Quattrocento anni di cambiamenti sociali intorno al cimitero di
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Quattrocento anni di cambiamenti sociali intorno al cimitero di
Quattrocento anni di cambiamenti sociali intorno al cimitero di Matteo Ricci Yu Sanle L’11 maggio 1610 (corrispondente al diciannovesimo giorno del terzo mese del trentottesimo anno dell’era Wanlianno bisestile), Matteo Ricci, ammalatosi per l’eccessivo lavoro, si spegneva improvvisamente a Pechino, all’età di cinquantasette anni. L’Italia dista migliaia di chilometri dalla Cina e dargli sepoltura nel suo paese natale non era possibile. All’epoca, secondo la normale prassi, i missionari deceduti in terra cinese venivano tutti sepolti a Macao. Tuttavia, sia i confratelli della Compagnia di Gesù sia gli amici letterati cinesi di Matteo Ricci desideravano che le sue spoglie ricevessero degna sepoltura proprio a Pechino, affinché potessero testimoniare la legittima esistenza del cattolicesimo in Cina. Per questa ragione il gesuita Diego de Pantoja presentò un memoriale all’imperatore Wanli, che Li Zhizao1 arricchì con una decorazione a caratteri lucidi. Contemporaneamente essi consegnarono una copia del memoriale anche a Ye Xianggao, studioso e membro del Gabinetto di Stato. Ye Xianggao disse che, sebbene la richiesta di un cimitero per stranieri nei dintorni di Pechino non avesse né precedenti né fondamento legale, per padre Ricci si sarebbe potuto fare un’eccezione, ed espresse la sua volontà di dare il proprio contributo alla causa. L’imperatore Wanli, avendo gradito l’orologio a rintocco occidentale che Matteo Ricci gli aveva dato come tributo e avendo già all’epoca infranto il regolamento lasciando che egli si stabilisse a Pechino, fu lieto di acconsentire che il gesuita venisse sepolto nella capitale, in segno di ricompensa. Ci furono però dei funzionari che non approvarono questa decisione e portarono questo “caso senza precedenti” all’attenzione del Gabinetto di Stato. Ye Xianggao, che ne era membro, replicò loro con queste parole: “La moralità e saggezza dello straniero giunto già da molti anni in Cina avevano forse uguali? Senza considerare il resto, si può affermare che solo il fatto di aver tradotto il Libro elementare di geometria, gli abbia meritato la sepoltura”. Per questo motivo, la Corte imperiale aveva concesso una tenuta chiamata Zona recintata di Tenggong quale luogo di sepoltura di Matteo Ricci. Dopo circa un anno di rimaneggiamenti e preparazione, il primo novembre del 1611, nel giorno della Festa di Ognissanti, furono tenuti i solenni funerali e il corpo di Matteo Ricci fu sepolto dall’amico cinese Xu Guanqi2 in persona. Per tale ragione, grazie a questo amico straniero venuto dal continente occidentale, che riposerà in eterno in compagnia di verdi pini e di cipressi color smeraldo, anche la tenuta denominata Tenggong acquistò gradualmente fama mondiale. Circa vent’anni dopo, nel 1635, un’opera intitolata Scenari della Pechino Imperiale, immortalava in una descrizione il recente luogo di sepoltura di Matteo Ricci. Nel libro si spiega che la tomba di padre Ricci è diversa dai modelli normalmente in uso in Cina e presenta un rettangolo nella parte inferiore e un mezzo cilindro nella parte superiore, somigliando nella parte inferiore a una piattaforma quadrata, mentre nella parte superiore a un tronco d’albero tagliato. Nella parte posteriore della tomba si trova un padiglione esagonale, fornito di un sostegno a forma di croce. La parete posteriore è interamente abbellita da decorazioni: in alto compare l’immagine di una coda di drago3, al centro le antenne di farfalla, e in basso la proboscide di un elefante, tutti scolpiti in modo estremamente fine. Il testo riferisce in particolare che davanti al secondo cortile posto sul lato meridionale della tomba si ergeva un orologio solare in pietra. Sul basamento dell’orologio il seguente epitaffi o recitava: “Il giorno e la notte si alternano, non lasciarli passare inutilmente, tutto ciò che vedi scorre insieme al tempo”. Questo orologio in pietra era stato realizzato da Matteo Ricci in persona, e il signifi cato dell’epitaffi o è: “Sfuggente è il tempo; ciò che è passato non si può recuperare e nemmeno l’avvenire può essere predetto; quindi è consigliabile fare tesoro del presente, impegnandosi a fare del bene, non compiendo azioni inutili”. Alcune decine di anni dopo, durante l’era Kangxi della dinastia Qing, un letterato di nome You Tong4 compose un poema che descriveva il sepolcro di Matteo Ricci. I suoi versi recitavano cosi: “All’interno della Chiesa Cattolica suonava una melodia, l’orologio a rintocco e lo strumento occidentale5 si susseguivano l’uno all’altro; all’esterno della porta Fucheng6 le rose erano in fiore, e le prime persone giunte ad onorare la memoria di Matteo Ricci versavano e spargevano liquori davanti alla sua tomba”. Da ciò si può desumere che intorno al luogo di sepoltura del missionario, nell’allora tenuta di Tenggong, era già sorta una chiesa e, nei dintorni, grandi cespugli di rose facevano a gara per schiudersi. Nel giorno della sacra funzione, l’orologio e lo strumento suonavano insieme, e i primi arrivati per la messa versavano e spargevano i liquori in terra, onorando il loro amato padre Matteo Ricci, in una scena di grande solennità e rispetto. La tomba di padre Ricci, all’esterno della porta Fucheng, era già divenuta un polo di attrazione per celebri letterati e uomini di cultura. Nel 1630 e nel 1639, i due famosi missionari che presero parte alla modifi ca del calendario, il tedesco Johann Terrenz Schrek e l’italiano Giacomo Rho, morirono uno dopo l’altro a Pechino, e furono sepolti anch’essi all’interno del cimitero di Tenggong, davanti alla tomba di Ricci. Nel 1659, il gesuita italiano Nicolò Longobardi, che era stato successore di Ricci quale superiore della missione di Cina, morì alla veneranda età di novantacinque anni, e trovò anch’egli sepoltura davanti alla tomba del predecessore. In un particolare momento critico della dinastia Qing, il gesuita di nazionalità tedesca Johann Adam Schall von Bell e l’imperatore Shunzhi strinsero una profonda amicizia. Nel 1654 l’imperatore Shunzhi gli destinò un pezzo di terra della stessa grandezza di quello ove riposava il gesuita maceratese ad ovest del suo sepolcro. Dopo questo evento, il cimitero di Tenggong praticamente si raddoppiò, e per i successivi duecentocinquanta anni divenne il luogo dell’eterno riposo dei missionari di ogni nazionalità (compresi anche più di dieci religiosi cinesi) che morirono a Pechino. Alla fi ne del XVIII secolo la Compagnia di Gesù fu sciolta per ordine della Santa Sede. Il cimitero di Tenggong e le altre proprietà della Missione a Pechino furono prese in consegna dalla Congregazione dei Preti della Missione francese. Fino al 1900 altre 88 persone furono sepolte a Tenggong. Nei dintorni del cimitero furono anche costruiti una chiesa, un orfanotrofio e l’ospedale della Missione. Nell’estate del 1900 il movimento dei Boxer arrivò a coinvolgere la città di Pechino e il cimitero di Tenggong fu vittima di saccheggi. Le lapidi furono abbattute e danneggiate, le tombe scoperchiate, gli scheletri dati alle fiamme e tutti gli altri edifi ci distrutti. Ancor peggio è che moltissimi innocenti fedeli cinesi furono brutalmente assassinati. Non molto tempo dopo, l’Esercito delle otto Nazioni7 entrò a Pechino e represse la rivolta dei Boxer. A settembre del 1901 (nel XXVII anno dell’era Guanxiu) il governo Qing e le altre potenze firmarono i cosiddetti Trattati ineguali, passati alla storia come un vero e proprio sopruso e una grande umiliazione per la Cina8. I Trattati ineguali stabilivano che la Cina versasse un’indennità di guerra di 450 milioni di tael d’argento, oltre a una serie di ingiuste imposizioni. Tra le altre, stabiliva anche che venisse riparato il cimitero degli stranieri andato distrutto e che fosse incisa una lapide in pietra in segno di scuse. Per questo il governo cinese dovette spendere circa 10.000 tael d’argento per ricostruire il cimitero di Tenggong (fi g. 3). Oltre al restauro delle tombe di Matteo Ricci, Schall von Bell, Ferdinand Verbiest, Nicolò Longobardi, Thomas Pereira e di altre sei persone, ricollocarono altre 77 lapidi nella parete esterna della chiesa appena costruita. In base alle richieste delle potenze straniere, venne costruita sull’architrave sopra la porta d’ingresso della nuova chiesa la cosiddetta “lapide della vergogna”. L’epitaffi o recita: “In questo luogo è stata concessa, in segno di ammirazione, preziosa sepoltura a generazioni di missionari cattolici. Questo luogo è stato depredato e saccheggiato dai criminali Boxer nel sedicesimo anno dell’era Guanxiu, la chiesa e le tombe date alle fiamme, le lapidi colpite e distrutte e la pace della sua terra calpestata. Dopo la liberazione dai Boxer, la corte imperiale di Cina, in onore dei missionari scomparsi, tenta di lavare l’onta con questa lapide, restaurando e ricostruendo il luogo con la spesa di diecimila tael. Che l’incisione di questa pietra faccia da eterno monito”. Da quel momento in poi, avendo scolpito nella memoria quanto accaduto a Tenggong, le altre proprietà della Missione si espansero in modo equilibrato. Nel 1903 fu edificata una nuova chiesa. Nello stesso anno, nella vecchia sede dell’orfanotrofi o, fu costruito un edificio di forma quadrata in cui si istituì il Grand St. Vincent Seminary. Nel 1910, a ovest della chiesa, fu edificata una costruzione di forma simile al carattere shan9 cinese, originalmente progettata nel luogo dove era stato trasferito il quartier generale del Collegio francese di Notre-Dame,specularmente rispetto alla porta Xi An. All’interno di questo edifi cio, fu istituita la Scuola Privata Normale di Shangyi cui fu annessa in seguito una scuola elementare. Inoltre, nella cantina destinata alle scorte di vino, costruita a sud dell’edificio, gli esperti producevano quello destinato alla messa domenicale. In tutta l’area che circondava il cimitero di Tenggong erano state piantate delle viti, e i residenti religiosi della zona erano stati forniti di orti e di magazzini per la conservazione degli alimenti. Fino all’anno 1949, la tenuta di Tenggong conobbe uno sviluppo graduale che la portò ad andare oltre la sua funzione principale di cimitero: vi erano state annesse chiese, seminari, scuole missionarie ed altre multifunzionali e celebri proprietà cattoliche. I preti e le suore di nazionalità straniera sepolti nel cimitero, insieme ad altri personaggi laici stranieri aumentavano. Il 1 ottobre 1949 fu fondata la Repubblica Popolare Cinese e le proprietà delle missioni straniere in Cina vennero inizialmente mantenute con i contributi offerti dagli emigranti cinesi residenti all’estero. In seguito, per ordine del governo, tutte queste proprietà passarono nelle mani dell’Associazione Patriottica del Cattolicesimo Cinese. In base al decreto nazionale relativo alla separazione tra educazione e religione, nel 1951 l’ex Scuola Shangyi fu rilevata dal Dipartimento di educazione della città di Pechino che ne cambiò il nome in Scuola Elementare di Maweigou. Nel 1953 il Grand St. Vincent Seminary dovette interrompere la sua attività. A parte questo, nel primo periodo successivo alla Liberazione la chiesa di Maweigou e il cimitero restarono tutto sommato invariati, e allo stesso modo le attività religiose della chiesa continuarono a essere regolarmente tenute. Intanto, in seguito alla restaurazione dell’economia nazionale e allo sviluppo dell’urbanizzazione delle città, la periferia di Pechino diventava ogni giorno più fi orente e all’esterno della porta Fucheng soltanto due li di terra del cimitero di Tenggong erano stati salvaguardati, cosa che sembrava abbastanza inappropriata. Se ne accorse anche l’allora vescovo Li Junwu e commentò con indignazione: “Nella porta Fucheng è stata aperta una breccia, le strade sono state riparate, e molti nuovi edifici stanno sorgendo. A quanto sembra anche il cimitero dovrà traslocare casa!”. Nel 1954 fu dato il via alla costruzione della Scuola del Partito Comunista della città di Pechino, e il vice segretario della città di Pechino Liu Ren si accorse che il sito della tenuta di Tenggong non era lontano dalla città ed era anche molto tranquillo, quasi solenne, un luogo in cui i verdi pini e i cipressi color smeraldo crescevano lussureggianti. Per questo il Governo municipale di Pechino decise di creare un nuovo cimitero cattolico alla periferia ovest della città, in un lotto di terra nella zona di Xibeiwang, e vi trasferì le vecchie proprietà. Spese 10.000 yuan per acquistare l’edificio di forma quadrata e quello avente la forma del carattere ‘shan’, ricollocandovi una parte del personale laico. La scuola Maweigou fu trasferita in una strada a nord di Chegong zhuang andando ad ampliare la celebre scuola elementare Xiang. La cantina per il vino fu ricostruita nel distretto di Shijing Shan ed è divenuta la fabbrica di vino di Pechino. Relativamente alla sistemazione del cimitero dei missionari, tra il Partito e l’Associazione patriottica del Cattolicesimo cinese sorse una divergenza di opinioni. Il capo del Partito voleva trasferire tutte le tombe, mentre le personalità dell’Associazione ritenevano che un simile gesto avrebbe in primo luogo ferito le credenze religiose e i sentimenti dei fedeli, avrebbe influenzato il lavoro di educazione e di unificazione portato avanti dal personale religioso dell’Associazione Patriottica, infine, avrebbe provocato una reazione sfavorevole a livello internazionale. Per questo motivo si richiedeva che le lapidi di Matteo Ricci e degli altri sei personaggi la cui influenza in Cina e all’estero era stata significativa, fossero lasciate presso il luogo originale. A questo proposito, gli interessati si rivolsero direttamente al Dipartimento per la gestione degli affari religiosi ed educativi del Consiglio di Stato. Stando ai ricordi dei vecchi compagni, responsabili e primi fondatori del Partito di allora, fu il premier Zhou Enlai in persona a prendere la decisione di lasciare al proprio posto le tombe di Matteo Ricci, Adam Schall von Bell e Ferdinand Verbiest, ovvero dei tre gesuiti che avevano tanto rispettato gli usi tradizionali della popolazione cinese e che avevano dato un grande contributo allo scambio tra la cultura cinese e quella occidentale, mentre i sepolcri di Nicolò Longobardi, Thomas Pereira e degli altri sarebbero stati spostati nel cortile posteriore della chiesa. Le ossa e le lapidi degli altri missionari ed educatori, invece, sarebbero state spostate nel cimitero di soli 16 mou10 di terra, appena aperto a Xibeiwang, nel distretto di Haidian. Le tombe trasferite all’epoca furono in tutto 837. L’originale chiesa di Maweigou non solo fu conservata, ma proseguì come sempre la sua attività religiosa. Le 77 lapidi dei reverendi missionari di epoca Ming e Qing che erano state incastonate nella parete esterna della chiesa, furono conservate all’interno della Scuola del Partito. Nel 1958 la chiesa Maweigou cessò la sua attività religiosa, divenendo il deposito della sede municipale del Partito Comunista cinese della città di Pechino. Fino al 1966 le tre tombe di Matteo Ricci, Schall von Bell e Verbiest erano considerate reperti archeologici posti sotto il protettorato del Dipartimento per i Reperti Archeologici della città di Pechino; nel 1958 il Dipartimento effettuò un censimento dei monumenti archeologici, intraprendendo un attento studio e una registrazione della tomba di Matteo Ricci. La signora Wu Menglin, della squadra di lavoro del Dipartimento per i Beni Archeologici, ogni anno la ispezionava più volte, e presentava al personale dell’Uffi cio di gestione del Partito relazioni relative ai reperti protetti. Il 1966 vide l’esordio di quella che è conosciuta universalmente come la Grande Rivoluzione Culturale. Nel mese di agosto l’appena designato preside della Scuola, Gao Yimin, nel suo primo giorno di lavoro, dovette accogliere un gruppo di Guardie Rosse provenienti dalla Scuola Jiangong, nei dintorni di Pechino. Questi giovani studenti, alquanto ignoranti e fanatici, richiesero che entro tre giorni le tombe dei tre cattolici Ricci, Schall von Bell e Verbiest venissero abbattute. Il preside della scuola chiese immediatamente istruzioni all’Uffi cio per gli affari religiosi ed educativi del Consiglio di Stato della città di Pechino, ma non riuscì ad ottenere nessun riscontro esaustivo. Come fare? Il consiglio di un impiegato nell’allora Uffi cio di gestione dei responsabili del partito, fu di occultare le tombe di Matteo Ricci e degli altri per proteggerle. Il terzo giorno, le tre Guardie Rosse della Scuola di Jiangong tornarono e, accorgendosi che le tombe erano allo stesso posto di prima, non furono assolutamente soddisfatte. L’impiegato disse loro: “Aspettavamo che veniste, le abbattiamo tra un attimo. Scaviamo una fossa e ci sotterriamo le lapidi, e ordiniamo che non vengano mai riesumate, va bene?”. La sua risolutezza fece sì che gli ingenui studenti approvassero la soluzione al problema e così si misero al lavoro. Gli studenti scavarono davanti alle tombe delle fosse profonde poco più di un metro, vi calarono dentro le lapidi con delle corde, e le ricoprirono con la terra. Dopo aver lavorato per un giorno intero, gli studenti, con la fronte imperlata di sudore, ma col cuore colmo di soddisfazione, ripartirono. In questo modo, le tombe di Matteo Ricci e degli altri furono sì abbattute, ma, allo stesso tempo, anche salvate. Si trattò di una grande fortuna: mentre i sepolcri dei missionari trasferiti a Xibeiwang subirono una totale distruzione, furono fatti a pezzi e utilizzati come materiale per la costruzione di edifici in campagna. Nel 1974, la ex chiesa di Maweigou, restaurata da non molti anni ma già in rovina, fu definitivamente abbattuta. Uno dei guardiani della Scuola del Partito riportò segretamente la notizia a uno dei suoi amici, un impiegato dell’Unità per la Ricerca sui Reperti Archeologici, Yu Jie. Costui, insieme a Wu Menglin, organizzò una missione appositamente per effettuare dei rilievi sul posto. All’epoca, contare sulle loro sole forze non fu sufficiente per arrestare questa azione. Tutto quello che poterono fare fu di chiedere ai lavoratori di preservare le tombe. Gli consigliarono infatti di coprire le lapidi con dei rami d’albero durante la fase di accatastamento, per evitare che, sfregandosi tra loro, potessero appiattirsi. In seguito, le 70-80 lapidi dei missionari incastonate nella parete esterna della chiesa assieme alla “lapide della vergogna” furono disperse nei vari locali dell’istituto governativo, mentre delle tombe di Longobardi, di Pereira e degli altri si persero le tracce. Nell’ottobre del 1976 questa tempesta di fanatismo e di illogicità fi nalmente cessò. Nel settembre del 1978 il vice direttore dell’Accademia delle Scienze Sociali di Cina, il signor Xu Dixin, guidò una delegazione di studiosi che si recò in Italia per prendere parte al convegno organizzato dalla Società Europea per gli studi sulla Cina e in seguito andò in visita a Venezia, Roma e in altre città. Gli organizzatori italiani spesso si mettevano a parlare di geometria, di astronomia e di altre scienze occidentali introdotte in Cina dall’eminente “figlio della loro gente”, che aveva apportato un grande contributo a queste discipline: Matteo Ricci. A Roma la delegazione incontrò un professore che insegnava cinese nell’Università della città natale di Matteo Ricci: il professor Piero Corradini, che fu uno degli amici italiani che anche questa volta invitarono con gentilezza e accolsero calorosamente gli ospiti cinesi. Il professor Corradini disse al capo-delegazione Xu che nella precedente metà dell’anno, quando egli si era recato in visita in Cina assieme all’onorevole Vittorino Colombo, Ministro dei Trasporti del Governo italiano e capo dell’Associazione per gli scambi economici e culturali tra Italia e Cina, aveva appreso che la tomba di Matteo Ricci, conservata all’interno della Scuola del Partito Comunista della Municipalità di Pechino, era stata distrutta. Corradini comunicò a Xu un desiderio che avevano in comune con l’onorevole Colombo, ossia che sulla base di una copia della tomba conservata dagli italiani, si potesse ricostruire una nuova lapide in marmo, farne omaggio alla Cina e ricollocarla nel luogo d’origine, per onorare la memoria di questo antico saggio vissuto più di trecento anni prima e che aveva consacrato la propria esistenza agli scambi culturali tra Italia e Cina. Quando Xu Dixin fece ritorno in patria, scrisse un rapporto all’allora presidente in carica dell’Accademia delle Scienze Sociali di Cina, Hu Qiaomu, e, riferendosi alla situazione appena narrata, suggerì: “Considerato il fatto che i sopracitati studiosi e amici italiani tengono in grande considerazione la tomba di Matteo Ricci, pregherei l’Accademia di esortare le autorità centrali ad intraprendere il restauro della suddetta tomba, affinché venga conservato un importante reperto storico degli scambi scientifi ci tra Cina e Occidente. Se vi è possibile, per favore rifletteteci”. Appena terminata la lettura, Hu Qiaomu fece immediatamente rapporto al vice presidente Li Xiannian, e aggiunse solo poche parole in commento: “La prego di esaminare il progetto; io sono d’accordo”. Dopo una lunga e sofferta ricerca, ho rinvenuto la fotocopia di un vecchio rapporto negli archivi del Governo municipale di Pechino. Sul margine del documento, non solo vi è apposto il sigillo personale11 del vicepresidente Li Xiannian, ma anche quelli di altre quattro importanti personalità politiche: Hua Guofeng, Ye Jianying, Deng Xiaoping e Zhu Dongxing. Grazie all’approvazione dei leader delle più alte sfere governative, il 24 ottobre 1978 l’Accademia delle Scienze Sociali inviò una lettera al Comitato per la Rivoluzione della Municipalità di Pechino: Sulla richiesta di restaurare la tomba dello studioso italiano Matteo Ricci. Il testo del documento recita le seguenti parole: “Durante la dinastia Yuan12, lo studioso italiano Matteo Ricci venne in Cina per parlare di scienza, ed essendo morto in questo Paese fu sepolto nell’attuale sede della Scuola del Partito della municipalità di Pechino. La sua tomba, così come la lapide, sono già state distrutte. Nel settembre di quest’anno, il vice-preside della nostra Accademia, il compagno Xu Dixin, durante la sua visita in Italia ha saputo dal professor Corradini che costui, quando si è recato in Cina assieme al Ministro italiano dei Trasporti onorevole Colombo, apprendendo che la tomba del Ricci era andata distrutta, ha espresso il desiderio di farne ricostruire una nuova e ricollocarla nell’antica posizione. Riflettendo sul contributo che Matteo Ricci ha apportato allo scambio culturale tra Cina e Occidente, il compagno Xu Dixin, una volta tornato in patria, ha consigliato alle autorità centrali di restaurare la tomba del Ricci, anche grazie all’approvazione del nostro Presidente e di altre quattro alte cariche. Allego alla presente la copia delle iscrizioni suggerite dal compagno Xu Dixin, pregandovi di inoltrarla all’Unità di competenza perché se ne occupi”. Per via della situazione dell’epoca, sul rapporto era stato appositamente specificato che Matteo Ricci, uomo di chiesa venuto in Cina a predicare la religione, in realtà era uno studioso italiano arrivato in Cina “a parlare di scienza”. L’allora vice segretario del Comitato municipale di Pechino, Mao Lianyu, vedendo il testo del documento istruì: “Stimati compagni, leggete, lasciamo che se ne occupi il governo locale”, e passò il compito di restaurare la tomba di Matteo Ricci a chi però non si intendeva particolarmente di storia e conservazione dei beni archeologici: il Governo municipale di Pechino. All’inizio del 1979, il 13 gennaio, presso la sede dell’Accademia delle Scienze Sociali di Cina, sezione economica, Xu Dixin presiedette un convegno organizzato appositamente per indagare i metodi di restauro della tomba di Matteo Ricci, a cui partecipò anche il celebre archeologo Xia Nai. Questi sono alcuni punti chiave emersi da documenti presenti nell’archivio del Governo municipale di Pechino: 1. La presente questione è già stata esaminata da diversi alti membri del Partito, che sono d’accordo nel procedere con il restauro della lapide, e hanno inviato una comunicazione scritta alla sede locale del Partito. I segretari locali Mao e Li hanno già dato disposizione che sia il Governo municipale a farsi carico del restauro. 2. La lapide è custodita nella sede locale della Scuola del Partito e sarà restaurata in base all’originale collocazione e forma. Stando a quanto sostiene il compagno Xia Nai, dopo il danneggiamento la vecchia lapide è stata nascosta all’interno della Scuola del Partito. Zhao Guanlin, dell’Ufficio per la gestione dei reperti archeologici13 ne è a conoscenza. Si faccia tutto il possibile per recuperare la vecchia tomba e, qualora essa non sia disponibile, se ne scolpisca una nuova. La biblioteca di Pechino possiede una copia dell’epitaffio. 3. Come nel luogo originale in cui si ergeva la lapide, le si ponga di fronte un mausoleo di forma rettangolare. La questione relativa alle spese per i materiali venga risolta per favore dal Governo municipale. Non appena il Governo municipale ricevette l’incarico, organizzò immediatamente una squadra per i lavori, e chiese anche la supervisione di un tecnico responsabile della sezione Beni Culturali; fu di nuovo la signora Wu Minglin a ricoprire la carica. Lei e i suoi colleghi ritenevano, essendo state sempre insieme, che le tombe del Ricci, di Schall von Bell e del Verbiest dovessero anche questa volta essere restaurate tutte e tre insieme. Il primo problema riguardava la ricerca della lapide originale. La Scuola del Partito della città di Pechino poco dopo la distruzione della tomba del Ricci stava per essere sciolta, mentre all’epoca era stata appena ripristinata. Wu Menglin, grazie all’assistenza di un custode della Scuola, riportò alla luce le lapidi dei tre padri sotterrate durante il movimento Distruggere i quattro vecchi14. Quella di padre Ricci era segnata nella parte anteriore da alcuni buchi non molto profondi; quelle di padre Schall Von Bell e di padre Verbiest erano spezzate ma, in base a quanto riportato nel già citato censimento del 1958, le due tombe erano già in queste condizioni; perciò si ritiene che fossero state danneggiate nel 1900. Quindi, dopo aver levigato la superfi cie della lapide del Ricci, la scolpirono di nuovo in base al koupian15 e la ricostruirono in pietra in base alla forma originale. Le lapidi spezzate di Schall von Bell e di Ferbiest furono rimesse insieme con della resina ossigenata. Che le tre onorabili tombe potessero di nuovo tornare alla luce, non può che essere considerata una grandissima fortuna nella sfortuna. Nel ricostruire la tomba di Schall von Bell, gli addetti ai reperti archeologici dovettero seguire una particolare procedura. Nel censimento veniva riportato che essa, in quanto tomba yang16 doveva avere il lato con l’incisione a grandi caratteri “Tomba del padre gesuita Shall von Bell” rivolto verso l’interno, mentre il lato con iscritto l’elogio funebre dell’Imperatore Kangxi rivolto al sole. Tale spiegazione è riportata anche nella Raccolta completa dei modelli delle lapidi occultate della biblioteca di Pechino. In accordo con i principi del restauro dei reperti archeologici, Wu Menglin era dell’opinione che “quello che è sbagliato è sbagliato”, e si impegnò a mantenere quindi l’aspetto originale della tomba prima del suo danneggiamento. È questa forse la ragione per cui molti studiosi cinesi e stranieri, dopo averla visitata, si sono chiesti: “Ma perché la tomba di Schall von Bell è stata costruita al contrario?”. Dopo un anno di tempo e molte spese sostenute, le tre tombe dei missionari stranieri alle quali il restauro aveva restituito sostanzialmente le sembianze originali, finalmente tornarono nel loro luogo d’origine. In risalto sotto i verdi pini e i cipressi color smeraldo, le tombe tornarono al loro antico splendore. Nel 1984, con l’ausilio dell’Ufficio per i Beni Archeologici della città di Pechino, la Scuola municipale del Partito ha aperto sul lato est delle tombe di Ricci e degli altri missionari un istituto, per ricostruire le sessanta lapidi originariamente incastonate nella parete esterna della chiesa e in seguito disperse all’interno della Scuola insieme alla “Stele della vergogna”. L’Ufficio per i Beni Archeologici ha anche archiviato tutte le copie degli epitaffi funebri. Da questo momento il cimitero dei missionari di epoca Ming e Qing è stato indicato come area protetta dall’Ufficio per i Beni Archeologici di Pechino. Nel 1993 l’Ufficio culturale del Distretto Xicheng finanziò lo spostamento della piccola porta di pietra della ex chiesa Maweigou, situata all’epoca sul lato meridionale della Scuola del Partito, per ricollocarla sul lato meridionale della tomba di Matteo Ricci. Nel 2003 l’Ufficio per i Beni Archeologici della città di Pechino sovvenzionò il restauro dell’edificio quadrato che aveva ospitato il Grand St. Vincent Seminary, mantenendone l’aspetto esteriore e lo rese area archeologica sotto il protettorato del distretto di Xicheng. Nel 2004 l’Ambasciata italiana diffuse la notizia che il Presidente Ciampi avrebbe visitato il sepolcro di Matteo Ricci durante la sua visita in Cina. Affinché fosse possibile ricevere il Presidente secondo il cerimoniale, l’Ufficio per i Beni Archeologici di Pechino utilizzò il cemento con cui si erano costruiti i gradini per restaurare nuovamente la tomba del Ricci, dove si erano già creati alcuni cedimenti. Tuttavia, il Presidente Ciampi fu costretto a cancellare la tappa per motivi di salute. Nel 2006 il Consiglio di Stato proclamò il cimitero di Matteo Ricci e degli altri missionari stranieri patrimonio culturale nazionale. Ad oggi, il cimitero di Matteo Ricci e degli altri missionari stranieri conserva in tutto 63 tombe. Tra queste, 14 appartengono a missionari portoghesi, 11 a missionari italiani, 9 a missionari francesi, 6 a missionari tedeschi e inoltre ci sono 3 missionari cechi, 2 missionari belgi, uno svizzero, un polacco, un austriaco e uno sloveno (statistica eseguita in base al nome odierno del paese di nascita dei missionari) e infine 14 preti di nazionalità cinese. Tra i missionari di nazionalità italiana, oltre al già citato Matteo Ricci, ci sono anche: il celebre pittore e principale progettista dei “Palazzi Occidentali” dello Yuanming Yuan, Giuseppe Castiglione; uno dei riformatori del Calendario cinese nel corso della fine dell’epoca Ming, l’astronomo Giacomo Rho; colui che prima fu in missione nel Sichuan e poi, stabilitosi a Pechino, istituì la chiesa cattolica di Wangfujing, (Chiesa dell’Est), ovvero Ludovico Buglio e, inoltre, l’architetto Ferdinando Moggi, il medico Giuseppe Da Costa e molti altri. Queste 63 tombe non solo stanno a testimoniare quei “messaggeri” che dedicarono la loro vita agli scambi tra la cultura cinese e quella occidentale, ma sono anche il risultato dell’armonia tra queste due culture. Queste lapidi di missionari che furono a servizio della Corte imperiale godono universalmente del più alto rispetto tra i diversi strati della popolazione comune. Sulla sommità di tutte le tombe è rappresentato il modello di Drago Chi che gioca con una perla, e la diversa altezza delle lapidi simboleggia il diverso grado che la persona ebbe in vita. Molte lapidi hanno anche inciso l’epitaffi o imperiale in cui l’imperatore esprimeva dolore per la scomparsa del missionario. I due draghi che giocano con la perla, la nuvola xiang, i fiori e le piante, il leone, la gru, il cervo e la capra, che sono rappresentati nella parte inferiore delle tombe, sono tutti simbolo, nella cultura cinese, di onore e prosperità, di fortuna e di lunga vita. Infine la croce che si trova nella parte superiore delle tombe, la scritta IHS17, così come l’epitaffi o in latino, sono segni distintivi del cattolicesimo e dei gesuiti. Negli ultimi anni, in seguito alla crescita giornaliera degli scambi culturali tra Cina e Occidente, il cimitero della tenuta di Tenggong è divenuto il luogo in cui gli uomini illuminati portano avanti l’eredità del passato, e che riceve un’attenzione sempre maggiore da parte di tutto il mondo: un flusso ininterrotto di personalità cinesi e straniere vengono in visita turistica per ammirare il luogo oppure per intraprendere ispezioni scientifiche. Alcuni capi di stato e premier politici, ministri degli esteri e altri funzionari, ambasciatori stranieri e studiosi in visita in Cina, professori, religiosi e turisti, tutti, uno dopo l’altro, hanno fatto visita a questo luogo. Alcuni visitatori, guardando la mappa turistica della città di Pechino, in base alle coordinate della mappa hanno trovato la Scuola del Partito e sono venuti in visita. Particolare è stata quella delle nuove generazioni di giovani cinesi o stranieri, studenti delle scuole superiori o delle università, che rappresentano il passaggio di generazione in generazione di quel concetto di amicizia creato dagli antenati. Gli amici italiani hanno dimostrato un profondo affetto per il loro conterraneo Matteo Ricci, per questo saggio “espatriato” che ha aperto la strada all’amicizia tra Italia e Cina. Lo stesso presidente della Repubblica Scalfaro, il premier Andreotti, insieme ai vari ministri e ufficiali dell’esercito in visita a Pechino per affari pubblici, seguiti da esperti, professori, commercianti e comuni turisti, tutti dal primo all’ultimo sono venuti a fare visita al cimitero. I funzionari dell’Ambasciata italiana e le altre personalità dell’ambasciata di Pechino o degli altri Consolati in Cina sono, a maggior ragione, frequenti ospiti di questo luogo. La grigia pietra non può parlare, ma ognuna di queste pietre scolpite condensa in sé tutti i cambiamenti storici e sociali che ha vissuto. Essa potrebbe insegnare a noi cinesi che la politica della porta chiusa non permette di costruire con successo la società e che la popolazione cinese dovrebbe prima studiare altre eminenti culture, per potersi sviluppare e rafforzare ininterrottamente. Queste lapidi potrebbero inoltre dimostrare al mondo che paesi diversi, popolazioni diverse e culture diverse dovrebbero, anzi riescono, a confrontarsi pacifi camente, a convivere in armonia e a progredire insieme. Dopo aver testimoniato l’incontro tra la cultura cinese e occidentale dalla fine del XVI secolo all’inizio del XIX, oggi il “cimitero di Matteo Ricci e degli altri missionari stranieri” è già divenuto un’importante finestra e legame che pone in comunicazione la Cina e il mondo, unendo in particolare la Cina e l’Italia. 1571-1630, confuciano molto amico di Matteo Ricci. 1562-1633, altro celebre amico di Matteo Ricci. 3 Quello rappresentato, precisamente, è il cosiddetto drago Chi, caratteristico della tradizione cinese. 4 1618-1704. 5 Presumibilmente l’organo, in quanto descritto in cinese come “lo strumento a tastiera d’occidente”. 6 Una delle antiche porte che consentivano l’accesso alla città di Pechino. 7 Esso era composto da Inghilterra, Francia, Prussia, Russia zarista, Stati Uniti, Giappone, Italia e Impero Austro-Ungarico. 8 L’autore li defi nisce “il funerale del diritto, e un’umiliazione per il Paese”. Quello conosciuto come Il protocollo dei Boxer, è, in realtà, solo il primo di una serie di trattati che il governo Qing dovette fi rmare con le potenze occidentali, e che imposero una graduale ma inesorabile apertura della Cina nei confronti di Paesi che aveva sempre considerato “barbari”. 9 , il cui signifi cato è montagna. 10 Unità di misura per le superfici. Un mou equivale a 0,0667 ettari. 11 Una sorta di timbro personalizzato con il nome di ogni politico, con cui viene contrassegnato un documento ufficiale dopo averne presa visione. 12 In realtà dinastia Ming. 13 In realtà l’Uffi cio della Cultura, sezione Beni Archeologici. 14 Movimento lanciato all’inizio della Rivoluzione Culturale, nel 1966, che incitava a liberarsi di tutto ciò che ricordava la vecchia cultura cinese. Con l’esperienza Quattro Vecchi s’intendono infatti: vecchie idee, vecchia cultura, vecchie abitudini e vecchi costumi. 15 Metodo tradizionale cinese per copiare documenti o immagini. Si ottiene appoggiando della carta di riso sulla superficie intarsiata e sfregandovi sopra dell’inchiostro nero al fine di ottenere la perfetta trasposizione dell’immagine o del testo. 16 Sostanzialmente differisce dalla tomba yin solo per la posizione dell’iscrizione, che nelle tombe yang (sole) è esterna, appunto rivolta verso il sole, mentre nelle tombe yin (luna) è interna. 17 Sigla molto utilizzata nell’arte cristiana del Medioevo. Essa deriva dall’alfabeto greco e indica la traslitterazione del nome di Gesù. 1 2