1 Il rifiuto derivante da un maneggio –Letame : non è un
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1 Il rifiuto derivante da un maneggio –Letame : non è un
Il rifiuto derivante da un maneggio –Letame : non è un sottoprodotto ma un rifiuto di Avv. Rosa Bertuzzi Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-10-2012) 28-11-2012, n. 46304 A seguito ricorso presentato dal Presidente di una associazione che gestisce un maneggio , motivando che il letame non è un rifiuto, giustificando tale posizione con l’applicazione del regolamento CE 1774/2002 in ordine alla definizione dei sottoprodotti, sostiene che il letame deve considerarsi rifiuto solo se raccolto separatamente e trattato fuori sito, altrimenti deve considerarsi un sottoprodotto. La Suprema Corte, invece, cassando il ricorso, sostiene che L'allegato D alla Parte Quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006, (così come, in precedenza, l'allegato A al previgente D.Lgs. n. 22 del 1997) indica tra i rifiuti, con il codice CER 02 01 06, "feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito". In via generale ed in presenza delle condizioni richieste dalla vigente disciplina, dette sostanze sono rifiuti. Ecco la sentenza : Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con ordinanza 16.11.2011 ha rigettato il riesame proposto da C.N. contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari e riguardante un'area di 2.000 mq. condotta in locazione dalla A.S.D. Grifondoro amministrata dal C.S. il Tribunale sussistevano sia il fumus del reato di cui al D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. e convertito con modifiche nella L. n. 201 del 2008 sia il periculum in mora (trattandosi di attività di deposito non occasionale e di scarico ripetuto di letame di origine equina e di altri rifiuti urbani e speciali e sussistendo il rischio che la libera disponibilità dell'area possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati). Per l'annullamento del provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il C., deducendo con quattro articolati motivi plurime violazioni di legge nonchè il vizio di motivazione, osservando sostanzialmente che non si trattava di rifiuti pericolosi o speciali e di non avere inteso assolutamente realizzare o gestire una discarica mancandone del tutto le caratteristiche organizzative essendo egli il Presidente di una Associazione che gestisce un maneggio; afferma comunque che si trattava in realtà di una situazione di deposito temporaneo e infine rimprovera al giudice di merito di non avere motivato sulla ricorrenza dei presupposti del reato e sulla sussistenza delle ragioni cautelari. Motivi della decisione 1. Col primo motivo si deduce la violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006 in relazione al suo allegato D. Il ricorrente non contesta l'esistenza in loco del materiale rinvenuto ma insiste nel negare che il letame sia da considerarsi rifiuto e in proposito richiama l'allegato D 1 del D.Lgs. n. 152 del 2006 nonchè il codice C.E.R. 02 01 06 e la normativa Europea (Regolamento CE n. 1774/2002 in ordine alla definizione dei sottoprodotti) osservando che - in base alla suddetta normativa - il letame costituisce rifiuto solo se raccolto separatamente e trattato fuori sito, altrimenti deve considerarsi un sottoprodotto. Rileva inoltre il carattere provvisorio del deposito precisando di non avere intenzione di disfarsi del letame, destinato però ad essere sistemato altrove; passa poi ad elencare una serie di massime riguardanti l'utilizzazione agronomica degli effluenti da allevamento. Rileva inoltre che i costanti controlli eseguiti dall'ARPAC nel limitrofo corso d'acqua Fontana Pila non avevano riscontrato accumuli di materiale. Quanto agli altri materiali rinvenuti, si limita a menzionare solo il piccolo cumulo di materiale edile, deducendo la sua estraneità al fatto e addebitando lo scarico ai terzi trattandosi di area facilmente accessibile dalla strada. 2.Col secondo motivo il C. deduce il vizio di violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, al D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. e) convertito con modifiche nella L. n. 201 del 2008, al D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1 lett. g), recante attuazione della Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti. Lamenta in sostanza l'errore nel qualificare la condotta nella fattispecie del reato di discarica non autorizzata, mancandone tutti i presupposti richiesti. E attraverso un'ampia illustrazione, si sofferma sui concetti di abbandono, deposito incontrollato e discarica individuandone gli elementi costitutivi. Insiste poi nell'escludere qualsiasi forma di inquinamento ambientale. 2 Col terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 321 c.p.p. perchè nel caso di specie non sussisteva nè il fumus dei reato contestato (D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. e)) nè il periculum in mora. Passa quindi ad elencare una serie di accertamenti che il Tribunale avrebbe dovuto compiere e che avrebbero portato ad escludere che il letame fosse un rifiuto pericoloso e che vi fosse la volontà di creare una discarica. 3 primi tre motivi - che ben si prestano ad una trattazione unitaria investendo tutti la violazione di legge in ordine alla natura dei prodotto e la sussistenza di presupposti per la misura cautelare reale - sono infondati. 4 In materia di applicazione di misure cautelari reali, nella verifica dei presupposti per la emanazione del sequestro preventivo di cui all'art. 321 e.p.p., comma 1, il giudice del riesame deve valutare il fumus commissi delieti tenendo conto delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, non occorrendo la sussistenza degli indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato (Cass. 15/7/08, n. 37695). Il provvedimento di sequestro preventivo, anche se adottato ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen., comma 2 deve essere adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza del presupposto del "fumus commissi delicti”, consistente nell'astratta configurabilità, nel fatto attribuito all'indagato e in relazione alle concrete circostanze indicate dal P.M., dell'ipotesi criminosa cui è correlata la confisca, senza che rilevi la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, richiesta invece per le misure cautelari personali (cfr. cass. Sez. 6, Sentenza n. 36710 del 26/06/2008 Cc. dep. 24/09/2008). L'allegato D alla Parte Quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006, (così come, in precedenza, l'allegato A al previgente D.Lgs. n. 22 del 1997) indica tra i rifiuti, con il codice CER 02 01 06, "feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito". In via generale ed in presenza delle condizioni richieste dalla vigente disciplina, dette sostanze sono rifiuti (cass. Sez. 3, Sentenza n. 5039 del 17/01/2012 Ud. dep. 09/02/2012). Nel caso di specie gli elementi presi in esame dal Tribunale appaiono senz'altro sufficienti ai fini dell'accertamento della sussistenza del fumus, trattandosi degli accertamenti compiuti in loco dal Corpo Forestale (da cui emergeva nell'area in questione la presenza diffusa di letame di origine equina e di rifiuti urbani e speciali, in parte interrati, presumibilmente tutti non pericolosi, quali buste e bottiglie di plastica, imballaggi, pezzi di ferro bottiglie di vetro, un esteso cumulo di lana di vetro ed un piccolo cumulo di materiale edile). 2 Le analitiche considerazioni contenute nel ricorso circa la natura del letame (se trattasi di rifiuto o di sottoprodotto) appaiono infondate. Come questa Corte ha avuto già modo di precisare (cfr. tra le varie, cass. Sez. 3, Sentenza n. 10711 del 28/01/2009 Cc. dep. 11/03/2009 Rv. 243107), in base al D.Lgs. n 152 del 2006, art. 183, lett. p) come modificato dal Decreto correttivo n. 4 del 2008 (art. 2, comma 20), sono sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale ed avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3, ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato. La sussistenza delle condizioni dianzi indicate deve essere contestuale. La mancanza di una sola di esse rende il residuo di produzione soggetto alla disciplina sui rifiuti. E nel caso in esame, la coesistenza di tali condizioni non si rinviene, e soprattutto non risulta dimostrato il reimpiego diretto, essendosi l'indagato limitato a dichiarare che il letame sequestrato era in attesa di essere sistemato altrove. Sulla natura e sullo scarico degli altri materiali (ad esempio sull'esteso cumulo di lana di vetro, sui pezzi di ferro, sulle bottiglie, sugli imballaggi) il ricorrente non ha svolto specifica attività difensiva essendosi limitato a dichiararsi estraneo allo scarico, ma tali deduzioni sono in conferenti: nella applicazione di misure cautelari reali non occorre infatti la prova della riferibilità del reato all'indagato, essendo per contro sufficiente la sussistenza di gravi indizi in ordine alla esistenza del fatto materiale oggetto di contestazione (cass. Sez. 3, Sentenza n. 24428 del 25/05/2011 Cc. dep. 17/06/2011). Il procedimento cautelare trova infatti la sua ragione nella necessità di evitare che le conseguenze del reato siano protratte nel tempo, incrementate in intensità oppure di ostacolare la commissione di ulteriori illeciti penali; per la applicazione della misura occorre che siano sussistenti elementi che rendano ipotizzarle il reato per il quale si procede, ma non è richiesto, tra i presupposti legittimanti il sequestro, che la gravità degli indizi di colpevolezza siano a carico di un soggetto individuato, tanto è vero che il vincolo reale può essere disposto in procedimento contro ignoti (cfr. cass. Sez. 3, Sentenza n. 35312 del 08/06/2011 Cc. dep. 29/09/2011). Di conseguenza, in questa fase cautelare è del tutto irrilevante che il reato sia attribuibile all'attuale ricorrente o ad altri soggetti essendo questa problematica di esclusiva competenza del Giudice del procedimento principale. 3. L'ultimo motivo - riguardante un vizio di motivazione - è inammissibile. Il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge (art. 325 c.p.p.), in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, (tra le varie, cfr. cass. Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. dep. 26/06/2008; Conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933; cass. Sez. 5, Sentenza n. 43068 del 13/10/2009 Cc. dep. 11/11/2009). Nel caso in esame si addebita in particolare al giudice la mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione in ordine ai molteplici profili di contestazione dell'ipotesi di accusa (erronea 3 qualificazione del letame nella categoria dei rifiuti, presenza del letame e degli altri materiali all'interno della proprietà, qualificazione del materiale come rifiuto pericoloso o meno, insussistenza dei presupposti temporali della fattispecie di discarica abusiva, temporaneità del deposito). Il Tribunale di Santa Maria C.V. con l'ordinanza impugnata descrive la natura dei materiali rinvenuti e, nell'ambito di una valutazione necessariamente sommaria giustificata dalla natura del provvedimento, qualifica il materiale come rifiuto. Ai fini della individuazione del reato considera, anche sulla scorta dei rilievi fotografici eseguiti dalla polizia giudiziaria, l'estensione e il degrado dell'area, le modalità del deposito di materiale e l'eterogeneità dello stesso, ritenendolo sintomo di una condotta non occasionale e di uno scarico ripetuto; evidenzia altresì l'irrilevanza del fatto che trattasi di rifiuti non pericolosi osservando che per l'integrazione della fattispecie contestata (realizzazione e gestione di discarica non autorizzata) non si richiede nè la contaminazione dell'ambiente nè la natura esclusivamente pericolosa dei rifiuti. E infine motiva anche sul pericolo osservando che la libera disponibilità può aggravare o protrarre le conseguenze del reato sull'area in sequestro che è anche, passibile di confisca D.L. n. 172 del 2008, ex art. 6. Trattasi di motivazione congrua, priva di vizi logici e quindi certamente sottratta al sindacato in questa sede. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 4