La corrispondenza scambiata con il collega

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La corrispondenza scambiata con il collega
LA CORRISPONDENZA SCAMBIATA CON IL COLLEGA
DIVIETI E PREVISIONI DEONTOLOGICHE
1° - PREMESSE La norma di riferimento è l’art. 48 del “nuovo” Codice Deontologico
Forense, che sostanzialmente riprende l’art. 28 del testo previgente.
“L’avvocato non deve produrre, riportare in atti processuali o riferire in giudizio la
corrispondenza intercorsa esclusivamente tra colleghi qualificata come riservata, nonché
quella contenente proposte transattive e relative risposte.
L’avvocato può produrre la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando la stessa:
a) costituisca perfezionamento e prova di un accordo;
b) assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.
L’avvocato non deve consegnare al cliente e alla parte assistita la corrispondenza
riservata tra colleghi; può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al
collega che gli succede, a sua volta tenuto ad osservare il medesimo dovere di
riservatezza.
L’abuso della clausola di riservatezza costituisce autonomo illecito disciplinare.
La violazione dei divieti di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione
disciplinare della censura”.
Come osservato da Danovi nel “Codice deontologico forense” edito nel 2006 presso
Giuffrè, alle pagg. 467 e segg., commentando il precedente art. 28, il nostro Codice
deontologico, tra le varie possibili ipotesi di regolamentazione della materia (producibilità
di tutta la corrispondenza tra colleghi, riservatezza di tutta la corrispondenza, oppure
riservatezza solo della corrispondenza dichiarata espressamente come tale) ha scelto
quest’ultima soluzione, dichiarando, inoltre, non producibile la corrispondenza contenente
proposte transattive, anche non dichiarata espressamente come riservata.
L’autore concorda con la soluzione adottata, che risponde a due principi meritevoli di
considerazione:
- l’avvocato, oltre a svolgere la funzione di difensore tecnico, è altresì arbitro nella
conduzione della lite, valutando l’utilità e possibilità di conciliazione della stessa;
- d’altro lato, l’avvocato deve sempre avere una posizione di terzietà e estraneità nella lite
e non può mai identificarsi, o essere identificato, con il suo cliente litigante.
E’ evidente – continua Danovi – “che l’avvocato deve svolgere la propria attività
consentendo al collega di svolgere del pari la sua funzione, senza ritorcere (l’uno all’altro)
proposte conciliative, ammissioni o consapevolezza di torti; ciò che si ottiene appunto con
la riservatezza della corrispondenza fra colleghi (obbligo particolare, rispetto al dovere più
generale di segretezza e riservatezza). Invero, se tale principio non esistesse, i patroni
sarebbero indotti a non fare ricorso agli atti scritti e verrebbe meno ogni possibilità di
iniziative conciliative, con mortificazione dei principi di collaborazione che sono per contro
a base dell’attività legale”.
E’ lasciata all’insindacabile giudizio del mittente la qualificazione di riservatezza in base a
motivazioni che non possono essere contestate o rifiutate dalla controparte, anche se non
ritenute logiche e conferenti.
2° - REGOLE COMPLEMENTARI L’art. 48 prevede, inoltre, tre regole che consentono la
producibilità della corrispondenza:
I – La prima regola dichiara producibile la corrispondenza intercorsa fra colleghi quando
sia già stato perfezionato un accordo, di cui la stessa corrispondenza costituisca
attuazione. La ratio della regola è logica ed evidente, dal momento che non esiste ragione
per ritenere riservata la corrispondenza fra i colleghi quando è stato perfezionato un
accordo. Anzi, commenta Danovi a pag. 470 op. cit., “il perfezionamento dell’accordo deve
poter essere documentato”.
II – La seconda regola dichiara producibile la corrispondenza dell’avvocato che assicuri
l’adempimento delle prestazioni richieste. L’eccezione al principio generale è logica e
rispondente ai criteri di correttezza e buona fede.
III – La terza regola fa divieto all’avvocato di consegnare al suo cliente la corrispondenza
riservata fra colleghi, ma gli consente, venuto meno il mandato professionale, di
consegnarla al professionista che gli succede, il quale deve osservare i medesimi criteri di
riservatezza. La norma è logica e rispondente ai principi generali sopra esposti, non
potendo la riservatezza essere superata attraverso la successione tra i difensori.
Si sono visti e si vedono, nella prassi, casi di corrispondenza riservata il cui testo privato
dell’intestazione e della sottoscrizione con scaltri giochi di fotocopie viene poi trasmesso al
cliente. Tale metodo, per quanto decisamente più comodo rispetto ad altri (convocare il
cliente, oppure riassumergli per iscritto il contenuto delle proposte avversarie) induce più
di qualche perplessità, consentendo di far entrare nel processo un documento che, così
com’era stato redatto, avrebbe dovuto rimanerne fuori.
3° - APPLICAZIONI PRATICHE
- “In particolari ed eccezionali circostanze può ammettersi la scusabilità dell’errore nella
produzione in giudizio di corrispondenza riservata tra colleghi, in violazione dell’art. 48
ncdf” (nel caso di specie, la produzione era avvenuta per errore da parte della
collaboratrice di studio, stante l’assenza dell’avvocato per malattia).
Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 46 del 13 marzo 2015
- “Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante il professionista che
produca in giudizio una lettera inviatagli dal collega di controparte e contenente una
proposta transattiva (art. 48 ncdf, già art. 28 cdf). La riservatezza, infatti, colpisce non solo
tutte le comunicazioni espressamente dichiarate riservate, ma anche le comunicazioni
scambiate tra avvocati nel corso del giudizio, e quelle anteriori allo stesso, quando le
stesse contengano espressioni di fatti, illustrazioni e proposte di carattere transattivo,
ancorché non dichiarate espressamente <<riservate>>”.
Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 19 del 11 marzo 2015
- “La norma di cui all’art. 28 c.d.f. (ora, 48 ncdf) mira a salvaguardare il corretto
svolgimento dell’attività professionale, con il fine di non consentire che leali rapporti tra
colleghi possano dar luogo a conseguenze negative nello svolgimento della funzione
defensionale, specie allorché le comunicazioni ovvero le missive contengano ammissioni o
consapevolezze di torti ovvero proposte transattive. Ciò al fine di evitare la mortificazione
dei principi di collaborazione che per contro sono alla base dell’attività legale. Il divieto di
produrre in giudizio la corrispondenza tra professionisti contenente proposte transattive
assume la valenza di un principio invalicabile di affidabilità e lealtà nei rapporti
interprofessionali indipendentemente dagli effetti processuali della produzione vietata, in
quanto la norma mira a tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario,
nel senso che il primo, quando scrive ad un collega di un proposito transattivo, non deve
essere condizionato dal timore che il contenuto del documento possa essere valutato in
giudizio contro le ragioni del suo cliente, mentre il secondo deve essere portatore di un
indispensabile bagaglio di credibilità e lealtà che rappresenta la base del patrimonio di
ogni avvocato”.
Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 92 del 10 giugno 2014
- Ci si è interrogati sull’opportunità di produrre in giudizio le proprie lettere qualificate come
riservate. A volte ci si potrebbe sentire “costretti” a farlo, ad esempio per documentare al
giudice gli sforzi fatti per raggiungere un accordo transattivo ed ottenere così una
pronuncia favorevole, almeno sulle spese di lite. E tuttavia. Così facendo, ci si esporrebbe
al pericolo che l’ “avversario” faccia altrettanto in un’escalation che certo mal si concilia
con l’immagine dell’avvocatura.
Con parere n. 19 del 16 aprile 2008 il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che il
divieto di produzione in giudizio di “lettere qualificate riservate” deve includere anche le
missive di cui è stato autore colui che intende esibirle in giudizio.
“Essendo l’interesse tutelato dalla norma deontologica quello della lealtà e probità nei
rapporti tra colleghi, si ritiene che il divieto di cui all’art. 28 c.d.f. (ora, art. 48 n.c.d.f.) faccia
riferimento alla corrispondenza riservata nel suo complesso a prescindere dai latori dei
singoli messaggi”.
- Secondo il CNF, l’avvocato che si difenda personalmente, assumendo nella sede
giudiziale la duplice veste di parte e di avvocato, è tenuto a rispettare le regole che
disciplinano l’attività e i comportamenti di ciascuna delle due qualità, per cui, anche in tal
caso, configura illecito disciplinare la produzione in giudizio della corrispondenza
scambiata con il collega contenente una proposta transattiva.