vilipendio, si cambia: niente carcere. il “caso storace
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vilipendio, si cambia: niente carcere. il “caso storace
d’Italia VILIPENDIO, SI CAMBIA: NIENTE CARCERE. IL “CASO STORACE” NON DEVE RIPETERSI ANNO LXII N.292 Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76 Roberto Mariotti Via libera quasi unanime al ddl che modifica il reato di vilipendio. Con il nuovo testo, in caso di condanna si rischierà una multa che potrà andare dai 10 ai 50mila euro, mentre resta il carcere, fino a 2 anni, solo se l’ offesa consisterà nell’attribuzione di un fatto determinato. Attualmente il vilipendio è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Il ddl è stato approvato con il “sì” di tutti. Unica eccezione: M5S che voleva la totale abrogazione della norma. La dichiarazione di Gasparri «Esprimo grande soddisfazione per l’approvazione in commissione Giustizia al Senato di un nuovo testo sul vilipendio. Si cancella il carcere, come avevo chiesto con la mia proposta di legge, che rimane solo nel caso di accuse su specifici punti – ha commentato Maurizio Gasparri – In aula si dovrà approfondire l’intera questione, WWW.SECOLODITALIA.IT anche ipotizzando una generale salvaguardia in caso di critiche politiche». Il vicepresidente del Senato ringrazia il presidente della commissione Giustizia Nitto Palma per il suo impegno su questo «tema delicato» e si augura che il provvedimento sia rapidamente affrontato in aula. «A tal fine chiederò in capigruppo una rapida calendarizzazione», ha annunciat0 Gasparri. Storace soddisfatto: finalmente si cambia «In Parlamento comincia a farsi strada la consapevolezza che il reato di vilipendio, soprattutto in presenza di critiche politiche, non può essere punito col carcere. Al vicepresidente del Senato Gasparri e al presidente della commissione giustizia, Nitto Palma, va un ringraziamento sentito per la loro capacità mercoledì 17/12/2014 di persuasione dei parlamentari della commissione», ha detto Francesco Storace. «Ora la parola va all’aula di Palazzo Madama: con la proposta approvata e la discussione su un’ulteriore modifica in senso ancora più liberale, si contempereranno le esigenze di tutela del capo dello Stato dalle offese tout court e il diritto al dissenso», ha concluso. Nuova umiliazione dall’India, la Corte Suprema respinge le richieste dei marò Livia De Santis L’India continua ad umiliare l’Italia. La Corte Suprema non ha accolto le istanze presentate dai marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, volte a una attenuazione della libertà provvisoria permettendo, nel primo caso, un prolungamento della permanenza in Italia e, nel secondo, un rientro in Puglia per le festività natalizie. Le “petition” dei due marò sono state illustrate dall’avvocato Soli Sorabjee, accompagnato da K.T.S. Tulsi, ad un tribunale di tre giudici presieduto dal presidente della stessa Corte, H.L.Dattu. Quest’ultimo ha fin dall’inizio assunto un atteggiamento visibilmente in disaccordo con le richieste, formulando nei loro confronti numerose obiezioni. Il dibattito nel tribunale indiano In un breve intervento, il magistrato che rappresentava il governo aveva manifestato la sua non contrarietà a concedere una estensione della permanenza in Italia per Latorre. L’istanza di Girone, per un rientro in famiglia per un periodo di tre mesi, anche in occasione delle vacanze natalizie, è stata poco dibattuta, mentre quasi tutto il tempo, circa trenta minuti, del dibattito concesso si è incentrato sui quattro mesi chiesti da Latorre per continuare il suo percorso terapeutico e sottoporsi l’8 gennaio a un intervento cardiaco. Il presidente della Corte ha ascoltato la difesa ma poi, dopo aver discusso anche con i giudici a latere, ha eccepito su vari punti della richiesta, sorprendendosi fra l’altro che in essa fosse sollevato anche il problema della giurisdizione. «Allorché le indagini non si sono concluse e i capi d’accusa non sono stati presentati – ha osservato – come posso io concedere l’autorizzazione agli imputati? Sarebbe bene, ha aggiunto, che tutti gli sforzi fossero concentrati sulla chiusura della fase istruttoria del processo». Dattu ha quindi chiesto il rispetto del sistema legale indiano perché, ha arguito, «se concedessi questo ai due richiedenti, dovrei farlo anche per tutti gli imputati indiani». E poi, ha concluso, «anche le vittime hanno i loro diritti». Il centrodestra all’attacco «Abbiamo evitato critiche e polemiche da mesi su invito del governo – ha osservato il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri – per non ostacolare il rientro di tutti e due i marò in Italia. E ora registriamo l’ennesima umiliazione dell’Italia con un’ulteriore decisione negativa dell’India. Invece di illudere gli affaristi parlando di Olimpiadi, Renzi si occupi dei nostri fucilieri di Marina. Anche questa volta il governo ha ingannato le aspettative delle famiglie e della pubblica opinione». Renzi e co., ha aggiunto Gasparri, «si sono dimostrati una volta di più inetti, indifferenti alla tutela della dignità nazionale e della sicurezza dei nostri militari. Quanto accade è una vergogna assoluta. Meno bugie sulle Olimpiadi e più dignità per i marò. Certi della incapacità totale di persone come Renzi, mi auguro che sia il Capo dello Stato nella cerimonia al Quirinale a dare voce all’indignazione dell’Italia intera. Per quanto ci riguarda chiediamo subito il governo in Parlamento su questa drammatica emergenza. La nostra buona fede è stata tradita. Non c’è più tregua sul tema». Per Giorgia Meloni, il presidente di Fratelli d’Italia: «Dopo quasi tre anni di detenzione illecita e violazione del diritto internazionale l’India respinge le istanze di Latorre e Girone. Ecco in cosa consiste il famoso “dialogo costruttivo” dei governi Monti, Letta e Renzi tra ltalia e India sul caso marò: farsi deridere da Nuova Delhi mentre Ue Nato e Onu fanno finta di niente. Che vergogna». Il tema è arrivato subito nell’aula della Camera, dove il presidente della commissione Difesa di Montecitorio Elio Vito (FI) prima dell’inizio delle comunicazioni del premier sul semestre Ue ha chiesto a Renzi «come intenda tenere alto l’onore dell’Italia e dei nostri marò. Il presidente del Consiglio – ha detto Vito – riceva le commissioni Difesa di Camera e Senato, mentre i ministri della Difesa e degli Esteri verranno in commissione mercoledì alle 8.30». Il premier in grande difficoltà si è limitato a sostenere che sulla vicenda «il governo si impegna a partecipare ai lavori di commissione». La compagna del marò Latorre: «Dalla Corte indiana un’enorme ingiustizia» 2 Valter Delle Donne Quella di oggi della Corte Suprema indiana sui due marò «è una decisione grave che non ci aspettavamo. Siamo vicini ai nostri militari e come Italia pensiamo a come rispondere». Nel commento del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, è racchiusta tutta l’impotenza del governo italiano rispetto alle notizie che arrivano dall’India. Il no della Corte indiana alle richieste dei marò è piombata come una mazzata sui familiari dei due fucilieri di Marina. «Reputo che questa – dice la compagna di Massimiliano Latorre, Paola Moschetti – sia una enorme ingiustizia nei confronti di due uomini, nei confronti dei loro cari, dei militari e nei confronti di tutto il popolo italiano. Questa notizia ci ha colpiti profondamente. Non è facile». Secolo d’Italia gennaio Quanto al rientro in India previsto per il 13 gennaio di Massimiliano Latorre, Paola Moschetti spiega che «in questo momento non penso a questo, anche perché non abbiamo ancora assorbito il colpo». «La cosa che più far star male Massimiliano – precisa la compagna del marò – è Rispedirono i marò in India, ora i Monti-boys chiedono l’embargo del riso… Latorre dovrà rientrare il 13 Luca Maurelli «Abbiamo avuto ampie rassicurazioni», disse quel giorno il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura mentre ordinava ai due marò italiani di fare le valigie e tornarsene in India. Fu l’inizio della fine per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in balìa del governo Monti, più che di quello indiano: i due soldati finirono, per spirito di obbedienza, al centro di uno dei più grandi autogol che la storia della diplomazia italiana ricordi. Dì lì a poco, in segno di protesta contro la decisione assunta in prima persona da Mario Monti, si dimise il ministro degli Esteri Giulio Terzi. Di lì a poco, anche il governo dei bocconiani chiuse nel disonore la sua esperienza a Palazzo Chigi. Oggi i montiani, che si annidano ancora nelle segrete stanze del Parlamento, sono tornati alla carica forti di un ritrovato spirito patriottico. E nel giorno in cui ci arriva l’ennesimo schiaffo dall’India, con la bocciatura di tutte le richieste formulate dai due marò, Scelta Civica propone un’epocale guerra commerciale: il boicottaggio del riso basmati prodotto in India. Ci sarebbe da ridere, se la questione non fosse maledettamente seria. Nuova Delhi, in queste ore, è in subbuglio, serpeggia il terrore nelle piantagioni, i palazzi della politica tremano, il premier indiano, a quanto pare, se la sta facendo sotto. Il deputato Librandi va alla guerra del riso La guerra del riso nasce da queste argute riflessioni. «Sul caso dei due Marò la situazione è ormai oltre ogni limite, come ha anche sottolinea il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E pur nel rispetto della giustizia indiana e dei rapporti diplomatici tra Roma MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2014 che di solito le notizie le ha condivise con Salvatore, questa volta invece si trovano distanti». «Di certo – ha aggiunto – Massimiliano non sta in salute, non sta bene, questo è un dato di fatto». Quanto al fatto che almeno questo Natale Massimiliano sarà a casa, Paola dice che «questo non è assolutamente il nostro pensiero principale». «Non ci può essere – precisa – aria di festa: poteva esserlo se le cose fossero andate diversamente». «Sicuramente – ribadisce – non è giusto». Quanto alla necessità di continuare a essere forti, Paola conclude: «Episodi come questo di certo non contribuiscono a darci forza». e Nuova Delhi, è arrivato il momento di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su questa violazione dei diritti umani subita da due cittadini italiani ed europei», attacca il deputato di Scelta Civica, Gianfranco Librandi, che parla di sopruso violento da parte dell’India. Senza mai citare la decisione di Monti di inginocchiarsi agli indiani. Librandi ha un nuovo idolo: Ghandi. «Dobbiamo rispondere come avrebbe risposto lui, con una dimostrazione simbolica e non violenta. Asteniamoci, ad esempio, dal consumare riso basmati prodotto in India». Italiani, da oggi solo spaghetti, così i marò torneranno, forse. diano, l’Italia decideva di “rispettare” gli accordi raggiunti in precedenza e di rispedire a New Delhi i due marò accusati di avere ucciso due pescatori nel febbraio del 2012. Ecco cosa scriveva Palazzo Chigi: «Sulla base delle decisioni assunte dal Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, il governo italiano ha richiesto e ottenuto dalle autorità indiane l’assicurazione scritta riguardo al trattamento che sarà riservato ai marò e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Alla luce delle ampie assicurazioni ricevute, il governo ha deciso che torneranno in India domani». Oggi quel “trattamento” e quella tutela dei diritti umani si traduce nel diniego degli indiani perfino a lasciare che Latorre si operi in Italia, dopo l’ischemia subita. «La parola data da un italiano è sacra», disse De Mistura. Che oggi, per fortuna, si occupa di siriani. «La parola di un italiano è sacra» Solo un anno e mezzo fa accadeva l’irreparabile. Dopo una lunga trattativa col governo in- Benigni “teologo” su Raiuno: 33% di share. Rende di meno e costa di più MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2014 Lisa Turri Nove milioni di spettatori e il 33% di share per “I dieci comandamenti” di Roberto Benigni, il megashow andato in onda su Raiuno ieri sera (stasera la seconda puntata) e sui cui costi non è ancora stata fatta chiarezza (si parla di complessivi 4 milioni). Un risultato di tutto rispetto e però va sottolineato che l’attore perde colpi rispetto a La più bella del mondo, spettacolo sulla Costituzione italiana costato alla Rai 1 milione e 800mila euro, che ebbe il 46% di share nel 2012. Spettatori diminuiti anche rispetto alla bella performance sull’Inno di Mameli che caratterizzò Sanremo nel febbraio 2011 e che ottenne il 63% di share. Se ne potrebbe concludere che Benigni costa sempre di più ma rende sempre di meno in termini di pubblico. Le critiche di Aldo Grasso Ma non è l’unico appunto: il famoso critico televisivo Aldo Grasso fa notare ad esempio che i dieci comandamenti dicono già tutto nello loro essenzialità, Secolo d’Italia questura, della Banda della Magliana… possiamo cominciare”. Roma, comunque, “rimane la più bella città del mondo, sotto Natale poi, con gli addobbi, le decorazioni: ce ne sono tantissime, specialmente quelle bianche e blu lampeggianti che hanno messo sopra le macchine per farle vedere meglio, con quei suoni tipo cornamuse. In Campidoglio è pieno”. sono esempio di “limpidità e concisione”. Troppe parole attorno a quel decalogo rischiano dunque di apparire “ridondanti”. Un’impresa nella quale però, secondo Grasso, solo un Benigni poteva esercitarsi. “Parlo di Bibbia o di Rebibbia?” Nella prima serata dello show il comico ha approfittato dello scandalo Mafia Capitale per strappare qualche risata. Un’in- La Boldrini come Ponzio Pilato: di Galan se ne lava ancora le mani Alberto Fraglia Può un parlamentare agli arresti domiciliari da due mesi, dopo aver patteggiato per l’inchiesta sul Mose, nella quale è accusato di corruzione, essere rimosso dalla carica di presidente della Commissione Cultura della Camera? La risposta è No. Non si può. Lo spiega, facendo appello a tutta una serie di distinguo tra garanzie di ordine costituzionale e motivi di opportunità politica, il presidente Boldrini, rispondendo con una lettera al Corriere della Sera che aveva sollevato la questione. Il soggetto in discussione è l’on. Galan, ex presidente della Regione Veneto e deputato tuttora in carica, coinvolto in uno degli scandali più odiosi che 3 hanno infangato la reputazione del nostro Paese, oltre ad accentuare la sfiducia dei cittadini verso la politica e, nel caso di specie, verso le istituzioni. Davvero non si può far nulla? Ma è davvero vero che la Boldrini non possa far nulla? Siamo certi che quell’articolo 54 della Costituzione sia l’unico argine cui ci si possa appellare – come scrive lo stesso presidente – prevedendo esplicitamente che “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”, dal ché si deduce che per risolvere il problema c’è solo una possibilità: che sia lo stesso Galan a dimettersi? La que- sistenza forse eccessiva visto che il tema dello show lo avrebbe dovuto indurre a volare un più alto. “Il tema doveva essere la Bibbia, invece mi tocca parlare di Rebibbia”. Questa una delle battute, cui sono seguiti altri affondi: “Sono felice di essere a Roma, di vedervi tutti a piede libero: con l’aria che tira, siete gli unici in tutta la città, abbiamo fatto fatica a trovare tutte le persone incensurate”. E quindi: “Abbiamo avuto il permesso della Rai, della stione, in verità, non è così chiara , come da Montecitorio si vorrebbe far credere. Intanto, qui non si tratta di rimuovere Giancalo Galan da parlamentare. La Costituzione effettivamente non prevede la possibilità di rimuovere un parlamentare dalla sua carica ai fini di tutelarne la libertà di mandato, tranne il caso in cui intervenga una sentenza di condanna definitiva. E questo non è il caso di Galan. Atteggiamento pilatesco La questione della permanenza o meno nella carica di presidente di Commissione è, però, materia di natura squisitamente regolamentare. La Costituzione è altra cosa. Attiene, in sostanza, al di- “Fermiamoci o perdiamo l’anima” Poi si entra nel vivo del decalogo biblico: ecco allora Mosè salvato dalle acque, Dio che sceglie di rivolgersi proprio a lui, “un extracomunitario ricercato”, per intimargli di salvare il suo popolo fino alla chiosa finale: “I Comandamenti ci dicono di fermarci: siamo andati talmente di corsa con il corpo, che la nostra anima è rimasta indietro. Fermiamoci – è il monito con cui Benigni conclude – altrimenti l’anima ce la perdiamo per sempre”. ritto parlamentare. Ciò significa che sarebbe sufficiente introdurre nel regolamento della Camera una norma che preveda la rimozione del presidente di Commissione, quando questi è impossibilitato a presiederla per il semplice fatto che è agli arresti. Di più: agli arresti domiciliari per aver patteggiato. Non ci vuole molto per convocare gli organi parlamentari competenti (la Giunta del Regolamento) e studiare la relativa proposta di modifica da sottoporre, poi, all’Assemblea. Una simile iniziativa – creda, Presidente Boldrini! – avrebbe molto più senso dell’epistolare, pilatesco, piagnisteo del “vorrei, ma non posso”. Mafia Capitale, Carminati “folgorato” da Marino: meglio lui di Alemanno Secolo 4 Girolamo Fragalà La cupola. Mafia capitale. I legami tra politica e malavita. Gli affari. La pioggia di denaro. Trenta denari, il tradimento. Le ricostruzioni, le conferenze stampa. E lui, Massimo Carminati, l’ex terrorista Nar, arrestato mentre era in auto, considerato il personaggioprincipe. Il video di quando è finito in manette. Gli altri arresti, le dimissioni degli esponenti del Pd. Ma nella fantasia collettiva, grazie soprattutto ai titoloni sui giornali, Carminati – essendo il nero – era amico di Alemanno, come se fosse tutto collegato, tutto scontato, tutto già scritto. Poco alla volta la verità sta venendo a galla, non c’è collegamento politico, non c’è connivenza. Anzi, Carminati ne diceva di cotte e di crude su Alemanno, non lo sopportava, non ne aveva stima. Parlava male persino del figlio. Mentre per il nuovo sindaco di Roma, Ignazio Marino, una valanga di elogi L’intercettazione MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2014 d’Italia su Ale- manno Come riporta Libero, in una delle intercettazioni più interessanti dell’inchiesta (datata 13 giugno 2013), in un colloquio con Paolo Pozzessere, ex direttore commerciale di Finmeccanica, Carminati si esalta parlando di Ignazio Marino. Il primo passaggio è contro Alemanno: «Non ha fatto un cazzo, là non capiscono un cazzo, si è circondato di una banda di cialtroni. Il sindaco deve fare una cosa, fasse la squadra e basta, capito?». Evidentemente la squadra di cialtroni non era di suo gradimento, il che la dice lunga sul rapporto tra Carminati e i collaboratori dell’ex sindaco, un particolare che dovrebbe far riflettere. E a riflettere dovrebbero essere soprattutto coloro che costruiscono i teoremi sui grandi giornali. L’intercettazione su Marino Il nuovo inquilino del Campidoglio, invece, è di tutt’altra pasta, secondo il giudizio di Carminati: «Lo stanno sottovalutando, è una persona che ha fatto 300 trapianti, ha diretto un polo importante, dico, e tu vedi che comunque è uno che sa fare squadra. Lo sottovalutano – continuava Carminati – perché non vuole fare parte dell’apparato. Comunque, peggio di Alemanno non può fa. Poco ma sicuro…». Anche Forza Italia ha i suoi “fratelli coltelli”: così Fitto rischia la rottura Valeria Gelsi L’elezione del prossimo presidente della Repubblica, le regionali in Puglia, l’alleanza con Salvini. Sono i terreni dell’ultima fiammata interna a Forza Italia, con Raffaele Fitto e i fittiani da una parte e Silvio Berlusconi e la classe dirigente che gli si stringe intorno dall’altra. La questione Quirinale A far esplodere questo nuovo caso è stata la rivelazione del Cav secondo cui anche il tema del prossimo inquilino del Colle sarebbe nel patto del Nazareno. Lì, ha attaccato Fitto, si misurerà «la prima gravissima conseguenza delle scelte sbagliate» degli ultimi mesi ovvero la decisione di dialogare col governo sulle riforme. Per di più, è la lamentela, con un andamento ondivago. «Nei giorni pari ci dichiariamo opposizione, ma nei giorni dispari rilanciamo il “patto del Nazareno”», ha detto Fitto, che di quell’accordo non vorrebbe proprio doverne sentir parlare. Una posizione su cui si è schierato anche Renato Brunetta, che al Cav ha scritto una lettera aperta per dire che quelle di cui si discute «sono cattive riforme e, se dovessero andare in vigore, cannibalizzerebbero la democrazia». Il no alla candidatura in Puglia È stato in questo contesto che Fitto ha rifiutato l’offerta di candidarsi a governatore della Puglia che gli è arrivata dal Comitato per le Regionali, guidato da Altero Matteoli. Fitto l’ha voluta leggere come una provocazione, rimandando alla necessità delle primarie. Solo in questo modo si potranno evitare «sconfitte durissime come quelle subite in Emilia-Romagna e Calabria», è la convinzione dell’ex ministro, per il quale è in atto anche «un cedimento totale alla Lega, che non porterà alla vittoria di coalizione, ma solo a farci cannibalizzare». Matteoli lo invita a riflettere «Avrei preferito da parte di Fitto una riflessione più compiuta, prima di sparare un “no” immediato e sprezzante all’invito rivoltogli», ha commentato Matteoli, rassicurando il collega di partito sulla serietà della proposta e chiedendogli una «ulteriore riflessione». Di tutt’altro tenore, invece, l’intervento di Simone Furlan, membro dell’Ufficio nazionale di presidenza, che ha replicato all’impianto complessivo delle recriminazioni dell’ex governatore della Puglia: Fitto – ha detto – abbia «il coraggio di farsi un partito» proprio. Orrore in Pakistan: i talebani fanno strage di bambini in una scuola Secolo MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2014 Francesco Severini Nuovo sanguinoso e intollerabile attacco in Pakistan da parte di un commando di talebani che ha fatto strage in una scuola militare a Peshawar, nella zona nord-occidentale del Paese, che ospita 500 studenti tra i 7 ed i 14 anni. Il bilancio al momento è di 126 morti, tra cui un centinaio sono ragazzi tra i 6 e i 17 anni come ha tristemente riferito in una conferenza stampa il governatore della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, Pervez Khattak, che ha decretato tre giorni di lutto. Il messaggio dei talebani I talebani hanno rivendicato l’operazione come una rappresaglia per l’azione dell’esercito pakistano contro le loro roccaforti nel Nord Wazriristan, regione al confine con l’Afghanistan. «Abbiamo scelto con cura la scuola militare per l’attacco perché il governo ha preso di mira le nostre famiglie, e le nostre donne. Vogliamo far provare loro (ai militari) il nostro stesso dolore». L’attacco L’attacco, secondo testimoni oculari, è avvenuto intorno alle 10,30 locali, con l’irruzione dei dieci militanti, che indossavano uniformi d’Italia militari, e che hanno anche provocato una esplosione. Subito dopo è cominciata una sparatoria mentre alcuni allievi sono riusciti a fuggire all’esterno. Ingenti forze di sicurezza sono arrivate sul posto mentre l’edificio della “Army public school” è sorvolato da elicotteri dell’esercito. La scuola è frequentata da centinaia di studenti di tutti i gradi. L’alto bilancio di vittime è dovuto, secondo i media pachistani, al fatto che uno degli attentatori si è fatto ad un certo punto esplodere all’interno dell’edificio in una zona affollata e che poi i militanti hanno allineato un gruppo di studenti più grandi in una stanza, uccidendoli a bruciapelo. Secondo quanto raccontato da una fonte dell’esercito alla tv americana Nbc, i terroristi avrebbero dato fuoco ad un insegnante e costretto i bambini a guardarlo mente moriva. “Sono entrati in classe e gli hanno gettato della benzina su tutto il corpo e gli hanno dato fuoco”, ha raccontato il testimone. Il precedente: la strage dei cristiani Peshawar era stata teatro circa tre mesi fa di un altro sanguinoso attacco alla chiesa di Ogni Santi dove due talebani si erano fatti esplodere all’uscita dalla messa Marine Le Pen straccia tutti. Il suo popolo l’ha già incoronata “regina” Francesco Signoretta La coerenza paga, per i francesi è Marine Le Pen il personaggio dell’anno, la migliore, perché è stata ferrea nel contrastare il governo socialista, ha offerto idee alternative, ha difeso l’identità nazionale. Il sondaggio OpinionWay per il giornale Metronews non lascia alcun dubbuio: la presidente del Front National – secondo il 42 per cento dei cittadini – è la personalità che più ha segnato l’attualità politica in tutto l’arco del 2014. Al secondo posto arriva il premier Manuel Valls (39%), seguito dall’ex presidente Nicolas Sarkozy (36%). La Le Pen è anche colei che fra gli intervistati ha raccolto le maggiori indicazioni (il 30%) come «miglior oppositore del presidente della repubblica Francois Hollande». La campagna di delegittimazione e di criminalizzazione del Front National, portata avanti dalla sinistra francese ed europea, non ha prodotto alcun risultato, così come gli scoop fatti scoppiare a orologeria, come la vicenda del vicepresidente gay. Ancora polemiche sul caso Philippot Florian Philippot, vicepresidente del Front National, ha infatti denunciato una «gravissima violazione» della sua privacy dopo la pubblicazione sulla rivista Closer di foto che lo mostrano in compagnia di un uomo presentato come il “suo fidanzato”. «Sono arrabbiato – ha detto a France Inter – perché sono stato vittima, e non sono il primo, di una gravissima violazione della privacy. Che società è questa, in cui possono inseguirti, farti la posta per giorni, fotografarti a tua insaputa per diffondere foto al pubblico senza il tuo accordo? È una deriva che mi sembra gravissima, una specie di fuga in avanti verso un’americanizzazione alla quale eravamo finora sfuggiti». Un autogol che ha rafforzato Marine Le Pen 5 provocando una strage tra i fedeli cristiani con un macabro bilancio di 80 vittime. I terroristi rivendicarono l’azione affermando: «Tutti i non musulmani del Pakistan sono potenziali bersagli e continueranno a venir colpiti fino a quando l’America non metterà fine agli attacchi con gli aerei senza pilota sul nostro territorio». Il riferimento era ai raid dei droni statunitensi nel Nord del Wazriristan rioccaforte del Tehreek Taliban Pakistan (TTP), rete di gruppi di ribelli che hanno come obiettivo l’insediamento di uno Stato islamico. Il settimanale ha pubblicato su quattro pagine, la settimana scorsa, foto di Philippot a Vienna, in compagnia di un “giornalista tv” al quale era stato reso irriconoscibile il volto. Ricordando di aver «condannato molto chiaramente le foto di Julie Gayet e Francois Hollande» quando lo stesso settimanale pubblicò le foto del presidente della Repubblica con la sua presunta amante, Philippot ha parlato dell’omosessualità nel Fn. È difficile dirsi gay nel Front National, gli è stato chiesto: «No, affatto – ha risposto – nel Fn c’è di tutto, francesi che hanno delle convinzioni, un’analisi politica, che non sono determinati in base a non so quale determinismo sociale, sessuale, biologico». Un altro aspetto che rafforza Marine Le Pen, facendo cadere il castello di accuse sulla intolleranza del suo partito. Tra furbizie e tatticismi Renzi “usa” Prodi per aprire la corsa al Colle Secolo 6 Silvano Moffa Qualcuno lo ha definito il “gioco degli specchi”. Ma forse sarebbe meglio definirlo “il gioco delle convenienze”. Fatto sta che la visita di Romano Prodi a Matteo Renzi, tra indiscrezioni, conferme e smentite sul contenuto del lungo colloquio tra i due, si presta a più di una interpretazione. C’è chi vi intravede, non senza ragione, l’avvio di quella tortuosa e complicata questione Quirinalizia che agita il Pd quanto le altre forze politiche , di maggioranza e di opposizione. Sulla scelta del nuovo Presidente della Repubblica, una volta che Giorgio Napolitano avrà formalizzato le dimissioni ( a metà gennaio, secondo alcune fonti), si è di fatto aperta la grande partita. Una partita dalle mille implicazioni. E, proprio per questo, scandita da un tatticismo che si spiega, appunto, solo con ragioni di convenienza. Il ruolo di Berlusconi A Renzi conviene tenere sulla corda Berlusconi. Sa che l’ex Cavaliere non vuole essere emarginato dalla partita del Colle. Però ne teme l’azione di interdizione d’Italia mancanti all’appello, su cui si affossò la candidatura di Romano Prodi nella primavera del 2013. sulle riforme. Timore accentuato dal crescente malumore che si registra in una Forza Italia sempre più divisa e allo sbando. Non è un caso che il ministro Maria Elena Boschi non abbia escluso, nel caso in cui il Patto del Nazareno dovesse venir meno, il ricorso ad altre forze parlamentari per eleggere il nuovo Capo dello Stato. In questo caso la carta Prodi verrebbe tirata in ballo in chiave anti- Caprarica molla Agon Channel. L’editore: era abituato agli sprechi Rai Valter Delle Donne Finisce dopo poche settimane il rapporto tra Antonio Caprarica e Agon Channel, la tv albanese che aveva puntato sull’ex corrispondente della Rai di Londra come direttore delle news. «Mi sono dimesso per giusta causa, per la mancanza assoluta delle strutture e del personale minimi per mandare in onda e confezionare un tg. Se questa è la tv del futuro, io non intendo starci». Caprarica denuncia una situazione impossibile. «Ho fatto l’impossibile – dice – per assicurare la messa in onda del telegiornale ben 10 edizioni al giorno, del programma mattutino e degli approfondimenti quotidiani: il tutto con nove redattori. E basta. Non un producer, un autore, nemmeno una segretaria di redazione. E un solo apparecchio telefonico per tutti ma non una stam- MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2014 berlusconiana. Convenienza per convenienza, al premier conviene stringere in un angolo i dissidenti del suo stesso partito. La sola notizia dell’incontro Renzi-Prodi suona come una sorta di avviso ai naviganti; fuor di metafora, ai franchi tiratori che si annidano in Parlamento tra le file del suo stesso partito, che è esattamente lo stesso Parlamento che rifilò a Bersani l’amaro calice dei 101 voti Avviso ai franchi tiratori del Pd Ora che il nome di Prodi torna ad essere riproposto dalla minoranza del Pd, non si sa se con l’assenso o meno del Professore, Renzi ha voluto far capire che non intende farsi condizionare e che, se proprio si deve puntare su un cavallo di ritorno, condizioni permettendo, non si lascerà certo sottrarre la carta Prodi dalle mani. Quest’ultimo ha lasciato intendere, ancora una volta, di non volersi prestare ad una ennesima bruciatura e di gradire poco la nomination, prediligendo altre vie ed altre responsabilità sullo scacchiere internazionale. Sarà vero ? Chissà. La sensazione è che si tratti di una mezza verità. Un po’ come la fiaba di Esopo dell’uva e della volpe. Solo che qui ancora non si capisce nel gioco delle “convenienze” chi sarà il più furbo. pante…». «Pochi redattori e senza una troupe» Le lamentele dell’ex giornalista Rai non finiscono qui. «Gli studi di “livello hollywoodiano” vantati dall’editore – aggiunge Caprarica – sono solo uno specchietto per le allodole, utilizzato per inserzionisti ingenui. Bastano pochi esempi: le salette di montaggio del tg sono allestite in container nemmeno insonorizzati. Il Tg non ha uno studio, solo “virtuale”, non dispone di una sola troupe, e va chiuso e registrato almeno un’ora e un quarto prima per essere trasmesso a Roma, e da lì mandato in onda: spesso con notizie ormai superate». La replica del proprietario di Agon Channel, l’imprenditore romano Francesco Becchetti, non si è fatta attendere. «Quanto riferito non corrisponde in alcun modo alla reale situazione lavorativa della redazione. Evidentemente, il dottor Caprarica non ha saputo calarsi nel modello di business di Agon Channel, che punta alla qualità coniugata con l’efficienza. Questa è per noi, oggi, la Tv del futuro; forse il dottor Caprarica è rimasto alla Tv delle spese fuori controllo e del passato». Un anno fa l’addio al veleno alla Rai Il riferimento di Becchetti è all’addio, esattamente un anno fa, di Caprarica alla Rai. Anche in quel caso il rapporto professionale è finito tra i veleni. Il giornalista si era dimesso annunciando causa e de- nunciando «pressioni con metodi inammissibili e offensivi». Una denuncia che trovò l’immediata solidarietà dell’ex collega e ora senatore del Pd, Corradino Mineo. Dopo un’ispezione alla sede di corrispondenza di Londra con la contestazione di alcune irregolarità amministrative, «senza nemmeno aspettare una mia risposta mi ha convocato il direttore generale, dicendomi che se fossi andato via il procedimento disciplinare sarebbe decaduto. Io ho risposto che dalla Rai sarei uscito solo a testa alta». Da qui le dimissioni, la causa a viale Mazzini e la nuova avventura nella tv albanese. Ma un anno dopo il finale è lo stesso. La Marina militare ricorda l’impresa di Alessandria e l’eroismo italiano Secolo MERCOLEDì 17 DICEMBRE 2014 d’Italia Franco Bianchini La Marina Militare ha ricordato il 73.esimo anniversario dell’impresa di Alessandria, «episodio della Seconda Guerra mondiale che ha dato lustro all’Italia e agli uomini che la servirono». Nella notte tra il 18 e il 19 dicembre 1941 nel porto di Alessandria, in Egitto, vennero affondate le corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth: si trattò di una delle azioni più straordinarie, a danno della Royal Navy, della Regia Marina durante l’ultimo conflitto mondiale. L’arma segreta Un’impresa realizzata con un arma segreta – il siluro a lenta corsa (S.L.C.), più conosciuto come “maiale” – e grazie al coraggio e all’audacia degli equipaggi che lo pilotavano. Piccoli mezzi e “grandi” uomini che si addestrarono nel più assoluto segreto a Bocca di Serchio, nel pisano. Una preparazione molto dura, con immersioni di notte, senza ausili luminosi, e un’unica certezza: l’intesa perfetta con il proprio compagno d’equipaggio. l sommergibile Scirè La notte del 18 dicembre, il sommergibile Scirè comandato dal tenente di vascello Junio Valerio Borghese rilasciò a qualche miglia di distanza dal porto di Alessandria sei marinai a bordo di tre “maiali”. Gli obiettivi erano, appunto, le corazzate inglesi Queen Elizabeth e Valiant, oltre a una grande petroliera. Il capitano del genio navale Antonio Marceglia e il sottocapo palombaro Spartaco Schergat puntarono verso la Queen Elizabeth. Il capitano delle armi navali Vincenzo Martellotta e il capo palombaro Mario Marino verso la petroliera Sagona. Per il tenente di vascello Durand de la Penne e il capo palombaro Emilio Bianchi il bersaglio è la Valiant. La mattina del 19 dicembre le cariche poste dagli assaltatori italiani – i cui eredi sono oggi gli incursori e palombari del Combubin – esplosero sotto le carene delle navi nemiche. Le navi subirono danni ingenti e si adagiarono sul fondale del porto. Junio Valerio Borghese Ufficiale della Regia Marina, durante la seconda guerra mondiale Junio Valerio Borghese, avendo iniziato la carriera militare giovanissimo all’Accademia Navale di Livorno, specialista dei sommergibilisti, entrò a far parte della Xª Flottiglia MAS di cui divenne poi comandante e divenne noto per le audaci imprese nel Mediterraneo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 proseguì la guerra e aderì alla Repubblica Sociale Italiana svolgendo altresì la funzione di sottocapo di Stato Maggiore della Marina Nazionale Repubblicana. 25 anni fa la rivolta di Timisoara che portò alla caduta di Ceausescu Desiree Ragazzi “Oggi Timisoara, domani tutto il Paese”. Sono passati 25 anni dalla rivoluzione romena che portò al crollo del regime comunista. Il 1989 fu un anno storico: sotto il vento della protesta tutti i regimi dell’Est europeo uno dopo l’altro crollarono. Negli altri Paesi del blocco comunista il passaggio alla democrazia avveniva in quegli anni in modo pacifico: la Romania fu l’unico stato del Patto di Varsavia nel quale la fine del regime ebbe luogo in modo violento. A differenza degli altri capi di Stato, Ceauşescu non seguiva gli interessi sovietici, propendendo al contrario per una politica estera personale. Mentre il leader sovietico Michail Gorbaciov avviava una fase di profonda riforma dell’Urss con la Perestrojka, Ceauşescu imitava la linea politica, la megalomania e i culti della personalità dei leader comunisti dell’Asia orientale, come il nord-coreano Kim Il-sung. Nonostante la caduta del muro di Berlino e la sostituzione del leader bulgaro Todor Živkov con il più moderato Peter Mladenov nel novembre 1989, Ceauşescu ignorava i segnali che minacciavano la sua posizione di capo di uno Stato comunista nell’Europa dell’Est. La rivolta di Timisoara La scintilla scoppiò a Timisoara tra il 16 e il 17 dicembre del 1989, quando la protesta per il trasferimento del pastore protestante Laszlo Toekes, che aveva criticato il regime tramite i mass media stranieri, si trasformò in una rivolta popolare contro la dittatura. Le forze dell’esercito (Miliţia) e della Securitate, furono chiamate per sedare la protesta, ci furono cariche della polizia. La situazione a Timisoara divenne drammatica: spari, vittime, risse, automobili in fiamme, Tab che trasportavano forze della Securitate e carri armati. Il mattino del 18 dicembre il centro era sorvegliato da soldati e agenti della Securitate in borghese. Il sindaco Mot sollecitò una riunione del Partito all’Università, allo scopo di condannare il “vandalismo” dei giorni precedenti. Decretò anche l’applicazione della legge marziale, vietando alla popolazione di circolare in gruppi più numerosi di due persone. Sfidando i divieti, un gruppo di trenta giovani avanzarono verso la Cattedrale ortodossa, dove fluttuarono bandiere rumene cui era stato tagliato lo stemma comunista. Immaginando di venire crivellati dai fucili della Miliţia, i trenta manifestanti iniziarono a cantare “Deșteaptă-te, Române!” (l’attuale inno nazionale rumeno), all’epoca vietato dal 1947 e la cui esecuzione in pubblico era punita dal codice penale. 1104 le vittime della repressione I militari, raggiunti i giovani, fecero immediatamente partire una raffica di mitra che uccise alcuni di loro, ferendone gravemente altri. Solo pochi fortunati riuscirono a fuggire, mettendosi in salvo. Settantadue persone, in gran parte giovani, morirono per le vie di Timisoara. Subito dopo i cadaveri di oltre quaranta vittime furono portati nella capitale e cremati, nel tentativo di cancellare ogni traccia della rivolta. All’estero cominciarono a giungere notizie preoccupanti sulle vittime provocate dalla dura repressione del regime a Timisoara. Da quel momento la rivoluzione si allargò in tutto il Paese raggiungendo l’apice il 22 dicembre a Bucarest, quando il dittatore Nicolae Ceauşescu e la moglie Elena, sotto la pressione della folla di manifestanti davanti alla sede del partito comunista, fuggirono a bordo di un elicottero che atterrò a circa cinquanta chilometri da Bucarest. Successivamente furono arrestati, processati e fucilati tre giorni dopo. Il bilancio delle vittime della rivoluzione, se- Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale Editore SECOLO D’ITALIA SRL Fondatore Franz Turchi d’Italia Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76 Consiglio di Amministrazione Tommaso Foti (Presidente) Ugo Lisi (Vicepresidente) Antonio Giordano (Amministratore delegato) Italo Bocchino Antonio Tisci 7 condo i dati ufficiali, è di 1.104 morti e 3.552 feriti. Ma molti sostengono che furono decine di migliaia. In Italia l’iniziativa del Msi e del Fuan Con la prima firma del vicesegretario nazionale del Msi, Mirko Tremaglia i deputati missini presentarono una mozione sui fatti avvenuti in Romania nella quale chiedevano al governo di farsi promotore di un’iniziativa internazionale che portasse davanti all’Alta Corte di giustizia dell’Aja «tutti i regimi comunisti che in questi decenni hanno calpestato i diritti dell’uomo e dei popoli». Nell’interrogazione si affermava ancora che «non è accettabile che si tenti di scaricare su un tiranno come Ceausescu l’intera responsabilità degli orrori del comunismo che in ogni epoca e in ogni parte del mondo ha massacrato milioni di persone inermi, colpevoli solo di voler difendere la propria libertà e quella del proprio popolo. Lo stesso processo-farsa al quale è stato sottoposto Ceausescu è la riprova che il nuovo comunismo romeno è uguale a quello vecchio». In quegli stessi giorni il Fuan organizzò il primo convoglio italiano di soccorsi al popolo romeno. Il treno guidato dal presidente del Fuan Riccardo Menia attraversò il confine di jugoslavo-romeno per recare a Timisoara aiuti alimentari e sanitari. Direttore Editoriale Italo Bocchino Vicedirettore Responsabile Girolamo Fragalà Vicecaporedattore Francesco Signoretta Redazione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/68817503 mail: [email protected] Amministrazione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/688171 mail: [email protected] Abbonamenti Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/68817503 mail: [email protected] La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 250