La civiltà dell`acqua

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La civiltà dell`acqua
La civiltà dell’acqua
Rodolfo M. A. Napoli
Perché Civiltà dell’Acqua, perché riservare alla molecola indispensabile
per la vita su questo pianeta la considerazione che merita la definizione di
civiltà?
Una scelta così forte deve trovare una giustificazione altrettanto forte
sia nei fatti sia nelle prospettive: lo scopo di questa breve dissertazione non
vuole, né può essere, peraltro, quello di dimostrare la congruità di questa
ipotesi, ma quello di fornire spunti sia per nuove ipotesi di lettura degli
scenari attuali e immediatamente futuri, sia per ridefinire gli obiettivi
culturali che l’Università deve perseguire.
Iniziamo dalla definizione di Civiltà: collazionando le definizioni
riportate nei dizionari1 della nostra lingua, per parlare di Civiltà dell’Acqua
occorre definire i termini temporali e la sua capacità di caratterizzare lo
sviluppo delle arti, delle scienze, dell’economia e delle relazioni sociali
1
“L’insieme delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo (o di più
popoli tra loro affini) di un’età anche preistorica, quale la rivelano le scoperte paletnologiche e
archeologiche” – Salvatore Battaglia, Il Grande Dizionario della Lingua Italiana
“L’insieme delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di
un’età” – Aldo Gabrielli, Grande Dizionario Illustrato della Lingua Italiana
“Il complesso delle strutture e degli sviluppi sociali, politici, economici, culturali che
caratterizzano la società umana/ Le strutture culturali che caratterizzano una data società o
un dato periodo nella storia della società” – Nicola Zingarelli, Vocabolario della Lingua
Italiana
1
“…In principio c’era l’acqua…”
Parlare di una Civiltà ed iniziare dalla cosmogonia potrebbe sembrare
presuntuoso; è però indispensabile, considerato il ruolo che in tutte le
cosmogonie viene attribuito all’Acqua!
Leggiamo nella Genesi, che per noi rappresenta la fonte culturalmente
più vicina: “quando la Terra era una massa senza forma e vuota, lo spirito del
Dio degli Ebrei aleggiava sulle acque, non esistevano né cielo ne terraferma
finché Dio non separò le acque che sono sotto il firmamento da quelle che
sono sopra il firmamento e comandò:Le acque che sono sotto il cielo si
raccolgano tutte in un solo luogo”2
Spostandosi dal Giordano alle rive del Nilo, la cosmogonia eliopolitana
poneva la pre-creazione in un infinito inerte e cupo di acque oscure fin
quando Atun non creò la volta celeste, lo spazio e la terra; il mondo era
concepito come una bolla d’aria sospesa nelle acque primordiali e in
comunicazione con queste attraverso le acque che cadono dal cielo e quelle
che sorgono dalla terra: questa continua intrusione tra il non creato e il
creato era il motore di un perenne rinnovamento creativo e la momentanea
perdita di equilibrio nei rapporti tra l’umano e il divino si manifestava
attraverso piogge distruttici e piene fuori tempo;
Spingendosi fino alle rive del Gange, per la cosmologia vedica3 in
principio non c’era che il nulla; tutto era avvolto dalla morte (Mrtyu) e dalla
fame; dal canto di adorazione di Mrtyu si produssero le acque e dalla loro
schiuma rappresa si formò la terra;
Attraversando il Pacifico e arrivando nello Yucatan, per la cosmogonia
Maya “all’inizio vi era sola la calma acqua, il mare placido, solitario e
tranquillo…vi erano solo immobilità e silenzio nell’oscurità, nella notte…gli
2
Genesi, I, 9
3
Upanisad Vediche - Brhadaranyaka Upanisad, 2° Brahmana
2
dei erano nell’acqua circondati dalla luce… dalle acque emersero le montagne
e le valli…i corsi di acqua furono divisi, i ruscelli corsero liberamente fra le
colline e le acque si separarono quando sorsero le alte montagne”4;
Concludendo il nostro viaggio alla Mecca, il Corano attribuisce
all’Acqua un’importanza ancora più estesa; sono atti divini, infatti: la
creazione delle sorgenti5, la creazione dall’acqua degli animali6 e degli
uomini7, la regolazione del ciclo idrologico8, la possibilità di far crescere,
sempre grazie all’acqua, palmeti e vigneti9;
Al termine del nostro viaggio non può non constatarsi la sostanziale
unitarietà sul ruolo dell’Acqua nelle diverse cosmogonie ieratiche e la stessa
sostanziale unitarietà si ritrova nel sacrale. Infatti, il ruolo cosmogonico
dell’Acqua è stato la base della liturgia della purificazione, e la paura della
sua potenza devastatrice ha da sempre alimentato la speranza di potere
attivare, attraverso riti propiziatori, meccanismi esoterici di interferenza con i
fenomeni naturali. Nel corso dei secoli la dedica rituale ha subito modifiche
formali ma caratterizza tuttora, sotto tutte le latitudini, le pratiche devozionali
per scongiurare la siccità, la piena dei fiumi, la furia del mare.
Da queste considerazioni risulta che l’Acqua e non la Terra può essere
definita, a buon diritto, la Grande Madre; ma questa conclusione deve
rimanere confinata nella pura speculazione metafisica oppure può trovare
riscontro anche nella realtà? Il modello della cosmogonia scientifica del Big
Bang può fornire una risposta.
Semplificando, ovviamente, l’esposizione, all’origine l’Universo era
4
Popol Vuh, capitolo 1
5
Sura XLI, versetto 9
6
Sura XXIV, versetto 44
7
Sura XXV, versetto 56
8
Sura XXIII, versetto 18
9
Sura XXIII, versetto 19
3
condensato in una piccola sfera cosmica di fuoco, con una temperatura
intorno al miliardo di miliardi di gradi. Non esistevano atomi, molecole o
qualsiasi cosa che potrebbe paragonarsi a quella che noi chiamiamo materia.
Circa sei miliardi di anni fa avvenne la Grande Esplosione e l’Universo
comincio ad espandersi raffreddandosi; dopo circa un milionesimo di secondo
si
condensarono
i
protoni;
dopo
qualche
centinaio
di
secondi,
con
temperature vicino ai tre miliardi di gradi, i protoni e i neutroni
incominciarono a combinarsi tra di loro formando, per nucleosintesi, diversi
elementi leggeri: Elio-4, il litio e il boro-11. Quando la temperatura scese a
circa 4.000 °C, i nuclei acquisirono la capacità di catturare e trattenere
elettroni: ed ecco formati i primi atomi di idrogeno, la storia dell’Acqua ebbe
inizio!
Dopo questa fase iniziale di espansione e raffreddamento, senza il
verificarsi di altri fenomeni, il Big Bang aveva esaurito con il boro la capacità
di costruire altri elementi; venne fortunatamente in aiuto la forza di gravità.
All’interno delle nubi diffuse formate dalla materia sintetizzata dal Bing Bang,
il combinato effetto delle differenze di densità (anche se inizialmente
impercettibili) e della forza di gravità consentirono la formazione di ammassi
amorfi più densi (le nebulose), all’interno delle quali si condensarono
ammassi più piccoli (le galassie). Questo processo di collassamento della
materia su se stessa produceva un riscaldamento; le stelle cominciarono ad
accendersi nell’Universo e a produrre per nucleosintesi l’ossigeno e gli
elementi necessari per la costruzione dei pianeti. L’eventuale trasformazione
in supernovae delle stelle giunte al termine del processo di combustione
ridistribuiva nello spazio cosmico gli elementi formatisi e così nell’Universo,
all’idrogeno e all’elio generati nel Bing Bang primordiale, si aggiunse come
terzo l’ossigeno generato dall’idrogeno nell’evoluzione stellare; l’unione di
questi due elementi generò nei vuoti siderali la prima molecola: H2O.
Ormai si erano formati tutti gli ingredienti per dar principio alla
formazione e all’evoluzione delle nebulose e così, 4,6 miliardi di anni or sono,
4
a seguito del collassamento di un ammasso di gas all’interno di una nube
molecolare si formò il nostro disco stellare (la nebulosa solare)10, ed iniziò la
formazione
planetesimi11,
dei
che,
aggregandosi,
diedero
luogo
alla
formazione dei pianeti.
Dovevano trascorrere ancora molte centinaia di milioni di anni prima
che il processo evolutivo del nostro pianeta potesse giungere allo stadio in cui
lo conosciamo. Continuando il processo di raffreddamento, nell’arco di circa
50 milioni di anni, il ferro, di cui era fatto in gran parte in nostro pianeta,
affondò nel nucleo, mentre gli elementi più leggeri (silicio, alluminio, calcio,
magnesio,
sodio,
potassio e ossigeno) formarono un crosta rocciosa
galleggiante in superficie come le scorie sul ferro fuso nel crogiuolo. In mezzo
a tutto questo materiale roccioso vi erano anche i composti volatili: idrogeno,
azoto, solfuro di idrogeno, ossido di carbonio e acqua. Il processo di
degassamento
provocato
dal
progressivo
raffreddamento
determinò
la
solidificazione della roccia e la formazione di un’atmosfera costituita
prevalentemente da anidride carbonica, azoto e vapore acqueo; l’idrogeno,
troppo leggero per essere trattenuto dal campo gravitazionale terrestre, venne
a poco a poco disperso nello spazio.
Nel processo formativo la Terra rimase avvolta nel vapore fin quando un
giorno, compreso tra i 4,4 e i 4 miliardi di anni fa, la temperatura raggiunse
finalmente un valore sufficiente basso perché il vapore potesse condensare: si
formarono le nubi e “le acque della terra furono separate dalle acque del cielo”.
10
Quando un ammasso di gas collassa all’interno di una nube molecolare, incomincia a ruotare
appiattendosi fino a formare un disco. La maggior parte della materia si raccoglie nel nucleo
centrale e viene incorporata nella stella nascente, il residuo rimane nelle regione periferica
del disco dove fornisce il materiale necessario per la formazione dei pianeti
11
L’accrescimento di gas e polveri nella nebulosa solare determinò la formazione di corpi
rocciosi minori denominati planetesimi, di dimensioni variabili da quelle di un ciottolo fino a
quelle della Luna. Questi planetesimi sciamanti nella nebulosa solare diedero luogo a
disastrose collisioni e i detriti così generati andarono a formare un singolo oggetto più grande
grazie alla sua stessa azione gravitazionale
5
La nostra dimora nel cosmo era ormai pronta: un pianeta azzurro ricoperto
dall’acqua per più di due terzi della sua superficie e dai ghiacci per più di un
ventesimo. Ma di tutta questa enorme quantità di acqua soltanto il 2,5 % era
di acqua dolce, per la maggior parte immobilizzata nelle calotte polari e nei
ghiacciai delle montagne. Rimase disponibile per gli animali e le piante che
popolarono le terre emerse soltanto un centesimo dell’uno per cento12,
fortunatamente continuamente rinnovato grazie al ciclo idrologico13
Nel confrontare la cosmogonia scientifica con quelle ieratiche non può
disconoscersi
la
preveggenza
di
queste
ultime,
preveggenza
che
si
approfondisce ulteriormente considerando che gli Antichi Greci avevano
ipotizzato che Gaia (la Madre Terra) fosse emersa dal Caos, etimo della parola
“gas”, e fu proprio dal gas che si formò la nebulosa solare e da essa il Sole e
12
I volumi di acqua presenti sulla terra sono stimati in complessivi 1,360 miliardi di km3, così
suddivisi:
97,5% (1.365 milioni di km3) di acque marine;
68,9% (24,115 milioni di km3) bloccati nei ghiacciai e nelle calotte polari;
30,8% (10,78 milioni di km3) nel suolo e nelle falde acquifere;
0,3% (0,105 milioni di km3) nei laghi, nei mari interni e nei fiumi;
13
Nel 1674 in francese Pierre Perrault, avvocato e geologo dilettante, dimostrò che i fenomeni
dell’evaporazione e della precipitazione sono “sufficienti ad alimentare sorgenti e fiumi per
tutto l’anno” (P. Perrault, l’Origine des Fontaines, in The Beginnigs of Modern Scienze, a cura
di H. Boynton, Walter Black, New York, 1948).
Il ciclo idrologico ha come unico motore il calore solare che attiva l’evaporazione dalle
superfici degli oceani (circa 875 chilometri cubici l’anno) e dalla terra ferma (circa 160
chilometri cubici al giorno); le successive precipitazioni restituiscono alla terra l’acqua
evaporata. La differenza tra precipitazioni ed evaporazione sulla terra ferma individua la
quantità di acque dolci disponibili per i laghi, i corsi di acqua e le altre riserve idriche interne.
Queste acque superficiali, prevalentemente restituite agli oceani attraverso i fiumi,
contribuiscono al bilancio del ciclo ideologico planetario per circa 100 chilometri cubici al
giorno. Ovviamente le condizioni puntuali interferiscono notevolmente con la velocità del ciclo,
generando così le enromi differenze che si riscontrano passando dai deserti alle foreste
pluviali.
6
tutti i pianeti del sistema solare14.
Ma le riflessioni su queste coincidenze non vogliono essere sostegno
all’ipotesi di una rivelazione divina ma solo riprova che il ruolo attribuito
dall’Uomo all’Acqua sin dai primordi della storia del pensiero, le viene
riconosciuto anche dalla Scienza, e che è ragionevole ritenere che se di Civiltà
dell’Acqua si può parlare, il suo inizio coincide con quello della Civiltà
dell’Uomo.
“…Alone, alone, all, all alone
Alone on a wide wide sea!…”15
In tutte le culture, sotto tutte le latitudini i poeti, i pittori, gli scultori si
sono da sempre rivolti all’Acqua come fonte di ispirazione e come simbolo per
esprimere i sentimenti più diversi e profondi; una disamina, per quanto
veloce, richiederebbe competenze ben più fondanti di quelle di chi scrive, e
opere senza dubbio più ponderose di questa breve dissertazione.
Però, proprio perché così ampio e diffuso è il ricorso all’Acqua nel Mito e
nell’Arte, oso richiamare l’attenzione del paziente lettore su quei riferimenti e
quelle immagini ormai patrimonio della cultura comune.
Come, infatti, non riconoscere all’Acqua il ruolo di creatrice della
bellezza nello splendore della nascita di Venere dalla spuma del mare, e della
sua caducità nella morte di Narciso? Quale simbolo, più efficacemente
14
Il termine scientifico “gas” fu introdotto dal medico fiammingo G. B. van Helmost (1577-1644)
per indicare una sostanza sottile, ch’egli riteneva unita ai corpi e che designava con un
termine derivato dal latino chaos (greco χaοσ) “materia informe”. La voce francese gas e gaz
risale al 1670 ma acquistò il significato moderno nella seconda metà del ‘700 con gli studi di
J. Priestley(1733-1804) e di A. L. Lavoiser (1743-1794).
15
“…Solo, solo, io solo in quel deserto, solo nella distesa ampia del mare” – La ballata del
vecchio Marinaio, Parte IV, 3° strofa – Samuel T. Coleridge, 1798
7
dell’Acqua, potrebbe esprimere la tormentosa solitudine del rimorso del
Marinaio di Coleridge oppure l’ansiosa consapevolezza di dovere affrontare se
stessi del Capitano Achab? Quale elemento, se non l’Acqua, potrebbe
realizzare lo stesso senso di pace e di serenità dell’immagine riflessa del Taj
Mahal? Come potrebbero esprimere lo stesso senso di ricchezza e di potere le
regge di Versailles e di Caserta se private delle fontane monumentali che
fanno eco alla magnificenza degli spazi interni? Come Omero avrebbe potuto
esprimere il tormento e il travaglio della conoscenze se non affidando Ulisse al
capriccio di Nettuno? Vi può essere una manifestazione della collera divina
più agghiacciante della visione delle truppe del Faraone travolte nei gorghi
del Mar Rosso, o di quella dei Cavalieri Teutonici inghiottiti dalle acque gelide
del lago Peipus16? Come potere immaginare la saga dei Nibelunghi senza le
acque del Reno, legame metafisico con la Gran Madre alla quale restituire alla
fine del proprio ciclo tutto ciò che si è avuto17? Quale immagine poetica più
significativa potrebbe rappresentare il passaggio dalla vita alla morte con
maggior sgomento dello Stige?
“…E vidi Tantalo patire pene terribili, ritto nell’acqua che gli
arrivava fino al mento; stava là in piedi, assetato: ma non
poteva né attingere e bere…”18
Nel tracciare la storia dell’Uomo il progresso e la conquista del
benessere possono essere scanditi dalla sua crescente capacità nel realizzare
opere idrauliche capaci di assicurare una sempre maggior fruibilità delle
risorse idriche.
Le prime comunità sorsero sulle rive di fiumi o di laghi, per poter così
soddisfare le proprie esigenze di acqua potabile. Grazie al progredire delle
16
Aleksandr Nevskij – regia di Sergej M. Ejzenstein, 1938
17
Nibelunghi, XIX Avventura, 1137
18
Omero - Odissea, XI, 582-587
8
conoscenze dell’Idraulica e delle tecniche costruttive, sulle rive del Nilo, del
Tigri, del Tevere, del Gange, del Fiume Giallo, sorsero grandi civiltà che ci
hanno lasciato come retaggio culturale e scientifico quasi tutta la gamma
delle tipologie delle opere idrauliche oggi conosciute, tanto numerose quante
le qualità dell’acqua che, per dirla con Plinio, “quali dei mortali potrebbe
enumerarle tutte?”19
Per comprendere il livello di conoscenze di Idraulica già acquisite in
epoche remote, e di grande aiuto iniziare la nostra breve carrellata partendo
dal Nilo.
Per la vicinanza del deserto e la scarsità delle precipitazioni, l’Egitto
cercò di sruttare al massimo l’effetto fertilizzante delle piene periodiche del
Fiume: la loro fluttuazione era causa di cattivi raccolti e di carestie. Fu chiaro
agli scribi che esisteva una correlazione tra il livello del fiume e la superficie
delle terre inondate; fu così creata una rete di nilometri20 che consentivano di
correlare i dati sperimentali e, in funzione di questi, di programmare
l’estensione delle terre da coltivare e le misura da approntare per fronteggiare
eventuali carestie. L’esistenza dei nilometri era nota nel mondo antico (il
geografo Strabone ci ha lasciato una descrizione del nilometro dell’isola di
Elefantina ad Assuan21)e durante il califfato la rete di nilometri fu mantenuta
19
Plinio, Naturalis Historia XXXI, 1
20
La misurazione del livello del corso del Nilo si effettuava già al tempo delle prime dinastie. Da
semplici segni sulle rocce al margine del fiume si passò a costruzioni specializzate. La forma
più comune consisteva in una galleria con una serie di scalini che scendevano fino al fiume.
Altre volte erano rampe o pozzi scavati a terra e messi in comunicazione con lo strato
sotterraneo del Nilo. Persino il lago sacro del tempio di Dendara servì da Nilometro: le scale
agli angoli misuravano il livello dell’acqua.
21
Strabone (63 a. C. – 21 d. C.) descrisse il nilometro dell’isola Elefantina come “una scala
chiusa che si addentrava nel Nilo”. La scala è composta da 90 gradini che arrivano al fiume e
sulle cui pareti sono segnati i gradi che davano il livello della piena, scritti in demotico, in
greco e in arabo. I livelli critici di Assuan erano 94 metri (indice massimo) e 91,5 metri (indice
minimo). Entrambi provocavano danni; più temuto era quello minimo poiché preannunziava
un anno di carestia.
9
in efficienza ed implementata22 per raccogliere i dati previsionali per il calcolo
delle imposte.
Ma i meriti delle piene del Nilo non si fermano soltanto allo sviluppo
della metodologia per il controllo del regime delle piene; esse ebbero anche
come beneficio secondario, ma non certo trascurabile, quello dello sviluppo
della matematica (fino alle equazioni ad una incognita) e della geometria
(relazioni tra gli angoli e i lati di un triangolo) sollecitato dalla necessità di
rideterminare i confini delle proprietà delle terre allagate dalla piena del Nilo.
Sviluppo altrettando notevole ebbero le opere di captazione delle acque
sotterranee. Già in epoca Micenea venivano relizzate gallerie drenanti23 che
alimentavano vasche di attingimento, protette da edifici spesso di notevole
importanza architettonica per preservare la qualità dell’acqua24. L’esempio
più articolato di opere di presa lo si ritrova a Corinto, dove le fonti di Peirene
inferiore e superiore, Glaukè e l’impianto di Lerna venivano alimentate da
camere di drenaggio realizzate in una falda freatica che presentava una giusta
alternanza di strati permeabili ed impermeabili. Le camere vennero realizzate
con pendenza minima sull’orizzontale, in modo da evitare ristagni e
consentire lo spillamento dell’acqua da tutti gli strati permeabili.
L’approvvigionamento da pozzi ha, però, coperto in larga misura il
fabbisogno idrico in tutti i periodi dell’antichità. Le conoscenze empiriche
22
Nell’VIII secolo d. C. fu costruito sull’isola di Rodah (Il Cairo) un nilometro dove la scala venne
sostituita da una colonna graduata infissa in un pozzo profondo messo in comunicazione con
il Nilo attraverso una rete di canali.
23
La scaristà di acque superficiali spinse i Greci
a sviluppare la tecnica delle opere di
captazione. Un’opera di presa si articolava tipicamente nel complesso delle gallerie drenanti
e nel complesso delle opere esterne (detto krene) per consentire la protezione delle acque e
l’attingimento.
24
Le krenai più famose sono: Clessidra, sul versante settentrionale dell’Acropoli di Atene; Minoe
a Delo; Gola Castalia, a Delfi; Eneakrounos ad Atene, costruita dai figli di Pisistrato
10
sulle caratteristiche dei suoli e delle falde freatiche erano note da tempi
remoti; soltanto molto tempo dopo Vitruvio25 e Plinio26 (che per tali questioni
si rifece a lui) codificarono le indicazioni necessarie per lo scavo e la
manutenzione dei pozzi, ricavate da osservazioni empiriche27. Già da allora la
difficoltà nella costruzione dei pozzi determinò il costituirsi di una vera e
propria categoria professionale di scavatori di pozzi28 che si tramandavano le
conoscenze in famiglia; anche la ricerca dell’acqua era considerata un’arte
che godeva di grande considerazione. I pozzi venivano scavati a mano, a
sezione circolare di un diametro compreso tra i 90 e i 100 cm; era nota la
tecnica del rivestimento (anche se non sempre praticata) con pietre grazze o
legno; nella seconda metà del V secolo a. C. si incominciò a rivestire le pareti
dei pozzi con anelli di terracotta formati da 3 o 4 segmenti uniti tra loro con
grappe o strisce di piombo.
Per facilitare il sollevamento dell’acqua sotterranea si sfruttò già dall’età
arcaica il principio della leva applicato ad un bilanciere al quale veniva
sospesa ad un’estremità una pietra come contrappeso. Più efficace era senza
dubbio la carrucola, già conosciuta all’epoca di Aristotele, che trovava
applicazione nei verricelli azionati a mano o con ruote a pedali in installazioni
25
Vitruvio, VIII 1, 1-7 e 6, 12-13
26
Plinio, Naturalis Historia, XXXI, 3, 26 e segg.
27
I due autori danno indicazioni sugli strati geologici e sugli acquiferi, sui tipi di roccia e di
sabbia, sui depositi di argilla, di creta o di marna, tutte basate su osservazioni empiriche.
Per lo scavo di un pozzo, Vitruvio, oltre a consigliare di procedere con metodo, si limita a dare
due indicazioni basate su osservazioni sperimentali ma stupecenti per la loro attualità:
utilizzare pietro grezze per il rivestimento dei pozzi “affinché le vene acquifere non vengano
ostruite”, e fare attenzione al pericolo di fuoriuscita di gas, che si può controllare con
lampade accese. Entrambi gli autori sottolineavano, inoltre, i benefici effetti della ventilazione
dei pozzi.
28
Ad Atene un intero casato prendeva nome da questa professione, i Phreorychoi, paragonabili
ai romani putearii.
11
più complesse29. L’invenzione delle pompe rappresentò un progresso tecnico
di grande importanza; in alcuni pozzi sono state recuperate pompe romane a
mano a doppio stantuffo30.
Nelle zone aride del Medio e dell’Estremo Oriente, in ambito siropalestinese e in Egitto, laddove le condizioni geologiche lo permettevano,
l’approvvigionamento idrico fu assicurato con la tecnica delle Qanate31. Nota
anche ai Greci e ai Romani, che però non la utilizzarono, questa tecnica fu
diffusa dagli Arabi nell’Africa Settentrionale, in Sicilia e in Spagna.
Le tecniche messe a punto nell’antichità per l’approvvigionamento
idrico subirono pochi miglioramenti fino al secolo scorso; degni di nota sono
lo sfruttamento dell’energia eolica per le gigantesche norie32 realizzate per
alimentare la reggia di Versailles e la proposta di utilizzare il vapore per il
funzionamento delle idrovore previste nel progetto che il Genio del Regno di
29
Prima della costruzione di un apposito acquedotto, le terme stabiane venivano alimentate da
un pozzo, profondo circa 20 metri; la catena del pozzo veniva sollevata con un tamburo a
pedale, sostituito successivamente con una ruota a pedale, che permetteva di attingere da 30
a 60 litri al minuto. L’invenzione di questa tecnica è attribuita a Filone di Bisanzio (seconda
metà del III secolo a. C.), De Ingeniis Spiritualibus V.
30
A nord delle Alpi sono state rinvenute numerose pompe manuali basate tutte sullo stesso
principio. Si tratta di pompe a pressione a doppio stantuffo, i cui orifizi di aspirazione, cilindri
e la colonna montante erano fabbricati ad arte con legno di quercia. Le valvole impiegate per
esercitare la pressione e per aspirare, erano formate da lembi di pelle inchiodati ad uno dei
due lati e rinforzati. Generalmente i cilindri della pompa erano rivestiti in piombo. Gli
stantuffi, invece, erano di legno. Per migliorare le resa, agli stantuffi venivano applicate
guarnizioni in pelle, fissate al bordo inferiore con rondelle di legno
31
La tecnica delle Qanate può paragonarsi a quella delle moderne trivellazioni petrolifere
effettuate con i wildcats. Consisteva nello scavo di un pozzo madre per cercare acqua
freatica, e quindi in una serie di gallerie orizzontali risalendo dal punto di erogazione fino
alla zona del cosiddetto pozzo madre. Venivano poi scavati altri pozzi, distanti tra i 20 e i 50
metri l’uno dell’altro, con diverse funzioni: per mantenere la direzione prestabilita nella
galleria, per poter accedere ai tratti di galleria per controllarli e ripararli, per la ventilazione e
per la pulizia e la manutenzione delle Qanate
32
Pietro Guerrini, Viaggio in Europa, Disegno 77, Editrice Leo S. Olschki,
12
Napoli predispose per la bonifica dei Regi Lagni. In ogni caso le validità delle
opere di presa è rimasta immutata: basti pensare che Madrid fu alimentata
fino al secolo scorso in parte con acqua di Qanate e Teheran fino al 1930
soltanto con l’acqua di dodici Qanate.
Anche nella tecnica acquedottistica i nostri Antenati raggiunsero
notevoli livelli. Canali e condotte in pressione sospesi o in galleria, tubazioni
in terracotta, in bronzo o in piombo, bacini di sedimentazione, vasche di
accumulo, sfiatatoi, produzioni normalizzate di tubazioni e pezzi speciali,
misero in grado di trasportare e distribuire portate idriche già dal III secolo a.
C., svincolando, così, lo sviluppo delle città dalla limitatezza delle risorse
idriche disponibili localmente. Il primo esempio di opera acquedottistica è il
celebre tunnel in roccia di Siloé che portò l’acqua a Gerusalemme, lungo 512
metri, fatto costruire nel VII secolo a. C. da re Ezechia. La seconda opera, di
gran lunga più importante se si rapporta alle risorse costruttive disponibili al
tempo, è l’emissario del lago di Albano, realizzato dagli Etruschi nel V secolo
a. C.; è costituito da un tunnel in roccia lavica, lungo 1.200 m che, passando
sotto l’odierna Castel Gandolfo, porta ancora oggi le acque del lago vulcanico
agli impianti irrigui della campagna sottostante e consente di evitare le
catastrofiche inondazioni conseguenti l’innalzamento del livello del lago33.
È con i Romani che le esperienze acquisite sia dai Greci che dagli
Etruschi, furono perfezionate
fino a giungere a criteri di progettazione
prossimi a quelli oggi adottati34. Evitando uno sterile elenco delle opere
33
Negli strati lavici che formano le pareti del cratere vulcanico, gli Etruschi scavarono un tunnel
che, puntando verso Sud Ovest, sbocca in campagna presso Le Mole. Lungo 1.200 metri, è
largo poco più di 1,5 metri ed ha un’altezza variabile tra i 2 e i 3 metri.
34
Misurando le pendenze degli acquedotti romani, risulta un’inclinazione media delle condutture
dell’1%; detti valori sono in linea con i criteri di progettazioni attualmente adottati e con i
suggerimenti e le misurazioni di Vitruvio (VIII 6, 1 e 5). Secondo l’Autore Latino la pendenza
doveva raggiungere ¼ di piede ma non superare ½ piede ogni 100 piedi. Bisogna
sottolineare che i costruttori Romani dimostrarono la capacità di superare anche situazioni
particolarmente difficili: infatti, nell’acquedotto che alimentava Priene, una città costruita
13
acquedottistiche
basti
pensare
che
Roma
veniva
alimentata
con
11
acquedotti35 che si sviluppavano per una lunghezza complessiva di circa 500
chilometri e convogliavano una portata di 1.158.555 m3/d. Gli acquedotti più
lunghi furono realizzati per alimentare Cartagine (132 chilometri) e Miseno
(Acquedotto del Serino, 96 chilometri); la maggiore altezza fu raggiunta
nell’acquedotto di Nimes (48,77 metri).
I serbatoi non sono inferiori agli acquedotti per magnificenza. Sempre a
Roma, nell’area delle Terme di Caracalla, fu realizzato il più grande serbatoio
del mondo antico, capace di contenere nelle sue camere disposte lungo due
navate parallele e su due piani sovrapposti, ben 80.000 m3.
Ma le realizzazioni tecniche più straordinarie rimangono senza dubbio
gli sbarramenti fluviali realizzati sia per approvvigionamento idrico sia per la
difesa del suolo, e le opere marittime. Basti citare come esempio: la diga di
sbarramento in pietra realizzata tra il XIV e il XIII secolo a. C. dai Micenei
presso Kofini e Tirinto, per proteggere alcune zone della città dal trasporto
solido particolarmente intenso del fiume; il molo frangiflutti in pietra,
all’inizio dell’età ellenistica sulle scoscese pendici del monte Micale, si raggiungevano
pendenze del 10%, limite quasi inconcepibile per tubazioni in terracotta.
35
Le caratteristiche degli acquedotti che alimentavano Roma sono:
N.
1
Acquedotto
Aqua Appia
312 a.C.
16,0
2
Anio Vetus
272 a.C.
64,0
175.920
3
Aqua Marcia
144 a.C.
91,0
187.600
4
Aqua Tepula
125 a.C.
17,8
17.690
5
Aqua Iulia
33 a.C.
21,6
46.820
6
Aqua Virgo
19 a.C.
20,9
134.080
7
Aqua Alsietina
2 a.C.
32,8
15.580
8
Aqua Claudia
38-52
69,0
184.220
9
Anio Novus
38-52
87,0
189.520
10
Aqua Traiana
Aqua
Alexandriana
109
58,0
113.100
226
22,0
21.025
11
Datazione
Lunghezza [km]
500,1
Portata [m3/d]
73.000
1.158.555
14
realizzato a Samo in pieno mare aperto nell’età arcaica; la diga ad arco lunga
per 2.010 m realizzata ad Homs, in Siria, in età imperiale36.
Ma dopo circa quattromila anni di intensa attività nel campo delle opere
idrauliche, il Medioevo ripudiò l’Acqua con l’unica eccezione dell’Islam che
sviluppò tecniche raffinate di utilizzo dell’acqua per scopi bioclimatici come
nelle Torri del vento (Baud Geers), apparse in Iran intorno al X secolo d. C.
Bisognò aspettare il XVIII secolo37 per vedere ripartire con pieno vigore lo
studio dell’Idrauliche e lo sviluppo delle grandi opere; ai primi del ‘900
iniziarono in Cina gli studi per la realizzazione dello sbarramento Tre Gole38;
nei primi decenni dello stesso secolo fu realizzato l’Acquedotto Pugliese per
risolvere la millenaria carenza idrica della Puglia e negli stessi anni fu portata
a termine la bonifica delle paludi Pontine. Ma nonostante tutti questi successi
vi è ancora una larga parte della popolazione mondiale che è ben lungi dal
vedere risolto il problema dell’approvvigionamento idrico!
“Le cose che usiamo di più e con una certa frequenza per il corpo
concorrono in misura rilevate alla salute, l’acqua e l’aria sono
36
La diga venne realizzata con un muro doppio in pietra ed anima in calcestruzzo, basalto e
pietra da taglio; altezza max di pelo libero: 6,1 metri; larghezza min della diga alla base: 14
metri; larghezza max in sommità: 7,01 metri; rapporto base/altezza: 1/2,3; modalità di
prelievo: scarico in canali. Per avere un’idea della grandiosità della realizzazione, basti
pensare che attualmente la diga più lunga è la Grande Diga realizzata in Cina, lunga 2.100
metri circa (cfr. nota n. 37).
37
Nel corso della prima metà del XVIII secolo, BELIDOR compilò un manuale di idraulica
applicata in 4 volumi che ha rappresentato l’opera più importante nel settore.
38
Lo sbarramento delle Tre Gole, realizzato sul Fiume Giallo, comprende 3 dighe in serie delle
quali la prima a monte è anche nota come la Grande Diga, lunga 2.100 m, con un salto di
circa 90 m, con una portata di sfioro di 80.000 m3/s, formerà un lago artificiale il cui asse è
lungo circa 600 Km; è attualmente la più grande diga del mondo. L’energia elettrica prodotta
dalle dighe delle Tre gole nelle previsione coprirà il fabbisogno di energia elettrica di 1/3
della nazione.
15
appunto elementi di questo genere.”39
L’Uomo si avvide ben presto che, tra gli usi primari dell’acqua, vi era
anche quello igienico ed incominciò a porre molta attenzione alle precauzioni
da prendere per assicurare la potabilità delle risorse idriche. Ben presto, ci si
rese conto delle difficoltà e dei costi necessari per proteggere la potabilità
dell’acqua e si giunse ad una divisione tra acqua potabile ed acqua per usi
comuni: secondo Aristotele questa distinzione era un segno del grado di
civilizzazione degli abitanti di una città40. Questa consapevolezza del valore
dell’acqua non rimase relegata ad un mero giudizio morale, ma si
concretizzava in pene41 ampiamente giustificate perché l’esercizio degli
acquedotti di distribuzione cittadina (vere e proprie reti di distribuzione) era
tale da consentire l’applicazione di questo criterio.
A
Roma
nella
stessa
epoca
vennero
realizzati
due
sistemi
di
distribuzione idrica: uno era alimentato con l’acqua dell’Anio Novus (acqua
fluviale) di libero consumo per gli usi professionali e produttivi, l’altro, che
correva parallelo al primo, era alimentato con l’Aqua Claudia e riforniva i
Romani di acqua potabile. Questa soluzione non era limitata esclusivamente
a Roma: l’altro esempio di acquedotto distinto ritrovato ad Arles42, infatti,
autorizza a ritenere che questa soluzione veniva comunemente adottata
ovunque la disponibilità di acqua potabile era appena sufficiente.
L’attenzione delle Autorità non si limitava esclusivamente a controllare
e punire gli abusi dell’usus privatus, ma era anche sollecita ad assicurare un
39
Aristotele – Politica, 1330b
40
“…Perciò negli stati ben governati, se le sorgenti non sono tutte parimenti pure e non c’è ne
abbondanza, si deve tenere separata l’acqua potabile da quella degli altri usi…” – Aristotile –
Politica, 1330b
41
Pausania racconta delle pene inflitte a Tenaro che contaminò una sorgente per lavare una
parete macchiata- Periegesi, III, 27, 8.
42
Ad Arles è stato studiato un secondo caso di acquedotto separato: una delle due condutture
parallele alimentava con acqua potabile diretta ad Arles, l’altra alimentava con acqua
16
efficiente usus publicus: un decreto del Senato Romano ordinava “agli addetti
al rifornimento idrico di controllare che l’acqua scorresse dalla fontane,
possibilmente senza interruzioni, di giorno e di notte per le esigenze del
popolo”43. Al popolo l’erario assicurava un’adeguata dotazione idrica anche
per i bagni pubblici, per gli stabilimenti termali, per le scuole, per i centri
sportivi, per i luoghi di svago (naumachie, laghi artificiali, piscine, arene), per
le installazioni militari, per le fontane ed abbeveratoi distribuiti lungo le vie di
comunicazione, per l’irrigazione delle coltivazioni pubbliche, per il servizio
antincendio.
Ad
un
quadro
normativo
così
dettagliato
(e
senza
dubbio
all’avanguardia se paragonato a quello dei nostri giorni) faceva eco una
gestione amministrativa altrettanto efficiente, il cui unico limite era costituito
dall’obiettiva
difficoltà
tecnica
di
misurare
le
portate.
Grazie alla quantità di dati fornitaci da Frontino, sappiamo che il servizio di
distribuzione elaborava un bilancio dei consumi, esercitava un’efficace azione
per eliminare i collegamenti abusivi, calcolava la tassazione utilizzando come
unità di misura il diametro44 delle tubazioni di erogazione non essendo in
grado di misurare la velocità delle portate.
Altrettanto progredita era la gestione tecnica! Gli acquedottisti romani
avevano ben chiare le necessità impiantistiche delle reti di distribuzione e,
infatti, riuscivano ad assicurare l’erogazione idrica in ogni punto della città,
di giorno e di notte; le quote delle sezioni terminali degli acquedotti esterni
venivano stabilite in modo da sovrastare il punto di erogazione più alto; grazie
ai castella dividicula45, organizzati in più livelli le portate di punta venivano
comune un grande mulino.
43
Frontino, 104.
44
L’unità di flusso, chiamata quinaria, indica in realtà soltanto una sezione circolare di circa 6,7
cm2, più tardi aumentata a 41,1 cm2. La quinaria veniva anche usata come diametro di
riferimento per misurare i diametri delle tubazione che venivano prodotte in venticinque
misure fondamentali.
45
I castella dividicula erano dei serbatoi di distribuzione; quelli di primo ordine erano ubicati
17
modulate; venivano impiegate valvole per gli allacciamenti delle utenze e
valvole di svuotamento, rubinetti di passaggio, di blocco e di miscelazione con
doppi attacchi (forse per acqua calda e fredda); venivano utilizzati la stoppa, il
cuoio e il piombo come guarnizioni, la cera e la pece come sigillanti.
Per tutelare la salute pubblica nelle città non era sufficiente assicurare
un’adeguata dotazione idrica potabile: la chiave del successo della città
romana, non era soltanto la capacità e la possibilità di pianificare gli
insediamenti, ma soprattutto la consapevolezza di realizzare le infrastrutture,
e tra queste, prima di ogni cosa, veniva realizzata la rete fognante. Il
tracciamento delle strade era quindi funzione delle pendenze che le fognature
dovevano avere, ed implicitamente veniva così assicurato anche il deflusso
delle acque meteoriche. La validità dei criteri di progettazione che venivano
adottati è testimoniata dal fatto che le fognature realizate dai romani hanno
continuato a svolgere la loro funzione per secoli: la Cloaca Massima realizzata
per prosciugare la zona del Foro nel IV secolo a. C. ha continuato a svolgere
le sue funzioni per oltre duemila anni!
Tanta
preveggenza
non
ha
avuto
buoni
discepoli;
la
nozione
fondamentale che la realizzazione degli acquedotti deve procedere di pari
passo con quella delle fognature o comunque non precederla, non sempre
viene rispettata; non possono tacersi alcuni esempi all’attenzione di tutti nel
nostro paese: in Puglia l’Acquedotto Pugliese non solo realizzò gli acquedotti e
le reti fognanti contemporaneamente, ma nel 1936, sotto l’indirizzo della
Scuola di del prof. Girolamo Ippolito, realizzò a Foggia la prima stazione
sperimentale per la depurazione delle acque reflue; a Venezia fu realizzata la
rete di distribuzione dell’acqua potabile ma i canali rimasero e sono l’unico
recapito delle acque reflue domestiche esaltando i ben noti fenomeni di
inquinamento dei quali ogni anno, all’inizio dell’estate, puntualmente si parla;
alla periferia delle città; all’interno delle stesse, a seconda delle necessità, venivano
realizzati castella di dimenioni minori che venivano collegati direttamente con i castella a
monte. Non si può stabilire se i castella siano un’invenzione di epoca imperiale, oppure di
18
i 35 Comuni del Bacino del Sarno sono quasi completamente privi di reti
fognanti e scaricano le acque reflue domestiche ed industriali nel reticolo
idrografico!
All’inizio dell’era cristiana vi erano, quindi, tutte le condizioni per
soddisfare pienamente le idee di Aristotele sulla città ben governata: vi erano
tutte le condizioni ed i mezzi per assicurare alla popolazione un dotazione
idrica sufficiente e potabile. Con il passare dei secoli, purtroppo, questa felice
condizione si è andata perdendo e con essa le condizioni igieniche;a tutt’oggi
siamo ben lungi dall’aver raggiunto la capacità di tutelare la salute dell’uomo.
Ogni anno nel mondo sono 250 milioni le persone che contraggono malattie
per la mancata potabilità dell’acqua, e di queste, purtroppo, circa 10 milioni
perdono la vita come conseguenza. Il colera è la malattia più grave con
epidemie ancora oggi particolarmente concentrate nelle favelas della America
Latina. Altrettanto disastrosa è la diffusione della schistosomiasi, una
malattia di cui oggi soffrono oltre duecento milioni di persone in una
settantina di paesi. Sempre alle carente disponibilità di acqua potabile è
anche da attribuirsi il permanere nei Paesi in via di sviluppo di focolai di
malattie altrettanto gravi come: la malaria, la draconcolosi e il morbo del
legionario.
Tracciando un bilancio del progressi raggiunti negli ultimi 2.000 anni,
dobbiamo riconoscere che forse siamo addirittura regrediti nella politica
dell’acqua sicura: l’unico punto a favore lo si deve alle nuove tecnologie che
hanno messo a disposizione delle tecniche acquedottistiche materiali
innovativi che accoppiano all’economicità il pregio della facilità di impiego e
manutenzione.
epoche precedenti, attesa la mancanza di ritrovamenti archeologici.
19
“…venit vilissima rerum hic aqua…”46
Al tempo di Orazio, quando a Roma veniva assicurata una dotazione
idrica di circa 500 litri/ab*d, in Puglia l’acqua veniva venduta a caro prezzo
suscitando lo stupore dei viaggiatori. Da quel tempo fino ai primi anni del
secolo XX nulla era cambiato: nel capoluogo pugliese ancora ci si
approvvigionava di acqua potabile acquistandola da venditori ambulanti!
È indubbio che una tale situazione dia la stura ad una serie di
domande: queste diversità sono un fenomeno diffuso oppure limitato a poche
aree geografiche; come queste diversità hanno influenzato ed influenzano lo
sviluppo economico, quali tensioni la diversa disponibilità di acqua ha
generato, genera o potrebbe generare; che cosa si deve fare per evitare
l’acuirsi e il degenerare di questi punti di tensione.
Non pretendo certo di poter dare una risposta esaustiva a questi
interrogativi che vedono impegnati i migliori intelletti del mondo, ma vorrei
fornire elementi di riflessione, sempre fidando sulla benevolenza del paziente
lettore.
Seguendo la saggia impostazione degli economisti, cerchiamo di definire
preliminarmente l’offerta e la domanda.
Per poter valutare l’offerta ricorriamo, in prima approssimazione, ad un
modello estremamente semplificato di ipotizzare che l’evaporazione e le
precipitazioni siano uniformemente distribuite. In questa ipotesi: grazie alla
maggiore superficie occupata dagli oceani, le acque marine contribuiscono
per la quasi totalità alle portate evaporate; le terre emerse sono gratificate da
precipitazioni che superano di gran lunga le portate che dalle stesse
evaporano; un’aliquota delle precipitazioni sulle terre emerse viene restituita
agli oceani così rapidamente da non poter essere utilizzata. Applicando
questo modello, secondo le stime più recenti, i risultati in termini aggregati
possono essere così riassunti: ogni anno evaporano 500.000 Km3 di acqua
46
Orazio – Satira V, Ricordo di un viaggio, 87-88
20
che vengono restituiti come precipitazioni meteorologiche; di queste soltanto
119.000 Km3 ricadono sulle terre emerse (ad una media di poco meno di
1.000 mm/anno); il 35% delle precipitazioni sulle terre emerse viene restituito
attraverso i fiumi agli Oceani; in conclusione le risorse rinnovabili
teoricamente disponibili sarebbero 77.000 Km3/anno.
Se così fosse, l’offerta potrebbe soddisfare ampiamente la domanda;
purtroppo lo scenario reale è ben più complesso e contiene variabili non
determinabili. Volendo limitarsi ad una caratterizzazione di queste variabili,
possono essere raggruppate nelle seguenti categorie:
-
distribuzione geografica delle risorse idriche disponibili;
-
variabilità temporale delle precipitazioni;
-
inquinamento delle acque superficiali e delle falde;
-
alterazioni del bilancio idrico per trasformazione diretta del sistema di
rete (costruzioni di serbatoi, dighe, canali artificiali, ecc.);
-
alterazioni meteorologiche indotte da trasformazioni territoriali
(disboscamenti, laghi artificiali, sbancamenti).
La caratteristica principale dello scenario reale è la sua dinamicità e la
discrasia temporale tra cause ed effetti; alle difficoltà, quindi, di valutare
queste variabili, si affianca, purtroppo, la insufficiente durabilità dei dati che
non consente l’utilizzo degli strumenti pianificatori. A riprova di quanto detto
valgano alcuni esempi di interventi sul ciclo delle acque che hanno
determinato o determineranno modificazioni non previste e/o non prevedibili:
la progressiva desertificazione delle terre coltivabili in Egitto causata dalla
diga di Assuan; la diminuzione delle piogge a Ranchipur determinata dalla
sostituzione di superfici boscate con superfici coltivate (intervento sollecitato
dal desiderio di sfruttare l’elevata resa agricola dei suoli dovuta all’elevata
piovosità, che proprio per quest’intervento, sta diminuendo); i cambiamenti
climatici che determinerà la creazione del grande lago artificiale della Grande
Diga in Cina.
Costretti, quindi, a rimanere ad un livello di stima di dimensioni
21
continentali, i dati dell’UNESCO del 1999 indicano una distribuzione di
risorse idriche che assegna: all’Asia il 36%, al Sud America il 26%, al Nord
America il 15%, all’Africa l’11%, all’Europa l’8% e all’Australia il 5%.
La situazione, purtroppo, non è migliore quanto si passa alla
valutazione della domanda; anche in questo caso lo scenario reale è
caratterizzato da variabili non determinabili che possono essere così
raggruppate:
-
variazione dei consumi idrici;
-
aumento della popolazione servita;
-
variazioni della distribuzione delle popolazioni;
-
incremento delle superfici dedicate all’agricoltura.
Pur trattandosi di sistemi senza dubbio più facilmente monitorabili di
quelli ambientali, proprio nei Paesi in via di sviluppo, dove maggiore è la
velocità di trasformazione, la mancanza di un’adeguata infrastruttura
amministrativa è un ostacolo insormontabile al reperimento di dati attendibili
ed esaustivi. Anche in questo caso si è costretti, allora, a limitarsi ad
un’analisi qualitativa; dai dati aggregati risulta che su base mondiale il 70%
dei consumi idrici è per uso agricolo, il 22% per uso industriale e l’8% per uso
domestico; le percentuali cambiano notevolmente in funzione del reddito: per
i paesi a reddito elevato diventano rispettivamente: 30%, 59% e 11%, per i
paesi a reddito medio-basso si modificano così: 82%, 10% e 8%. Con questi
riferimenti l’Unesco ha stimato per il 1999, una domanda di acqua così
distribuita
su
base
continentale:
Asia=60%,
Sud
America=6%,
Nord
America=9%, Africa=13%, Europa=13% e Australia<1%.
Confrontando l’offerta e la domanda, pur con tutte le approssimazioni e
le limitazioni messe in evidenza, emerge una considerazione drammatica: il
disavanzo nella distribuzione tra offerta e domanda è destinato ad aumentare
con
velocità
molto
maggiori
di
quelle
prevedibili;
il
processo
di
industrializzazione, causerà contemporaneamente l’aumento della domanda
per soddisfare le nuove esigenze e la diminuzione dell’offerta per effetto
22
dell’inquinamento che produrrà; il continente più vulnerabile è l’Asia dove
maggiore è l’incremento di domanda, dove maggiori attualmente sono le
carenze e dove minore è la disponibilità relativa di risorse; è privo di
significato demonizzare l’industrializzazione come causa prima della crisi
dell’Acqua perchè significa ignorare che i maggiori consumi sono destinati
all’agricoltura per compensare il deficit alimentare dei Paesi in via di sviluppo.
Questi pochi elementi sono comunque sufficienti per prevedere che la
tensione caratterizzerà tutti i possibili scenari nel caso che questa dissennata
corsa non si fermi o comunque non rallenti. La storia insegna che fin
dall’antichità la risorsa idrica è stata argomento di strategia e/o di conquista:
nel VI secolo a.C., Sennacherib prima e Assurbanipal dopo, distrussero i
pozzi e gli acquedotti per indurre alla resa Babilonia; gli Alleati bombardarono
le dighe nella seconda guerra mondiale; in Iraq e in Kuwait furono distrutti gli
impianti di dissalazione47 e gli acquedotti durante la prima e la seconda
guerra del golfo; il presidente turco Ozal, alla fine degli anni ’90, utilizzò la
diga di Ataturk per minacciare la Siria in caso di appoggio alle popolazioni
ribelli di nazionalità curda.
La paura che l’Acqua diventi obbiettivo strategico non preoccupa
quanto quella che l’Acqua diventi obiettivo di guerra. Anche in questo caso ci
sono esempi premonitori di guerre non risolte e pronte a riaccendersi e di
guerre che continuano a mietere vittime innocenti: lo scontro sulle acque del
Nilo fra Egitto e Sudan nel 1958; il colpo di stato del Lesotho nel 1986,
appoggiato dal Sudafrica per il controllo di alcuni fiumi; le tensioni fra
Turchia, Siria ed Iraq per le dighe sui fiumi Tigri ed Eufrate; le acque dello
Zambesi contese fra Botswana, Zimbwawe, Zambia e Mozambico; le acque del
Rio Grande, oggetto di conflitti politici fra Stati Uniti e Messico. Ma il conflitto
più importante e drammatico, foriero di catastrofi epocali, è quello che
insanguina il Medio Oriente per il controllo dei territori occupati, dai quali
47
L’embargo sull’importazione di solfato d’alluminio comportò il blocco degli impianti rimessi in
marcia.
23
Israele ricava circa il 40% del suo fabbisogno idrico. Entro il 2010, secondo le
stime degli stessi israeliani, il deficit idrico del Paese salirà a 360 milioni di
m3, mentre quello della Giordania si avvicinerà ai 200 milioni di m3 e quello
della Cisgiordania a 140 milioni di m3; considerato che: il fiume Giordano è
l’unica fonte di approvvigionamento per tutti e tre i Paesi, che in un anno
buono può fornire solo 1,4 miliardi di m3 e che il suo sfruttamento e già al
limite,
quale
possibile
soluzione,
come
amministrare
il
diritto
alla
sopravvivenza?.
“…Mi piace il lavoro, mi affascina. Potrei stare per ore seduto ad
osservarlo…”48
L’Acqua esiste prima che il nostro pianeta nascesse; l’Acqua è la
Grande Madre della biosfera; il benessere dell’Uomo e la Sua possibilità di
sopravvivenza sono legati all’Acqua; le arti e le scienze devono all’Acqua un
contributo fondamentale; sono tutte nozioni così diffuse nel substrato di tutte
le culture da meritare l’appellativo di “ovvie”, eppure nel comportamento
quotidiano del singolo e delle comunità all’Acqua viene prestata poca
attenzione. Tutti comprendono come l’Acqua sia essenziale alla vita, ma pochi
attribuiscono all’acqua il giusto valore; ripetendo con Adam Smith “Com’è che
l’acqua così utile alla vita ha un prezzo così basso, mentre i diamanti ne
hanno così elevato?”
Il comportamento molto diffuso di considerare l’Acqua come un bene di
scarso valore, disponibile semplicemente estraendola da un pozzo o
prelevandola da un fiume e liberamente utilizzabile, con costi di smaltimento
non considerati, si concretizza nella mancata attribuzione di un corretto costo
di utilizzo, nell’assenza di limiti e di controlli a carattere istituzionale; si
determina così il sovrasfruttamento della risorsa che genera quel fenomeno
48
J. K. Jerome – Tre uomini seduti in barca (per non parlare del cane)
24
che gli economisti definiscono “la tragedia del bene comune”, in cui le risorse
di proprietà comune non vengono utilizzate o gestite in modo sostenibile per
massimizzare il valore generato.
Per poter valutare l’entità di questo fenomeno, occorre affrontare
preliminarmente
il
problema
della
definizione
di
“valore”
dell’Acqua,
argomento che alimenta sfide a polemiche che, anche se vissute in buona
fede, sono figlie della confusione che spesso avviene con tre termini analoghi
ma con significati fortemente diversi: Costo, Prezzo e Valore
Nelle nazioni sviluppate, è adottata, quasi ovunque, la Politica del
Prezzo Imposto, basato sui Costi diretti ma non sempre a compenso degli
stessi; questo sistema spesso genera un’obiettiva difficoltà delle aziende di
gestione del servizio idrico – pubbliche o private – a garantire la qualità del
servizio e l’adeguamento tecnologico delle infrastrutture. Quindi mentre da
un lato si soddisfano alcune esigenze di carattere sociale, dall’altro si
penalizza il risparmio idrico e implicitamente si compromette il comune
benessere, perchè solo se l’acqua viene pagata a un prezzo che sia almeno
pari a quello sufficiente a coprire il completo ciclo di utilizzo se ne può
favorire un uso parsimonioso.
Mentre il Costo ed il Prezzo dell’acqua possono essere determinati in
modo univoco, la determinazione del Valore è molto più complessa49: gli
economisti lo definiscono come la massima disponibilità a pagare per un bene
o per un servizio da parte dell’utente o dell’acquirente. Se l’acqua fosse
oggetto di transazione in un mercato perfettamente competitivo, allora il
prezzo dell’acqua sarebbe dato dal punto in cui la curva della richiesta e la
curva dell’offerta si intersecano. In questo “paradiso” degli economisti, il
prezzo di mercato sarebbe uguale all’ultima (marginale) unità di acqua
consumata ed il prezzo sarebbe uguale al costo marginale di fornitura di
quella
ultima
unità; per determinare il valore dell’acqua potrebbero
assumersi: i luoghi e i tempi in cui l’acqua è disponibile, l’affidabilità della
49
“Alcune persone conoscono il prezzo di tutto ed il valore di nulla” - O. Wilde
25
sua disponibilità e la sua purezza. Un esempio che ben si presta ad illustrare
il significato di valore nel caso dell’Acqua è quello delle acque minerali che
oltre l’80% della popolazione nelle nazioni sviluppate acquista ad un prezzo
superiore di 1.000 volte a quello della – più sicura - acqua di rubinetto.
Se l’acqua non è scambiata in condizioni di libero mercato, per
attribuirle un valore bisogna ricorrere alle tecniche economiche per
l’attribuzione di “valori non di mercato”, ovvero riferire il valore alle
convenzioni etiche e morali, abbandonando le ordinarie considerazioni di
mercato: come potere altrimenti spiegare le decine di milioni di pellegrini dei
villaggi indiani che percorrono centinaia di Km, con mezzi di fortuna nel caldo
soffocante di agosto, per raccogliere l’acqua del Gange in occasione di
Shivatri, il giorno natale del Dio Shiva.
Anche nell’analisi dei dati statistici si riflette l’impossibilità di una
determinazione univoca del valore dell’acqua; infatti, le differenti condizioni
territoriali e il diverso livello di sviluppo delle nazioni, richiedono un
approccio differente alle possibilità di riutilizzo e tutela della risorsa idrica, e
quindi non consentono una correlazione diretta fra i consumi di acqua ed il
prodotto interno lordo.
Si arriva così al punto cruciale: l’Acqua è il fattore che condiziona lo
sviluppo delle nazioni e appare essere l’unico strumento possibile per poter
disegnare gli scenari di un mondo che si avvia a grandi passi a completare il
processo di globalizzazione economica; rimaniamo allora privi di ogni
strumento perché non si può negare che l’Acqua sia un diritto dell’Uomo,
indipendentemente dalla Sua disponibilità a pagare e perché il suo valore non
è generalizzabile in quanto connesso al modo con cui l’Uomo si relaziona agli
altri ed al mondo in cui vive.
Se l’economia si dimostra impotente a fornire una lettura complessiva
del fenomeno, l’aiuto che può dare la tecnica non è certo superiore. Si sono
superati gli ostacoli che impedivano l’utilizzazione delle acque marine, ma
l’elevato costo dell’energia rende la previsione di utilizzo diffuso una
26
chimera50; si è perseguito laddove era possibile l’uso plurimo per la
produzione
di
energia
elettrica51
in
modo
da
compensare,
almeno
parzialmente, i costi energetici di trasporto e trattamento; sono stati realizzati
con successo esperimenti di riutilizzo per uso potabile52; la CE ha adottato
direttive che promuovono il riutilizzo delle acque reflue depurate per uso
irriguo. Si tratta di interventi significativi da un punto di vista tecnico e
scientifico, ma fuori scale rispetto alle effettive necessità: nessuno sforzo
viene fatto per mettere a punto e rendere disponibili tecnologie a basso costo
e a basso contenuto energetico, le uniche che possono essere utilizzate nei
paesi in via di sviluppo, proprio laddove maggiore e più impellente è la
necessità di intervento.
Giunto al termine di questa breve passeggiata nello spazio e nel tempo,
ho certo dato l’impressione di aver tracciato un mandala, irregolare,
asimmetrico, colorato e fragile; mi sono preso la libertà di voler lanciare una
sfida mettendo in luce l’incapacità che abbiamo ad affrontare un problema
così grave ed impellente come la crisi dell’Acqua.
Avere evocato la definizione di Civiltà dell’Acqua, aveva proprio questo
scopo: dimostrare che per la comprensione della crisi dell’Acqua dovranno
essere generare nuove linee di pensiero, nuovi approcci e che è compito
dell’Università farsene carico; ma per fare questo occorre un’inversione di
tendenza, dismettere la visione paludata dei contributi originali al progresso
della disciplina e alle riviste nazionali ed internazionali di ampia diffusione nella
50
Alla fine del 20 secolo, la capacità globale di dissalazione era inferiore a 20 milioni di m3 di
acqua dolce prodotta in circa 10.000 impianti, utili a sostenere lo sviluppo dei paesi arabi,
dove sono prevalentemente concentrati, ma inferiore ad un millesimo dei consumi complessivi
di acque dolci.
51
La produzione di energia idroelettrica costituisce a livello mondiale solo il 2% del consumo
globale di energia (circa l’8% in Italia)
52
Impianto di Lake Tahoe, in California
27
comunità scientifica e riconoscere che compito dell’Università è la formazione
di una classe dirigente che sappia affrontare le problematiche complesse, la
diffusione della conoscenza e non solo all’interno della comunità scientifica.
Per far questo occorre affrontare di nuovo il problema delle antinomie: scienza
e cultura, progresso e benessere, ristorarci del nostro vano affannare sulla
riva di un lago!
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