Il prete nella letteratura del Novecento

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Il prete nella letteratura del Novecento
Il prete nella letteratura del Novecento
DARE LA PACE SENZA SAPERE DI AVERLA
Pubblichiamo un estratto di uno degli articoli presentati nel numero in uscita della rivista
dei gesuiti italiani "La Civiltà Cattolica".
di Ferdinando Castelli
Nel settore letterario la figura del prete, dopo periodi di eclissi, torna alla ribalta.
Perché - ci si chiede - quest'uomo non in carriera, non potente, non sposato, non
umanamente importante, occupato in questioni da molti ritenute desuete, attira
l'attenzione, incuriosisce, è interpellato? La risposta è semplice. Perché nel
crepuscolo delle illusioni e nel clima del relativismo si avverte il bisogno di
certezze; perché nella stanchezza di una cultura materialistica il bisogno di fare
posto all'anima è maggiormente avvertito. E il prete si presenta come assertore di
certezze e testimone di realtà spirituali. Questi due elementi determinano la
differente angolatura nella quale la letteratura contemporanea presenta il prete, a
differenza del passato.
Fino ai primi decenni del Novecento, sotto l'influsso del positivismo, il prete è visto
prevalentemente sotto l'aspetto sociale o filantropico. Un Balzac, un Flaubert
collocano il "parroco del villaggio" al suo posto esatto sulla scala sociale, accanto al
medico, al notaio e all'esattore. Fa parte della "commedia umana". In lui la presenza
del mistero e del soprannaturale si è talmente rarefatta da scomparire.
Col Novecento avviene un mutamento di sfondi. Alcuni scrittori - soprattutto
Georges Bernanos, Graham Greene, François Mauriac, Carlo Coccioli - con
un'audacia degna del loro genio osservano il prete con occhi nuovi, per scrutarne il
mistero. Sono convinti che è detentore di un mistero, soprannaturale per giunta. Si
opera in tal modo un cambio di prospettiva: il prete non interessa più come uomo,
ben "sistemato" in una classe sociale; interessa ciò che lo distingue da tutti, cioè il
suo carattere sacro, il mistero nascosto nel fondo del suo essere.
Occorre fare delle riserve su Il potere e la gloria di Graham Greene, ma non si può
negare la forte impressione che suscita l'incontro con un prete, alcolizzato e alla
deriva, nel quale abitano il Potere e la Gloria di Dio. È naturale che la sua presenza
inquieti, disturbi, incuriosisca perché rivela profonde verità nascoste.
Analizziamone alcune.
Nell'ultimo capitolo di Il Figlio dell'Uomo di Mauriac si legge: "Questa pietra di
scandalo per tanti spiriti ribelli, il prete (...) costituisce in mezzo a noi il segno
sensibile della presenza del Cristo vivo (...) Uomini ordinari, simili a tutti gli altri,
chiamati a diventare il Cristo quando levano la mano sulla fronte di un peccatore
che confessa i suoi falli e domanda perdono, o quando prendono il pane fra le mani
"sante e venerabili", o quando alzano il calice della nuova alleanza e ripetono
l'azione insondabile del Signore stesso (...) Sì, degli uomini simili ad ogni altro, ma
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chiamati più d'ogni altro alla santità (...) Quale mistero in questo sacerdozio
ininterrotto attraverso i secoli!".
Il testo di Mauriac enuncia il paradosso del prete: sintesi di contrari. In lui
confluiscono gli elementi più contrastanti: umanità e divinità, tempo ed eternità,
forza e debolezza, grandezza e miseria. Bernanos mette in risalto soprattutto questo
aspetto. In Sotto il sole di Satana (1926) - romanzo percorso da un vento di tempesta,
spirato dall'inferno e dal cielo - l'abbé Donissan è privo delle qualità necessarie per
essere un buon parroco; è rozzo, inesperto, senza vera dignità, privo di gioia e di
misura, tormentato e disperato. Eppure riesce a "dare a piene mani la pace di cui è
sprovvisto", a stanare e sfidare il Maligno, a indicare con chiarezza gli elementi
fondamentali per raggiungere la santità. In questo prete abita la potenza della
Grazia e la luce dello Spirito Santo, tanto che l'aristocratico e colto abbé MenouSégrais gli confessa: "È lei a formare me", "lei mi ha rovesciato come un guanto".
La sintesi di contrari risulta più approfondita nel protagonista del Diario di un
curato di campagna, l'abbé di Ambricourt. Anche lui sprovvisto di prestigio, malato di
cancro, povero e deriso. Nel suo fisico malandato però abita un'anima
profondamente sacerdotale, impegnato a ridestare le anime sopite nel peccato e a
restituirle alla Grazia. Radicato in questo convincimento, non esita - lui, povero
prete, figlio di alcolizzati - a recarsi dalla contessa e a prospettarle lo squallore della
sua anima, murata nell'odio contro Dio e contro gli uomini, dunque nell'inferno
poiché "l'inferno è non amare più".
In un drammatico colloquio i due si fronteggiano come in duello; lei chiusa
nell'orgoglio e nell'astio, che la isolano da Dio e dalla famiglia, lui consapevole di
non essere buono a nulla, come afferma il marito della contessa, ma forte nella
consapevolezza di rappresentare Cristo. Alla fine la contessa si arrende alla Grazia.
Nel diario del curato si legge: "Che cosa importano a Dio il prestigio, la dignità, la
scienza, se tutto ciò non è che un sudario di seta su un cadavere putrefatto?". A Dio
importa la volontà del prete di donarsi al suo ministero accettando quanto ciò
comporta.
Accanto all'abbé Donissan di Bernanos possiamo collocare don Michele Ingabbietta,
protagonista del romanzo Perfetta letizia di Pietro Mignosi (1895-1937), tra i più
importanti del primo Novecento. In esso l'autore ha inteso mettere in risalto
l'essenza sacerdotale: l'assimilazione a Cristo, la luce interiore e la forza che da essa
si sprigiona, e ciò nonostante la miseria del fisico. Don Michele è un prete umile,
dimesso, di nessun prestigio sociale: "si guardò le sue povere dita nodose e brulle,
e le palme opache e callose, e le unghie piatte e dure, e si meravigliò che Dio, nella
sua infinita misericordia e condiscendenza, potesse servirsi di quelle luride mani
per rinnovare il miracolo e mistero dell'Incarnazione".
Sì, è un prete apparentemente meschino e di poco conto, ma con la pazienza nel
sopportare soprusi e ostruzionismi, con la sua bontà e mitezza riesce ad attirare le
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persone e condurle a Dio. Il suo sacerdozio si diffonde e si afferma in "perfetta
letizia" per quanti lo accostano.
(©L'Osservatore Romano - 19 dicembre 2009)
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