nascevano spontanei nella mia mente ogniqualvolta mi
affezionavo ad una ragazza, ma mai s'avverarono. Invero anche Xiaoyu risvegliò questi desideri,
dall'istante che l'incontrai fra le nevi di Xiawu.
Trascorsi sei mesi d'allora, visto che il nostro rapporto cresceva e si fortificava col tempo, potevo
ben sperare in un felice conclusione. Il viaggio verso Linfen sarebbe durato ancora quattro mesi, e
la sorte avrebbe potuto essere a noi avversa, separandoci. Non solo: cosa avremmo potuto trovare a
Linfen? L'inizio di una nuova vita o la fine di tutto? O ambedue le possibilità.
Questi furono i miei pensieri mentre vagavo per la campagna di Dengqu.
Improvvisamente mi sentii solo in quell'infinito spazio e in quel preciso istante. Dov'ero, cosa
facevo lì, perché seguitavo ad andare avanti, fin dove. Non conoscevo la risposta. Quel silenzio mi
schiacciava. Mi fermai. Non ebbi la forza di proseguire. C'era Xiaoyu, a casa, che m'aspettava.
Col timore nel cuore mi volsi indietro e ritornai sui miei passi, verso un luogo più sicuro, da
Xiaoyu.
Circa a metà strada vidi con mio stupore una piccola coccinella su una foglia di mais, nel campo
vicino alla mia sinistra. Le accostai un dito ed essa vi salì sopra. La osservai. Era davvero bella e
simpatica. Da bambino, quando raccoglievo una coccinella, solevo cantarle una filastrocca: se essa
spiccava il volo, sarei stato fortunato. Provai ancora.
"Coccinella, coccinella, prendi le ali e vola via! Coccinella, coccinella, prendi le ali e vola via!
Coccinella, coccinella, prendi le ali e vola via!".
Così fece, silenziosamente. Volò verso Linfen, poi non la vidi più.
GERMOGLI DI GRANO
Xiaoman
Mi piace
scaldarmi al sole
e immobile guardare
la bianca luce e l'ombra.
Sarebbe bello
avvicinarmi a te
e mobile sentire
il proprio fiato e il tuo.
Xiaoman58.
Quel mattino dovevamo partire per Zhaizi59, alle prime luci dell’alba. Pioveva e la temperatura era
diminuita fino a diciannove gradi Celsius e se ne avvertivano appena una decina. Decidemmo
perciò di lasciare Dengqu non appena avesse smesso di piovere.
Sebbene il sole fosse già sorto, la stanza in cui eravamo era ancora buia, grigia come il cielo
perturbato che potevamo osservare dalle ampie finestre. Ad ogni tuono gli infissi tremavano e
facevano eco ai rombi. Questi erano preceduti da lampi di luce accecante che illuminavano veloci
ogni cosa e le animavano di urla silenti. Non v’era molto vento e udivamo il monotono ticchettio
della pioggia sui vetri.
Xiaoyu prese una carta geografica della prefettura di Xiangfen e una di quella di Linfen e le aprì
entrambe sul tavolo, accostandole l’una all’altra in modo tale da visualizzare il percorso completo
del nostro viaggio. Non riusciva a leggere bene i nomi dei paesi perciò mi chiese di farle luce con
una candela.
Presi in mano la scatola dei bricchetti, decorata con graziosi motivi floreali, la voltai e la aprii.
Al suo interno c’era un centinaio di fiammiferi di legno chiaro, tutti uguali, con la capocchia rosa.
Ne presi uno fra le dita e chiusi la scatoletta.
Mi sovvenne ciò che ero solito fare a Quwo durante le brevi pause di lavoro. Mi piaceva accendere
un cerino ed osservare la sua piccola fiamma che a poco a poco s’estingueva. Era molto rilassante.
Dover catalogare ossa e frammenti fossili era un lavoro molto interessante quanto faticoso. Ogni tre
quarti d’ora mi concedevo una pausa di dieci minuti per riposare la mente. In quegli intervalli
fantasticavo su come sarebbe stata la mia vita se avessi intrapreso un altro mestiere, come quello
dello scrittore o del filosofo. Avrei guadagnato di meno, ma sarei stato più felice, più libero. Mi
pentii di non aver ascoltato i miei sogni e avrei voluto tornare indietro nel tempo per poter scegliere
in altro modo...
Fra pollice e medio tenevo lo zolfanello, mentre con l’indice, poco sotto la capocchia, premevo
sulla superficie ruvida della scatoletta. Era bianca con lunghi segni marroni bruciati.
Il primo giorno di Piccola Neve, una fredda mattina di fine novembre, mi alzai di buon ora e feci
colazione come tutte le mattine, bevendo una tazza abbondante del mio tè preferito, lo Shuixian.
Mentre lo stavo gustando, squillò il telefono: era il curatore del museo del Dipartimento di Scienze
della Terra di Linfen, il quale mi pregò di portargli l’esemplare fossile di Sinolepis che avevo
rinvenuto. Esso era ben custodito in un magazzino di proprietà del Dipartimento a Xiawu, vicino al
luogo del ritrovamento. Quando arrivai al magazzino, controllai se il reperto fosse in ordine o
avesse subito qualche danno. Mi accorsi con stupore e rabbia che mancava un piccolo ma
importante frammento. A mio malgrado dovetti incamminarmi verso l’affioramento che si trovava
nel mezzo della campagna di Xiawu, per giunta coperto dalla neve. Faceva molto freddo...
Strofinai la capocchia sulla superficie ruvida e vennero subito fuori alcune scintille e una grande
fiamma luminosa. Al mio naso giungeva un delizioso profumo di fosforo rosso e legno usto.
Fu un caso che incontrai Xiaoyu nell’immensa campagna di Xiawu. Appena la vidi e la soccorsi,
nacque in me, dal nulla, il desiderio di accompagnarla nel suo folle viaggio verso l’ignoto. Se ella
fosse passata un solo chilometro più distante, non avrei potuto vederla, e il gelo avrebbe vinto per
sempre le sue forze. Una volta soccorsa, potevo io lasciarla al suo destino ed intraprendere da solo il
viaggio di ritorno verso Quwo? No, non potevo. Assolutamente. Era da subito divampato nel mio
cuore un grande affetto verso di lei, e già avvertivo la fragranza del nostro futuro insieme...
La fiamma avvolse completamente la capocchia del fiammifero e s’accrebbe in luminosità man
mano che consumava il legno. Il suo calore aumentava progressivamente dalla base invisibile e
fredda alla punta accecante e calda.
Imparai a conoscere Xiaoyu a poco a poco: dapprima il suo aspetto esteriore, il suo corpo, le sue
movenze e la sua voce. Poi riuscii a penetrare il suo animo e a comprendere il suo carattere
complesso ed affascinante. Il mistero di Linfen, gli inquietanti quanto inspiegabili episodi di
Xincheng e Jiecun, la bellezza del corpo e la simpatia del sorriso di Xiaoyu e quel suo profumo di
ciliegio che compariva ogni volta che i nostri cuori s’incontravano, tutto questo m’avvolgeva e mi
consumava e mi spingeva avanti verso l’ignoto...
La fiamma tremolò e divenne più piccola. Dalla base azzurra, or più grande di quella luminosa,
nacquero piccole fiammelle che un po’si dividevano dalla loro madre e un po’ ritornavano in essa.
Il legno era consumato quasi per metà e appariva la capocchia ormai bruciata e nerissima.
Nel nostro viaggio verso Linfen incontrammo molte difficoltà oggettive, quali l’infortunio di
Xiaoyu, la morsa della neve e del freddo, la ricerca continua di un riparo e dei generi di
sostentamento, ed altro ancora. Ma il maggior disturbo lo portavano i dubbi: il mistero di Linfen, i
fenomeni di Xincheng e Jiecun, il timore che l’incontro con Xiaoyu non fosse stato casuale, la paura
che i suoi sentimenti nei miei confronti mutassero, il terrore di perderla e di rimanere solo in tutto
quel silenzio...
Avvicinai il fiammifero alla candela. Molto lentamente dalla cima dello stoppino una minuscola
fiammella crebbe, simile alla gemella che le aveva dato vita. Crebbe, ma non generò altre fiammelle
né si fece tremula. Così immobile, pareva dipinta mentre dipingeva di luce tremante il tutto intorno
a sé.
A contrastare i dubbi e i timori avevo una piccola speranza che col passare dei giorni e delle
settimane e dei mesi pareva diventasse ferma certezza, immutabile, limpida e unica. Un giorno, non
lontano, Xiaoyu ed io... una famiglia. La luce dei nostri cuori divenuti uno solo illuminava tutta la
nostra casa, tutta la provincia di Linfen, tutto lo Shanxi, tutta la Cina, tutto il mondo e il cosmo
intero...
Il fuoco aveva quasi raggiunto le mie dita. Soffiai e la fiammella si spense. Una sottile linea di fumo
si levò e un acre odore di bruciato si diffuse nell’aria. Nel piattino della bugia rimase solitario il
bricchetto mezzo combusto, ricurvo e nero, sottile verso la capocchia grigia.
Se quel fiammifero non avesse acceso la candela, ancora avrebbe regnato il buio.
“Quanti ne devo ancora accendere?” chiesi a Xiaoyu.
“Cosa?” mi disse, accigliata.
“Non importa...”
***
***
***
Nono giorno.
Guardavo fuori dalla finestra della cucina il cielo nuvoloso. I nembi correvano veloci e
nascondevano un po’ si e un po’ no il sole e le loro ombre mutavano il verde del prato, un po’ scuro
e un po’ chiaro. Il vento faceva ondeggiare gli arbusti, mentre i rami più grossi degli alberi
rimanevano immobili. Il fruscio così prodotto aumentava e diminuiva continuamente, come un
incessante lamento. Pareva che ogni arbusto avesse bocca per urlare e braccia e mani per dimenarsi
nella pazzia del dolore. Sentivo dentro di me quel pianto e avevo la sensazione che quei rami mi
rovistassero nel petto invitandomi a partecipare al loro strazio.
Un rumore forte e metallico mi strappò via da quella trappola. Mi volsi indietro. Vidi Xiaoyu
immersa in un’enorme nuvola bianca e per terra alcune stoviglie. Mi giunse una voce stizzita:
“Alla malora!”
Sul tavolo stava una grande palla giallognola di pasta fresca e, dietro di essa, Xiaoyu
completamente infarinata, tanto che non distinsi subito quale dei due fosse l’impasto.
Aveva capelli e pelle imbiancati, eccezion fatta solo per gli occhi, i capezzoli e i jeans.
Storse la bocca e il labbro inferiore. Con un soffio levò i capelli dagli occhi. Era imbronciata e mi
fissava con uno sguardo di sfida, gli occhi stretti.
“Beh? Cosa hai da guardarmi?”
“Così, mezza nuda, sporca di farina, arrabbiata, mi sembri una indiana pronta alla guerra...” risposi.
Ella non mutò il suo sguardo. Aggiunsi:
“Qualcosa fra Mulan e Pocahontas...”
Non mosse ciglio. Aggiunsi ancora:
“Decisamente sexy”
Prese minacciosamente il cucchiaio di legno in mano, e già me lo vidi piantato in mezzo alla fronte.
A Linfen volevo arrivarci tutto intero.
“Volevo dire... sei semplicemente... meravigliosa...” dissi titubante.
Xiaoyu posò lentamente il cucchiaio sul tavolo. I muscoli del viso si rilassarono e il broncio mutò in
sorriso. Lo sguardo era diventato molto dolce e le guance si erano un poco arrossite. Con una mano
si aggiustò i capelli dietro l’orecchio e disse:
“Invece di startene lì impalato a dir scemenze, potresti aiutarmi con questa pizza!”
Mi avvicinai lentamente a lei senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Misi le mani sulle sue
spalle e le accarezzai le braccia come per pulirla dalla farina. Poi strinsi i suoi fianchi e portai le
mani fin sotto le sue ascelle. I pollici le sfioravano i seni. Le dita scivolarono su questi e sul petto,
poi il collo, e la nuca e i capelli. Mi guardava attonita e spaventata, con gli occhi grandi grandi.
“Cosa f...ai...?”
Non risposi. La strinsi in un abbraccio. I seni premuti sul mio petto, il mio ventre e il suo uniti, la
mia carne nella sua. Oltre non potevo. Sentivo il suo respiro caldo nel mio orecchio.
Fece per divincolarsi, ma io la trattenni.
“Ancora un minuto” le chiesi.
Un minuto chiesi alla mia piccola Xiaoyu ed ella mi donò tutta una vita.
GRANO NELLE SPIGHE
Mangzhong
Per strada un gatto
ho incontrato.
Mi ha turbato
lo sguardo di metallo:
son io forse matto
all'apparir di tanto stallo?
Sarà il magnifico occhio
e il mantello lucido:
come in uno specchio
vedo limpido
l'animo mio.
Forse egli è un dio?
Dalla strada quel gatto
se n'è andato.
Lo ha turbato
il mio segreto
o solo il fatto
che non mi son voltato indietro.
Mangzhong60.
Ci svegliammo prima dell’alba, come avevamo già fatto a Zhaizi, per viaggiare col fresco del
mattino.
Non riuscivo a capire come mai Xiaoyu si ostinasse a proseguire il viaggio per Linfen sempre il
primo giorno di ciascuno dei ventiquattro periodi solari. Forse era per il nostro timore di perderci
l’un l’altra dopo il nostro arrivo a Linfen, che avevamo programmato soste così lunghe.
Con quei pensieri sorbivo il tè del mattino con la calma e la compostezza di un gentleman inglese,
mentre Xiaoyu aspirava rumorosamente a testa bassa lo xifan61 dalla ciotola e ogni tanto ne
emergeva con chicchi di riso sparsi sul volto e un occasionale ruttino - sorrisino.
“Potresti mangiare più lentamente...” dissi.
Girava velocemente la ciotola fra le mani e puliva con le labbra gli ultimi chicchi rimasti sul bordo.
“Dobbiamo partire. Bisogna nutrirsi bene al mattino perché il viaggio è lungo e faticoso” rispose.
“Però sono io che pedalo... Piuttosto, perché dobbiamo partire sempre il primo giorno di...”.
Mi interruppe:
“A me piace così. Amo la regolarità e non mi piace sovvertire quanto già programmato. Ma, se
vuoi, dalla prossima partenza potremmo cambiare le regole”
“Non importa. A me va bene così”
Puntò le palme delle mani sul tavolo e si alzò di scatto, dicendo:
“Su! Carichiamo il carretto e andiamo via!”
Il suo entusiasmo si scontrò con la mia pigrizia.
“Fammi almeno finire il tè!”
Ma ella già entrava e usciva dalla porta di casa con i bagagli da caricare sul carretto. Solo dopo
l’ultimo sorso di tè mi alzai anch’io, sbuffando, e l’aiutai.
L’aria era ancora fresca. Una leggera brezza muoveva le spighe dorate della gramigna e i petali
rossi dei rosolacci in un aggraziato balletto. Il sole non ancora sorto illuminava di rosa alcune
nuvolette all’orizzonte. Mancava solo il cinguettio degli uccellini e il chicchirichì d’un gallo
lontano, in quell’eterno silenzio. Solo noi animavamo quel luogo. M’agghiacciava il pensiero che
tutto sarebbe ritornato muto. Questo sentimento mi spronava a partire in fretta. Sentivo quel silenzio
dietro le spalle che tentava di raggiungermi.
Pedalai più in fretta.
***
***
***
Dopo circa un quarto d’ora di viaggio, appena superato il bivio per Zhaoqu62, avvertii un suono
sordo provenire dal basso.
I pedali si mossero velocemente, senza alcuna resistenza, come fossi lanciato a gran velocità in
discesa. Ma la G108 in quel tratto era in piano.
Il triciclo si fermò di colpo e feci fatica a non sbandare. Xiaoyu mi chiese:
“Cosa è successo?”
“Sarà uscita la catena dalla corona...”
Scesi a controllare. La catena era rotta. Informai di ciò Xiaoyu.
“La puoi riparare?” mi chiese.
“No. O torno indietro a Zhaoqu a cercare una nuova catena, o un nuovo carretto, oppure lo trascino
avanti fino alla prossima tappa”
Decidemmo di spingerlo, ma non volle muoversi: la catena s’era attorcigliata al pignone.
Trafficai parecchio per aggiustare il triciclo, aiutato da Xiaoyu, ma alle nove di quel mattino
desistemmo. Dopo tre ore di tentativi avevamo già esaurito la pazienza e l’intero repertorio di
imprecazioni, sia in italiano che in cinese.
“Ci tocca proseguire a piedi, Xiaoyu”
“E come facciamo con le sementi e le piantine?”
“Mettiamole in altri due zaini”
Così facemmo. Ci incamminammo per la G108 con due zaini colmi ciascuno.
Dopo un’ora il sole, già alto nel cielo, cominciava a rammollire col suo calore l’asfalto sotto i nostri
piedi. La temperatura era oltre i trenta gradi Celsius.
Respiravo aria calda a bocca aperta mentre le piante dei piedi bruciavano e s’inumidivano di sudore.
Avevo in testa un unico pensiero: Wangjiagou63. Mi muovevo come un automa verso quella meta,
senza curarmi d’altro, ad eccezione di Xiaoyu. Ogni tanto mi voltavo indietro per sincerarmi ch’ella
stesse bene. Procedeva zoppicando, asciugandosi spesso la fronte madida. Vedevo la sua figura
contorcersi fra l’aria tremola che s’alzava dall’asfalto. Le tempie mi pulsavano, la testa mi doleva e
lo stomaco contratto mi dava nausea.
A fianco a noi, circa 120 metri alla nostra destra, v’era una ferrovia, la Houma - Hongtong64, la
stessa che incontrammo a Geda.
Pensai che percorrendo la ferrovia anziché la strada avremmo patito meno la calura dell’asfalto.
Xiaoyu fu d’accordo di proseguire per quella via.
***
***
***
I ciottoli di basalto della massicciata scricchiolavano al nostro passaggio.
Viaggiavo a testa bassa, rapito dal continuo alternarsi di sassi rugginosi e traversine unte e talora
alzavo il capo per capacitarmi a riconoscere dov’ero e quanto potesse essere distante la nostra meta.
Il passo era ostacolato sono dalle piante di gramigna che crescevano fra una traversa e l’altra,
alcune con le foglie secche dalla calura. Le stesse erano presenti anche ai bordi dei binari, più folte
ed accompagnate da alcuni rosolacci. Qualche cavalletta grigia saltava sui bulloni delle traversine,
sei per ogni lato. I binari lucidi riflettevano l’immagine accecante del sole, e pareva che questo
viaggiasse insieme a noi alla nostra stessa velocità. Dritti e paralleli s’univano all’orizzonte, come la
vita mia e quella di Xiaoyu: vicine, equidistanti, che non s’incrociavano mai.
Le volte che viaggiavo sul treno, osservavo i binari dal finestrino, con lo sguardo fisso: sebbene
fermi, sembrava che corressero insieme a me, si sdoppiavano, confluivano in altri ov’erano gli
scambi, similitudine d’una vita vissuta e ancor da vivere.
Ora invece il silenzio dei nostri passi aveva inghiottito il tu-tum del treno, quel binario senza fine
che speravo morisse a Linfen.
***
***
***
Appena oltrepassato l’abitato di Zhanghuai65 alla nostra sinistra, la G108 che correva parallela alla
linea ferrata volgeva verso nord, mentre noi proseguimmo lungo la ferrovia verso nord-nordest.
Giungemmo ad un passaggio a livello nei pressi di Wangjiagou, dal quale si dipartiva una stradina
che portava ad un casolare poco distante. Decidemmo di raggiungerlo, ormai esausti.
Entrammo in quella casa come ladri, piano, lentamente. Le stanze erano vuote. Si udiva solo lo
scricchiolio dei nostri passi sul pavimento di legno. Tutto come doveva essere: in ordine e
impolverato. Posammo gli zaini sul tavolo del soggiorno.
Xiaoyu si diresse in bagno, mentre io mi sedetti stracco sulla prima seggiola che m’era a tiro.
Per alcuni minuti non vidi Xiaoyu, ma udii dopo poco la sua voce.
“Jack, mi aiuti a fare la doccia?”
Proprio non ne avevo voglia, così immerso nella beatitudine del riposo.
Sbuffai e con fatica per le mie gambe ancora indolenzite mi alzai da quella sedia di legno ch’era per
me diventata come una comoda poltrona.
Xiaoyu aveva paura di scivolare nella doccia, per cui si sentiva più sicura con me accanto che la
sorreggevo. La visione del suo corpo nudo non mi imbarazzava più né portava in me alcun
turbamento, a meno che i miei pensieri non fossero stati immacolati.
Ella mi parlava, ma io la seguivo appena. Quella stanza aveva un non so ché di inquietante, anche
se all’apparenza era normale. Avvertivo una presenza, sì che mi voltai spesso indietro. La porta
aperta del bagno preferivo fosse chiusa, non so perché.
“Hai finito?” chiesi, più volte.
“Perché? Hai fretta?”
“Non mi piace questa casa”
“Per quale motivo?”
“Non lo so”
Xiaoyu non mi rispose.
***
***
***
Terzo giorno.
Era ormai notte e il caldo era insopportabile. Aveva tuonato e piovuto tutto il pomeriggio ed il
temporale aveva lasciato molta umidità nell’aria.
Dormivamo seminudi e senza lenzuola su uno scomodo materasso di pagliericcio.
Ricordo che erano circa le tre della notte, quando fui svegliato dal sonno irrequieto di Xiaoyu.
Ella si girò su un fianco. Poi si rigirò sull'altro. Aprì gli occhi, grandi, spalancati. Si alzò e si sedette
sul bordo del letto. Un crepitio, una scintilla: Xiaoyu aveva acceso una lunga candela, infilata in
una bottiglia di vino di riso tutta coperta di cera. Il corpo di Xiaoyu era dipinto di una luce
giallognola che scolpiva ombre drammatiche. Ella apparve come fosse stata in rilievo da un fondo
opaco e piatto. Si respirava l'aria di un antico castello: tutto era fermo, immobile, freddo.
Solo Xiaoyu respirava, la candela, e l'ombra che si portava appresso. Si alzò, vacillò, si risedette.
Era difficoltoso svegliarsi. Riprovò, fu in piedi, camminò intorno al letto, con un braccio teso, quasi
a tentoni, come una sonnambula.
Con la mano aperta scostò la porta e percorse per largo il corridoio. La fiamma della candela
borbottò e si inclinò quasi orizzontale con la punta opposta al moto. L'immagine di Xiaoyu vacillò e
tremolò fino alla porta del bagno. La fiamma ritornò calma e il corpo di Xiaoyu si ricompose sui
vetri della finestra in fondo al corridoio.
Aprì la porta piano piano. I sanitari del bagno luccicavano mille fiammelle. Xiaoyu passò davanti
allo specchio, sopra il lavabo. Gli occhi scintillavano come quelli di un gatto, e in trasparenza si
notavano le cornee, i disegni neri dell'iride, la pupilla dilatata.
Posò la candela sul bordo della vasca e si fece inghiottire dalle tenebre.
Un urlo acuto scosse quella casa. Le finestre della camera si aprirono e si richiusero velocemente.
Balzai giù dal letto e rimasi impietrito, gli occhi spalancati, il respiro mozzo.
Xiaoyu gridava ancora. La trovai seduta in terra. Le mani sul volto e i lunghi capelli sulle mani.
Tremava come avesse freddo. Mi chinai su di lei, in ginocchio e presi le sue mani. Erano ghiacciate.
Bofonchiò qualche parola che non intesi.
“Su, fai un bel respiro e dimmi tutto”
Così fece, poi mi disse:
“Lo specchio... Sono passata di fronte allo specchio per andare verso la tazza per pisciare... Finito,
sono ripassata davanti allo specchio... e...”, poi irruppe in pianto.
Non riusciva a parlare. Tremava troppo e piangeva.
“Senti la mia mano, Xiaoyu? E’ tutto finito. Ora ci sono qua io. Dimmi tutto”
“Non c’era la mia immagine riflessa nello specchio!”
“E hai visto qualcos’altro?”
“Nulla. Solo la porta chiusa dietro di me”
“Ma la porta è sempre stata aperta...”
Continuò a piangere. Senza lasciarle la mano, mi alzai e rivolsi lo sguardo verso lo specchio.
C’era la mia immagine, e dietro di me la porta aperta. Tutto normale.
Cercai di tranquillizzarla.
“Ti aiuto a rialzarti. Andiamo a dormire adesso”
Ma ella non volle obbedirmi. Mi disse:
“Togli quello specchio!”
“Ma...”
“Togli quel maledetto specchio!” urlò così forte che sembrava un lupo rabbioso. E pianse.
Staccai lo specchio dal muro e lo posai in terra vicino alla parete.
“Giralo verso il muro” mi comandò. Così feci. Era l’unico specchio della casa.
La presi in braccio e la portai a letto. Poi andai a controllare le finestre della camera. Erano
perfettamente chiuse. Per aprirle occorreva girare la maniglia. Come hanno fatto a spalancarsi e a
richiudersi da sole? - mi domandai.
Di ciò quella notte non riferii a Xiaoyu, per non spaventarla ulteriormente.
Dormimmo abbracciati. Era ancora fredda e il suo respiro tremava ancora.
Cercammo di dormire, ma non fu facile.
Ciò che accadde a Linfen e quell’ultima distorsione del tempo erano connessi, ne ero certo.
***
***
***
Dodicesimo giorno.
Ancora un’altra sera di temporale. Non riuscivamo a dormire, vuoi per l’umido e il caldo, vuoi
perché eravamo ancora scossi da ciò che accadde nove giorni prima.
La luce della candela illuminava Xiaoyu che sedeva al tavolino del soggiorno, mentre ogni altro
particolare rimaneva nell’oscurità, appena accennato ma con una profondità di spazio ben maggiore.
Da quando sparì la sua immagine dallo specchio del bagno, Xiaoyu non aprì bocca né accennò un
piccolo sorriso. Leggevo nei suoi occhi ancora il terrore. Ad ogni tuono o lampo che fosse, ella
tremava. Le chiesi più volte come stesse, ma ella non rispose.
Piccola Xiaoyu, cosa posso fare per te? Come posso allontanare il terrore dai tuoi occhi? Come
posso udire ancora la tua voce ed ascoltare le tue parole?
Queste erano le questioni che mi ponevo mentre stavo accanto a lei nell’impotenza assoluta.
Con la mano le scostavo i capelli dalla fronte, o le accarezzavo dolcemente il viso. Le davo teneri
baci sulle tempie e l’abbracciavo... Ma non ottenevo alcuna reazione da lei.
Pareva senza vita, pareva sapesse solo piangere.
Quando le parlavo non mi guardava mai negli occhi, e quando l’obbligavo a sostenere il mio
sguardo, ecco che le lacrime cominciavano a rigarle il volto. Il suo sguardo era spaventato e
supplichevole.
Spense la candela e venne a dormire accanto a me. Si rannicchiò, con la testa sul mio petto.
Le cantai una ninna-nanna per aiutarla a prender sonno.
“Ninna-nanna ninna-oh / questa bimba a chi la do? / La daremo all’Uomo Nero / che la tiene un
anno intero”
Tremava ancora. Ogni tanto respirava profondamente. Percepivo il battito del suo cuore, veloce.
“Ninna-nanna ninna-oh / questa bimba a chi la do? / La daremo alla befana / che la tiene una
settimana”
Il respiro si fece più regolare. La presa della sua mano attorno al mio braccio s’allentò.
“Ninna-nanna ninna-oh / questa bimba a chi la do? / La daremo alla sua mamma / che le canta la
ninna-nanna”
Chiuse gli occhi e s’addormentò.
“La daremo alla sua mamma / che le canta la ninna-nanna”
Guardavo nel buio della stanza. Tutto era silenzio e oscurità. Il temporale era passato e la pioggia
aveva cessato di battere. Ascoltavo solo il mio respiro. Avevo la sensazione d’esser solo in quella
casa. Anche Xiaoyu pareva essere inanimata.
Poi ella distese le gambe e mise i suoi piedini sui miei.
Fu allora che anch’io m’addormentai.
***
***
***
Quindicesimo giorno.
Il cielo era ancora coperto, ma la morsa del caldo e dell’umidità si era attenuata.
Xiaoyu riprese a parlare e a sorridere con gradualità. Fu per me un gran sollievo, poiché temevo che
fosse impazzita: senza lei con la mente lucida, non vi sarebbe più stato alcuno scopo per proseguire
verso Linfen.
Era il giorno in cui si celebrava il Sacro Cuore di Gesù.
Presi fra le mani un’immaginetta di Nostro Signore e lo ringraziai. Per diversi motivi: per la nostra
salute, per la protezione durante il viaggio percorso, per non aver perso in alcun luogo e tempo la
fede. Soprattutto per avermi concesso la grazia di incontrare Xiaoyu, perché con lei sperimentai la
carità, l’umana benevolenza, l’umiltà, e perché conobbi quel grande sentimento che fa dell’uomo e
della donna un corpo solo e un anima sola. Promisi solennemente che l’avrei sposata - pur senza un
ministro di Dio - una volta raggiunta Linfen, e che avrei rispettato la sua purezza fin a quel giorno.
Dopo aver recitato le ultime preghiere, in aggiunta a quelle quotidiane, uscii di casa e mi diressi
incontro a Xiaoyu che era quel mattino al canale più vicino a lavare la biancheria.
Mi sentivo leggero, soddisfatto, beato e in pace con me stesso e con tutto ciò che appariva al mio
sguardo. Ero la nuvola in cielo, ero il sole, ero quegli alberi laggiù al limitar dei campi, ero il vento
che muoveva delicatamente le foglie, ero io.
Mi ero ritrovato, dopo tanto tempo. Presi a correre, con le braccia aperte e gli occhi socchiusi, la
bocca aperta in un sorriso. Correvo nei campi, correvo nel cielo.
Verso Xiaoyu, verso Linfen e oltre, fin qui a Zhangcun66, fin dove m’avrebbero portato la speranza
e il cuore.
SOLSTIZIO D’ESTATE
Xiazhi
Nei ricordi
cosa c'è? cosa c'è?
La dolce Guangyue,
il suo volto
la sua voce ridente.
I giardini del castello
sono ormai tutti in fiore.
Mia cara Guangyue
dove sei? dove sei?
Nel mio cuore.
Xiazhi67.
Ancora una volta la ferrovia. Era sereno e faceva molto caldo. Dovevamo raggiungere Jiazhuang68.
Xiaoyu non volle cercare un’abitazione in città, perciò cercammo un casolare in periferia.
A dispetto dei programmi, quel mattino partimmo quando il sole era già sorto. Il cielo era sereno,
blu intenso, con qualche piccola nuvola.
Quando mi fermavo a prender fiato, solevo alzare lo sguardo al cielo e osservarle.
L’azzurro era scuro allo zenit e schiariva verso l’orizzonte. Era infinito; a guardarlo mi accorgevo
d’esser piccolo e al contempo provavo la sensazione di esservi immerso e di volare sempre più in
alto; quasi non respiravo. Piccole nubi sfilacciate nella medesima direzione sostavano nel blu. Ogni
singola nuvola era per metà uniforme e per l’altra metà appariva a pecorelle. Erano bianche e grigie
e azzurre. L’uncino d’uno di questi cirri somigliava ad un muso di pesce rosso, con occhi, bocca
sporgente e gote gonfie. Esso soffiava forse quella leggera brezza che accarezzava il volto e i miei
pensieri.
Ascoltavo me stesso e mi chiedevo: perché io? Perché sono qui?
Un perché non c’era.
Dopodiché mi chiedevo ancora: chi sono io?
Ma non trovavo risposta. Jack non era un’opzione valida. Esistevo come esistevano tutte le altre
cose intorno a me. Fra la traversina che calpestavo e me non v’era differenza. I miei pensieri erano
il nulla.
Xiaoyu s’avvicinava a me, piano piano, zoppicando.
Cosa pensava di me? Il cielo le produceva le mie stesse sensazioni? Ero per lei una delle tante cose
che la circondavano?
Tutto, tutto era riconducibile al silenzio che ci avvolgeva, ed ogni cosa esisteva silenziosa.
Ma Xiaoyu e le nuvole che scorgevo al di là dei suoi capelli avrebbero mantenuto il loro aspetto
anche quando avessi rivolto lo sguardo altrove? Forse, quando chiudo gli occhi esse si trasformano
in altre entità, e quando li riapro esse ritornano nella loro precedente condizione - pensai.
“Jack, perché ti sei fermato?”
“Per riposare. Secondo te le cose che ci circondano sono esattamente come le percepiamo?”
“Si” rispose.
“Vedi quella nuvola lassù in cielo?” le chiesi, indicandola con un dito.
“Quale? Ce ne sono tre...”
“Quella più lontana”
“Si, la vedo. E allora?”
“Assomiglia a un pesce rosso...”
Xiaoyu era dubbiosa e storceva il naso. Propose di giocare un po’ perché la monotonia del silenzio e
del binario l’avevano assuefatta. Scelse di giocare alle belle statuine.
Mi piacque l’idea: il divertimento avrebbe scacciato tutte le mie inutili domande che s’erano
affollate nella mente.
***
***
***
Fui io il primo a contare. La distanza da percorrere era di dieci traversine per lei e di venti per me,
perché ella non poteva muoversi con rapidità ed agilità; inoltre io avrei dovuto contare più
lentamente.
Quando ella fu pronta, presi posizione e cominciai a contare.
“Uno... due... tre... stella!” e mi voltai di scatto alla mia sinistra e indietro.
Fra i ciuffi secchi e dorati di gramigna, Xiaoyu aveva conquistato la prima traversina. Dritta,
sull’attenti come un soldato, mani lungo i fianchi e nessun sorriso. Pareva che non respirasse.
“Uno... due... tre... stella!”
Le cicale avevano già preso a cantare. Xiaoyu era sulla terza traversina. Sempre con l’espressione
seria del volto, stava col busto piegato un poco in avanti, il ginocchio della gamba sana lievemente
flesso e la gamba malata tesa indietro. Immobile.
“Uno... due... tre... stella!”
Una leggera brezza calda si levò. Xiaoyu stava in equilibrio su un piede solo appoggiato alla sesta
traversina. Tutto il suo corpo era fermo, tranne i seni che oscillavano percettibilmente.
“Ti sei mossa: ti ballano le tette!”
“Scemo!” fu l’appellativo che ricevetti come risposta. Sorrisi, come fece lei, e mi voltai ancora per
contare.
“Uno... due... tre... ”
“Libera me!” mi urlò nelle orecchie e si sorresse alle mie spalle, sì che quasi finivo in terra.
“Ora tocca a me a contare” aggiunse.
Ad ogni stella! mi mettevo immobile in pose di difficile equilibrio e con smorfie volutamente buffe
per divertirla. Percorrevo una traversina per volta, per ammirare più volte il suo sorriso, così
semplice. Mi beavo di quella semplicità e man mano che m’avvicinavo a lei sentivo crescere in me
il desiderio di condividere con lei quell’euforia.
“Uno... due...”
Il mio abbraccio la interruppe e sussultò quasi spaventata. Standole dietro le cinsi la vita con le
braccia e avvicinai la bocca alla sua guancia. Xiaoyu si divincolò, si volse e mi abbracciò a sua
volta. Ci baciammo, a lungo, fra i ciuffi secchi e dorati di gramigna, fra le cicale che avevano già
preso a cantare, avvolti da una leggera brezza calda.
“Giochiamo alle belle statuine nude?” proposi.
“Cosa?” mi chiese con aria dubbiosa.
“Si. L’ho visto nel film L’estate di Kikujiro69. Prima ti spogli e metti ogni indumento su una
traversina; poi mentre corri verso me ti vesti; naturalmente quando io dico stella! tu dovrai rimanere
immobile”
Storse il naso e le labbra. Poi disse:
“Non vedi che ho solo due indumenti: i jeans e gli slip. Eppoi come faccio a rivestirmi da sola? Sei
proprio scemo...”
Rimasi a bocca aperta, come per risponderle qualcosa, ma non mi venne in mente alcuna parola che
smentisse il suo ragionamento.
“Andiamo. Il sole comincia a picchiare forte” disse.
In silenzio e mesto la seguii.
***
***
***
Sesto giorno.
Grandi nubi s’addensarono in cielo in breve tempo, bassi cumuli fratti, scuri mi schiacciavano e
procuravano in me un certo stato d’ansia. Alzai lo sguardo e vidi uno di questi giganti che mi
sovrastava. Il sole era già scomparso dietro i margini frastagliati dei nembi.
Apparivano queste nuvole come cotone sporco e lacero. Non sapevo dove fuggire: in ogni direzione
rombi lontani presagivano l’imminente temporale. I tuoni s’avvicinavano, si schiantavano potenti su
ogni cosa che non fosse cielo.
Impietrito stavo seduto contro il muro della casa e con timore guardavo e ascoltavo l’evolversi della
tempesta. L’aria era umida, non riuscivo a respirare bene e sudavo. Il termometro appeso a me
vicino segnava trentasei gradi Celsius, ma ne avvertivo ben di più.
Una goccia.
Una goccia.
Un’altra goccia.
Non le vedevo scendere, ma vedevo piccole macchie scure sulle pietre del lastricato. Cadevano
sparse, senza una geometria definita. Le prime gocce evaporavano quando le successive si posavano
a terra, cosi che il loro numero era costante. I cerchietti neri apparivano e disparivano nel medesimo
intervallo di tempo in un silenzioso balletto.
Un’altra goccia ancora.
Questa volta sul mio braccio. Avvertii un lieve solletico.
Dopo qualche minuto tutto accelerò e le gocce non evaporarono più: le macchiette scure
aumentarono di numero fino a che non fu possibile distinguerle le une dalle altre.
Pioveva.
“Il tuono va e viene, incutendo spavento. Forse non si perde nulla. Ma dovrà succedere qualcosa” 70
dissi a me stesso.
Pensavo ancora a Linfen e al suo segreto.
Era pericoloso mettersi in viaggio. Ma la faccenda corrispondeva al principio del giusto mezzo71,
perciò non avrei avuto grossi guai. 72
“Zhen: buona fortuna. Un tuono terribile. Ed egli continua a ridere e chiacchierare. Il tuono incute
panico per cento Li73 intorno. Ed egli riesce a tenere fermi il cucchiaio e la coppa” 74
Il timore che serbavo in cuore era positivo perché era del tutto naturale. Avevo paura di non essere
più me stesso ed ero spaventato dal mistero che celava la lettera di nonna Guan. 75 Ma fu proprio
questo timore a farmi intraprendere il viaggio con coscienza e responsabilità, a prendermi cura di
Xiaoyu. 76
Quel senso d’angoscia mi abbandonò. Rimasi muto ad osservare ed ascoltare la pioggia.
PICCOLO CALDO
Xiaoshu
Ricordi
felici,
momenti d'amicizia
e d'amore
passati
finiti.
Sereno è il loro sguardo.
Xiaoshu77.
Giungemmo quel mattino a Zhangli78 e scegliemmo come abitazione una di quelle casette a schiera
caratteristiche delle periferie. Dopo aver visitato il paese e fatto rifornimento di viveri ed altre cose
utili, pranzammo e in seguito riposammo.
Ma io non riuscivo a rilassarmi e sonnecchiare, come già faceva beatamente Xiaoyu.
Erano le prime ore del pomeriggio. Il cielo era coperto da nuvole grigie e minacciose.
Me ne stavo in piedi alla finestra ad osservare la strada deserta. Quel grigiore mi stringeva il cuore.
Avrei voluto andarmene via, ma non lo feci. Da quel paesaggio buio e desolato mi sovvenne il
nostro arrivo a Licun, quando apparvero ai nostri occhi le prime case basse di piccoli mattoni, le
insegne colorate dei negozi, i lampioni scuri e immobili come sentinelle. La periferia di Zhangli
pareva la copia esatta di quella di Licun, eppure io avvertivo nel petto e in gola una indefinita
nostalgia.
Cercavo con lo guardo e non trovavo le aiole con le siepi secche, la foschia uniforme che celava
l’orizzonte, e quel manto di neve che tutto copriva, raggelava, ammutoliva.
Ricordai il quarto giorno di Dongzhi, la vigilia di Natale. Era sera. Il sole era per metà nascosto dai
tetti delle case di fronte alla nostra e la foschia stava prendendo il sopravvento. I lampioni della via,
una volta lucenti, rimanevano bui e scuri, come tante anime silenziose. Era proprio il silenzio che
mal si sopportava, soprattutto quel giorno che doveva essere una grande giostra di emozioni.
Dov’erano i bimbi che si rincorrevano per la via? E il vociare quasi fastidioso delle persone dentro e
fuori i negozi? Solo neve, tutta bianca, tutta livellata.
Solo il silenzio. Nemmeno i passerotti alla ricerca di qualche briciola, c’erano. Solo il silenzio,
ancora silenzio.
L’unico suono che avvertivo, ormai da un mese, era il ronzio del sangue nelle orecchie.
E la voce di Xiaoyu.
Che in quel momento non udii.
Dov’era quel silenzio ovattato che faceva di me parte del verno desolato? Non c’era più quel senso
di smarrimento e d’angoscia, di impotenza che guidò i miei passi nella neve.
Di questo avevo nostalgia.
Di quel fuoco nella stufa, del carbone stridente, dei nostri volti rossi di calore.
Perché non c’era più tutto questo. Nemmeno adesso, qui, a Zhangcun?
Forse perché dovrà arrivare un altro Dongzhi - pensai allora, dietro i vetri di quella casetta a
Zhangli, e adesso.
Mi sarebbe piaciuto tornare indietro in quel luogo e in quella casa l’inverno venturo. E ora che
Dongzhi è prossimo conservo ancora questo desiderio. Ma come farebbe Xiaoyu ad affrontare un
altro viaggio, e nemmeno potrei lasciarla qui sola nelle sue condizioni...
Non importa. Ci penserò quando sarà il momento.
Un raggio di sole attraversò le nubi e subito il grigio sparì. Tutto si ridipinse di nuovi colori.
Sorrisi. Mi allontanai dalla finestra e raggiunsi Xiaoyu nel letto.
Riposai fino a sera.
***
***
***
Quinto giorno.
Quasi non si vedeva la città dalla foschia che c’era. Tutto grigio, muto e freddo intorno a me.
Zhangli era avvolta in un manto cinereo e spettrale, con enormi parallelepipedi senza finestre, senza
porte. Un silenzio agghiacciante percorreva le vie. Anche il sole pareva muto dietro le dense nubi
all’orizzonte, come una piccola stella. L’aria fresca mi pizzicava ed avevo la pelle tutt’accapponata
che più volte mi venne l’idea di indossare il maglione. Vittima di quel torpore, non lo feci.
Benché la temperatura non fosse inferiore ai venti gradi Celsius, quella fredda umidità m’era
penetrata fin nelle ossa, ed anche nella mente: non riuscivo a pensare. Lo sguardo impotente si
posava qua e là sui vari oggetti all’intorno. Una cancellata nera. Dritto, una via senza vita;
particolari che si confondevano fra loro i più lontani. Sinistra, una cabina telefonica vuota, i vetri
sporchi. Coppie di lampioni, sempre più sottili, sempre più vicini. Laggiù, il nulla.
Mi dolevano gli occhi. Erano freddi.
Un po’ tremavo. La mia volontà di muovermi verso un luogo più caldo non raggiunse le gambe.
Qualora movessi le braccia, avrei avvertito ancor più gelo. Ero immobile. Lo sguardo perso nel
grigio, passivo, senza metter a fuoco gli oggetti.
Espiravo dentro la camicia, per scaldarmi. Fra un fiato e il successivo tutto mi raggelavo, tanto che
preferii non ripetere più.
D’improvviso, in alto, alla mia sinistra, un suono apparve.
“Ni hui bu hui bu ai wo...” 79
Le note di quella canzone cadevano su di me come pioggia e diradavano la foschia intorno.
“... xiang ta cengjing bu ai ta...” 80
Guardavo il terrazzo della nostra abitazione, e ancor più dentro, oltre le finestre.
“... suoyi yiqi le women / ni hui bu hui...” 81
Xiaoyu si affacciò al balcone e volse il capo in basso, verso me. Aveva un vestito a fiori, colorato.
Mi disse:
“Vieni su, presto! Il pranzo è pronto!” e sparì alla mia vista dopo poco.
Il grigiore della foschia mi sembrava più chiaro, e il sole dietro la cortina di nubi pareva cantasse la
stessa melodia. Gli oggetti che mi circondavano presero un aspetto più definito e venne in me la
forza per muovere i passi verso casa.
Da lassù quella voce m’avvolgeva di calore, mi schiudeva il cuore.
“Wo haipa...” 82
Corsi su per le scale, entrai in cucina e mi avvicinai a Xiaoyu.
Nell’aria sentivo un appetitoso aroma di bambù e altre verdure.
Xiaoyu, che era ai fornelli, volse il capo indietro verso me e sorrise. Pure con gli occhi.
Era un sorriso così dolce, affettuoso, materno...
E’ un’immagine che mi porterò appresso nel cuore per sempre, come il suo delicato profumo di
ciliegio.
***
***
***
Undicesimo giorno.
Aveva piovuto un poco nel pomeriggio e la sera era ancora nuvolo. Era molto umido e in casa
faceva troppo caldo. Così facemmo una breve passeggiata sui binari della ferrovia poco lontani.
I grilli frinivano a voci alternate, sparsi qua e là per la campagna. Quando passavamo vicino ad uno
di essi, questo si zittiva; superato, riprendeva il suo canto. Succedeva pure quando rivolgevo lo
sguardo in una direzione: i grilli tacevano; distoglievo lo sguardo ed essi continuavano a frinire.
Erano numerosi. Ad ogni stella un grillo - pensai, ma quella sera stelle non ve n’erano.
Oltre le nubi il mezzo disco pallido della luna ci guardava ed io osservavo i lunghi binari, facendo
attenzione a non inciampare nelle traversine.
Mi sovvenne quello che accadde un anno esatto prima, il giorno della Madonna del Carmelo.
Viaggiavo sul treno che da Houma mi avrebbe portato a Beifengwang83, e di lì avrei preso un
autobus per Xiawu, a cercar fossili nelle campagne intorno.
Il treno si fermò a Gaoyang84 e salirono molte persone. Una ragazzina si sedette vicino a me, di
fronte, accanto al finestrino. Avrà avuto circa vent’anni.
Il treno ripartì. Ella osservava la campagna del Fu He85 con i suoi campi coltivati a sorgo e
frumento.
Il sole appena sorto le illuminava il volto, gli zigomi alti, le gote paffute, gli occhi stretti. La sua
pelle risplendeva dello stesso colore arancio del sole, e il gioco di luci ed ombre sul suo viso attirò
la mia attenzione. Com’era bella! Dopo qualche minuto chiuse gli occhi e s’addormentò.
La sua boccuccia graziosa era dipinta di rosa, le due labbra si sfioravano appena. Ad ogni sobbalzo
della carrozza il suo seno già prosperoso seguiva quel movimento, ma io non riuscivo a distogliere
lo sguardo dal suo viso e dalla sue labbra. Immaginavo di baciarla, null’altro.
Sentivo il battito del mio cuore sulle mie labbra e già percepivo il calore delle sue e del suo respiro.
Le mie mani sul suo collo, le sue attorno al mio, poi ancora le mie dita sul suo fianco, sul suo seno.
Rimasi però incollato al sedile, ad osservarla. M’interrogavo su cosa pensasse di me.
Giungemmo nella stazione di Beifengwang. Mi alzai, la guardai ancora per qualche attimo, poi
scesi dal treno.
Sul marciapiede del binario rimasi in piedi e spinsi lo sguardo oltre i riflessi del vetro del finestrino.
Ella dormiva ancora.
Mi crebbe un nodo in gola. Le porte si chiusero e il convoglio lentamente ripartì.
Ero stato seduto accanto a lei e nemmeno conoscevo il suo nome. Mentre conoscevo bene l’identità
di altre ragazze senza averle incontrate, come Vivi.
Aspettando la corriera che m’avrebbe portato a Licun, mi rammentai di lei.
Conobbi Vivi in un social network al quale ero iscritto. Era più giovane di me, una studentessa
universitaria, dal carattere dolce, molto simpatica. Passavamo ore a scambiarci messaggi e e-mail.
Avevamo in progetto di incontrarci un giorno. Mi ripeteva sempre che avrebbe voluto abbracciarmi
forte il giorno del nostro incontro. Quando le confidavo qualche mia disavventura, ella mi
rispondeva con un chengyu86 - sai weng shi ma zhi fei fu87 - e cercava d’aiutarmi sdrammatizzando
con ironia. Tenevo molto a lei, alla sua amicizia, al tenero sentimento che ci legava, come ora ho a
cuore Xiaoyu.
Arrivò l’autobus. Mi sorpresi del suo largo anticipo. Continuai il mio viaggio verso Xiawu e il mio
destino.
Quei ricordi, in quella sera di luglio, mi pervasero di malinconia. Forse di rabbia.
Linfen s’era portata via tutto: anche Vivi e la ragazza del treno.
La voce di Xiaoyu mi riportò al presente. Mi chiese:
“Hai mai avuto rimpianti?”
Non conoscevo il motivo di quella domanda, né cercai di scoprirlo.
“No” risposi semplicemente.
Mentii. Xiaoyu mi prese per mano e mi sorrise. I grilli non smettevano di frinire.
Non ricambiai il sorriso. Rimasi solo col mio segreto.
***
***
***
Diciassettesimo giorno.
Mi alzai di buon mattino e uscii di casa per andare a bagnare le piantine che avevo raccolto durante
il viaggio. Il sole era coperto da poche nubi e la temperatura dell’aria era già calda.
Le piantine di cicoria erano già fiorite. Dalle piccole foglie dentellate, tra le quali qualcuna un po’
appassita, spiccavano tre o quattro fusti zigzaganti che portavano ad ogni mutamento di direzione
piccoli capolini verdi. Taluni erano ancora in bocciolo, altri portavano già i petali secchi, bruni e
raggrinziti. Due fiori erano aperti, con piccoli petali ovali e sottili e con una minuta coroncina di
stami riccioluti e pistilli.
Ciò che gradivo di più in loro era il colore: i petali erano d’un azzurro luminoso, mentre i pistilli
erano più scuri e dipinti di blu cobalto.
Li accarezzai. Sorrisi. Rimasi ad osservarli a lungo. A contemplarli.
Quei due piccoli fiori mi donavano serenità. La loro tinta e la loro forma mi fecero dimenticare la
meta del mio viaggio, lo scopo, il viaggio stesso. Nella mia mente, sgombra da crucci e pensieri, li
associavo a me e Xiaoyu, legati dalla stessa linfa del destino. Non pensai affatto che alla sera si
sarebbero richiusi e il mattino successivo se ne sarebbero aperti altri al loro posto.
Dovevo ancora innaffiare le altre piante ma non volevo abbandonare quei due fiori: in me crebbe
una specie d’ansia che s’esaurì quando a malincuore decisi di proseguire il mio lavoro.
Ma le altre piante non erano cicoria. Le bagnai in fretta e ritornai ad ammirare i fiori azzurri.
Dopo una decina di minuti, però, di quella splendida visione e di quei sentimenti m’ero ormai
assuefatto. Quel blu non faceva più vibrare il mio spirito e qualcosa di indefinito in me mancava.
Nella mente si formò l’immagine di Xiaoyu ridente e d’improvviso desiderai di vederla.
La chiamai ad alta voce:
“Xiaoyu, vieni qui un attimo! I fiori di cicoria si sono schiusi!”
“Ora non posso, verrò a vederli più tardi! Aspettami!” mi rispose.
La sua voce era lontana. Ero impaziente che ella vedesse quei fiori e che condividesse con me le
mie emozioni. Li vide ma non ne fu particolarmente entusiasta.
Osservavo lei che li osservava, e mi sentivo felice.
GRANDE CALDO
Dashu
D'un tratto il tuo volto,
Marina,
riflette i raggi del sole
riflette il calore
uscito dall'ombra del cuore.
Di luce propria
appare il sorriso
le labbra i denti gioiosi.
Ridevano pure gli occhi
tuoi nel tuo lontano cuore.
Dashu88.
Da Zhangli a Xiaohan89 ci accompagnò lo stesso paesaggio fatto di campi incolti, gramigne,
rosolacci e alberi in filari lungo i canali. A rompere quella monotonia fu l’apparire di alcune catene
montuose.
Xiaoyu mi chiese, indicando una vetta alla nostra destra:
“Quella montagna laggiù è il Bai Shan90, vero?”
“Credo di si... Secondo te, quanto disterà da qui?”
“Più o meno dodici chilometri. Non mi pare molto alto...”
“Circa mille metri...”
“Mi piacerebbe essere lassù, a respirare un po’ d’aria fresca...” disse Xiaoyu.
“...invece che star qua a soffrire il caldo e l’umido. Almeno il cielo fosse sereno!” continuai.
In lontananza si poteva intuire che le pendici del monte erano coltivate a terrazze dalla forma
lenticolare, separate fra loro da capannelli di alberi d’un verde più scuro. Più lo sguardo percorreva
in su i ruscelli e più le ripe, abbandonate le terrazze, erano luogo di pascoli erbosi e piccole macchie
di bosco. La sommità era poco vegetata, con pareti di roccia bianca a strapiombo e rare piante negli
anfratti e nelle fratture.
Anch’io avrei voluto essere fra quelle balze, non solo per goderne il fresco: l’infinita superficie
piatta della pianura mi angustiava e dalle rupi del Bai Shan avrei dominato su tutta la valle del
Fei He, il mio spirito avrebbe potuto rinnovarsi nelle gelide acque dei rivi e volare da un crinale
all’altro senza che il silenzio lo fermasse. Avrei avuto Linfen nel palmo della mano per sempre.
Eppure ero lì, fra le traversine della ferrovia, impotente.
Volsi il capo a Settentrione e vidi la cima innevata del Huo Shan91 ergersi al di sopra di Linfen,
piccola per la lontananza ma imponente per le dimensioni reali della montagna.
Xiaoyu invece ammirava la catena montuosa al di là del Fei He, a Occidente, ininterrotta per tutta
l’estensione dell’orizzonte. Le cime parevano tutte della medesima altezza, sia quella del
Donghua Shan92 che quella del Hounan Shan93, e la profonda Sanguan Yu94 che le divideva
terminava nella pianura antistante del Yuejin Liang95 poco più a sud dell’ampia conoide alluvionale
di Wangzhuang96.
Con lo sguardo fisso in quella direzione, ella prese a parlare:
“Ieri ti chiesi se tu avessi avuto dei rimpianti. Adesso sono io che voglio raccontarti ciò che mi sono
lasciata alle spalle tanto tempo fa”
I suoi occhi erano fissi sull’orizzonte, stretti. Poi inclinò il capo avanti e il suo sguardo si posò sul
ferro grigio del binario. Continuò a parlare, con voce calma e sommessa.
“Era l’estate di circa una decina di anni fa, quando i miei genitori mi accompagnarono in gita nella
Sanguan Yu. Abbiamo visitato insieme posti stupendi, boschi di bambù e terrazze coltivate, magici
villaggi nei quali il tempo pareva essersi fermato. Giunta la sera, mio padre e mia madre vollero
raggiungere un villaggio nelle vicinanze di Hedi97 e mi chiesero se volessi andare con loro. Avevo
camminato tutto il giorno ed ero stanca, quindi rinunciai a quell’ultima meta e decisi di riposarmi
alla locanda dove alloggiavamo. Quando tornarono indietro per cena, mi raccontarono quello che
avevano visto: una grande fattoria, con mucche, capre, maiali, cavalli... Ero una bambina e mi
piacevano molto gli animali”
“Anche a me piacevano gli animali quand’ero bambino. Specialmente i bovini. Ricordo che un
giorno mia nonna mi portò a vedere un vitellino appena nato. Quando entrai nella stalla lo vidi: era
molto carino e mi fece tenerezza. Ma ciò che mi impressionò maggiormente fu sua madre: stava
davanti a me una mucca enorme, alta più del doppio della mia statura, della quale non riuscivo a
vedere la fine delle zampe”
Xiaoyu mi ascoltò in silenzio, sempre col capo chino e gli occhi nascosti dai lunghi capelli neri che
le accarezzavano dritti il volto.
“Quella notte piansi molto e non riuscii a prender sonno. Il giorno dopo tornammo a casa e i miei
genitori non ebbero il tempo per accompagnarmi a visitare quella fattoria. Da allora promisi a me
stessa che un giorno sarei andata in quel luogo, ma gli impegni quotidiani, e forse un po’ di pigrizia,
me lo impedirono. Fino al giorno di Xiaoxue il mio rimpianto fu quello di non aver accompagnato i
miei genitori fino alla fattoria; ora rimpiango di non aver avuto la volontà in tutti questi anni di
realizzare il mio piccolo sogno. Anche se ora mi ci recassi, non vi sarebbero più bestie da vedere”
Stette un poco in silenzio. Poi aggiunse:
“Avrei voluto avere anche un coniglietto bianco...”
Rimasi anch’io in silenzio, non trovavo le parole per confortarla. Mi disse:
“Andiamo! Linfen ci aspetta”
“Linfen?”
“Xiaohan”
***
***
***
Verso sera nella coltre di nubi si aprì un pertugio dal quale il sole potette affacciarsi e colpire con la
sua ormai flebile luce i rami degli alberi che stavo ammirando, seduto vicino all’uscio di casa.
Il verde delle foglie era vivo, come vivo in me il sentimento di stupore nell’ammirare le varie zone
di tonalità fra le fronde illuminate direttamente e quelle in ombra. Quel verde emanava una tinta
giallognola in forte contrasto con lo scuro dei rami e delle altre foglie non lambite dai raggi del sole.
Il mio sguardo era fisso ma la mente vagava fra i più bei ricordi di quel viaggio.
Mi sovvenne il bacio davanti ai carboni rossi della stufa a Licun, il racconto di Xiaoyu presso il
ponticello di Shanü, e ancora la nostra folle corsa in triciclo verso Jiecun...
Mi fu assai caro ricordare i nostri momenti più intimi occorsi fra l’incontro a Xiawu e l’arrivo a
Licun, soprattutto la prima notte trascorsa insieme: era viva in me l’immagine di Xiaoyu col capo
sul mio petto e il pallore della luna al di fuori di quel piccolo finestrino impolverato, il calore del
suo corpo e il tepore delle coperte. Ero completamente appagato.
Perché ancora ostinarsi a raggiungere Linfen? Cosa poteva mai cambiare alle nostre esistenze la
conoscenza dei segreti di Linfen, i quali erano già quasi completamente noti? Cosa poteva esserci
scritto mai nel messaggio di nonna Guan da sconvolgere le nostre vite?
Il sole aveva raggiunto l’orizzonte e le foglie degli alberi a me innanzi erano diventate scure, nere,
in forte contrasto con l’ultima luce del cielo. Perfettamente delineati erano tutti i rametti ed ogni
singolo lobo d’ogni foglia, tutti i più minuti particolari definiti nel blu scuro del cielo, come precise
pennellate di china nera su di un foglio di carta di riso.
Mancava qualcosa ai miei ricordi, qualcosa che non riuscii a trovare nelle luci e nelle ombre di quel
vespro.
***
***
***
Entrai subito in casa. Mi diressi in camera. Xiaoyu era distesa sul letto, con le braccia puntellate
indietro che le sostenevano il corpo, la schiena arcuata e il petto infuori. Le gambe erano lievemente
piegate e i piedi delicatamente posati sulle lenzuola. Aveva lo sguardo basso e la bocca semiaperta,
intenta ad osservare il proprio respiro.
Stavo in piedi accanto a lei, muto, e la guardavo. Ella alzò gli occhi verso me e mi chiese:
“Cos’hai da fissarmi in quel modo?”
Non risposi.
“Mi fai paura...” aggiunse, sorridendo un poco.
Balzai sul letto, a gambe divaricate, in ginocchio, prono su di lei. Ella indossava solo gli slip.
Non mi curai del suo sguardo attonito e presi ad annusare il suo collo, le spalle, il torace, i seni e in
mezzo ad essi. Inspiravo con forza ma nulla avvertivo.
Xiaoyu cercò di divincolarsi arretrando e distendendo le gambe. Allora strinsi forte le mani sopra i
suoi fianchi, con ambedue i pollici che premevano i seni da sotto. Strisciai il naso lungo il suo
ventre, fino all’osso del fianco suo alla mia destra.
“Cosa diavolo stai facendo, Jack?!” mi chiese, ancora con il sorriso sulle labbra.
Ma il suo volto divertito mutò d’espressione quando con forza e rapidità le abbassai gli slip.
“No! Adesso non va bene! No, non puoi, Jack!”
Unii le mie ginocchia, ed ella fu costretta a divaricare le gambe. Le mie labbra sfioravano il suo
inguine. Sentivo il suo respiro più ritmato. Forse aveva chiuso gli occhi.
“Dov’è? Dov’è?” urlai a gran voce.
“Cosa? Cosa? Mioddio, Jack!”
“Il tuo profumo di ciliegio!” gridai ancora più forte.
Con la guancia adagiata sul suo soffice monte di Venere, presi a piangere. Le mie lacrime
inumidirono la sua pelle. Le mie mani stringevano troppo i suoi fianchi. Mi disse:
“Non così forte: mi fai male”
Le sue mani abbandonarono le lenzuola e si posarono sulle mie spalle. Il suo ventre materno aveva
avvolto tutto il mio capo, il seno sul mio collo, le gambe serrate su di me. Immobile e sfinito,
abbandonai me stesso nel calore del suo corpo.
“Ancora due mesi, Jack. Te lo prometto” aggiunse. La sua voce pareva tremasse. Forse piangeva.
***
***
***
Mi mancava terribilmente quel profumo di ciliegio. Erano ormai tre mesi che non lo avvertivo più.
Quella notte ne parlai con Xiaoyu.
Mi confidò che ella non aveva mai usato quel tipo di profumo né un sapone con quella fragranza.
Un altro mistero, fra i tanti.
Eravamo sotto le lenzuola, abbracciati, come quella notte lontana, la prima che dormivamo insieme.
Allora c’era la luna a rischiarare le nostre speranze. Quella notte invece il novilunio ci univa nella
consapevolezza di essere vicendevolmente complementari.
“Ti voglio bene, Marco”
Erano anni che non sentivo quel nome.
“Ti voglio bene” mi disse ancora una volta.
***
***
***
Secondo giorno.
La luce del mattino scaldava la nostra casetta nella campagna di Xiaohan.
Eravamo entrambi seduti al tavolo a far colazione. Le chiesi come facesse a conoscere il mio vero
nome. Mi rispose:
“Me lo hai detto tu quando eri febbricitante, quando abitavamo fra Xincheng e Shanü”
“Ti dissi molte altre cose su di me, immagino...”
“Si, è vero!”. Con una mano si coprì le labbra che stavano sorridendo e abbassò un po’ lo sguardo.
Poi riprese:
“Perché ti fai chiamare Jack? Non ti piace il tuo nome?”
“Mi presento così alle persone che non conosco. Jack è un soprannome che mi diedero i miei
compagni di università”
“Ma ora mi conosci bene: perché non me lo hai mai rivelato? Quando me lo avresti detto?”
“Una volta raggiunta Linfen”
Xiaoyu divenne muta e triste.
“Tu credi che ci sia sempre Linfen fra di noi” disse.
Mi feci coraggio ed azzardai una soluzione.
“Linfen dista da Xiaohan solo otto chilometri. Se partiamo adesso, a sera saremo già da tua
nonna...”
“No, dobbiamo arrivare a Linfen il giorno dell’equinozio d’autunno”
“Perché? Capisco che ti piace essere organizzata, capisco che seguendo il tuo programma avremo
più tempo per stare insieme...”
Mi prese le mani e mi guardò negli occhi.
“Non c’è Linfen fra di noi, non c’è mai stata. L’abbiamo presa come scusa per aver più tempo, per
conoscerci e conoscere noi stessi. Ritorniamo alla nostre vecchie promesse e ai nostri vecchi
programmi. Nei prossimi due mesi di attesa confidiamoci l’un l’altra i nostri dubbi, le nostre paure,
i nostri desideri, il nostro passato, proprio come hai fatto tu ieri cercando quel misterioso profumo.
Per quanto riguarda l’equinozio d’autunno, mio padre mi disse che dopo quella data non vi
sarebbero più stati pericoli. E a dire il vero, grandi difficoltà non ne abbiamo incontrate fin ora...
semmai solo qualche spiacevole imprevisto”
“Quando me lo avresti detto?” le chiesi.
“Una volta raggiunta Linfen”
Scoppiammo a ridere. Scossi la testa.
“Cosa c’è adesso, Marco?”
“Niente” e continuai a ridere.
AVVENTO D’AUTUNNO
Liqiu
Vorrei volare lassù fra le stelle
piccole uguali
magari il tuo cuore assaggiare.
Splendono le tue belle pupille
nel buio iride della notte.
Liqiu98.
Dalla nostra abitazione di Xiaohan ci incamminammo sulla ferrovia per circa trecento metri.
Quel mattino mi prese un insolito entusiasmo, il desiderio di arrivare a Linfen il prima possibile,
tanto che più volte dovetti fermarmi e aspettare che Xiaoyu mi raggiungesse.
“Aspettami!” mi urlò dietro.
Mi volsi verso di lei e la vidi arrancare con fatica fra le traversine del binario e gesticolare contro di
me.
“Che diavolo ti è preso, Jack! Non puoi aspettarmi? Non vedi che sono carica come un asino e
zoppico? Tanto all’equinozio c’è tempo...”
Tornai un poco sui miei passi e feci per aiutarla, quand’ella si divincolò dalla mia presa e con
un’espressione molto seccata continuò a brontolare:
“Non mi serve il tuo aiuto! Basta che tu cammini più piano!”
“Scusami...”
“Non ti scuso!”
Rimasi un poco in silenzio, mentre ella mi ruminava imprecazioni in cinese che non compresi o non
volli comprendere.
“Certo che se camminassimo su una strada anziché sui binari, ci stancheremmo meno...” dissi.
“Io, non tu!”
“Potremmo raggiungere la strada principale. Non dovrebbe essere lontana da qui...” suggerii.
“Due metri più avanti c’è una stradina interpoderale che porta dritta a Yanli99, lì a sinistra. Dopo
settecento metri, giunti a Yanli, ancora a destra sulla G108 verso Jinjing100.”
Feci per dire qualcosa, ma Xiaoyu mi interruppe e aggiunse:
“Mentre tu eri occupato a cercare il tuo profumo di ciliegio, io studiavo la mappa e ho pensato che
se avessimo continuato a marciare sulla ferrovia non avremmo più trovato centri abitati per
rifornirci di viveri”
“Ma...”
“E quando arriveremo a Jinjing, io mangerò la carne in scatola che prenderemo a Yanli, e tu
mangerai il profumo!”
Xiaoyu abbandonò i binari. Mesto seguii lei e le sue imprecazioni cinesi che ebbero fine solo a
Yanli.
***
***
***
I piedi affondavano nell’ocra polverosa del sentiero. Percepivo i sassi più grandi sotto le suole delle
scarpe e più volte il passo fu ostacolato da ciuffi secchi di gramigna. Ai lati del fosso cresceva un
intricato groviglio spinoso e verde di rovi ed ortiche. Le ripe erano alte e ripide: occorreva prestare
molta attenzione a non mettere in fallo il piede ove la vegetazione era più rigogliosa per non
rovinare nell’acqua torbida del canale.
Dell’alveo, largo alcuni metri ma non profondo, si potevano scorgere sott’acqua solo i piccoli dossi
di melma e i lunghi filamenti di alghe. La superficie ove vi si specchiavano il cielo e le piante delle
rive era interrotta da rari isolotti di limo, colonizzati da bassi ciuffi di essenze sconosciute.
L’acqua scorreva lenta, quasi immobile, tale da percepirne appena il verso di scorrimento, come i
miei pensieri.
Ero veramente dispiaciuto che Xiaoyu fosse così adirata contro di me. Forse ebbi poca sensibilità
nei suoi confronti, o forse semplicemente non pensai a tutte le prove che il difficile viaggio verso
Linfen la provavano nel fisico e nella mente. O forse era giunto il plenilunio e i giorni delle sue
regole. O ancora forse tutto questo, insieme.
Dopo pochi minuti scorgemmo non lontano le prime casupole di Yanli.
Giunti sulla G108, Xiaoyu entrò nel piccolo borgo e ben presto ne uscì con lo zaino colmo di
provviste.
Non ero più abituato a sentire il liscio e comodo asfalto sotto i piedi. Ne fui contento.
“Verso Jinjing!” esclamai e feci il primo passo quando Xiaoyu mi prese per mano e mi disse:
“Scusami se mi sono arrabbiata, prima. Non volevo rattristarti così... Mi perdoni?”
“Perdonami tu, invece...”
Sorrise, come solo lei ne era capace. Mi baciò teneramente. Mi commossi.
***
***
***
Dopo circa trecento metri di cammino, entrambi i lati della strada erano costeggiati da due alti muri
di piccoli mattoni, e a sinistra v’erano un box, un giardino con due alberi e un cascinale.
Il muretto di sinistra, il più basso, era completamente dipinto di blu ed incorniciato di bianco. Del
medesimo bianco era la scritta che campeggiava sopra: Baiyunshan - fu fang dan shen pian101.
Lo stesso era dipinto pochi metri più avanti sul muro a destra, alto, che cintava una proprietà.
Su questo, di fronte alla scritta Baiyunshan, bianco su campo rosso v’era dipinta un’altra frase che
recitava: Dingtao shuini mingpai chanpin102, e sopra di essa un numero di telefono dal prefisso
0357.
Mentre camminavo accanto a quelle scritte, i grandi caratteri cinesi mi osservavano silenziosi.
Non fu una sensazione piacevole: pareva che essi avessero vita propria e volessero stringermi l’uno
verso l’altro in una morsa senza fine.
Nel silenzio affrettai il passo, ma non troppo per non indispettire nuovamente Xiaoyu.
Eppure quei muri sembrava non terminassero più.
Il cascinale era vuoto, però mi parlava un silenzio mai ascoltato prima d’allora. Sugli alti rami dei
due alberi del giardino v’erano costruiti ampi nidi d’uccelli. Li potevo vedere perché quelle piante
erano completamente secche, anche se mi sembravano ancora vive.
A qualche centinaio di metri più avanti potevo scorgere una casetta dall’aspetto innocuo.
La raggiungemmo in breve tempo.
Sull’ampio cortile c’era la facciata senza finestre di un vecchio fienile, con il tetto a falde e le travi
di legno che sporgevano di sotto le tegole. L’intonaco era ammuffito e dal sottotetto penzolavano
rami di rampicanti verdolini, in netto contrasto con ciò che v’era dipinto. Come sui muri della
strada, qui sulla facciata era disegnato un enorme rettangolo bianco con la cornice blu, e una scritta
rossa in caratteri cinesi indicava un nome di persona, Deng Zhuangzhen103, con alcuni numeri di
telefono segnati con vernice nera a mano libera.
All’angolo destro del muro erano impilati alcuni vecchi pneumatici.
In aderenza col fienile, di altezza meno elevata c’era una casetta dal tetto piano, con due porticine di
metallo. Rosse entrambe, una chiusa era del ripostiglio e l’altra, aperta, era l’uscio. Fra le due, sotto
una tettoia con due tubi al neon, v’era una finestra con il telaio arrugginito e i vetri opachi e
impolverati di fuliggine. Proprio sotto di essa stava un tavolino di legno, basso, a mo’ di kotatsu104
giapponese.
Sopra la finestra e l’uscio un grande cartello rosso indicava una scritta bianca che recitava: Lao
Zhang xiulibu105. Questo piccolo tugurio si affacciava sulla G108, dietro alcuni alberi e un palo del
telefono.
Con nostra grande sorpresa scorgemmo in giardino un triciclo che si dimostrò ancora funzionante.
Il vecchio Zhang non teneva molto all’ordine e alla pulizia poiché ogni oggetto era abbandonato al
caos più totale e sia il tavolo che le sedie erano macchiate e intrise di oli e sostanze d’ogni genere.
Un odore di muffa e legno marcio permeava l’aria.
Trascorremmo la giornata a rendere dignitoso e abitabile quel monolocale.
Misero era l’arredamento: un tavolo tarlato, due sedie di legno, un armadio, una stufa.
Letti non ve n’erano, cosicché apprestammo un giaciglio di fortuna sul carretto del triciclo.
Quella sera, stanchi entrambi, ci addormentammo ai primi vespri.
***
***
***
Quarto giorno.
La luna era già alta in cielo, piena, e rischiarava l’ufficio del vecchio Zhang e il cortile tutt’intorno.
Il silenzio imperava fra un cri e un altro cri di un grillo solitario.
Ogni oggetto aveva perduto il proprio colore ed era grigio, più scuro se apparteneva ad un rosso,
come l’uscio e la porticina accanto. Le varie tonalità di quell’unica tinta rendevano gli oggetti
indefiniti e le loro immagini sgranate come vecchie fotografie.
Tutto era immobile e diafano, sì ch’io mi rendevo conto di essere un elemento estraneo a quel luogo
e a quegli oggetti. Avrei voluto entrare in casa, per sentirmi al sicuro, ed invece ero sdraiato lì, sulla
paglia e sul carretto sotto la minacciosa scura scritta del muro del fienile.
Mio conforto era il calore del corpo di Xiaoyu che giaceva accanto a me, parimenti supino, con lo
sguardo volto al cielo, un po’ nuvolo e con poche stelle.
Ammiravo a bocca aperta il firmamento e provai in me un senso di smarrimento e al contempo la
sensazione d’essere immerso in quel buio infinito. Il respiro si fece calmo e lungo, vasto come il
cielo che osservavo.
In quella notte di San Lorenzo avrei voluto vedere qualche stella cadente ed insieme a Xiaoyu avrei
voluto esprimere un comune desiderio. Il cielo era velato e la luce del plenilunio non facilitava
l’osservazione. Eppure ne vidi una, piccola e rapidissima, con una lunga scia che s’esaurì in una
manciata di secondi.
“Hai visto, Xiaoyu? Una stella cadente!”
Mi voltai. Ella, con gli occhi chiusi, mi cinse il braccio con le sue mani e poggiò il capo sulla mia
spalla. Dormiva.
Le accarezzai il volto, poi tornai a scrutare il cielo.
Che desiderio avrei potuto esprimere quella sera?
Nessuno. Il desiderio più grande era già lì, accanto a me.
***
***
***
Nono giorno.
Il giorno dell’Assunta trascorse piacevolmente. Xiaoyu mi raccontò molte cose sul suo passato di
bambina, ed in particolar modo mi rimase impresso un ricordo che mi confidò quella sera quando
eravamo entrambi sdraiati sul carretto ad ammirare il cielo stellato.
Distesa supina accanto a me, ella stese le braccia al cielo e con le mani fece il gesto di catturare
quelle piccole stelline, come fossero graziose lucciole.
Poi si strinse a me, accarezzandomi la spalla a lei vicina, e mi chiese:
“Qual è la tua stella?”
“Tu” risposi senza esitare.
“Stupido! Non hai una stella in cielo?”
“Perché dovrei averla?”
“Ricordo che quando ero una bimba di pochi anni, le sere d’estate solevo osservare le stelle insieme
a mio padre. Mi raccontava che le stelle in cielo erano miriadi di miriadi, così numerose che ognuno
sulla terra poteva averne una. Mi disse di sceglierne una e che sarebbe stata per sempre la mia stella
portafortuna”
Mi guardava sorridendo, con il medesimo entusiasmo di quella bimba che andava raccontando.
Aggiunse, indicando un punto della volta celeste:
“Vedi quella stella lì, nella costellazione del Gran Carro106, la seconda dell’asse del carro?”
“Vuoi dire la seconda a partire dalla punta della coda dell’Orsa Maggiore107?”
“Si, proprio quella! Si chiama Mizar108, ed è la mia stella! Dai, scegline una anche tu!”
“Alcor, naturalmente”
Xiaoyu mi guardò con un’espressione confusa e mi chiese:
“Naturalmente?”
“Si. Mizar è una stella doppia, e la sua compagna si chiama Alcor. Vicini l’una all’altra da sempre e
per l’eternità”
Xiaoyu rimase in silenzio con lo sguardo fisso sulle nostre due stelle.
“Quando ero bambina sognavo che un principe delle stelle mi venisse a prendere e mi
accompagnasse nella sua dimora in cielo, a bordo di un carro dorato...”
“Il carretto c’è. Non è dorato, ma...”
Sentii un pizzicotto sul braccio, doloroso.
“Io ti apro il mio cuore e ti rivelo i miei sogni più intimi e tu mi prendi in giro? Sei proprio un...”
Con la stessa velocità di una stella cadente, le sigillai la bocca con un bacio.
Senza che le nostre labbra s’allontanassero, ci abbracciammo, lei prona su di me ed io ancor supino.
Dopo un minuto abbondante, levò il capo e disse:
“...un principe delle stelle. Ma ho ancora paura, come l’avevo un tempo”
Le accarezzai il volto e le tolsi un lungo ciuffo di capelli che le celava lo sguardo.
“Di cosa hai paura?”
“Di perdermi. Un giorno accompagnai mia madre al mercato e fra una bancarella e l’altra la persi di
vista. Presa dal panico, mi misi a piangere. Le signore vicino a me, vedendo una piccola bimba in
lacrime, mi chiesero che aspetto avesse la mia mamma, per aiutarmi a cercarla. Ma ella era proprio
davanti al banco accanto; mi sentii gridare e accorse in breve tempo. Da allora, se sono insieme ad
una persona e intorno a me c’è molta gente, mi ritorna vivo quel timore, quell’angoscia di rimaner
sola...”
“Qui siamo solo noi due e non ci sono altre persone. Non ne esistono più”
“Lo so, ma ho lo stesso paura. Promettimi di starmi sempre vicino!”
“Non temere, piccola Xiaoyu. Non temere”
Fu ella a baciarmi, e quel bacio durò molto tempo. Fino adesso.
Le sue labbra sulle mie labbra, i suoi capelli mi solleticavano il volto, il suo respiro era su di me.
Le nostre lingue si incontrarono, delicatamente. In quell’umido contatto avvertivo un sapore ben
noto. Non un profumo, ma l’avvolgente gusto di ciliegio.
***
***
***
Decimo giorno.
In quel caldo pomeriggio di San Rocco trovammo un fresco rifugio nel fienile del signor Deng.
Al fienile, che era nel sottotetto, si accedeva dalla stalla mediante una scala a pioli di legno.
Aiutai Xiaoyu a salire tenendola per mano, poiché ella non poteva caricare il peso del corpo sulla
gamba inferma. Fu un’operazione molto difficile e faticosa.
Il solaio del fienile era in travi di legno, spaccate e distorte dall’usura e dal tempo, grigie e marroni,
con lunghe striature parallele che si aprivano in corrispondenza dei nodi neri e duri. Taluni
mancavano e al loro posto v’erano piccole cavità rotonde.
I muri in pietra e mattoni erano bassi, tanto che potevamo stare in piedi solo sotto il colmo del tetto.
V’erano ragnatele ovunque. S’appiccicavano alla pelle, le più fastidiose ai capelli e al volto,
lasciando la sensazione d’essere cosparsi di colla.
Il tetto era sostenuto da una serie di travi di legno flesse e minacciose, e puntoni e catene della
stessa natura e forma.
Qua e là erano impilate alcune balle di fieno, un po’ gialle e un po’ marroni. Qualche stelo di
frumento sporgeva da esse che, ribelle alla macchina che l’aveva confezionato, non era piegato né
spezzato. Poca era la paglia sparsa sul pavimento, incastrata sovente fra le spaccature delle assi.
Alle narici giungeva un forte tanfo d’umidità, unito al piacevole profumo del fieno, penetrante e
asciutto.
Xiaoyu si diresse verso una di queste e vi si coricò prona.
“Ahi! Punge!” si lamentò, ma rimase in quella posizione.
“Certo che punge! Perché ti sei messa così?”
“Vorrei che mi facessi dei massaggi alla schiena”
“Massaggi?”
“Si, per favore...”
Dapprima sbuffai per pigrizia, poi l’accontentai e le tolsi i jeans.
Iniziai dalle spalle, compiendo movimenti rotatori coi pollici, dal collo verso l’esterno. Poi lungo le
scapole, fra esse e la spina dorsale. La sua pelle era molto liscia, pareva velluto sotto le mie dita.
Era calda e un poco appiccicosa di sudore tanto che le mani non vi riuscivano a scivolare bene.
Esse seguivano verso il basso la linea dei fianchi ed avvertivo sotto i polpastrelli le costole ed ogni
piccola imperfezione della sua pelle.
Ritornarono su per la medesima via fino a raggiungere i seni. Gli indici li premevano ai lati, ed
erano soffici come pasta di pane; le altre dita vi s’incastravano sotto, e in questo luogo la pelle era
più umida.
Massaggiai pure le braccia, gli avambracci sottili e le mani ossute.
Xiaoyu gemeva di piacere quando picchiettavo col le punte delle dita i muscoli fra le scapole e le
spalle. Per accontentarla appieno prolungai quel tipo di massaggio per qualche minuto.
Ripresi dall’inizio più volte, finché mi stancai della posizione che avevo preso seduto accanto a lei.
Saltai a cavalcioni sulle sue cosce e presi a massaggiarle i glutei, prima con brevi pressioni delle
dita, poi con i palmi delle mani. Ricordo che aveva un grazioso nevo sul fianco sinistro, appena
sopra l’elastico degli slip.
Seguitai a massaggiare le cosce, una alla volta. Le mani seguivano il lato esterno dal fianco al
ginocchio, e successivamente sul lato interno da questo al punto ove la coscia si legava al gluteo.
A volte mi spingevo oltre, con pressione più leggera, ove la gamba ripiegava all’interno e giungeva
all’inguine. La pelle in quel luogo era più umida e le dita non scorrevano agevolmente.
Talvolta, per riflesso a quel solletichìo, serrava le cosce e la mia mano rimaneva intrappolata per
qualche secondo in quella morsa, con le dita premute laddove il tessuto degli slip era più caldo.
Volli proseguire il massaggio ai polpacci e ai piedi, ma ella non me lo permise, voltandosi supina.
Le sue gambe serrate erano fra le mie divaricate.
Alzò il busto come per sedersi ed io feci per togliermi da quella posizione quand’ella mi fermò e mi
chiese se gradissi anch’io un massaggio.
Acconsentii. In quello strano abbraccio, ventre contro ventre, seno contro petto, Xiaoyu cominciò a
far scorrere le proprie dita sul mio corpo.
Giungevano al mio tatto piacevoli sensazioni di brividi che partivano dal muscolo trattato fino alla
nuca ed oltre, talora così piacevolmente intense da essere a malapena sopportate.
Anche se non era necessario, l’abbracciai, come un bimbo con sua madre.
***
***
***
Giunse così la sera e nel fienile la luce diventò ben presto più fioca.
Xiaoyu chiese:
“Va bene se dormiamo qui questa notte?”
“Va bene. Come la piccola Heidi109!”
“Però porta su un lenzuolo, perché la paglia mi ha punto tutti i seni...”
“Potresti indossare il reggiseno” le consigliai.
“No, mi terrebbe troppo caldo”
Oltre al lenzuolo, portai nel fienile anche una bugia con una candela e la posi sul pavimento, avendo
cura di metterla lontano dalla paglia.
Accesi un fiammifero e lo avvicinai alla candela, che in breve s’apprese.
Lasciai il fiammifero a consumarsi piano piano nel piattino della bugia.
Divenne tutto nero e la fiammella s’esaurì. Solo un piccolo puntino rosso rimase per qualche
secondo, vivo e lucente come il sole al tramonto dietro le fronde d’un albero.
Come il ricordo di quel pomeriggio d’estate.
Poi tutto si spense.
FINE DEL CALDO
Chushu
Una tortorella
passeggia su e giù
per l'antenna grigia.
Or piove:
tic, tac.
Ma dove andrà
grigia nel grigio cielo
la grigia tortorella?
Chushu110.
Terzo giorno.
Era molto nuvolo, ma almeno non pioveva. Eravamo rimasti nel fienile del signor Deng due giorni
in più del previsto a causa del maltempo.
La mattina del terzo giorno di Chushu la pioggia ci diede una breve tregua, per cui approfittammo
per proseguire il viaggio verso Linfen.
L’aria era fresca ma non v’era molto vento. Pedalavo tranquillo e in silenzio, mentre Xiaoyu stava
seduta sul bordo del carretto, anch’ella muta, ad osservare i campi abbandonati a destra e i
capannoni delle fabbriche a sinistra. Dopo cinquecento metri, sulla nostra destra, un grande svincolo
stradale interrompeva la successione di campi e fossi. Xiaoyu esclamò:
“Questa è la strada 725 che passa ad est di Linfen. L’abbiamo già incontrata, mi pare...”
“Forse si... vuoi prenderla?”
“No. La G108 ci porterà dritti dalla nonna”
Nel tempo del nostro breve dialogo, dopo un altro mezzo chilometro, passammo accanto al paese di
Dahan111. Jinjing, Yanli, Dahan - e pure Wangzhuang112, nostra meta di quel giorno - sembravano
tutti uguali: case rurali e cascine tutte delle medesime dimensioni e forma, con un piccolo giardino e
qualche albero; vie strette, incolori, uniformi, scure, morte; finestre che non si sarebbero aperte più,
con piccoli vetri quadrati impolverati e telai arrugginiti; odori forti di cibi e tessuti disfatti dopo
nove mesi d’abbandono.
Non entrammo a visitarlo, ma proseguimmo ancora. Dopo il centro abitato, un campo, poi due file
di capannoni, poi ancora un campo con poche cascine, infine Wangzhuang.
Il paese s’affacciava per circa quattrocentocinquanta metri sulla strada da noi percorsa. Mi fermai
cento metri prima del confine settentrionale, all’altezza dell’ultimo accesso al paese.
“Questa è Wangzhuang?” chiesi a Xiaoyu, ed ella rispose:
“Si, è Wangzhuang. Siamo arrivati”
Feci cenno di imboccare quella stradina, ma Xiaoyu non volle. Prendemmo allora un viottolo
sterrato dall’altro lato della G108 che ci avrebbe portato ad un vecchio cascinale in mezzo ai campi.
***
***
***
La cascina era circondata dai campi, uno dei quali era stato coltivato a mais. Ne erano testimoni
poche piante cresciute in sparuti gruppi di una decina di individui. Le lunghe foglie erano ormai
secche e a metà del fusto, fra queste e lo stelo, v’erano inserite pannocchie con il cartoccio
marroncino e alla sommità un ciuffo di barbe rossicce.
Appena le vide, Xiaoyu si precipitò a raccoglierle con entusiasmo: voleva cucinarle quella sera
stessa. La aiutai, non perché m’attirasse quella specialità culinaria, bensì perché mi preoccupavo di
conservare alcuni semi da interrare l’anno venturo.
Sebbene la temperatura non fosse elevata, si percepiva molto calore a causa dell’umidità dell’aria
dovuta alle frequenti piogge che s’alternavano alle nuvole grigie ogni tre o quattr’ore.
Sceglievo le pannocchie più secche e le staccavo dalla pianta con un movimento rotatorio. Le
foglie, sbattendo le une contro le altre vicine, producevano un fruscio duro e disarmonico.
“Ahi!” esclamò Xiaoyu all’improvviso.
“Cosa c’è?”
“Mi sono tagliata”
Immersa in un gruppo di piante ancor verdi, nella foga di raccogliere le pannocchie più tenere e
acerbe che offrivano maggior resistenza al distacco, i bordi taglienti delle foglie l’avevano
minuziosamente massacrata. Aveva piccoli tagli ovunque: sul viso, sulle spalle e sulle braccia, sul
petto e lungo i fianchi.
“Mioddio! Sembri un soldato dopo una battaglia nella foresta!”, dissi e risi un poco.
“Non c’è da ridere. Quando assaggerai queste, mi ringrazierai” rispose, indicando il suo prezioso
bottino.
L’accompagnai a casa, la feci accomodare su una sedia, e la medicai con un batuffolo di cotone
imbevuto d’alcool.
Che coraggio, la mia Xiaoyu: sebbene le ferite bruciassero al contatto col medicamento, ella non
levò alcun grido e non fece alcuna smorfia di dolore. Contai undici tagli: uno sulla guancia, cinque
sul braccio destro, tre su quello sinistro, uno sul fianco sinistro e uno sul petto, tutti superficiali.
Tranne quello sul seno. Sarà stato profondo circa mezzo centimetro e lungo sette, il quale partiva in
prossimità dell’ascella e si sviluppava in diagonale fino quasi all’areola del capezzolo. Dal bordo
inferiore della ferita colava sangue in piccoli rigagnoli. Poca cosa, ma mi impressionava
ugualmente.
Per prima cosa succhiai il sangue. Aveva un odore e un sapore fortemente dolciastro. Alla pressione
delle mie labbra, il seno si muoveva soffice e i margini della ferita si richiusero. Dovevano rimanere
un poco aperti per disinfettarli. Allora le dissi:
“Devi tenere sollevato il seno con una mano e premere un poco con le dita, mentre io disinfetto il
taglio”
“Fallo tu, ché io ho paura...”
“Di che?” chiesi sorpreso.
“Fallo tu, e basta!” rispose bruscamente.
Così feci. Misi quattro piccoli cerotti ugualmente distanziati, perpendicolari alla lunghezza del
taglio. Erano cerotti per bambini, carini, disegnati a fiori celesti e rosa.
***
***
***
Quel pomeriggio ci sedemmo al tavolo e togliemmo il cartoccio di foglie a tutte le pannocchie.
Esse erano estremamente lisce al tatto e fredde. I chicchi, disposti in sedici file parallele, erano di
forma appiattita e varia, più rotondeggianti alle estremità della pannocchia. Avevano un colore
giallo lucido, arancio verso i bordi e fra le fenditure tra gli uni e gli altri. Qua e là spuntavano lunghi
peli rossicci e sottili, verso l’apice del tutolo, ove i chicchi erano più piccoli.
Mi piaceva stringere nelle mani quelle pannocchie, accarezzare la loro superficie vellutata, dura e
fresca. Era quella una sensazione che mi riportava indietro nel tempo, quando ero un ragazzino e
mio padre soleva scegliere le pannocchie più dure e grosse e appenderle al muro della cucina.
Anche Xiaoyu sognava tempi lontani. Mi raccontò di quando era bambina...
“Ero piccolina quando d’estate mia nonna mi accompagnava in lunghe passeggiate fra le stradine di
campagna, in mezzo ai campi di cereali. Quando passavamo vicino ad uno di mais, ella veloce
prendeva due o tre pannocchie e me le regalava affinché giocassi felice. Mi diceva che erano lo
scettro delle principesse dei campi...”
Sorrise, ad occhi bassi, ma intuii una certa nostalgia nel suo sguardo.
“Ci credevi?” le chiesi.
“Si. Che sciocca...”
“Nonna Guan aveva ragione. Ora questi campi sono tutti tuoi. Sei una principessa, ormai...”
“Ero molto affezionata a lei, sai? Le volevo tanto bene, più che ai miei genitori. Ti ho già detto che
essi non potevano starmi vicino per molto tempo a causa del loro lavoro. Praticamente sono stata
allevata da mia nonna. Mi ha insegnato molte cose”
Stette in silenzio per qualche secondo, poi riprese:
“Le volevo molto bene...”
“Sarebbe bello per me poterla conoscere...”
Sapevamo entrambi di essere gli unici sopravvissuti all’incidente di Linfen.
Xiaoyu rimase muta e triste.
Presi una pannocchia e le tolsi quattro chicchi con un coltellino: due a mo’ di occhi e gli altri a
guisa di bocca. Gliela agitai davanti agli occhi e dissi con la voce in falsetto:
“Ciao, piccola Yuyu113! Sono, Xinxin114, la pannocchia portafortuna! Tienimi sempre con te!”
La prese, se la portò vicino al cuore, fra i seni, e la accarezzò come fosse una bambola.
In un sorriso commosso mi disse:
“Grazie, Marco”
Ricambiai col medesimo sorriso.
***
***
***
Undicesimo giorno.
Dopo due settimane di pioggia e brutto tempo quel mattino il sole splendeva nell’azzurro limpido
del cielo. I suoi raggi non erano soffocanti, ma bruciavano la pelle e i capelli.
Per ripararsi dall’insolazione, Xiaoyu ed io ci coprimmo il capo: io con un berretto bianco da
vecchio esploratore inglese; Xiaoyu con un grazioso cappello di paglia. La luce gli passava
attraverso e il volto di Xiaoyu era un mosaico di stelline luminose.
Animati dal bel tempo ritrovato, decidemmo di visitare Wangzhuang. Suggerii di prendere il
triciclo, ma Xiaoyu non volle perché le stava a cuore passeggiare un poco.
Giungemmo alla G108, la attraversammo e imboccammo una stradina proprio di fronte a noi, la
stessa che volli prendere quando arrivammo la prima volta a Wangzhuang.
Xiaoyu camminava a testa alta, come una regina vera, ché immaginavo la folla di sudditi festosi ai
lati della via. L’andatura claudicante, il bastone al quale sorreggersi, l’inutile ginocchio non le erano
di impedimento alla sua marcia, anzi: le conferivano maggior gravezza, come un generale
vittorioso.
Al contrario io avanzavo dietro di lei con lo sguardo a terra, forse assorto in tristi immaginazioni.
Attrasse la mia attenzione una casa a un solo piano, una delle tante che s’affacciavano sulla via. Le
finestre erano aperte. Scrutai nel buio della stanza e vidi appesa al muro, illuminata da una striscia
di sole, una fotografia che ritraeva una bambina vicino ad un uomo anziano.
Chi erano quelle persone? Come trascorsero la mattina di Xiaoxue, ignari del loro destino? - mi
domandai, e principiai ad immaginare i loro ultimi istanti di vita.
Il nonno dormiva ancora sotto le coperte colorate del grande kan, con la bocca semiaperta russava.
La bambina era già alzata e preparava la colazione. Versò il tè in due gaiwan115, le pose sul tavolo e
dopo andò accanto al kan. Stese il braccio verso il viso del nonno, con la manina afferrò la lunga
barba bianca e la tirò.
“Sveglia, nonno! Sveglia!”
“Ahi! Che birba! Si, si, mi alzo”
“E’ pronta la colazione, nonnino”
“Che cara che sei, piccolina...” le disse, accarezzandole il capo.
La bimba dolcemente sorrise, mostrandogli due gote rosse molto simpatiche, di quel colore forse
per timidezza o forse per il calore della stufa a carbone che scaldava quell’unica stanza.
Si sedettero entrambi al tavolo a sorbire rumorosamente il tè.
Poi il nonno aiutò la nipotina a vestirsi e le fece le ultime raccomandazioni.
“Hai messo i libri nella cartella?”
“Si, nonno...”
“Non dimenticarti il cestino della merenda!”
“Si, nonnino...”
“Fai la brava a scuola! Questa sera, quando arriverà la mamma, le dirò se ti sei comportata bene a
scuola e in casa, e se così non fosse la mamma ti sgriderà, sai?”
“E tu non uscire di casa, sennò prenderai freddo!”
“Certo, bambina. E... ora corri a scuola!”
La bimba attraversò l’uscio e corse in strada, con lo zaino rosso che dondolava a destra e sinistra e
gli stivaletti di gomma dello stesso colore che sollevavano sbruffi di neve ad ogni passo.
Il nonno si sedette sulla panca di pietra accanto alla porta, noncurante dei consigli della piccina.
Rideva nel sentire la sua nipotina correre e urlare felice verso la scuola.
Un lampo di luce.
Il silenzio, la strada vuota di Wangzhuang, solo piccole orme nella neve.
Mentre ero immerso nelle mie immaginazioni, Xiaoyu mi disse:
“Questo era il paese di mio nonno. Quando ero piccola talvolta trascorrevo un po’ di tempo qui con
lui”
Le feci vedere quella fotografia appesa al muro e le chiesi ingenuamente se fosse lei quella bambina
ritratta. Mi rispose che non era possibile perché non si riconosceva in quella bimba e perché
quell’immagine era troppo recente.
Mi dispiacque per quella risposta, per quella dolcissima bimba e per il suo nonnino.
Mi dispiacque e basta: avevo ormai disperso tutta la rabbia per la mia impotenza contro
quell’evento lungo il silenzioso viaggio verso Linfen.
***
***
***
La strada terminava, dopo cinquecento metri dalla G108, di fronte ad un muro alto, senza alcuna
svolta a destra o a sinistra. Questo fatto mi incuriosì assai. Alla nostra sinistra v’era una casa con
piano terra e primo piano. Con Xiaoyu, attraversai il cortile ed entrai, salendo frettolosamente le
scale. Giunto al primo piano, attesi che Xiaoyu mi raggiungesse, dopodiché ci dirigemmo verso
un’ampia finestra di quella che sembrava essere una stanza da letto.
Guardai fuori e vidi che quel muro cingeva un terreno nudo, oltre il quale si stendeva un prato
incolto di circa duecento metri di profondità e, cosa che mi stupì, di più di due chilometri di
larghezza in direzione Nord - Sud. Il mio sguardo si spinse oltre, e vidi una lunga striscia di asfalto
grigio parallela al prato e ampia quasi settanta metri. Nessuna costruzione e nessun albero intorno.
L’orizzonte era disturbato dal tremolio dell’aria calda che s’alzava da quella via.
Chiesi a Xiaoyu cosa fosse, o se fosse una strada che conducesse alla periferia orientale di Linfen.
Mi rispose che quella che osservavo non era una strada, bensì si trattava della pista d’atterraggio e
decollo dell’aeroporto di Linfen.
L’aeroporto...
In quel momento mi sovvenne il mio secondo viaggio in aereo.
Ero rimasto affascinato da una hostess che faceva parte dell’equipaggio di quel volo, Alitalia
AZ791 del 3 ottobre 2007, da Shanghai116 a Milano.
Occhi a mandorla, naso lungo e un po’alto, zigomi sporgenti, capelli neri a caschetto con una lunga
frangia tagliata della medesima altezza. Furono il suo sorriso a rapirmi, i suoi modi gentili e
delicati, la sua vocina... Avrà avuto una ventina d’anni.
Come per la ragazza del treno per Beifengwang, compii l’errore di non chiederle il nome.
Nei giorni seguenti cercai in ogni modo di contattarla, lasciano messaggi negli hotel dove di solito
pernottavano i membri del personale di volo e lanciando appelli su internet. Senza successo.
Ho perso anche lei, solo Xiaoyu mi rimane.
“Cosa hai oggi? Sogni sempre ad occhi aperti. A cosa stavi pensando?” mi chiese Xiaoyu.
“Nulla in particolare”
Mi guardò dubbiosa.
“Su, andiamo!” dissi, accennando un sorriso.
Tornammo in silenzio verso casa.
Quel ricordo mi mise di malumore per tutto il resto della giornata.
Il rimpianto di non aver vissuto pienamente quell’occasione d’essere forse felice e la
consapevolezza di non potervi mettere rimedio mi intristì come lo fece il cielo nuvoloso, ancora una
volta, dopo il sole luminoso del mattino.
Xiaoyu percepiva il mio stato d’animo e tentò di distogliere i miei pensieri verso altri più leggeri e
pregni di speranze. Parlammo a lungo del nostro futuro insieme, ma dietro i suoi occhi e suoi sorrisi
vedevo quelli della ragazza dell’aereo e di quella dal treno e di Vivi.
Xiaoyu mi baciò, e dalle sue labbra percepii la certezza che mai l’avrei persa.
Allora vidi solo lei, e nessun altra.
RUGIADA BIANCA
Bailu
Solo attraverso la piazza
del mio paese.
Sento sulla pelle
finissime gocce di nebbia.
Tronco e freddo è il respiro
in quell'umida notte.
Sembrano uguali le stelle e fisse,
dietro l'aria di latte.
Vorrei essere un po' più sicuro
o avere più rabbia.
Solo ho attraversato la piazza
del paese.
Sento ancora nell'animo mio
la grigia cappa di nebbia.
Bailu117.
Ottavo giorno.
Passeggiavo avanti e indietro sotto il porticato del palazzo meridionale del tempio Yao118 di Linfen.
Lo sguardo correva fra le fughe dei mattoni rossi del pavimento, ed io passavo accanto a otto
colonne rosse e sotto ad altrettante lanterne di carta di egual colore.
A volte volgevo gli occhi più in alto, verso la piazza antistante ed oltre le siepi di contorno al
palazzo. Le tre gradinate di pietra e il selciato riflettevano il grigiore del cielo e delle nuvole che
s’univano in una fredda foschia di fine estate.
Non sapevo cosa fare né cosa pensare. Potevo visitare il palazzo, oppure raccogliere gli ultimi fiori
della stagione e donarli a Xiaoyu, oppure ancora fingere d’essere il sovrano del Regno di Yao e
impartire ordini a ministri immaginari. Ma nulla feci di tutto questo, perché ogni cosa volessi
imprendere mi pareva inutile. Continuavo a passeggiare su e giù, senza pensieri, senza desideri,
senza voglie, senza vita, come fossi anch’io una colonna di quel portico.
Cosa ci facevo lì, unico uomo in un mondo abitato da sole piante e insetti e pesci? E Xiaoyu,
naturalmente. Il ricordo di Xiaoyu fece sì che l’accidia della mente si trasformasse in elegia.
Ripercorsi allora con la memoria tutto il viaggio da Xiawu a Wangzhuang, soffermandomi sugli
eventi più importanti. Poi, fresco di ricordi, ripensai al viaggio da Wangzhuang al Tempio Yao e ad
ognuno dei sette, davvero lunghi, giorni di pioggia che s’erano succeduti fino a quel tedioso
pomeriggio di Bailu.
***
***
***
Il mattino del primo giorno ci mettemmo in cammino verso le sette, approfittando di una breve
schiarita. L’aria era molto calda e umida. I campi bruni e spogli intorno a noi erano interamente
coperti da una sottile cortina di nebbia, forse alta meno di due metri. Uniforme, livellata, grigia,
s’adagiava lieve sulla campagna. I filari d’alberi lungo i fossi, alti e lunghi, sembravano grevi
promontori in un lago livido. Il silenzio ascoltava il mio respiro, ed io ascoltavo entrambi.
Sfilavano veloci dai lati della strada le varie colline di alberi, e i tetti delle case delle quali la nebbia
mi celava gli usci.
La luce del sole filtrava timida dalla linea indefinita dell’orizzonte, oltre lontane catene montuose
vegetali, forse pioppi.
“Ming Yi. Li jia zhen119” dissi.
“Parli un Cinese antico, non ti capisco...” rispose Xiaoyu.
“E’ il testo del trentaseiesimo esagramma dell’ Yi Jing120, Ming Yi. Significa: la luce è al sicuro,
l’esito è favorevole per una questione difficile”
“Bene, giungeremo a Linfen senza problemi!”
“Dimentichi le linee mutevoli... 121”
Dopo una breve pausa, Xiaoyu disse:
“Già si scorgono in fondo alla strada i palazzi più alti di Linfen. Se non riuscissi a trovare quella
lettera? Se il nostro viaggio fosse stato inutile...”
“Staremmo ancora adesso a Xiawu, senza tutte le difficoltà - non molte - che abbiamo incontrato fin
ora. A dir il vero sono ancora affezionato a quella casetta...” aggiunsi.
“Ce l’ho nel cuore. Vorrei tornarci, un giorno. Almeno una volta all’anno...”
“Ma non di novembre!” esclamai.
“Andrebbe bene anche di novembre, proprio il giorno di Piccola Neve, sarebbe meraviglioso! A
patto che non vi sia neve...” seguitò a sognare, sorridendo con tutta la grazia che poteva esprimere.
Dopo pochi minuti giungemmo all’altezza di un ampio viale che s’apriva a sinistra della strada che
stavamo percorrendo.
“Il tempio Yao!” esclamò Xiaoyu.
“Lo conosci?”
“Si, molto bene”
“Allora guidami!”
Pedalai per circa duecento metri fra verdi aiole e siepi un tempo ben governate finché il mio
sguardo fu catturato da un alto obelisco sulla mia destra.
Ci avvicinammo. Era una grande colonna di roccia bianca e rosacea di una ventina di metri, istoriata
a spirale fino alla cima e con una nuvola della medesima natura poco sotto la sommità, come il
braccio orizzontale di una croce. Tutto intorno si stendeva un grande plastico che riproduceva parte
della Cina. Da lontano mi era parso come sabbia, ed invece era di cemento grigio, sapientemente
modellato a guisa di montagne e fiumi. Potevo riconoscere la Grande Muraglia e il fiume Giallo.
Il gelo dell’inverno e la protratta incuria avevano scheggiato molte porzioni di superficie lasciando
allo sguardo macchie bianche dalla forma irregolare. Abbandonata a se stessa era quella piccola
Cina, in rovina e silenziosa come quella vera. Mi dava angoscia quel grigiore sotto i miei piedi e
non volli rimanere lì a lungo. Montati sul triciclo, proseguimmo ancora un poco fino al termine del
viale.
Grande appariva in tutta la sua magnificenza un albero in mezzo all’ampia strada; il fusto contorto e
i rami disordinati facevano ombra ad una aiola circolare dalla ringhiera in pietra e protetta dietro da
una siepe. Sul fronte di ogni porzione del muretto v’era inciso un quadrato e, al proprio interno, un
carattere cinese. L’aiola era circondata da un piccolo marciapiede.
Gli spartitraffico dei controviali terminavano con un lampione ciascuno recante in croce quattro
lanterne a forma di pagoda. Il viale continuava ancora per alcune decine di metri, accompagnato ai
lati da numerose bandiere rosse tutte uguali.
Quella pianta secolare celava al mio sguardo cosa vi fosse oltre. L’aggirai dalla parte destra e
proseguii ancora avanti.
“Guarda: la Hua Men122!” esclamò Xiaoyu.
Giungemmo in un’ampia piazza lastricata con mattonelle di pietra chiara rettangolari e quadrate più
piccole e scure. Ai nostri occhi s’ergeva una lunga scalinata, delimitata ai lati da due muretti in
pietra recanti ventidue coppie di ruote delle medesima roccia con sei braccia incise. Al capo di
ciascuno dominavano due possenti mendum123 ed altre statue simili ma di minori dimensioni erano
poste nella parte interna di ciascun gradino delle due rampe. Fra queste, nel centro dello scalone,
altre due file di gradini ospitavano un tempo lo scorrere di due rivoli d’acqua paralleli.
Alzai gli occhi e mi apparvero tre grandi torrioni rossi piramidali con tre alti portali. Il maggiore era
quello centrale, l’unico con i battenti aperti. Sopra di esso, sotto i merli grigio scuri e i due ordini di
tetti, una scritta dorata campeggiava solenne: Hua Men.
Avevo il desiderio di attraversarla e di osservare cosa vi fosse all’interno, ma già il cielo
cominciava a dar segni d’instabilità e qualche goccia di pioggia m’aveva rigato le lenti degli
occhiali. Decidemmo di tornare indietro, a cercare un riparo sicuro.
Ripercorremmo i nostri passi in fretta e ci recammo al palazzo meridionale del tempio, il primo che
incontrammo quel giorno quando imboccammo il viale dalla G108.
Entrammo, e poco dopo riprese a piovere.
***
***
***
Il mattino del giorno successivo la pioggia continuava a battere.
Xiaoyu mi invitò a seguirla nella visita ai palazzi del tempio. Le consigliai di rimandare ad una
giornata più asciutta e fresca, ma ella non volle sentire ragioni.
Indossammo due mantelle cerate e gli stivali di gomma ed affrontammo il diluvio che avevamo
innanzi. Il viale era diventato un torrente in piena che scorreva veloce verso la G108. Alla vista di
tale fenomeno, rimasi come paralizzato e non riuscii a decidermi di attraversare. Non avevo lo
stesso entusiasmo di Xiaoyu e avrei preferito di sicuro starmene sotto il portico del palazzo
meridionale senza fare o pensare alcuna cosa.
“Andiamo! Aiutami” mi incitò.
Stretta al mio braccio, guadò il corso d’acqua e attraversò i giardini fino a raggiungere tre ponticelli,
uno grande al centro e due più stretti ai lati. Non erano molto alti e assomigliavano più a piccoli
dossi, senza scalini. Poco più avanti sbarrava il nostro passo un palazzo stretto e alto con una
scalinata d’ingresso di appena otto gradoni in pietra e con un porticato sorretto da quattro colonne
rosso mattone con dipinti un drago d’oro avviluppato su ciascuna d’esse. Le due tettoie erano
coperte di coppi verdi come la giada e decorazioni lignee di egual colore di ineguagliabile bellezza.
“Questa è la Yao Men124, la prima porta del tempio” disse Xiaoyu.
“Ripariamoci all’interno!” suggerii.
Entrammo e ci sedemmo su una panca di legno all’asciutto. La temperatura dell’aria era elevata e
l’umidità quasi non faceva respirare. Bagnati di sudore, ci togliemmo le cerate, e Xiaoyu pure gli
stivali. Rimanemmo qualche minuto in silenzio, circondati dal solo tamburellare della pioggia fitta
sulle tettoie. Xiaoyu mi chiese:
“Perché è successo tutto questo?”
“Questo, cosa?”
“L’incidente di Linfen. Forse era già scritto nel destino... C’erano i migliori scienziati. Avrebbero
dovuto prevedere un così alto rischio in quell’esperimento. Non capisco... Vorrei capire, ma non ci
riesco”
“A Linfen troveremo tutte le risposte”
“No, Marco. A Linfen troveremo solo la lettera di mia nonna nella quale ci saranno le istruzioni su
come continuare a vivere...”
“O come ritornare indietro ad un’esistenza normale”
“Occorre accettare ciò che è accaduto... Questo è difficile per me”
“Ed anche se non si conosceranno mai le cause, è comunque giusto porsi degli interrogativi, darsi
uno scopo per continuare a vivere. Il raggiungimento di Linfen non è un traguardo, ma un inizio.
La luce nascosta è in alto e lascia cadere la sua ala; allo stesso modo il Signore nella sua
rettitudine per tre giorni non mangia. Lontano e trattato ingiustamente (o invano), con un discorso
egli sostiene la propria opinione. Ming Yi, prima linea mutevole”
“Forse hai ragione, Marco. Ma ugualmente non riesco ad essere serena”
“Non ti preoccupare, Xiaoyu. Se il Santo Saggio è nella sua rettitudine, giusto è anche non
mangiare”
Seguitammo alcune ore in queste riflessioni, fino a che la pioggia diminuì d’intensità.
Indossate nuovamente le mantelle, percorremmo la breve distanza che ci divideva dal secondo
palazzo, lo Wu Feng Lou125. Il vialetto era condotto ai lati da due dritte e strette aiole colme di
ciottoli chiari e ambrati, con vasi votivi di diverse forme. Al centro della pavimentazione in pietra,
una striscia di piastrelle di roccia grigia portava istoriate alternativamente raffigurazioni di draghi e
fenici. Passammo sotto la Porta Yi, di legno rosso con splendide decorazioni blu e oro, e dopo pochi
passi, accompagnati dai rami folti di due filari di cedri alti e maestosi, fummo davanti al Palazzo
delle Cinque Fenici.
***
***
***
Wu Feng Lou aveva un lungo portico con otto colonne e altrettante quattro in profondità ambo i
lati. Si sviluppava in altezza su tre ordini di tetti e recava al piano superiore un secondo portico con
sei colonne rosse. Davanti l’entrata v’era un ampio piazzale e una scala in pietra di cinque alzate ed
ogni gradone contava sette conci.
Vi salimmo. Xiaoyu cinse il suo braccio sinistro al mio collo e sollevò la gamba sinistra. Mi chiese
di aiutarla a salire i gradini. Stringeva gli occhi dal dolore, poverina, e caricava il proprio peso su di
me ad ogni balzo fino al piazzale. Ultimata la salita, davanti a noi fra due mendum v’erano due
cuscini foderati di velluto rosso innanzi ad un incensiere di bronzo colmo di cenere e bastoncini
ormai usti. Alla nostra destra capeggiava alta una stele alla cui sommità stava un capitello
raffigurante draghi e fenici.
Aiutai Xiaoyu a sedersi su quei cuscini in mezzo ai due leoni di pietra. Ella si mordeva il labbro
inferiore e respirava ad ampie boccate e lamenti. Si massaggiò il ginocchio a lungo, e mi disse:
“Mi fa tanto male... Troppo male...” ed irruppe in pianto.
“E’ colpa della pioggia e dell’umido. Non ti crucciare: non appena migliorerà il tempo, la tua
gamba non ti dorrà più. Hai solo bisogno di riposo. Ora è meglio entrare nel palazzo, per stare
all’asciutto” la rincuorai.
“Non ci voleva! E’ tutta colpa mia: dovevo stare più attenta! Sapevo che la neve era ghiacciata!”
urlò e fra un singhiozzo e l’altro si percosse col pugno il ginocchio.
Uscì dal suo volto rigato da lacrime e gocce di pioggia e dalla sua bocca un grido così forte che mai
le mie orecchie ebbero udito prima.
Mi abbracciò, con le braccia cinte al mio collo, la fronte unita alla mia. Tremava non di freddo ma
di dolore. Con voce rotta e flebile disse:
“Non ce la faccio più... Non ce la faccio più...”
“Ferito alla gamba sinistra, occorre salvare il cavallo degli Zhuang126: tutto favorevole. Quello che
è successo ed ogni altra difficoltà che abbiamo fin ora incontrato doveva accadere perché faceva
parte di un unico evento in continua trasformazione”
“Non capisco, Marco...”
“L’esagramma Ming Yi rappresenta l’incidente di Linfen, una luce nascosta nella terra, protetta. E’
l’inizio di una nuova vita che noi stiamo scrivendo giorno dopo giorno. I testi delle linee
dell’esagramma ci aiutano a comprenderne il significato. Ming Yi è il primo esagramma secondo
l’ordinamento corretto dell’Yi Jing suggerito dal Lama Govinda127, è la Creazione”
“La mia gamba...”
“La seconda linea di Ming Yi può anche essere tradotta in questo modo: Durante un’eclisse di sole,
un Signore si è ferito alla gamba sinistra ed è stato salvato da un cavallo robusto. Il mio nome in
caratteri cinesi può significare cavallo robusto. Era destino incontrarti nella campagna di Xiawu ed
ancora era destino che ti soccorressi quando ti feristi il ginocchio. Non ti preoccupare: è un buon
segno”
“Ho fame... Stringimi più forte”
La sollevai e la presi fra le braccia. La ricoverai all’asciutto dentro l’atrio del palazzo. Le dissi di
non muoversi assolutamente e di attendere che io tornassi con del cibo e dell’acqua.
Corsi sotto la pioggia battente fino al palazzo meridionale e ritornai da Xiaoyu in pochi minuti.
Ella mi accolse con un sorriso e con un bacio e mangiò con appetito. Ne fui felice.
Il sole, appena visibile dietro la densa cortina di nubi, stava ormai principiando a percorrere la
seconda metà del cielo quando la pioggia diminuì d’intensità. Dopo esserci rifocillati, chiesi a
Xiaoyu:
“Come va adesso?”
“Sto meglio, grazie. Anche la gamba mi duole meno”
Per qualche istante ella osservò in silenzio la pioggia, le fronde dei cedri e i rivoli d’acqua che le
percorrevano o che colavano dalle tegole della tettoia. Poi mi chiese:
“Allora è stata una giusta decisione compiere questo viaggio verso Linfen?” ma fu più
un’affermazione che una domanda.
“Il viaggio imperiale è annotato negli annali, quindi tutto è giusto128”
Mi baciò sulla guancia e mi disse:
“Ti voglio bene”
***
***
***
Nel tardo pomeriggio riprendemmo il cammino verso il Guang Yun Dian129. Oltre il Palazzo delle
Cinque Fenici ci attendeva una grande piazza con due file di tre alberi ciascuna che ci
accompagnavano ad un alto altare quadrato in pietra alla cui sommità si accedeva da quattro
scalinate poste secondo i punti cardinali. Al centro della piattaforma v’era una costruzione cubica di
mattoni rossi. Non vi salii per appurare se fosse stato un pozzo o un altare, bensì l’aggirai sulla
sinistra e seguii la linea di pietre incise a fenici e draghi, uguale a quella in prossimità della Yi
Men130, passando accanto ad un imponente albero secco dal fusto dritto e dalla corteccia contorta.
Esso aveva cinque o sei rami principali nodosi e ritorti, con pochissimi bronchi secondari. Più scuro
e grigio del granito di ogni costruzione e della piazza, vigilava, attento a chiunque avesse varcato
quella soglia. L’ampia scalinata del Guang Yun Dian era divisa nel mezzo da un ampio piano
inclinato in pietra con un grande disco decorato nel proprio centro.
Xiaoyu accusava ancora molto dolore al ginocchio sebbene questo era divenuto sopportabile.
Arrampicarsi sulla gradinata non era per lei fattibile.
Raccolsi fra le braccia Xiaoyu e salii la scalinata con molta attenzione poiché le pietre dei gradoni
erano viscide per la pioggia. Giunto alla sommità, quasi inciampai sui tre cuscini di velluto rosso
che erano posti davanti ad un ampio incensiere colmo di cenere e di bastoncini votivi consumati. Su
pietra nera, recava una scritta in caratteri dorati.
Alzai lo sguardo e fui schiacciato dall’imponenza del palazzo che avevo innanzi. Un porticato di
dodici colonne rosse, tre piani e tre ordini di tetti, una veranda di quattro colonne al livello
superiore, una scritta dorata in campo blu cobalto mi indicavano ch’ero giunto al Guang Yun Dian.
Sedemmo su una panca di legno sotto il portico.
La pioggia aveva cessato di battere ed il sole, ormai basso all’orizzonte, pallidamente illuminava
l’infinita prospettiva del portico, diffondendo la tonalità rossa delle colonne e dei mattoni del
pavimento sul muro, sulla panca, su di noi e i nostri abiti e le nostre mani.
Quei raggi così impalpabili e sottili avvolgevano dolcemente le mie stracche membra, le
riscaldavano. Percepivo quel calore penetrare fino nel cuore ed acquietare il respiro. Non un suono
s’udiva al di fuori dello stillicidio delle gocce dalla falda della tettoia. In quella pace e di quella
serenità m’inebriavo. Quella luce e quel calore erano il riflesso di tutto me stesso, un luogo di pace
infinita dove il tempo aveva smesso di correre. Era come se l’intero viaggio da Xiawu a Linfen
fosse destinato ad avere come meta la panca di legno ove ero seduto, o la gradevole sensazione di
sereno calore, o ancora il luogo dei desideri del mio cuore.
Mi ero finalmente ritrovato, dopo chilometri di strade, di valli, di fiumi, di montagne, di pericoli, di
paure, di gioie, di baci, di pianti, di ricordi.
La quarta linea di Ming Yi che a lungo avevo studiato mi rivelò in quell’istante il suo significato.
Dentro la parte sinistra dell’addome, la luce del cuore è al sicuro, quando ormai si è lontani da
casa. Tutto mi parve chiaro: dentro il cuore, si colgono anche le proprie intenzioni.
***
***
***
Nell’aria serena del vespro le sagome scure dei tetti dei palazzi del tempio di Yao galleggiavano
come silenti vascelli su di un mare di rami e foglie di cedri e conifere.
Xiaoyu era rimasta tutto il tempo a me vicina e silenziosa, assorta nei propri pensieri. Forse
anch’ella aveva ritrovato i desideri del proprio cuore.
Quali potevano essere? - mi chiesi, ma ancora non avevo finito di pormi il quesito che Xiaoyu parlò
con voce serena e disse:
“Grazie a te ho ritrovato me stessa. Mi ero smarrita fra mille paure nell’angoscia del mistero di
Linfen e nello strazio del dolore fisico. In cuor mio conoscevo i miei desideri, ma essi erano
sopraffatti da dubbi e terrori, così li tenevo nascosti, li proteggevo. Con te accanto ho acquistato
sicurezza, ora sono libera, libera per la prima volta, libera di continuare a vivere e sperare”
Ebbi un sussulto a quelle parole. Sorrisi. Poi dissi:
“Jizi zhi Ming Yi, li zhen131”
Xiaoyu rispose:
“Jizi132 zhi zhen, ming bu ke xi ye133”
Ridemmo.
Mi baciò teneramente. La strinsi forte a me, vicino al cuore.
“Il profumo di ciliegio...” pensai a voce alta.
“Anch’io lo sento...” aggiunse.
Potrei concludere qui questo mio diario, ma ho ancora qualche foglio bianco e nella ciotolina
d’ardesia è rimasto un poco d’inchiostro. Fa molto freddo qui, a Zhangcun.
Ho le dita quasi bloccate dal gelo e i polpastrelli mi dolgono.
***
***
***
Giunse presto la notte, fredda e umida. Tornammo al palazzo meridionale.
Xiaoyu non gradiva l’oscurità, perciò presi un cero e lo accesi. Era quasi del tutto consumato e di
cera ve n’era rimasta poca. La fiamma s’apprese bene, ma dopo poco cominciò a tremolare e variare
d’altezza. Osservai incuriosito il fenomeno. Essa si alzava e si abbassava continuamente ad un ritmo
ben definito; quei lampi di luce facevano apparire e disparire i particolari degli oggetti della stanza,
come volessero essi stessi comunicare qualche segreto con un linguaggio silenzioso e sconosciuto.
D’improvviso la fiamma si levò alta e produsse uno scoppiettio deciso. Poi tutto si fece più scuro.
Era rimasta una piccolissima fiammella, più blu che luminosa, e danzava nell’aria mossa dal mio
respiro. Mi parve come una bimba timida e affettuosa, mi fece tenerezza.
La stanza era buia, è vero, ma ancora qualcosa si poteva intuire nelle vicinanze della candela.
Né luce né buio, prima sale al cielo, poi scende nella terra.
Ricordando le parole dell’ultima linea di Ming Yi m’addormentai.
***
***
***
Nono giorno.
Mi svegliai quando il sole era appena sorto e subito m’accorsi che Xiaoyu non era più accanto a me.
La chiamai, ma non rispose. Uscii sotto il portico, ma non la vidi. Allora attraversai veloce il
piazzale, fino al viale.
Ero immerso in una nebbia densa e fitta, fredda ma non fastidiosa. Respiravo quel vapore e sentivo
la gola chiudersi. Il respiro a poco a poco si fece più ampio, alcune volte rimasi in apnea per
qualche istante. Aguzzavo la vista per scorgere qualche ombra che mi suggerisse ove fosse stata
Xiaoyu. Gli occhi divennero freddi e stanchi, e provai la sensazione di galleggiare in quella nebbia
di latte, senza terra sotto i piedi e senza alcun sostegno. Ero smarrito e l’assenza di Xiaoyu
procurava in me un’angoscia crescente.
Attraversai il viale e parte dei giardini antistanti la Yao Men. Il verde delle siepi e degli alberi era
tenue e privo di contrasto fra una tonalità e l’altra, sgranati come in una fotografia scattata
nell’ombra oppure come un quadro dipinto a pastello ed acquerello. La nebbia aveva la stessa
intensità di luce in ogni direzione io volgessi lo sguardo, e silenziosa come fosse essa stessa il
Silenzio divenuto materia.
Sul ponticello in pietra alla mia sinistra scorsi la sagoma di Xiaoyu e mi avvicinai.
Con la punta delle dita d’una mano, Xiaoyu teneva il corrimano. Si reggeva sulla gamba sana,
mentre teneva l’altra piegata col ginocchio rivolto all’interno, sì che il fianco destro era più alto del
sinistro. Il suo volto non aveva espressione ed ella aveva fisso lo sguardo oltre il tetto della porta,
verso Linfen.
Come un leggero velo di seta bianca, Xiaoyu mosse nella fredda nebbia di quel mattino il suo corpo
nudo e luminoso verso l’altra ringhiera ed ivi posò i glutei, con le braccia tese indietro a sostenere il
proprio peso. Abbassò il capo ed i capelli le sfiorarono le guance e con le punte il petto, mentre lo
sguardo scivolava giù per i seni e il ventre arcuato in fuori fino al pube che appena notavo, e ancor
più lontano, forse all’altra sponda del ponte. Stretti e socchiusi erano gli occhi, con le palpebre
appena colorate d’una polvere tra l’azzurro del cielo e il verde dell’acqua, e riflettevano persi i
desideri del suo cuore e dolci miravano le speranze del futuro.
Avrei voluto in quel momento con ambedue le mani accarezzarle i capelli e stringerli alla nuca,
passare il pollice sulle sue labbra rosee e lucide, e baciarla sulla fronte.
Oh, piccola Xiaoyu... Sento il cuore battere e non capisco se sia il mio o il tuo.
Se ti dicessi che t’amo, dovrei urlare ora e tu ti volteresti. Ma dove andrà dunque la magia del tuo
sguardo? Gli occhi nei miei occhi, il cuore nel cuore, amore mio...
Rimasi in silenzio. La raggiunsi. Seppi solo dire:
“Avrai freddo, così, con niente addosso...”
“L’equinozio di autunno sarà il nostro giorno più felice” mi rispose.
EQUINOZIO D’AUTUNNO
Qiufen
Tremavano i nervi
aspettando
qualcosa di strano.
Immaginavo
e sognavo mondi
diversi
nei quali nascondere
la realtà.
Qiufen134.
Non c’era vento in quella nuvolosa mattina di settembre.
Il triciclo cigolava sull’asfalto bagnato della G108, passando accanto al Cimitero dei Martiri della
Rivoluzione sulla sinistra e il ristorante Xinxing135 sulla destra. Correvamo veloci verso la città.
Non avevamo alcun timore, perché raggiungere Linfen era ormai per noi un semplice compito da
portare a termine: leggere la lettera di nonna Guan solo per rispetto verso la sua volontà. Forse per
Xiaoyu era un poco diverso: ultimare questo viaggio significava per lei realizzare la speranza di
incontrare nuovamente la sua nonnina e comprendere appieno il sacrificio dei suoi genitori.
Ella stava accanto e dietro di me, seduta sul carretto, e mi indicava i luoghi a lei familiari e la via
giusta da seguire.
Passammo nei pressi dello svincolo per la strada S232, la Yimei Dadao136, oltrepassando
rapidamente un piccolo tempietto, fino ad imboccare la via Gulou Nan137, naturale proseguimento
della G108 dentro la città.
Osservai attentamente intorno a me, ma non vidi la polvere nera sui muri, sui marciapiedi e sui vetri
e la spessa coltre di nebbia sporca che facevano di Linfen la città più inquinata al mondo al pari di
Sumgayit138. L’aria era pura, frizzante al respiro come fosse quella d’alta montagna. Ogni oggetto
era lucido, pulito dalle precipitazioni di dieci mesi.
Oltrepassammo la Yimin Dong Lu139 e giungemmo in pochi minuti all’incrocio con la Fuli Lu140che
si dipartiva alla nostra destra. Xiaoyu esclamò:
“Siamo ormai vicini. Ancora quattrocento metri circa...”
Fra i molti palazzi che incontrai, mi è rimasto vivo il ricordo del Mingdu141 Hotel, dall’imponente
entrata a quattro colonne decorate a draghi azzurri su sfondo dorato e con altrettante lanterne rosse.
“Gira lì a sinistra, alla via subito dopo l’hotel” mi suggerì.
Svoltai come ella disse, all’altezza di un’insegna che recava il nome della strada: Xi Zhao Xiang142.
La percorsi per circa centocinquanta metri, fino a raggiungere la Scuola Media Shanxi Shida
Shiyan143sulla destra. Qui Xiaoyu fece cenno di prendere una stradina dalla parte opposta, verso
Sud. Quella viuzza s’inoltrava in un quartiere di piccole vecchie case a due piani, coi muri di
cemento non intonacati, grigi e rigati di marrone da infiltrazioni d’acqua rugginosa. Alle finestre
v’erano grosse sbarre d’alluminio che facevano apparire quelle dimore come prigioni.
Ci fermammo alla quarta casa sulla nostra destra.
“Siamo arrivati. Qui abita mia nonna”
“Qui?”
“Si, al secondo piano. Su, andiamo!” mi incitò.
Scesi dal triciclo, salimmo sulle scale interne di cemento, percorrendone due rampe. Al numero tre,
sopra una piccola porta di legno, un grande Bagua144ci osservava.
Xiaoyu suonò il campanello e attese un poco.
Nessuno venne ad aprirci.
Stese la sua mano tremante verso la porta e la aprì.
“Nonna!” chiamò più volte, ma non ottenne risposta.
La sala era in ordine, il pavimento di legno chiaro era pulito. Alla parete opposta all’ingresso stava
un tavolo rotondo con una tovaglia di carta bianca a fiori gialli, ed intorno quattro sedie di legno
pregiato, marrone scuro, con lo schienale decorato con fiori di ciliegio laccati.
Xiaoyu ispezionò di corsa tutte le stanze: la cucina, il bagno, le due camere, la veranda. Tornò in
sala, con un’espressione in volto fra il triste e il deluso.
“Linfen ha portato via anche mia nonna” disse.
Sul tavolo notai che v’era una busta bianca con il nome di Xiaoyu scritto sopra. Anch’ella la vide e
la aprì subito. Lesse ad alta voce il contenuto della lettera.
Ascoltai attentamente quelle parole. Nonna Guan non conosceva il segreto di Linfen e si limitò a
suggerirci, su consiglio di suo figlio145, di proseguire il cammino verso Nord fino ad un luogo che
sarebbe stato indicato da un nostro compagno di viaggio.
“Chi sarà mai questo nuovo compagno di viaggio?” chiesi, ma non feci in tempo a finire la frase
che un rumore metallico proveniente dalla cucina ci fece balzare dallo spavento.
Intimoriti, ci spingemmo a passo felpato fino alla porta della cucina, nascosti dietro lo stipite.
Lentamente mi affacciai, seguito nello stesso movimento da Xiaoyu che mi stava dietro con le mani
sulle mie spalle. Quello che vedemmo ci sembrò un’allucinazione ai nostri occhi.
Una pentola, il coperchio in terra, e un grazioso coniglietto bianco che faceva capolino da questa,
per nulla spaventato.
Xiaoyu lo prese in braccio, se lo strinse amorevolmente al petto e lo baciò sulla fronte.
“Un coniglietto bianco! Che carino!” esclamò Xiaoyu.
“Quello che avevi sempre desiderato... Almeno così mi dicesti a Xincheng e a Xiaohan”
Era contenta come una bimba il giorno del proprio compleanno, come avesse atteso quel dono un
anno intero. Le ridevano gli occhi. Continuava a dire che quello era un regalo della sua nonna, e si
commosse. Non l’avevo mai vista piangere dalla gioia e al contempo dalla malinconia per quella
casa vuota ricca di ricordi felici.
“Vieni!” mi disse, accompagnandomi in camera. Trasse da un cassetto una scatolina di velluto
rosso. Ci sedemmo sul bordo del letto. La aprì. All’interno v’erano due anelli d’argento, semplici.
“Queste sono le fedi nuziali dei miei nonni. Ora sono nostre” mi disse, arrossendo un poco.
Intuii cosa volesse dire. Presi la più piccola e gliela misi all’anulare della sua mano sinistra,
dicendo:
“Ora sei mia moglie” e null’altro, poiché altre parole non avrebbero avuto alcun significato.
Eravamo una famiglia già dai tempi del nostro incontro a Xiawu, e conoscevamo perfettamente i
nostri reciproci sentimenti.
Xiaoyu fece lo stesso e disse:
“Ora sei mio marito”
Ci baciammo. Xiaoyu si coricò supina sul letto e chiuse gli occhi. Guardavo rapito il suo volto, il
suo collo, il suo seno nudo. Mi avvicinai. Ci abbracciammo e ascoltammo per la prima volta ciò che
la natura e il nostro cuore ci suggerivano senza opporre resistenza.
Dall’alto del comò il coniglietto bianco si mise seduto e con le zampette si strofinò il muso,
coprendosi gli occhi.
RUGIADA FREDDA
Hanlu
Mi guardava il castello
da quell'alta rupe.
Mi osservavano i suoi mille merli
e le antiche cascine d'intorno.
L'eco dei tuoi semplici gesti
ascolto
forse dai merli
del mio muto castello.
Hanlu146.
Dopo la bella giornata del tredicesimo giorno di Qiufen, il giorno successivo vi fu un violento
temporale e la temperatura si abbassò sensibilmente. Xiaoyu si rimise il reggiseno e la maglietta ed
io ne fui colpito, tristemente: dopo aver ammirato per quasi sei mesi il suo seno, ora non potevo più
godere della bellezza di quella nudità. Ne ero ormai avvezzo: vedere Xiaoyu così naturalmente
spogliata era per me come veder ritornare l’alba ogni mattina; vederla vestita fu come scoprire che
le nubi avevano coperto il sole dopo mesi di bel tempo.
Il primo giorno di Hanlu, nuvolo e tedioso, eravamo ancora in casa a Linfen.
Non avevamo fretta di partire poiché tutto era tranquillo e non avevamo mete da raggiungere, solo
la vaga indicazione di nonna Guan di proseguire il viaggio verso Nord.
Rammentai ciò che mi disse Xiaoyu a Xiaohan, che non avremmo più dovuto temere pericoli dopo
l’equinozio d’autunno, Qiufen. Eravamo entrambi veramente tranquilli, o quasi.
Xiaoyu trascorreva molto tempo con il suo amico coniglietto, lo teneva stretto a sé, lo coccolava, lo
sbaciucchiava, gli parlava. La guardai con espressione di disappunto e di pietà, scuotendo il capo a
destra e a sinistra e alzando gli occhi al cielo. Ella se ne accorse e mi chiese:
“Beh? Cosa c’è di strano? Perché mi guardi così?”
“Niente...” risposi.
“Non capisco...”
“Sempre con quel coso in braccio! Povera bestia...”
“Questo coso è un coniglio, e si chiama Linlin147!” disse seccata.
Continuò a baciarlo sulla testa fra le due lunghe orecchie bianche e aggiunse sottovoce, rivolta al
coniglio:
“Che cattivone, Marco. Non avere paura, Linlin, ché c’è qui la mamma...”
“Sei ridicola!”
“Ridicolo sei tu! Geloso di un coniglio! Eppoi anche a te piace coccolarlo: ti ho visto...”
Xiaoyu aveva ragione: tutti i pomeriggi, dopo pranzo, al momento del sonnellino, mi piaceva
sedermi in poltrona con Linlin sulle gambe ed accarezzare il suo pelo candido, liscio come la seta.
Gradivo molto quella sensazione di calore e tepore che dalla gambe mi saliva fin nel cuore. E come
non sorridere quando con le zampine si puliva il muso fra mille smorfie? Geloso: anche se lo ero,
non ne avevo motivo. Dovevo essere felice per Xiaoyu, perché s’era realizzato un suo desiderio a
lei caro, possedere un coniglietto bianco, come mi confidò l’ultimo giorno dell’anno del Topo a
Xincheng e tra i suoi ricordi sulla strada per Xiaohan.
“Eppoi me lo avevi promesso...” aggiunse.
“Promesso, cosa?”
“Non ti ricordi? Me lo dissi tu, in quella casetta tra Xincheng e Shanü. Linfen... Conigli bianchi per
vossignoria! Giusto?” mi chiese.
“Come posso ricordare? Ero febbricitante”
“Nelle tue visioni avevi predetto tutto, pure l’avvento di Linlin”
Rimasi stupito. Ella se ne accorse e subito si corresse:
“No, sto scherzando. Hai predetto solo questo, null’altro” e rise un poco. Poi aggiunse:
“Secondo me non fu una predizione. Ti confidai molte volte il mio desiderio di possedere un
coniglietto, che tu l’hai rievocato nelle tue farneticazioni insieme alla lettera di mia nonna e ad altre
cose che ora non ricordo. Stai tranquillo”
Presi per buono ciò che ella disse, ma non ne fui convinto.
***
***
***
Secondo giorno.
Mentre Xiaoyu preparava il pranzo, io curiosavo in camera, alla ricerca di qualche frammento del
suo passato. Aprivo lentamente i cassetti senza far rumore e sfogliavo le varie carte e gli oggetti al
loro interno. La polvere si sollevava come piccole nuvolette; a respirarla mi solleticava il naso tanto
che starnutii più volte. Una parte raggiunse gli occhi che cominciarono a lacrimare e avvertii sotto
le palpebre la sensazione molto fastidiosa d’avere qualche bruscolino al loro interno. Più me li
stropicciavo e più il fastidio s’acuiva.
Dopo qualche minuto decisi di smettere la ricerca e mi sedetti sul letto. Aveva un copriletto verde a
strisce piccole più scure e vari disegni geometrici che ricordavano dei rombi. Sul cuscino dalla parte
opposta dov’ero mi guardava con i suoi occhi di panno nero un simpatico maialino di stoffa blu.
Lo presi e me lo misi in grembo. Aveva una imbottitura molto soffice ed era estremamente liscio al
tatto. Subito pensai: se Xiaoyu possiede un coniglietto, perché io non posso tenere un porcellino?
Lo feci mio, e con il suino sotto il braccio mi diressi in sala, ove m’aspettava una tavola già
apparecchiata e con alcune vivande. I piatti di porcellana bianca erano decorati con tre coppie di
fiori, bianchi e rosa ciascuna, ed ugualmente dipinti erano due wan148 colmi di riso.
I chicchi erano di colore rosa acceso a causa di un tipo di verdura con la quale era condito. Negli
altri piatti c’erano panini e ravioli cinesi, bianchi e molto caldi. Come bevanda solo del vino di riso.
Fra il profumo delicato e invitante del cibo, una volta seduti entrambi al tavolo, Xiaoyu mi chiese:
“Cos’è quel porco vicino a te sul tavolo?” indicandolo con la punta del naso.
“Un maiale, appunto” risposi.
“Questo lo vedo! Piuttosto, dove l’hai preso?”
“Era di là sul letto. Non è tuo?”
“No. Sarà stato della nonna...”
“Adesso è mio. Mi piace tantissimo. Eppoi tu hai già un coniglio...”
“Linlin!” precisò. Poi aggiunse:
“Linlin è vivo, mentre il tuo porcello...”
Stizzito come lo fu Xiaoyu poc’anzi, dissi:
“Rong Rong149. Si chiama Rong Rong”
Ella rimase muta e continuò a mangiare. Mi piacque molto quel riso rosa e feci i complimenti alla
cuoca. Xiaoyu mi rispose che fu al nonna a insegnarle l’arte della buona cucina, e tante altre cose.
Fra un boccone e l’altro mi raccontò quanto fosse meravigliosa sua nonna e di tutto il bene che le
aveva voluto. Nel ricordare gesti e aneddoti, alternava sorrisi a sguardi malinconici e significativi
silenzi.
Ascoltando Xiaoyu mi figuravo nonna Guan come l’avessi avuta davanti agli occhi: gli occhi
ridenti, il sorriso sempre sulle labbra, la voce acuta e tremola, un’immensa simpatia.
Mi dispiacque molto, allora, non averla conosciuta di persona e altrettanto mi spiacque non aver
potuto verificare la bontà dei ricordi di Xiaoyu.
Ancora non sapevo cosa sarebbe accaduto a Zhangcun.
***
***
***
Settimo giorno.
Fu la prima giornata di sole dopo molto tempo. Decidemmo di partire per la nostra meta
sconosciuta, abbandonando Linfen a malincuore.
L’asfalto pulito della G108 rifletteva la luce in un forte abbaglio, tanto che dovetti pedalare con gli
occhi stretti. L’aria era fredda, compensata dal calore del sole che ci avvolgeva. Viaggiammo con lo
spirito di una gioiosa gita domenicale, eccitati dal piacere di scoprire luoghi nuovi come fossimo
pionieri d’altri tempi.
Appena usciti dalla città, oltrepassammo un piccolo corso d’acqua dal tracciato sinuoso e dalle rive
vegetate. Il suo colore ricordava l’azzurro della carta - zucchero e a tratti era un po’ torbido. Xiaoyu
mi rivelò che quel fiume era il Xigao He150, che prendeva le acque dal Ju He151 e un tempo anche dal
Lao He152. Alla nostra destra, dopo un lungo filare di pioppi, si estendeva un grande mosaico di orti
e serre come tessere di varie forme, dimensioni e tonalità di verde. Incolti da quasi un anno, in
quegl’orti crescevano ugualmente molte verdure nate da semi di piante mai raccolte. Era un
paesaggio sereno, che mi destava sentimenti sopiti di calma e amore. Rallentai il ritmo delle
pedalate per ammirarlo e bearmi di quel verde lucente.
Ahimé! Dopo una ventina di metri la campagna lasciò il posto alle fabbriche e ai capannoni
industriali di Tunli153, bassi, tutti uguali, con scritte bianche su insegne blu.
Attraversata la città, la strada curvò in direzione Est per circa due chilometri e mezzo fino a
raggiungere, dopo aver oltrepassato la ferrovia, il paese di Xizhangbao154. Proseguimmo in aperta
campagna oltre Xinzhuang e Donglu155, finché il coniglietto non saltò giù dal triciclo e si fermò,
ritto sulle zampe posteriori, all’altezza di una strada che s’inoltrava a ovest della G108.
“Laogong156, guarda: Linlin pare ci voglia dire qualcosa...” disse Xiaoyu.
“A me sembra che ci voglia indicare quella strada...”
Entrambi d’accordo, memori della lettera di nonna Guan, seguimmo Linlin fino alla periferia di
Hancun157. Quivi giunti, egli entrò correndo ad ampi balzi in una casa e noi gli tenemmo retro.
***
***
***
Dodicesimo giorno.
Il silenzio rimbalzava fra le pareti di quella casa come un eco vicino, un rimbombo, una presenza
certa. Quando vi entrammo cinque giorni prima rimanemmo stupiti per l’ordine con il quale tutto
era al proprio posto.
Il tavolo della sala era sgombro, con le sedie perfettamente poste attorno, e nel centro un calice di
cristallo con dei crisantemi rossi appena appassiti. Se ne accorse Xiaoyu che ne trasse uno piccolo
non completamente secco. Sulla tovaglia, tutt’attorno al vaso s’era formata una corona di piccoli
petali ingialliti ed alcuni ancora colorati. Ella portò al naso il bocciolo che aveva fra le dita e
inspirò.
“E’ ancora profumato!” esclamò sorpresa.
Mi avvicinai al tavolo e osservai meglio il calice e il suo contenuto. L’acqua, invece d’essere
evaporata tutta, riempiva per metà il vaso e non odorava di marcio.
Furono circostanze insolite, ma non le uniche.
Il pavimento era lucido, senza una macchia, come fosse stato lavato il giorno prima.
Mi diressi in cucina e aprii il frigorifero, ma invece di trovarci verdure rinsecchite e altro cibo
deteriorato, vidi solo vivande in scatola. Le pareti interne erano pulite e non percepivo alcun cattivo
odore. Xiaoyu, ch’era vicino a me, continuava a fissare con lo sguardo un paio di bastoncini di
ceramica. Mi disse:
“Guarda, sono incrociati”
“E con questo?” chiesi, per nulla sconcertato.
Ella tacque qualche lungo istante, poi rispose:
“Niente. Non ti preoccupare”
La guardai, e lo sguardo andò oltre, sulla finestra alla sua sinistra. I vetri erano così puliti, nella loro
metà inferiore, che quasi pareva non esistessero.
Ritornai sui miei passi verso la sala ed entrai nel bagno. La rubinetteria luccicava come nuova,
senza alcuna macchia di calcare. Udii la voce di Xiaoyu che proveniva da una delle stanze da letto.
“Nemmeno un granello di polvere su questi mobili...”
Una casa disabitata da quasi un anno avrebbe avuto molta polvere dappertutto, i vetri delle finestre
sporchi di sabbia e un frigorifero maleodorante. Vada per i fiori, che potrebbero essere stati in un
punto della stanza non soleggiato; vada per il frigorifero, che potrebbe essere stato svuotato e pulito
poco prima di Xiaoxue; ma la polvere, quella doveva ragionevolmente esserci.
Il giorno successivo visitai gli altri appartamenti dello stabile e li trovai disordinati e sporchi, con i
vetri delle finestre incrostati d’argilla e con i mobili coperti da uno strato spesso di polvere.
Ne discutemmo insieme, ma né io né mia moglie riuscimmo a darci delle risposte sensate.
Fra tutti gli interrogativi uno in particolare non trovò alcuna risposta, nemmeno ipotetica: perché
Linlin avrebbe scelto proprio quell’appartamento?
Ogni giorno in quella casa avvertivamo una presenza, anche se solo il Silenzio ne era padrone.
Non era ospitale con noi, ci opprimeva. Quand’ero in una stanza, esso mi chiamava da un’altra. Era
il timore di vedere apparire una persona, o fors’anche uno spettro. Mi osservava, leggeva i miei
pensieri. Per fuggirne cercavo di stare sempre insieme a Xiaoyu, così da non esser solo.
Ella non era così turbata, il silenzio di quella casa la disturbava ma non la intimoriva. Trascorreva
interi ke158 ad osservare le due bacchette incrociate e con le punte sovrapposte sul granito accanto al
lavello della cucina. Come se le rammentassero qualcosa o qualcuno di familiare. Nel silenzio del
suo sguardo, sorrideva.
CALA LA BRINA
Shuangjiang
Cosa scrivere non so
su questo foglio bianco
e già vedo l'inchiostro
farsi chiaro
farsi raro
come il colore, non so,
dei tuoi occhi
o forse far nostro
il blu del mio lapis
e il tuo morbido collo.
Cosa guardare non so
sul tuo bel viso
e già sento lo sguardo
farsi grande
farsi leggero
come il colore, non so,
di quel ciuffo
dorato calato
sulla fronte
o forse il tuo sorriso.
Cosa pensare non so
in questa stanza vuota
e ancora ci sei te
farmi triste
farmi lieto
come il sapore, non so,
della tua rossa
bocca mai baciata
l'amicizia nata
fra te e me.
Shuangjiang159.
Quella mattina partimmo da Hancun e ci dirigemmo ancora una volta verso una meta sconosciuta,
nota solo a Linlin e a chi l’aveva addestrato. Pedalai per un chilometro verso Nordovest fino a
raggiungere una strada perpendicolare alla nostra e la seguii per un altro chilometro fino al ponte sul
Fei He. Non avevamo mai oltrepassato il fiume e l’idea di avventurarmi nella pianura dell’altra
sponda m’inquietava. Avevo la sensazione di lasciare luoghi certi e sicuri, anche se sconosciuti, per
addentrarmi in terra straniera e incognita.
Oltrepassai quel ponte con la paura di non poter più tornare indietro, di non poter più rivedere
luoghi cari come Xiawu e Licun. Con l’ansia che mi divorava lo stomaco, attraversai città e paesi
come Wunan160 e Dongtaimingcun161, percorrendo una strada secondaria parallela alla S224.
Dopo un altro chilometro giungemmo nelle vicinanze di Hongbaocun162, ove il coniglietto scelse
una casetta nello stesso modo dell’appartamento ad Hancun.
Parimenti trovammo quella dimora in perfetto ordine, pulita e senza polvere. Pensai che fosse una
coincidenza finché Xiaoyu si diresse in cucina e osservò ancora una volta un paio di bastoncini di
bambù incrociati con le punte sovrapposte.
“Cosa significa tutto questo?” le chiesi.
“Niente” mi rispose ancora.
La presi per le spalle e la fissai in volto ma ella non sostenne il mio sguardo.
“Credo che tu sappia chi sia stato, vero?”
“Sono tutti morti” mi rispose.
Unì la sua fronte con la mia e aggiunse, quasi sottovoce:
“Non importa più... Quando finirà questo viaggio, Marco?”
“Non lo so, Yuyu163. Non lo so”
***
***
***
Undicesimo giorno.
Il cielo era limpido e terso ed il sole scaldava un poco. La temperatura negli ultimi due giorni si
abbassò notevolmente, tanto che dalla maglietta di cotone indossammo subito maglione di lana e
cappotto. Il termometro segnava cinque gradi Celsius, mentre tre giorni prima ne segnava diciotto.
Era un pomeriggio di novembre, il giorno della commemorazione dei defunti.
Mentre Xiaoyu era in casa a riposare, m’incamminai in un parco della città attraversato da un
piccolo e sinuoso corso d’acqua.
I piedi affondavano nel letto di foglie secche lungo il sentiero. Ad ogni passo uscivano dalla terra
fruscii di egual tono ma di durata diversa. Era l’unico suono in quell’aria fredda e pungente, appena
riscaldata dai raggi d’un pallido sole autunnale. Qualche erba verdolina, forse malva o cinquefoglio,
timidamente usciva dal tappeto di foglie marroni e rosse, oppure ne rimaneva in parte coperta, a
sonnecchiare protetta dal gelo. La roggia scorreva lenta ed emanava dalla propria superficie vapor
d’acqua in modesta quantità. Dal prato ancor verde d’una sua sponda scuri alberi piegavano il
tronco e i rami verso la riva, silenziose foglie gialle e un po’ verdoline di farnie e rosse di aceri
diffondevano una luce irreale tutt’intorno. Giungeva alle mie narici un sentore di muffa e muschio,
non forte ma delicato. Ovunque lo sguardo si posasse, potevo osservare in una calma perfetta il
naturale silenzio, o null’altro che l’eco dei molti silenzi del mio cuore.
Trassi dalla tasca un anello con la ghiera girevole ornato di dieci borchiette piccole e una croce, me
lo misi all’indice della mano destra e cominciai a pregare per le anime dei miei defunti.
Mi guardai attorno. Non v’era alcuno che mi guardasse. Allora pregai per tutti coloro che
scomparvero la mattina di Xiaoxue.
Camminando il sole che filtrava dalle foglie m’accecava gli occhi scandendo gli ave e i sancta che
non osavo pronunziare ad alta voce.
Fermai il mio passo. Tutt’intorno taceva. La luce si faceva man mano più scura e l’aria andava
raffreddandosi. Il tempo continuava a scorrere sebbene il mio silenzio ed il silenzio del parco
rimanevano immobili come cardini di porta.
Quando tornai a casa, Xiaoyu era sdraiata sul divano, con una copertina di lana addosso, che
dormiva. Mi sedetti accanto a lei. La mia presenza silenziosa la svegliò: aprì lentamente gli occhi e
mi sorrise, dolcemente come lei sola sapeva fare.
“Laogong...”
La guardai con altrettanta dolcezza, e dissi:
“Laobo... 164”
***
***
***
Quattordicesimo giorno.
Il vento freddo era ormai cessato e la temperatura era meno rigida.
Stavo alla finestra ad osservare il giardino e gli alberi quasi spogli nella campagna intorno,
specialmente l’albicocco davanti casa. Mi ricordava i primi giorni trascorsi con Xiaoyu a Xiawu.
Quell’albicocco era l’unica cosa nera in tutta quella luce giallognola che le foglie riflettevano. La
parte superiore di ogni ramo, dal più grosso al più minuto stecco, era ricoperta di una striscia di
brina, né sottile né spessa. Il contrasto fra lo scuro dei rami e le tinte azzurrognole della galaverna,
quella poca che ancora non s’era sciolta, mi portava l’impressione che quell’albero fosse animato e
volesse comunicare con me.
Pareva che mi suggerisse di fissare per sempre i ricordi di tutto quel viaggio da
Xiawu a Hongbaocun e oltre, fin qui, a Zhangcun. Mi sedetti al tavolo e presi dal cassetto un blocco
di fogli grigi e quadrettati e principiai a comporre.
Xiaoyu apparve accanto a me, e mi chiese:
“Cosa stai scrivendo?”
“Un diario” risposi.
“Un diario?” mi chiese stupita.
“Si, un diario. Voglio che tutti i più bei ricordi del nostro viaggio rimangano per sempre...”
“Per quando saremo vecchietti e rammenteremo il nostro incontro seduti davanti al camino con la
copertina di lana sulle ginocchia...” e mi diede un bacio sulla guancia.
“O per chi verrà - se verrà - dopo di noi”
“Forse. Hai già pensato ad un titolo?”
“Potrei chiamarlo Piccola Neve. Come il giorno che ci siamo conosciuti” risposi.
“Avresti dovuto cominciare a scrivere molto tempo fa: ora avrai parecchie pagine da riempire...”
“Il tempo non mi manca. Piuttosto i fogli non sono molti e l’inchiostro pure”
Xiaoyu mi sorrise e andò verso al stufa a caricarla di legna.
C’era un piacevole calore intorno a me.
Non come adesso.
AVVENTO D’INVERNO
Lidong
In questa notte
mi sento trafitto
dal tuo pallido raggio,
o Selene.
Sono immagini rotte
del mio respiro saggio,
come un immenso zitto
che va e che viene.
Lidong165.
Era una giornata calda e luminosa quando il nostro coniglietto balzò sul carretto del triciclo e non
volle più scendere, nemmeno per mangiare. Capimmo che era giunto il momento di rimetterci in
viaggio. Quando avemmo caricato i nostri pochi fagotti, Linlin scese e cominciò a balzellare svelto
per la strada che ci riportava al Fei He, non tornando indietro ma proseguendo verso Est.
Xiaoyu era divertita ed eccitata per quella nuova partenza, come se non vedesse l’ora di incontrare
una persona da molto tempo non sentita. Ogni cinque o sei metri incitava il coniglio urlando “Vai,
Linlin!”, mentre io ero preoccupato per quell’ennesima corsa verso l’ignoto.
Dove si sarebbe fermato Linlin? Dopo quanto tempo e quanta strada?
Attraversammo la campagna e l’abitato di Tunli166 fino a raggiungere il Fei He.
Il suono di quel fiume ritrovato cancellò i miei timori e il mio animo s’avvicinò a quello di Xiaoyu.
Il coniglietto si fermò, ritto sulle zampe posteriori e fiutò l’aria; volse lo sguardo a sinistra e a
destra, come se volesse ritrovare l’orientamento; ci osservò alcuni istanti e piegò entrambe le
orecchie verso di noi, poi riprese a saltare avanti lungo la strada. Rimasi ancora fermo qualche
secondo a pensare quando Xiaoyu mi riprese dicendo:
“Su, cosa aspetti? Non vedi che Linlin vuole che noi lo seguiamo?”, con voce austera.
“Si, si. Ora vado...” mestamente risposi.
Linlin vuole che noi lo seguiamo - non avrei mai pensato di prender ordini da un coniglio... Dalla
moglie si, per il quieto vivere, ma da un coniglio... Che brutta fine...
Con questi avvilenti pensieri pedalai per altri due chilometri o poco più fino ad entrare in un paese
che curiosamente aveva tutte le abitazione della medesima forma, altezza e colore. Verso la fine del
centro abitato di Shangqiao167, attraversato per intero, Linlin ci accompagnò entro un cortile dei
tanti ove s’affacciava un’abitazione semplice a due piani e una costruzione più bassa a forma di
elle.
Al piano terra v’era un soggiorno, mentre al piano superiore c’erano le stanze e i servizi. Anche
questa dimora si presentò in ordine e con appena un velo di polvere sui mobili, ancor meno di
quanta ce n’era a Hongbaocun.
“Penso che qualcuno ci stia precedendo” dissi a Xiaoyu, la quale s’era diretta rapidamente in cucina
ove ritrovò le consuete bacchette di bambù incrociate e sovrapposte.
Ella sorrise, prese i bastoncini fra le mani e se li portò al petto, stretti vicino al cuore.
Intuii il significato di quel gesto e ne fui felice. Non v’era bisogno di domandare spiegazioni.
Dopo aver dato un’occhiata a tutta la casa, ci sedemmo sul divano nel soggiorno per riposarci un
poco. Xiaoyu si fece a me vicino e si sdraiò in parte sul mio corpo, con la testa sulla mia spalla
destra. Le baciai il capo. I suoi capelli, profumati, mi solleticavano il naso. Sentivo che il calore del
suo corpo piano piano e piacevolmente scaldava il mio.
“Laogong, posso chiederti una cosa?”
“Certo” risposi.
Dopo un timido risolino, si fece coraggio e chiese:
“Quando mi hai visto per la prima volta a Xiawu, cosa hai pensato di me?”
“Che eri carina”
“Dai, non scherzare!”
“Non scherzo. Pensai che tu fossi carina. Nei giorni seguenti conobbi anche la tua intelligenza e la
tua bontà. Quello che maggiormente mi piacque fu il tuo modo d’essere e d’agire: serio, a tratti
misterioso, con slanci di dolcezza e intraprendenza...”
“Forse un po’ troppa... Sentii che potevo fidarmi di te da subito. Già il giorno dopo il mio cuore
batteva per te...”
Già il giorno dopo il suo cuore batteva per me. Sussultai di gioia a queste parole. La baciai ancora,
come prima. Rimanemmo in silenzio per qualche minuto. Ascoltavo il suo amore che dal cuore,
attraverso il respiro, il calore, il peso del suo corpo, s’immergeva dentro di me lentamente.
Chiusi gli occhi. Di tutto il mondo, solo lei, vicino a me.
Riaprii gli occhi, non so perché. Le chiesi:
“E tu? Cosa hai pensato subito di me?”
“Non te lo dico!”
“Perché?”
“Perché no!”
“Dai, dimmelo...”
“No”
Cominciai a farle il solletico, premendo rapidamente le dita mie sui suoi fianchi.
“Dimmelo!” la incitai.
“Non voglio...”
Rideva come una bimba e si contorceva dal solletico, senza però tentare di fuggire.
“No! Mai!” aggiunse.
Esausta da tanto ridere, supina sul divano, cinse le braccia al mio collo. La baciai. Ci baciammo.
Le mani mie scivolarono sotto il maglione che indossava fino a raggiungere il suo cuore, e mio fu il
suo respiro.
***
***
***
Quarto giorno.
Aveva piovuto tutta la mattina. Nel pomeriggio la temperatura scese sotto lo zero e la precipitazione
riprese come nevischio. Il calore della stufa e l’aria secca mi avevano procurato un cerchio alla
testa, quindi decisi di uscire di casa e passeggiare un po’ nel cortile.
Minuti fiocchi di neve cadevano sparsi e silenziosi; non sembravano venir giù dalle nuvole grigie
ma apparivano dal nulla pochi metri sopra di me e si adagiavano fra i sassi della ghiaia. Erano
trasparenti e irregolari, come gelatina. Al contatto con la terra avevano vita breve e si trasformavano
in acqua. L’osservare ciò mi metteva pace e allegria al contempo. Rimasi muto ad ascoltarli, ma
l’unico suono che percepivo era il mio respiro, il fiato che entrava e usciva dalle narici. La condensa
formava piccole goccioline sotto la punta del naso e sul labbro superiore che più volte asciugai con
il dorso della mano. I miei pensieri andarono alle feste di Natale, ai cenoni, ai fuochi d’artifizio.
Ricordavo le molte persone per le vie del centro di Quwo, le vetrine illuminate, i bambini che
giocavano fra la neve, i venditori ambulanti tutt’infreddoliti.
Scrutai nell’ampio cortile nella vana ricerca di qualche anima viva, magari solo un passerotto in
cerca di cibo. Il freddo, la luce più scura, i fiocchi più densi che si fermavano a terra formando
ampie plaghe di neve. Solo questo, e null’altro.
L’aria umida penetrò nelle ossa e iniziai a tremare, ma in quel gelo desideravo essere io stesso uno
di quei fiocchi di neve ed unirmi a terra con altri miei simili. Senza che la mia bocca s’aprisse,
canticchiai una canzone di Natale nella mia mente, sorridendo a tutto quel deserto di freddo.
Nevicò più forte e ne fui felice. Anche senza di me e Xiaoyu, pensai, sarebbe continuato a nevicare
quella notte. La differenza fra l’esistere e il non esistere stava tutta nel fumo che usciva dal camino
sul tetto della casa. Immaginavo come sarebbe stato quel luogo senza la nostra presenza, e lo
ritrovai identico. Allora mi sentii piano piano scomparire come un fiocco che cade bianco fra la
bianca neve.
Una voce dietro di me mi fece riacquistare forma e coscienza.
“Cosa fai ancora lì? Fa freddo. Vieni dentro”
Avrei voluto non udire quella voce. Rimasi ancora col fiato sospeso a godere dello spettacolo di
quella piccola neve innanzi a me. Le dissi addio, sperando che quel ricordo rimanesse sempre vivo
nel mio cuore. Un ultimo sguardo, poi mi voltai.
“Si, arrivo!” e rincasai.
***
***
***
Quindicesimo giorno.
Ultimo di Lidong. Crepuscolo.
Faceva freddo, ieri, verso la metà del settantatreesimo ke168.
Il sole era ormai scomparso dietro l’orizzonte quando uscii in cortile con Linlin appresso.
La neve copriva ogni cosa ma non completamente. Solo la parte superiore delle siepi e delle rocce
ne era ricoperta ed ogni forma sembrava raddolcita, senza spigoli. Tutto dormiva sotto la coltre di
neve, senza aver freddo: quel poco che spuntava dei massi pareva fosse un bimbo al calduccio nel
suo lettino con un candido piumone rimboccato. La neve però aveva mutato colore e nella luce
tenue del crepuscolo era azzurrognola, blu nelle zone d’ombra. Della medesima tinta apparivano le
fronde di due giovani pini ove la neve s’era fermata, sulla superficie dei rami e sui ciuffi più folti di
aghi. Il verde scuro delle foglie e l’azzurro chiaro della neve producevano un effetto di luce difficile
a descrivere che mi infondeva una dolcissima pace. Il cielo sgombro da nubi era dipinto
uniformemente di rosa, mentre la luna, appena crescente, svelava una piccola parte dei suoi crateri
grigi come cenere. Ascoltavo il silenzio, la sua voce, le note della musica che non udivo. Ascoltavo
ciò che non poteva produrre suono, il respiro dei sassi che dormivano, il vento del Sud che scrollava
dagli aghi dei pini finissimi cristalli di neve, e forse qualcos’altro, non so, non ricordo.
Linlin, con un piccolo balzo un po’ incerto, montò sui miei piedi e nascose il musetto sotto una
braga dei jeans, forse perché aveva freddo. Mi piaceva quella sensazione di soffice calore.
Chiusi gli occhi ed ascoltai me stesso, ma dentro me v’era solo silenzio.
***
***
***
Ieri sera.
L’ultima luce abbandonò Shangqiao nell’ottantesimo ke169 di quella lunga giornata.
Xiaoyu stava china ad attizzare il fuoco nel camino quando mi disse:
“Domani è il nostro primo anniversario, ricordi?”
L’anniversario del nostro incontro a Xiawu, ove tutto ebbe principio.
V’era molta più neve di adesso...
A carponi, con le mani quasi più chiare della neve, le dita intirizzite e immobili, il capo scoperto,
con indosso un solo maglione di cotone e dei jeans, stava ai miei piedi una ragazza.
Occhi a mandorla scuri e fluenti capelli neri sui quali si erano posati piccoli fiocchi di neve. Uno
d’essi le attraversava la gota arrossata e si era attaccato al labbro inferiore. Dalla bocca semiaperta
due grandi incisivi erano a tratti obliterati da nuvole di vapore e fiato che si condensavano in
goccioline sulla punta del naso, alto e un poco lungo.
Tremava come una foglia al vento.
“Signorina! Signorina! Come si sente?”
Non aveva la forza di rispondere.
“Mioddio, è congelata. Su, venga qui, la scaldo io”
La aiutai ad alzarsi. Tolsi il mio braccio sinistro dalla manica del cappotto e aiutai quella poverina a
infilarvi dentro il suo. Col suo braccio destro sotto il giubbotto mi strinse il fianco e quand’ebbi
chiuso un poco l’indumento avvertii che le sue sottili dita dell’altra mano si erano delicatamente
appoggiate sulle costole del mio petto. Era di statura più bassa di me, cosicché la mia bocca sfiorava
i suoi capelli solleticandomi un poco il naso. Inspirai. Quasi avevo paura di farle male se avessi
respirato più forte, o normalmente. Avvertii un profumo di fiori di ciliegio, delicato.
Mai in vita mia una fragranza sì dolce aveva toccato il mio cuore.
Appena ella s’alzò le corsi incontro e l’abbracciai forte. Col braccio sinistro la cingevo in vita e con
la mano destra le premevo il cuore in mezzo ai seni. Sentivo la pungente trama del suo maglione di
lana, sentivo il caldo del fuoco del caminetto sul mio volto, sentivo muovere la sua schiena sul mio
ventre, sentivo il suo respiro, sentivo il suo profumo di ciliegio.
Yuyu.
Compresi che l’amavo e non volli lasciarla più. La strinsi a me ancora più forte, perché in tutto quel
silenzio e in tutto quel deserto avevo solo lei.
“Laogong, che fai? Non riesco a muovermi!” disse, con la sua vocina, ridendo.
PICCOLA NEVE
Xiàoxuè
Vorrei
poterti abbracciare
guardare i tuoi occhi
e muto sognare
il tuo piccolo cuore,
Marina.
Vorrei
poterti baciare,
fantasticare per sempre
il tuo amore
nel mio piccolo cuore,
Marina.
Xiàoxuè.
Non credevo facesse così freddo. Avevo le dita dei piedi e delle mani ghiacciate, che mi facevano
male come se me le avessero schiacciate. Camminavo a fatica, con i muscoli delle gambe irrigiditi.
Anche la punta del naso non sentivo più. L’aria fredda che saliva dalle narici scendeva fino ai
bronchi, pizzicandoli. Di tanto in tanto con un gesto delle labbra dirigevo il fiato caldo verso il naso,
oppure tra la camicia e lo sterno per scaldarmi un poco. Gli occhi erano freddi e secchi, ed ogni qual
volta stringevo le palpebre per umettarli li sentivo scottare.
Respiravo, ma non percepivo alcun odore: l’aria era priva di essenza ma dava l’impressione d’esser
solida come un immenso cubo di ghiaccio secco.
Non un suono giungeva ai miei orecchi. Pareva di essere avvolto in un ciuffo di cotone.
Giorno di Cristo Re. Aurora. Venticinquesimo ke170.
Il cielo era dipinto di rosa sopra la linea dell’orizzonte e sfumava in arancione e poi blu mano mano
che lo sguardo s’alzava cercando qualche nuvola. Questa mattina non ve n’erano, spazzate via da un
leggero venticello che giungeva da Oriente. Alcuni alberi a guisa dei fossi appena fuori del cortile
apparivano come neri fantasmi. Nero il tronco, neri i rami, dai più grossi ai più minuti stecchi, nere
pure le poche foglie ancora appese, quelle piante oscure disegnate con pennellate di china dai bordi
netti sullo sfondo a tinte suggestive dell’aurora vibravano misteriose emozioni. Sussurravano
bisbigli e finissime parole, tutte insieme sì che non distinguevo le loro voci le une dalle altre.
Ripetevano il mio nome - Marco! Marco! - ogniqualvolta posavo lo sguardo su un particolare, vuoi
un rametto, vuoi una fogliolina. Voci che si frangevano nelle rare pozze d’acqua dei solchi del
campo ove la neve s’era un poco sciolta, piccoli specchi dei medesimi colori del cielo.
Il coniglio era già pronto sul carro e dirigeva i nostri passi con piccoli movimenti delle orecchie.
Caricavamo il triciclo di malavoglia: con cinque gradi sotto lo zero in quel momento preferivamo
partire dopo mezzogiorno.
Xiaoyu fece del suo meglio per aiutarmi a porre i bagagli sul carretto, ma dopo due viaggi dalla
casa al triciclo aveva già il fiatone e ampie nuvole di vapore le celavano il viso ad ogni respiro.
“Tutto bene, Xiaoyu?” le chiesi.
“Si, tutto bene. Sono solo un po’ stanca... Sarà questa levataccia...”
“Questa mattina non hai mangiato. Sei un po’ pallida...” osservai.
“Mi dà fastidio lo stomaco e mi gira un poco la testa. Non è niente di grave. Buon anniversario,
caro” mi tranquillizzò con la sua vocina ed un sorriso appena accennato.
Le accarezzai i capelli e il volto, le mie dita sfiorarono la sua guancia arrossata dal freddo. La baciai
teneramente.
“Festeggeremo quando saremo arrivati alla nuova dimora” aggiunse.
La aiutai a salire sul carro. Si sedette in un angolo con Linlin sulle ginocchia, stretto al petto. Gli
baciava il capo ed egli strinse gli occhi soddisfatto.
***
***
***
Pedalavo con molta attenzione e lentamente perché la strada era coperta da un sottile strato di neve
che si scioglieva al passaggio delle ruote: ogni frenata o sterzata brusca poteva far ribaltare il
triciclo. Il sole non era ancora sorto e la luce illuminava poco il percorso.
Lasciammo Shangqiao alle nostre spalle e attraversammo il sottopasso della ferrovia.
Non era ancor di là Nesso arrivato171 che incontrammo sulla nostra sinistra campi incolti e frutteti
abbandonati. Dopo aver percorso mezzo chilometro sulla sinistra mi apparvero numerosi alberi di
susino completamente spogli, i quali non avevano rami schietti, ma nodosi e 'nvolti172, come braccia
e mani e artigli. Simili a fantasmi, le loro ombre cercavano di rapirmi e urlavano silenziosamente
voci spaventose, paure, timori. Avevo la sensazione che mi toccassero. Coi brividi alla schiena,
accelerai il moto ma così facendo l’aria nelle mie orecchie produsse un suono ancor più tetro che
concretizzò gli ululati di quei tronchi.
Dopo poco giungemmo alla G108. Fermai il triciclo e la osservai come un naufrago scopre la
terraferma dopo una spaventosa notte di burrasca. Sospirai e gioii in cuor mio come avessi ritrovato
un caro amico dopo molto tempo.
Il coniglietto mosse le orecchie più volte verso Nord e noi ci incamminammo in quella direzione.
Dalla sottile coltre di neve che copriva i campi abbandonati spuntavano stoppie marroni, allineate in
lunghi solchi che s’univano all’orizzonte ai piedi di pochi alberi senza foglie. Mentre le guardavo,
mi sembrava che si muovessero in direzione opposta al mio moto, ruotando come le lancette di un
immenso orologio. Si ripetevano, quei campi, sempre uguali, variando solo la tinta del terreno e
delle stoppie. Solo la neve e il silenzio non mutavano per tutto il tragitto da Shangqiao all’ignoto,
passando vicino a Shishi, Zuonan e Zuobei173.
Al trentunesimo ke174 i colori tenui dell’aurora lasciarono il posto ad un azzurro uniforme e più
luminoso, mentre il disco pallido del sole spuntava timido ad Oriente oltre la pianura, ove aveva già
illuminato le terrazze coltivate di Yuanshangcun175.
Dopo tre chilometri e mezzo di viaggio incontrammo sulla nostra sinistra un gruppo di case. Al
termine dell’insediamento, sul lato opposto della strada, alla seconda intersezione con una via che
s’inoltrava nei campi, Linlin scese con un balzo dal carretto e si diresse verso una casetta. Lo
seguimmo fino all’entrata di quella piccola abitazione nei pressi di Zhangcun176.
***
***
***
Era una piccola casa dal solo piano terra e con una terrazza in luogo del tetto a falde. L’intonaco
bianco era tutto annerito dalla muffa e in parte scrostato e v’erano scritti alcuni numeri di telefono,
dipinti con inchiostro nero o rosso. Le porte e gli scuretti delle finestre erano di legno, rossi e gonfi
d’umidità. La porta più stretta, sulla sinistra, portava allo stipite alcune decorazioni a stelle dorate. Il
parapetto della terrazza era costituito da una ringhiera di pietra scolpita a piccoli fiori. Nello spazio
antistante, vicino alla porta più larga, cresceva un albero ancora giovane, e al centro v’era un
piccolo sedile di marmo, rotondo, sostenuto da tre pile di cinque mattoni ciascuna.
Ecco ciò che vedemmo questa mattina quando entrammo qui: tutto era in ordine, come di consueto
e l’ambiente era stranamente caldo. Appena entrati nell’unica stanza osservammo che le lenzuola e
le coperte del kan erano perfettamente rimboccate, ma quello che ci rese ancor più increduli fu la
presenza di un bel fuoco scoppiettante nel camino.
Subito mi prese un sentimento d’angoscia e timore che mi bloccò, mentre Xiaoyu si diresse verso il
tavolo ove credo ella vide i bastoncini incrociati. Mentre ancora stetti immobile a pensare come
agire, Xiaoyu uscii fuori di casa con una rapidità sorprendente per la sua infermità, seguita a ruota
dal coniglietto. Mi diressi anch’io verso l’uscio e la seguii per un poco. Scivolò due volte e per due
volte ebbe la forza di rialzarsi e proseguire zoppicando assai.
Svoltò a sinistra e imboccò un vialetto a ridosso di una cascina e di altre tre piccole costruzioni sulla
sinistra. Poco più in là i lati della via erano scortati da due filari di alberi ed in fondo, ove la strada
curvava verso destra, una minuscola sagoma scura avanzava a passo lento e tranquillo.
Temendo un pericolo, le corsi dietro e quasi la raggiunsi, quand’ella gridò con tutta la voce che
poteva:
“Nonna!”
Quella figura umana si fermò. Lasciò cadere per terra un fascio di rami che teneva con ambedue le
braccia. Si fermò, muta. Il silenzio durò qualche secondo, poi un’altra voce, più acuta e insicura,
risuonò fra i tronchi scuri di quelle piante:
“Benedetto il Cielo! Xiaoyu!”
Era una vecchina di bassa statura, infagottata di maglioni e cappotto, berretto di lana in capo, e il
suo viso tondo era solcato da molte rughe. Sorridevano gli occhi stretti e la bocca minuta screpolata
dal freddo.
Allargò le braccia verso la nipote ritrovata. Xiaoyu le cadde ai piedi, in ginocchio, senza curarsi del
dolore, e la strinse in vita. Piangeva, singhiozzava e al contempo rideva, ripetendo infinite volte:
“Nonna! Nonna!”
Mi voltai indietro e ritornai silenziosamente sui miei passi fino in casa, felice.
***
***
***
Era proprio nonna Guan.
Xiaoyu me la presentò:
“Marco, ella è mia nonna”
La salutai. Nonna Guan disse a Xiaoyu:
“Hai proprio un bel marito, gioia mia. E sono sicuro che ha buon cuore e ti vuole tanto bene”
“Si” rispose timidamente Xiaoyu.
Nonna Guan preparò il tè per tutti noi e seduti intorno al camino le raccontammo il nostro lungo
viaggio. Ci rivelò che fu lei ad ammaestrare Linlin affinché riconoscesse il tragitto da compiere fin
qui. Volli domandarle cosa conoscesse dell’esperimento di Linfen, ma la risposta fu che ne sapeva
meno di noi. Fra i ricordi del nostro viaggio e i racconti di nonna Guan, il mattino trascorse veloce e
mezzogiorno s’appressò.
La temperatura era salita di quattro gradi sopra lo zero e la brezza aveva cambiato direzione,
spirando tiepida da Meridione. Il sole allo zenit nel cielo terso e azzurro scaldava ogni creatura col
suo tepore. Allo stesso modo in questa piccola casetta ero inondato di calore e serenità, inebriato e
avvolto in una pace del cuore che per tanto tempo avevo sognato.
Pranzammo tutti insieme come una vera famiglia. Dopo esserci rifocillati, sedettero sul grande kan
ed io su una sedia di legno davanti a loro.
“Vorrei riposare un poco, nonna: mi sento stanca”
“Va bene, tesoro mio. Mi sono emozionata tanto oggi, e ora credo proprio che ti terrò compagnia!”
rispose la nonna ridendo. Poi aggiunse:
“Quando mi darai un bisnipote?”
Xiaoyu pose la mano sul proprio ventre e rispose:
“Prima di quanto tu possa immaginare”
Nonna Guan le baciò una guancia. Xiaoyu volse gli occhi verso di me, poi abbassò lo sguardo
insieme ad un timido sorriso. Le sue gote presero un colorito rosso, come nel primo giorno di
Xiaoxue quando trascorremmo la prima notte insieme in quella piccola casetta a Xiawu.
In quella luce tremolante apparve accanto a me Xiaoyu.
Non riuscii ad indovinare il colore del suo pigiama, ma il forte contrasto di luci ed ombre mi rivelò
l’esatta forma del suo seno. Aveva le gote rosse, ma non a causa del freddo. Si strinse al mio
braccio destro e pose il capo sulla mia spalla. Chiuse gli occhi.
***
***
***
Fa molto freddo qui, a Zhangcun.
Ho le dita quasi bloccate dal gelo e i polpastrelli mi dolgono.
Sono ormai le cinque del pomeriggio. La temperatura si è un poco abbassata. La brezza di questa
mattina è mutata in vento e sebbene il termometro segni cinque gradi Celsius io ne avverto meno.
Nel calamaio c’è rimasta una sola gocciolina d’inchiostro e non ho più fogli per continuare a
scrivere.
Chissà come saranno i prossimi mesi...
A primavera il ciliegio di fronte alla porta di casa sarà tutto in fiore.
Immagino, in cuor mio, il suo profumo.
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Rehage e da me, ecc…) gratuitamente all’indirizzo:
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APPROFONDIMENTI
la trama
La peculiarità di questo romanzo è il non aver avuto una trama fissa durante la stesura, come invece
avviene per la maggior parte dei testi, esclusi i diari.
Pochi elementi mi hanno fornito ispirazione: un articolo su Linfen, la modella cinese Guan Weiqi, il
misterioso esperimento di Filadelfia, i campi innevati e desolati immersi nel silenzio. Tutto ebbe
principio il 5 dicembre del 2008 quando lessi sul quotidiano City un articolo riguardante la
classifica delle città più inquinate al mondo per polveri sottili. V’era pubblicata una fotografia della
città cinese di Linfen nello Shanxi avvolta dallo smog. Pensai a come sarebbe stata senza
inquinamento, perciò senza attività umana. Un’epidemia? Una guerra? Una catastrofe? Meglio un
esperimento scientifico, come quello condotto dalla US Navy nel porto di Filadelfia in
Pennsylvania (U.S.A.) nel 1943, nel quale scomparve la nave da guerra USS Eldridge.
Cercai su internet informazioni circa Linfen e notai sul sito The Longest Way alcune fotografie di
Christoph Rehage che ritraevano la campagna cinese dello Shanxi nei pressi di Quwo ammantata di
neve. Ne rimasi colpito e nacque in me l’idea di scrivere un romanzo.
Con quali personaggi, e come? Pensai a me stesso come protagonista e ad una donna cinese come
compagna. Sempre cercando in internet trovai per caso un servizio fotografico che ritraeva la
modella Guan Weiqi, alla quale mi ispirai per la caratterizzazione fisica del personaggio di Xiaoyu.
A quel punto avevo tutto tranne la collocazione temporale. Pensai all’anno in corso e al mese di
dicembre come inizio, e un intero anno come durata. Con l’ausilio di un lunario cinese, decisi che
ad ogni capitolo doveva corrispondere uno dei 24 periodi stagionali. Il 5 dicembre corrispondeva
all’ultimo giorno di Xiaoxue, quindi decisi di cominciare il racconto il primo giorno di quel
periodo, ossia il 22 novembre.
Decisi infine di non rimanere legato ad uno schema fisso e ad una trama preordinata, bensì di
scrivere giorno per giorno e senza aver la minima idea di come potesse essere l’epilogo.
In più questa soluzione mi avrebbe consentito di descrivere le scene con precisione realistica ed in
“tempo reale” con estrema accuratezza.
la realtà
Uso descrivere accuratamente perché voglio rendere il romanzo come un film: il lettore non deve
immaginare a modo suo l'ambiente e i personaggi, ma li deve vedere esattamente come li vedo io.
In un film non si percepisce solo la voce dei dialoghi, ma anche le inquadrature, la scenografia, le
luci, ecc... che nel romanzo possono essere realizzate solo con una accurata descrizione,
coinvolgendo tutti i cinque sensi. A renderla ancora più efficace, i luoghi esistono davvero, così
come esistono davvero le condizioni meteorologiche: ad esempio, se scrivo che a Dengqu il primo
giorno di Xiaoman pioveva e la temperatura era di 19° C, sicuramente il 21 maggio 2009 in un
paese che esiste davvero e che davvero si chiama Dengqu, veramente c'era la pioggia e facevano
19°C !
Oppure se scrivo che sulla strada G108 a trecento metri da Yanli su un muro a destra v’è la scritta
Baiyunshan e un numero di telefono con prefisso 0357, è sicuramente certo che tutto ciò
corrisponda alla realtà. Tutte informazioni riguardanti i toponimi, la descrizione dei luoghi, la
temperatura e le altre condizioni meteorologiche sono reperite da internet. La collocazione
temporale è esatta.
Solo in rari casi ho dovuto supporre il tempo meteorologico di un luogo, per mancanza di dati
attendibili o per esigenze narrative.
il silenzio
Solo nel silenzio più totale il personaggio riesce ad ascoltare il proprio io: quindi se riesco a far
immergere il lettore nel paesaggio descritto, riesco a fargli ascoltare se stesso. I dialoghi diventano
solo un accessorio.
Il silenzio è una costante in ogni descrizione e nella lettura del romanzo se ne incontrano diversi
tipi:
sintomo di incomunicabilità ( III giorno di Xiaoxue 2008 )
riflesso di una condizione gravosa ( XII Xiaoxue 2008, XII Qingming, XIII Lixia )
percezione di sé ( I Dongzhi, VI Yushui, I Qingming, I Xiazhi, I Bailu, XI Shuangjiang, XV Lidong
)
condizione dalla quale non si può fuggire perché integrale al proprio io ( V Dongzhi, I Xiazhi )
sinonimo di pace e tranquillità ( V Dongzhi, I Xiaohan )
comprensione del prossimo ( XV Xiaohan, I Qingming, XI Chushu, II Hanlu, I Lidong, Xiaoxue
2009 )
rivelatore di altre verità ( I Dahan, I Liqiu )
verità omesse ( I Dahan)
cosa concreta ( X Lichun, IX Bailu, Xiaoxue 2009 )
condizione immutabile ( X Lichun, XI Chushu, XI Shuangjiang, Xiaoxue 2009 )
associato ad un’immagine ( I Yushui, XII Mangzhong )
suono ( I Jingzhe, XV Lidong, XI Shuangjiang )
imbarazzo ( I Chunfen )
luogo fisico ( I Qingming )
riflessione ( I Guyu, IV Lidong )
paura ( I Xiaoman, I Mangzhong )
vuoto ( I Mangzhong )
il deserto
Uno degli scopi di questo romanzo è sottolineare il concetto di "deserto" esterno, ovvero l'assenza
di suoni (ad eccezione del vento e dell'acqua) dovuta all’assoluta assenza di persone e animali (ad
esclusione di pesci e alcuni insetti, per altro muti). Ne abbiamo esempio nel primo giorno di
Xiaoxue 2008, nel quinto giorno di Xiaoshu, e nel terzo giorno di Chushu, nonché ove è associato
al concetto di silenzio.
Il “deserto” è anche interno: il lettore deve provare dall'inizio alla fine un senso di "deserto" e di
"naturale" (non "ovvio") ove riconoscersi. Tutto è piatto, solo l'Uomo svetta.
Il deserto dell’anima può spaventare, può rivelare una condizione immutabile che riflette assoluta
impotenza, può indurre a riflessioni sulla propria esistenza. Può infine essere un luogo ove ritrovarsi
e conviverci, un luogo da sempre esistito anche prima della nostra scoperta ma dove è piacevole
ritornare ( quarto giorno di Lidong, “Scrutai nell’ampio cortile [...] poi mi voltai” ).
i misteri
Il mistero che aleggia su Linfen e sulla sparizione delle persone è solo un pretesto per far viaggiare i
personaggi da un luogo all'altro, e più che un viaggio esteriore è un viaggio interiore.
Il significato di Linfen e del suo raggiungimento è descritto nell’ottavo giorno di Bailu:
“L’incidente di Linfen. Forse era già scritto nel destino... C’erano i migliori scienziati. Avrebbero
dovuto prevedere un così alto rischio in quell’esperimento. Non capisco... Vorrei capire, ma non ci
riesco”
“A Linfen troveremo tutte le risposte”
“No, Marco. A Linfen troveremo solo la lettera di mia nonna nella quale ci saranno le istruzioni su
come continuare a vivere...”
“O come ritornare indietro ad un’esistenza normale”
“Occorre accettare ciò che è accaduto... Questo è difficile per me”
“Ed anche se non si conosceranno mai le cause, è comunque giusto porsi degli interrogativi, darsi
uno scopo per continuare a vivere. Il raggiungimento di Linfen non è un traguardo, ma un inizio.
“ [...] Quello che è successo ed ogni altra difficoltà che abbiamo fin ora incontrato doveva
accadere perché faceva parte di un unico evento in continua trasformazione”
“Non capisco, Marco...”
“L’esagramma Ming Yi rappresenta l’incidente di Linfen, una luce nascosta nella terra, protetta.
E’ l’inizio di una nuova vita che noi stiamo scrivendo giorno dopo giorno. I testi delle linee
dell’esagramma ci aiutano a comprenderne il significato. Ming Yi è il primo esagramma secondo
l’ordinamento corretto dell’Yi Jing suggerito dal Lama Govinda177, è la Creazione”
“La mia gamba...”
“La seconda linea di Ming Yi può anche essere tradotta in questo modo: Durante un’eclisse di
sole, un Signore si è ferito alla gamba sinistra ed è stato salvato da un cavallo robusto. Il mio nome
in caratteri cinesi può significare cavallo robusto. Era destino incontrarti nella campagna di
Xiawu ed ancora era destino che ti soccorressi quando ti feristi il ginocchio. Non ti preoccupare: è
un buon segno”
Era come se l’intero viaggio da Xiawu a Linfen fosse destinato ad avere come meta la panca di
legno ove ero seduto, o la gradevole sensazione di sereno calore, o ancora il luogo dei desideri del
mio cuore.
Mi ero finalmente ritrovato, dopo chilometri di strade, di valli, di fiumi, di montagne, di pericoli, di
paure, di gioie, di baci, di pianti, di ricordi.
La quarta linea di Ming Yi che a lungo avevo studiato mi rivelò in quell’istante il suo significato.
[...] Tutto mi parve chiaro: dentro il cuore, si colgono anche le proprie intenzioni.
I fenomeni inspiegabili, ad eccezione di quelli del coniglietto ammaestrato e degli indizi della
presenza di nonna Guan, non hanno alcun significato ma solo la funzione di smuovere una trama
narrativa volutamente monotona e di fatto non vengono risolti.
Più importante è il mistero del profumo di ciliegio.
Compare a cadenza mensile, quasi sempre tramite un contatto fisico, e la cui origine è Xiaoyu.
E’ presente fin dal primo incontro a Xiawu, quando Marco abbraccia Xiaoyu e subito ne rimane
colpito. Tali circostanze si ripetono in Daxue, Xiaohan e Lichun. In particolare nel periodo di
Daxue e Lichun il profumo di ciliegio raggiunge il cuore di Marco e accende un sentimento di
grande affetto. Tale sentimento è destinato ad evolversi in attrazione fisica, come in Yushui,
crescendo sempre più, come in Qingming, fino ad essere avvertito anche attraverso il senso del
gusto che lo amplifica sensibilmente, come in Guyu e Liqiu.
Poi improvvisamente scompare, e nel contempo s’accrescono i dubbi e le paure legate al futuro
aldilà di Linfen. In Dashu l’attesa diventa insopportabile e la ricerca di quella fragranza come
strumento per ottenere risposte e appagare l’attrazione, che dal piano fisico s’è spostata su quello
amoroso, assume risvolti apparentemente violenti e poco controllabili. Ma quando il fenomeno
raggiunge il culmine dell’intensità, Xiaoyu rivela che di non aver mai usato profumo di ciliegio.
Qui nasce il mistero, qui il profumo pare essere pura suggestione nel solo immaginario di Marco.
Ciò è veramente inquietante.
Occorre attendere Bailu, ove ogni mistero si scioglie. Nell’ottavo giorno anche Xiaoyu, insieme a
Marco, lo avverte e sembra provenire da entrambi o far parte dell’ambiente circostante.
Solo nell’ultimo giorno di Lidong Marco ne comprende il significato.
Marco ricorda il primo incontro con Xiaoyu e la prima volta che avvertì il profumo di ciliegio, ed in
particolar modo rammenta che quella fragranza gli aveva da subito toccato il cuore.
Immediatamente corre ad abbracciarla; in quel preciso istante il profumo si materializza nel corpo
stretto fra le braccia e Yuyu da fonte ne diventa emanazione.
Allora comprende tutto: amore, silenzio, deserto, Xiaoyu ed egli stesso sono parti di un’unica verità,
la vita stessa.
Il romanzo si chiude con questa frase:
Chissà come saranno i prossimi mesi...
A primavera il ciliegio di fronte alla porta di casa sarà tutto in fiore.
Immagino, in cuor mio, il suo profumo.
Lascio ad ognuno di voi la propria interpretazione.
l’amore
Piccola Neve non è un romanzo d’amore. La stessa parola compare solo sette volte e non tutte si
riferiscono ai protagonisti.
L’amore fra Marco e Xiaoyu, fra un uomo e una donna, è meramente una parte del mondo, della
vita, come lo sono le nubi, i silenzi, il freddo.
Come già anticipato nel precedente paragrafo, l’amore è quel sentimento che accomuna silenzi e
deserti dell’anima nella piena consapevolezza della vita.
Infatti:
Yuyu.
Compresi che l’amavo e non volli lasciarla più. La strinsi a me ancora più forte, perché in tutto
quel silenzio e in tutto quel deserto avevo solo lei.
Jack / Marco
Sono io, nulla è inventato in lui. Io sono il romanzo che ho scritto. In Piccola Neve c’è tutto me
stesso. Sogni, speranze, desideri, stati d’animo, pensieri, sentimenti: tutto.
Marco è attratto da Xiaoyu fin dal primo momento che l’ha vista, non la vuole abbandonare e si
sente responsabile della sua vita:
“[...] Non ti lascio qui. Non ti lascio sola. Mai accadrà che ti lasci sola”
[...] ero responsabile della vita di Xiaoyu. Molto di più - forse è la spiegazione migliore - avrei
fatto qualunque cosa per meritarmi il maggior numero di baci quotidiani.
( I giorno di Xiaohan ).
Marco alberga in sé due differenti sentimenti, come il desiderio di un futuro insieme a Xiaoyu e nel
contempo il timore di perderla per sempre:
[...] Ed io? Cosa volevo da lei? A Shanü come in tutti gli altri luoghi visitati desideravo essere una
sola cosa con lei, fisicamente. Era la mia Xiaoyu, sentivo che mi apparteneva e io le appartenevo.
Non mi bastavano più i baci e gli abbracci. Se avessi voluto, avrei potuto osare di più, ma avevo
timore di perderla, ne ero terrorizzato. Temevo quell’eventualità più della morte.
Perché? Quali erano i miei sentimenti? Non era solo il suo corpo che desideravo, no.
Xiaoyu. Cos’altro? ( VIII giorno di Jingzhe ).
[...] gradivo l’idea di vivere ancora molti mesi in sua compagnia, e temevo che a Linfen le nostre
strade si sarebbero divise. ( XVI giorno di Jingzhe ).
“Ho paura. Non so dare un nome a questo timore. Preferisco volerle bene in silenzio”
( I giorno di Chunfen ).
[...] Avevo la certezza in cuor mio di vivere per sempre insieme a Xiaoyu.
I miei pensieri volavano veloci come cirri in cielo, sospinti dal vento dei desideri e delle speranze.
Apparivano ai miei occhi istantanee di vita futura: momenti di tenerezza, momenti d'affetto, la
nascita dei nostri figli, una vecchiaia serena... Questi erano sogni che m'accompagnavano da
molto tempo, fin da quand'ero ragazzo. Nascevano spontanei nella mia mente ogniqualvolta mi
affezionavo ad una ragazza, ma mai s'avverarono. Invero anche Xiaoyu risvegliò questi desideri,
dall'istante che l'incontrai fra le nevi di Xiawu.
Trascorsi sei mesi d'allora, visto che il nostro rapporto cresceva e si fortificava col tempo, potevo
ben sperare in un felice conclusione. Il viaggio verso Linfen sarebbe durato ancora quattro mesi, e
la sorte avrebbe potuto essere a noi avversa, separandoci. Non solo: cosa avremmo potuto trovare
a Linfen? L'inizio di una nuova vita o la fine di tutto? O ambedue le possibilità. ( XIII giorno di
Lixia ).
[...] Era da subito divampato nel mio cuore un grande affetto verso di lei, e già avvertivo la
fragranza del nostro futuro insieme... [...] Ma il maggior disturbo lo portavano i dubbi: il mistero
di Linfen, i fenomeni di Xincheng e Jiecun, il timore che l’incontro con Xiaoyu non fosse stato
casuale, la paura che i suoi sentimenti nei miei confronti mutassero, il terrore di perderla e di
rimanere solo in tutto quel silenzio.... ( I giorno di Xiaoman ).
Molto più interessante e completa è la caratterizzazione di Xiaoyu, per il semplice motivo che è più
naturale per il narratore descrivere compiutamente ciò che osserva anziché se stesso.
Xiaoyu
Ella, al contrario di quanto si possa pensare, non è la mia donna ideale ma è il mio alter ego.
Riporto qui di seguito alcuni brani nei quali vengono descritti il suo carattere e i suoi desideri molto
meglio di qualsiasi altro approfondimento voglia imprendere:
Mi spaventava questa sua sicurezza, e m’incuriosiva. Da una parte c’era una Xiaoyu dal carattere
molto deciso e risoluto, dallo sguardo pungente e freddo, dal volto triste ma mai melanconico. Mi
impressionava la sensazione che su di lei poggiasse il destino dell’intero mondo. Dall’altra parte
esisteva una Xiaoyu molto fragile, dallo sguardo ridente, bisognosa di affetto e carezze e
protezione. Ma fra le due Xiaoyu, mi sorprendeva soprattutto la terza: quella Xiaoyu che, vincendo
la timidezza, non attendeva le mie attenzioni ma le catturava attivamente con abbracci gratuiti o
con la spudorata intraprendenza di coricarsi la notte accanto a me senza chiederne il permesso,
come fosse atto dovuto o semplice legge naturale.
Aveva paura del buio, sì, ma non son certo di quale oscurità avesse timore.
( II giorno di Xiaoxue 2008 ).
“Riusciremmo mai ad arrivare a Linfen? Siamo soli in tutto questo deserto...”
Chiuse gli occhi. Dalle palpebre uscirono piccole gocciole d’acqua. ( XII giorno di Daxue ).
[...] e pianse.
Appena udii i suoi singhiozzi accorsi in suo aiuto e mi sedetti accanto.
“Lasciami qui! Non voglio più andare a Linfen. Non ce la faccio! Si deve essere rotto un tendine,
un legamento... non lo so. Non mi regge più!” ( I giorno di Xiaohan ).
Si fermò. Senza guardarmi mi abbracciò forte forte, con il capo sul mio petto, quasi come volesse
ascoltare il mio cuore. Nei pugni serrati dietro la mia schiena, sotto il giubbotto, stringeva il mio
maglione e me. Pareva avesse paura di perdermi. ( XV giorno di Xiaohan ).
Era tornata ad essere la Xiaoyu di Piccola Neve, come se i due mesi d’affetto fossero stati
cancellati. Rimanevano i bacini della buonanotte, con i quali voleva tranquillizzarmi, o ancor più
tranquillizzare se stessa. ( I giorno di Dahan ).
Xiaoyu in quei giorni era molto premurosa con me. Mi curava, mi misurava la febbre, mi teneva
compagnia, mi stava vicino fisicamente con abbracci sia teneri che appassionati.
Mi accorsi che raramente sosteneva il mio sguardo per più di due secondi. Per timidezza o per
timore? [...]Timidezza e timore sono due aggettivi che non le si addicono. Piuttosto venne in me il
dubbio che fosse accaduto qualcosa di particolarmente intimo fra me e lei durante il periodo che
rimasi fra la scienza e l’incoscienza, febbricitante, prima dell’oblio. La domanda era: ne sarebbe
stata capace? [...]La risposta che mi diedi fu che Xiaoyu non poteva essere arrivata a tanto. Ma,
allora, perché il suo comportamento si fece più familiare e complice dopo il mio risveglio? Più che
un’amica intraprendente mi dava l’idea di una moglie soddisfatta. Di che?
( X giorno di Lichun ).
Non le credetti, perché nei suoi occhi c’era ancora l’immagine di suo padre e di lei bambina, mano
nella mano, su un ponticello di un canale a Houma. ( I giorno di Yushui ).
Mi chiesi allora se veramente conoscessi Xiaoyu. Sebbene mi raccontò molto della sua vita e dei
suoi desideri, molti particolari del suo io mi rimanevano oscuri. In primo luogo la sua
determinazione nel proseguire il viaggio verso Linfen. Sicuramente conosceva molti più dettagli di
quanto mi avesse raccontato, altrimenti non si sarebbe spiegata la sua caparbietà. Conosceva la
meta del nostro viaggio, e non era la sola città di Linfen o il messaggio della nonna. Mi parve che
ella fosse in missione e che avesse un obiettivo ben preciso da raggiungere. Per chi? Per che cosa?
Mi venne il dubbio che il nostro incontro fra le nevi di Xiawu non fosse casuale, e che io avessi
avuto un ruolo ben preciso.
Avevo perlopiù una conoscenza fisica di lei, dovuta più che altro ai baci quotidiani, agli abbracci,
al supporto che le davo per superare gli ostacoli della sua infermità. [...]Ma conoscevo i suoi
sentimenti? La gratuità dei baci e degli abbracci, l’assenza di vergogna quando il mio sguardo si
posava inevitabilmente sul suo intimo, ciò che accadde a Shanü dopo l’acquazzone, fece crescere
in me il sospetto che ella volesse esprimermi il suo smisurato affetto ma non potesse farlo
assolutamente. E forse di questo ne soffriva. ( VIII giorno di Jingzhe ).
“Maledetta Linfen!”
Cominciò ad urlare, a proferire quelle due parole senza sosta, con la rabbia d’una tigre in gabbia.
( I giorno di Chunfen ).
“A me piace così. Amo la regolarità e non mi piace sovvertire quanto già programmato. Ma, se
vuoi, dalla prossima partenza potremmo cambiare le regole” ( I giorno di Mangzhong ).
“[...] Da allora promisi a me stessa che un giorno sarei andata in quel luogo, ma gli impegni
quotidiani, e forse un po’ di pigrizia, me lo impedirono. Fino al giorno di Xiaoxue il mio rimpianto
fu quello di non aver accompagnato i miei genitori fino alla fattoria; ora rimpiango di non aver
avuto la volontà in tutti questi anni di realizzare il mio piccolo sogno. Anche se ora mi ci recassi,
non vi sarebbero più bestie da vedere” ( I giorno di Dashu ).
“[...] Da allora, se sono insieme ad una persona e intorno a me c’è molta gente, mi ritorna vivo
quel timore, quell’angoscia di rimaner sola...” ( IX giorno di Liqiu ).
“Grazie a te ho ritrovato me stessa. Mi ero smarrita fra mille paure nell’angoscia del mistero di
Linfen e nello strazio del dolore fisico. In cuor mio conoscevo i miei desideri, ma essi erano
sopraffatti da dubbi e terrori, così li tenevo nascosti, li proteggevo. Con te accanto ho acquistato
sicurezza, ora sono libera, libera per la prima volta, libera di continuare a vivere e sperare”
( I giorno di Bailu ).
la simmetria
La tecnica della ripetizione di parte di un paragrafo all’interno dello stesso o di un altro mi è utile
per aumentare l'effetto di una situazione particolare quando mi mancano le parole o per rievocare
una scena.
Talora il paragrafo viene ripetuto perché esprime un ricordo di un evento passato precedentemente
descritto.
Le ripetizione di parole o frasi all’interno di uno stesso paragrafo servono per enfatizzare un preciso
aspetto dell’evento descritto. Ad esempio:
[...] Davanti ai miei occhi cadevano bianchi fiocchi di neve, tutti uguali, tutti alla medesima
velocità. Volsi lo sguardo a sinistra e vidi cadere bianchi fiocchi di neve, tutti uguali, tutti alla
medesima velocità. Poi a destra, e vidi scendere dal cielo o da qualunque cosa ci fosse sopra di me
ancora bianchi fiocchi di neve, tutti uguali, tutti alla medesima velocità.
( XIII giorno di Xiaoxue 2008 ).
Ancora pioggia. Ancora una volta.
Tic. Toc. Plik. Plik. Tictoc. Plik. Tic. Tocplik. Tit-tocplik.
Un fruscio ovattato. [...] Gli alberi tornarono sfuocati e subito si ridefinirono le gocce ai miei
occhi.
Tic. Toc. Plik. Plik. Tictoc. Plik. Tic. Tocplik. Tit-tocplik. ( VII giorno di Chunfen ).
In questo caso la ripetizione onomatopeica delle gocce di pioggia serve a sottolineare che il
principio e la fine dell’azione si eguagliano.
[*] Camminavo. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro.
Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. [B] Neve bianca.
Alberi neri. Silenzio. Aria fredda. [B] Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro.
Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. [A] Le gambe di Xiaoyu. Il seno
di Xiaoyu. Il volto di Xiaoyu. I capelli di Xiaoyu. Il profumo di Xiaoyu. [A] [*]
Gli occhi mi dolevano.
[AA] Il profumo di Xiaoyu. I capelli di Xiaoyu. Il volto di Xiaoyu. Il seno di Xiaoyu. Le gambe di
Xiaoyu.[AA] Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede
destro. Sinistro. Destro. Sinistro. [BB] Aria fredda. Silenzio. Alberi neri. Neve bianca. [BB] Piede
destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro.
Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Camminavo.
Ogni cinque minuti ci fermavamo a prender fiato per trenta secondi appena.
Non pensavo. Avevo solo quelle immagini nella mente. Null’altro.
[*] Camminavo. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro.
Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Neve bianca. Alberi
neri. Silenzio. Aria fredda. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro.
Sinistro. Piede destro. Sinistro. Destro. Sinistro. Le gambe di Xiaoyu. Il seno di Xiaoyu. Il volto di
Xiaoyu. I capelli di Xiaoyu. Il profumo di Xiaoyu. [*] ( I giorno di Xiaoxue 2008 ).
Qui invece la ripetizione delle parole e delle frasi enfatizza la ciclicità e la monotonia dell’azione.
In particolare si notano le seguenti simmetrie:
Le parole sottolineate continue si ripetono all’interno dei tre sottoparagrafi principali.
Le parole sottolineate tratteggiate si ripetono nel primo e nell’ultimo sottoparagrafo.
Le stesse parole sottolineate tratteggiate [A] sono ripetute in ordine inverso ( [AA] )nel secondo
sottoparagrafo. La stessa considerazione per il gruppo [B] che muta in [BB].
Il primo e il terzo sottoparagrafo [*] sono identici.
La ripetizione di paragrafi all’interno di altri in due collocazioni temporali distinte serve a
manifestare un legame di eguali emozioni fra le due situazioni narrate.
I paragrafi possono essere riportati senza modifiche:
Non credevo facesse così freddo. Avevo le dita dei piedi e delle mani ghiacciate, che mi facevano
male come se me le avessero schiacciate. Camminavo a fatica, con i muscoli delle gambe irrigiditi.
Anche la punta del naso non sentivo più. L’aria fredda che saliva dalle narici scendeva fino ai
bronchi, pizzicandoli. Di tanto in tanto con un gesto delle labbra dirigevo il fiato caldo verso il
naso, oppure tra la camicia e lo sterno per scaldarmi un poco. Gli occhi erano freddi e secchi, ed
ogni qual volta stringevo le palpebre per umettarli li sentivo scottare.
Respiravo, ma non percepivo alcun odore: l’aria era priva di essenza ma dava l’impressione
d’esser solida come un immenso cubo di ghiaccio secco.
Non un suono giungeva ai miei orecchi. Pareva di essere avvolto in un ciuffo di cotone.
( I giorno di Xiaoxue 2008 e I giorno di Xiaoxue 2009 ).
Oppure con modifiche:
[...] era l’unica cosa nera in tutto quel candore. La parte superiore di ogni ramo, dal più grosso al
più minuto stecco, era ricoperta di una striscia di neve, né sottile né spessa. Il contrasto fra lo
scuro dei rami e il chiaro della neve mi portava l’impressione che quell’albero fosse animato e
volesse comunicare con me. ( VIII giorno di Xiaoxue 2008 ).
Quell’albicocco era l’unica cosa nera in tutta quella luce giallognola che le foglie riflettevano. La
parte superiore di ogni ramo, dal più grosso al più minuto stecco, era ricoperta di una striscia di
brina, né sottile né spessa. Il contrasto fra lo scuro dei rami e le tinte azzurrognole della galaverna,
quella poca che ancora non s’era sciolta, mi portava l’impressione che quell’albero fosse animato
e volesse comunicare con me. ( XIV giorno di Shuangjiang ).
Infine la ripetizione di una frase indica il medesimo momento temporale:
Fa molto freddo qui, a Zhangcun.
Ho le dita quasi bloccate dal gelo e i polpastrelli mi dolgono.
( scritto nel I giorno di Xiaoxue 2009 e nel I giorno di Bailu ).
In questo caso si tratta delle ore 17:00 del 22 novembre 2009 ( I giorno di Xiaoxue ).
le note
Ho pensato di aiutare il lettore a comprendere meglio il testo, la collocazione dei luoghi e il
significato di alcune parole cinesi con delle note descrittive, accompagnate sempre dalla corretta
pronuncia traslitterata nell’alfabeto italiano. Con la sola eccezione del nome di Xiaoyu, il quale
avrebbe dovuto avere la U con la dieresi e pronunciarsi come la ü francese; siccome ricorrente
numerosissime volte ho pensato giusto che avesse una pronuncia più morbida e veloce.
Inoltre ho semplificato l’accento delle sillabe escludendo i quattro toni della pronuncia cinese.
NOTE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Si pronuncia Sciao sciuè.
Xiawu è una località vicino a Quwo, nello Shanxi (Cina ). Si pronuncia Scià-u.
Si pronuncia Sciao-iù.
Houma è una città a circa 20 km a sud di Xiawu.
Linfen è una grande città a circa 50 km a nord di Xiawu.
Quwo è una città a 12 km da Xiawu. Si pronuncia Ciù-uò.
7. Si pronuncia in questo modo: “Sciao pai tu guai guai. Pa men cai cai, mama gin lai. Pu cai, pu cai, uò pu cai,
mama pu gin lai”
Significa: “Piccolo coniglietto bianco carino, apri la porta per favore ché la mamma sta ritornando - Non ti
apro, la mamma non sta ritornando”.
8. Secondo le ultime statistiche (dicembre 2008), Linfen è la seconda città al mondo per smog da polveri sottili.
9. Pesce preistorico corazzato.
10. Si pronuncia San scì, con S sibilante
11. La pronuncia di questi toponimi verrà specificata più avanti nel testo.
12. Si pronuncia Lizuèn, con Z dura.
13. Si pronuncia Ta sciuè.
14. Sono dei campanellini che suonano mossi dal vento.
15. Si pronuncia Don dgi, con N velare (N.D.R.: nelle note successive con velare si intende che la parte posteriore
della lingua è in contatto col palato molle).
16. Si pronuncia Sciao han.
17. Wenjing è un paese a 2 km da Licun. Si pronuncia Uèngin, con la seconda N velare.
18. Xincheng è un paese a 4 km da Licun. Si pronuncia Scincen, con la seconda N velare.
19. Wenming è un paese a 3 km da Licun. Si pronuncia Uènmin, con la seconda N velare.
20. Xinlongzhuang è un paese ai piedi di una catena montuosa che si trova a 5 km da Licun. Si pronuncia
Scinlondgiuàn, con la N di long velare.
21. Cuijiazhuang è una località al di là della catena montuosa, a 10 km da Licun. Si pronuncia Zueigiadgiuàn, con
Z dura e N velare.
22. Erfen Shan è una montagna situata a 33 km a nordest di Licun. Si pronuncia E-fen san, con S sibilante.
23. Fei He è un fiume che lambisce Linfen e scorre parallelo alla Strada G108. E’ un affluente del Fiume Giallo.
24. Huang He è il Fiume Giallo, a occidente del Fei He. Si pronuncia Huan He, con H aspirata, N velare e E mista
fra il suono della vocale E e della vocale O.
25. Chenjia Shan è una cima della catena montuosa sita tra il Fiume Giallo e il Fei He. Si pronuncia Cièngià San,
con S sibilante. Dista da Licun 43 km ed è alta 1500 metri.
26. Si pronuncia Ta han.
27. Xincheng è una città a 4 km da Licun. Si pronuncia Scincièn, con la seconda N velare.
28. Si pronuncia Li ciuen.
29. Jiecun è una città a nord di Baishe. Si pronuncia Gièzuen.
30. Xiangfen è una città a nord di Baishe. Si pronuncia Sciànfen, con la prima N velare.
31. Baishe è un paese a 3 km da Xincheng. Si pronuncia Pai se, con S sibilante.
32. Sono fumetti per ragazze che generalmente narrano storie d’amore.
33. Primo verso della poesia che l’imperatore romano Adriano compose poco prima di morire. Significa: piccola
anima smarrita e soave... L’intero testo della poesia, tradotto, è: “Piccola anima smarrita e soave, compagna e
ospite del corpo, ora t'appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi
consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai
più...cerchiamo di entrare nella morte ad occhi aperti”.
34. Si pronuncia Iù sciuèi.
35. Shanü è una località situata a 4,5 km a nord di Xincheng e a sud di Xiangfen. Si pronuncia Sciànu, con U
francese.
36. Il Fengshui è un’arte geomantica dell’antica Cina. Si pronuncia Fengsciuèi.
37. Tartaruga Nera, Drago Verde, Tigre Bianca e Uccello Rosso sono i nomi di particolari morfologie di rilievo.
38. Lettera dell’alfabeto greco: Ω.
39. Si pronuncia Jindge, con N velare.
40. Vedi nota 29.
41. Liujia Shan è una montagna alta 950 metri, a 10 km ad est di Jiecun. Si pronuncia Liougià San, con S
sibilante.
42. Tradotto letteralmente: due zero zero nove anno, tre mese, quattro giorno. Corrisponde alla data 4 marzo 2009.
Si pronuncia Liang ling ling giù nièn, san iuè, s- r-, con N (seguita da G) velare.
43. Xiangfen è una città a 2 km da Jiecun. Si pronuncia Scianfen, con la prima N velare.
44. Jiayou è un’esclamazione di incitamento. Si pronuncia Già-iòu.
45. Si pronuncia Ciuenfen.
46. Si pronuncia Cin-min, con N velare.
47. Si pronuncia Gu-iù.
48. Dante Alighieri, La Divina Commedia - Inferno, XIII - vv. 7-8-9
49. Cronista di Radio Cina Internazionale. Si pronuncia Scian, con N velare.
50. Cronista di Radio Cina Internazionale. Si pronuncia Nin, con N velare.
51. Città a sud di Shanghai. Si pronuncia Su-dgiou.
52. Città natale del caolino, famosa per la produzione di porcellane. Si pronuncia Gaolin.
53. Tipo di tè wulong. Si pronuncia Suèi-scièn, con la prima S sibilante.
54. Importante sito archeologico. Si pronuncia Ma-uan-duèi, con N velare.
55. Geda è una località situata a 3 km a nord di Xiangfen. Si pronuncia Gheda.
56. Si pronuncia Li scià.
57. Dengqu è un paese che dista 5 km nord da Xiangfen e 17 km sud da Linfen. Si pronuncia Den-ciù, con N
velare.
58. Si pronuncia Sciao man.
59. Zhaizi è una località a 6 km a nord di Xiangfen e a 15 km a sud di Linfen. Si pronincia Dgiaiz.
60. Si pronuncia Man dgion, con N velare.
61. Una zuppa di riso molto diffusa in Cina. Si pronuncia Scifàn.
62. Zhaoqu è un paese distante circa 7 km a nord di Xiangfen. Si pronuncia Dgiào ciù.
63. Wangjiagou è una località distante circa 9 km a nord di Xiangfen. Si pronuncia Uàngiàgou, con N velare.
64. Sono specificati gli estremi più vicini a Quwo e Linfen. Hongtong si pronuncia On-ton, con le N palatali.
65. Zhanghuai è un paese che dista meno di 1km da Wangjiagou. Si pronuncia Dgiàn-uèi, con N velare.
66. Zhangcun è una località a nord di Linfen (v. note successive). Si pronuncia Dgiàn zuèn, con Z dura.
67. Si pronuncia Scià dg.
68. Jiazhuang è un paese a 11 km da Xiangfen e 13 km da Linfen. Si pronuncia Già dgiuan, con N velare.
69. E’ un film diretto da Takeshi Kitano nel 1999.
70. Yi Jing (I Ching), esagramma Zhen (51), linea 5°. Zhen si pronuncia Dgièn.
71. Secondo la filosofia di Confucio il giusto mezzo era la condizione di equilibrio di tutte le forze.
72. Interpretazione del commento alla linea 5° dell’esagramma Zhen.
73. 100 Li corrispondono a circa 50000 metri, ovvero 50 km.
74. Testo dell’esagramma Zhen.
75. E’ la nonna di Xiaoyu, il cui cognome è appunto Guan. Si pronuncia Guàn.
76. Interpretazione al commento del testo dell’esagramma Zhen.
77. Si pronuncia Sciào su, con l’ultima S sibilante.
78. Zhangli è un paese distante 10 km da Linfen. Si pronuncia Dgiàn-li, con N velare.
79. Xiaoyu canta la canzone “Haipa” della cantante cinese Annie (Yi Nengjing).
Il verso si pronuncia Ni huei pu huei bu ai uò.
80. Il verso si pronuncia scian ta zengin pu ai ta, con le N palatali.
81. Il verso si pronuncia suò-i ici le uòmen / ni huei bu huei.
82. Il verso si pronuncia Uò haipa, e significa: ho paura.
83. Beifengwang è un paese a circa 4 km a sudovest di Licun. Si pronuncia Peifen-uan, con ambedue le N palatali.
84. Gaoyang è un paese che si trova a 3 km a sud di Beifangwang. Si pronuncia Gao-iàn, con N velare.
85. Il Fu He è un affluente del Fei He che scorre a sud di Licun.
86. Il Chengyu è un’espressione idiomatica o proverbiale cinese che è spesso composta da quattro o più caratteri.
Si
pronuncia Zcen-iù, con Z dura e N velare.
87. Si traduce come “Quando il vecchio perde il suo cavallo, come può esser certo che tale perdita non sia una
fortuna?”. Si pronuncia Sai uèn sc ma ièn dg fei fu, con la prima N velare.
88. Si pronuncia Ta su, con l’ultima S sibilante.
89. Xiaohan è una località che dista 8 km da Linfen. Si pronuncia Sciào han.
90. Il Bai Shan è un monte che si erge ad est di Xiaohan. Si pronuncia Pai san, con S sibilante.
91. Il Huo Shan è un monte a nordest di Linfen, a circa 50 km, alto 2300 m. Si pronuncia Huò san, con S
sibilante.
92. Il Donghua Shan è un monte appartenente alla catena montuosa ad ovest del Fei He. E’ alto circa 1500 m. Si
pronuncia Ton huà san, con la prima N velare e S sibilante.
93. Il Hounan Shan è un monte E’ alto circa 1350 m. Si pronuncia Hou nan san, con S sibilante.
94. La Sanguan Yu è una valle appartenente alla catena montuosa ad ovest del Fei He. Si pronuncia San guàn iù.
95. Lo Yuejin Liang è un corso d’acqua che scorre parallelo al Fei He. Si pronuncia Iuè gin liàn, con l’ultima N
velare.
96. Wangzhuang è un paese a 15 km ovest da Linfen. Si pronuncia Uàn dgiuàn, con N velare. Non è lo stesso
paese di nome Wangzhuang sulla strada G108 (vedi cap. Chushu più avanti nel testo, n.d.r.)!
97. Hedi è una località situata lungo l’affluente più settentrionale della Sanguan Yu, a circa 30 km in linea d’aria
da Linfen. Si pronuncia He ti.
98. Si pronuncia Li ciù.
99. Yanli è un paese che dista da Linfen 7 km. Si pronuncia Iènlì.
100. Jinjing è un paese che dista da Linfen 6 km. Si pronuncia Gin gin, con la seconda N velare.
101. E’ un messaggio pubblicitario che significa: Baiyunshan - compresse di Ginseng rosso. Si pronuncia Pai
iùn san (con S sibilante) fu fang (con N velare) dan sen (con S sibilante) pian.
102. Altro messaggio pubblicitario che significa: Dingtao - famosa marca di cemento. Si pronuncia Ting tao
(con N velare) suèi ni (con S sibilante) min pai (con N velare) tciàn pin.
103. Si pronuncia Den Dgiuan Dgen, con la prima e la seconda N velare.
104. Il kotatsu è un tavolino giapponese molto basso e riscaldato, da usarsi d’inverno.
105. Significa: Vecchio Zhang - ufficio riparazioni. Si pronuncia Lao Dgian sciù li pù, con N velare.
106. Costellazione visibile nell’emisfero boreale a 10 h di ascensione retta e +55° di declinazione.
107. Costellazione che contiene il Grande Carro.
108. Stella multipla della costellazione del Grande Carro a 13 h 23 m di ascensione retta e +54° 55’ di
declinazione.
109. Celebre film d’animazione giapponese ambientato fra le montagne svizzere e tedesche.
110. Si pronuncia Tciù su, con S sibilante.
111. Dahan è un paese a circa 5 km a sud di Linfen. Si pronuncia Ta han.
112. Wangzhuang è un paese che dista 4 km da Linfen. Si pronuncia Uàn dgiuàn, con N velare.
113. Diminutivo e vezzeggiativo del nome Xiaoyu. Si pronuncia Iù Iù.
114. Raddoppiamento vezzeggiativo del carattere Xin che significa, nella forma dialettale, pannocchia.
Si pronuncia Scin scin.
115. Il Gaiwan è una tazza da tè con il coperchio. Si pronuncia Gai uàn.
116. Shanghai è fra le maggiori città della Cina. Si pronuncia San hai, con S sibilante e N velare.
117. Si pronuncia Pai lù.
118. Yao fu uno dei Cinque Imperatori cinesi, regnanti dal 2850 a.C. al 2205 a.C. Si pronuncia Iào.
119. Si pronuncia Min I. Li gia Dgen, con la prima N velare.
120. Vedi nota 70. Yi Jing è un antico testo sacro oracolare cinese.
121. L’Yi Jing si compone di 64 simboli, composti ciascuno di 6 linee. Ad ogni linea corrisponde un testo.
122. E’ una porta monumentale. Si pronuncia Huà men.
123. Il mendum è la pietra, generalmente scolpita a forma di animale mitologico, che ospitava i cardini della
porta ingresso degli antichi palazzi cinesi.
124. Si pronuncia Iào men.
125. Wu Feng Lou significa Palazzo delle cinque fenici. Si pronuncia U Fen Lou, con N velare.
126. Si pronuncia Dgiuàn.
127. Un noto studioso dell’ Yi Jing.
128. Commento di Confucio alla terza linea di MingYi.
129. E’ un palazzo del tempio Yao. Si pronuncia Guàn Iùn Dièn, con la prima N velare.
130. La Porta Yi.
131. La quarta linea di Ming Yi recita: “Jizi fu come la luce al sicuro, e ne trasse vantaggio”. Si pronuncia Gi z dg
Mìn I, li dgen, con la prima N velare.
132. Jizi, visconte di Ji, era il figlio dell’imperatore Tai Ding della dinastia Yin (quest’ultimo regnò dal 1194 a.C.
al 1191 a.C.). Nel 1154 a.C. salì al trono il crudele Zhou Xin e nel 1123 a.C. ridusse in schiavitù suo zio Jizi.
Fingendosi pazzo, Jizi scampò da una morte sicura. Un anno dopo il feudatario Fa di Zhou sconfisse Zhou
Xin, e Jizi fu liberato.
133. Il commento di Confucio alla quarta linea recita: “Jizi fu come la luce al sicuro, e continuò ad operare”. Si
pronuncia Gi z dg dgen, min pu che sci iè, con la seconda N velare.
134. Si pronuncia Ciù fen.
135. Si pronuncia Scin scin, con la seconda N velare
136. Si pronuncia I mei ta tao.
137. Si pronuncia Gulou Nan.
138. Sumgayit è una città dell’Azerbaijan. L’inquinamento è quello dovuto alla polveri sottili.
139. Una strada minore. Si pronuncia I min Don Lu, con la seconda N velare.
140. Un’altra strada minore. Si pronuncia Fuli Lu.
141. Si pronuncia Min du, con N velare.
142. Si pronuncia Sci Dgiào Scian, con N velare.
143. Si pronuncia Sansci Sita Si ièn, con tutte le S sibilanti.
144. Il Bagua è un amuleto porta fortuna a forma di ottagono, con uno specchio al centro e gli otto segni dell’Yi
Jing ai lati. Si pronuncia Pa guà.
145. Il padre di Xiaoyu.
146. Si pronuncia Hanlu.
147. Si pronuncia Linlin.
148. Il wan è una ciotola di porcellana. Si pronuncia Uàn.
149. Si pronuncia Lon Lon, con le N palatali. La R si pronuncia come una L, ma con la lingua rivolta all’indietro
verso l’ugola e senza che tocchi il palato. Ha un suono simile alla desinenza inglese (e non americana) -er.
150. Xigao He si pronuncia Scigao He.
151. Il Ju He è un fiume che scorre a Est di Linfen e nasce dal Zhujia Shan (monte a 25 km sudest da Linfen). Si
pronuncia Giù He.
152. Il Lao He è un affluente del Ju He e nasce dalla catena montuosa a cui appartiene il Nan Shan, a 50 km est da
Linfen.
153. Tunli è una città appena a nord di Linfen. Si pronuncia Tuènlì.
154. Xizhangbao è un paese a 3 km a nord di Linfen. Si pronuncia Scidgiànpao, con N velare.
155. Xinzhuang e Donglu sono piccoli paesi a nord di Linfen. Si pronunciano Scin-dgiuàn, con la seconda N
velare e Tonlu, con N velare.
156. Laogong è un appellativo per indicare affettuosamente il proprio marito. Si pronuncia Làogòn, con N velare.
157. Hancun è un paese che dista 6 km verso nord da Linfen. Si pronuncia Hanzuèn, con Z dura.
158. Il ke fu l’unità temporale usata nella Cina antica ed equivale ad 1/100 di giorno, cioè 14 minuti e 24 secondi
circa.
159. Si pronuncia Suàn giàn, con S sibilante e N palatali.
160. Wunan è una città che dista da Linfen 9km in linea d’aria. Si pronuncia U nan.
161. Dongtaimingcun è un paese a 1 km a nord di Wunan. Si pronuncia Tontaiminzuèn, con N palatali tranne
l’ultima e Z dura.
162. Hongbaocun è una città distante 11 km da Linfen. Si pronuncia Hong pao zuèn, con Z dura.
163. v. nota 113.
164. Laobo è un appellativo per indicare affettuosamente la propria moglie. Si pronuncia Làopò.
165. Si pronuncia Litòn, con N velare.
166. Questo paese è omonimo di quello incontrato nel viaggio verso Hancun (v. nota 153).
167. Shangqiao è un paese situato a circa 14 km a nord di Linfen. Si pronuncia San ciao, con S sibilante e N
velare.
168. Le ore 17:25 circa. In quel giorno il sole tramonta alle 17:23. (v. nota 158).
169. Le ore 19.00 circa.
170. Le ore 5:50 circa.
171. Dante Alighieri, La Divina Commedia - Inferno, XIII - v. 1.
172. Dante Alighieri, La Divina Commedia - Inferno, XIII - v. 5.
173. Sono paesi compresi fra Shangqiao e Zhangcun, a nord di Linfen. Si pronunciano rispettivamente S - s (con S
sibilante), Zuònan, Zuòpei.
174. Alle ore 7:16, dopo un’ora e mezza circa di viaggio.
175. Yuanshangcun è un paese a circa 15 km da Zhangcun. Si pronuncia Iuàn san zuèn, con S sibilante, la prima
N velare e Z dura.
176. Zhangcun è un paese che dista 16 km a nord di Linfen (v. nota 66). Si pronuncia Dgiàn zuèn, con Z dura.
177. Un noto studioso dell’ Yi Jing.