Spunti per una lettura delle Missioni Conventuali in Africa
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Spunti per una lettura delle Missioni Conventuali in Africa
CONGRESSO MISSIONARIO INTERNAZIONALE OFM Conv Cochin, Kerala, India 12-22 Gennaio 2006 MONTERO ENRIQUE “SPUNTI PER UNA LETTURA DELLE MISSIONI CONVENTUALI IN AFRICA-ASIA-OCEANIA DAL 1900 AD OGGI: LUCI E OMBRE” 2006 1 MONTERO Enrique “SPUNTI PER UNA LETTURA DELLE MISSIONI CONVENTUALI IN AFRICA-ASIA-OCEANIA DAL 1900 AD OGGI: LUCI E OMBRE” Premesse Sin dal principio una parola di gratitudine al Governo dell’Ordine e alla Commissione organizzatrice di questo Congresso per l’invito a parteciparne con il tema sopra indicato. E’ ben nota a tutti l’importanza che ha l’attività missionaria per il nostro Ordine, così come per la vita di tutta la Chiesa. Sono lieto di poter offrire un mio modesto contributo allo sviluppo dei contenuti di questo storico incontro. Non ho altri meriti per trattare questo tema se non la grazia di essere stato per quattro anni Segretario generale delle Missioni dell’Ordine, nonché per otto anni Assistente generale per Africa, Asia e Australia. Sono pienamente consapevole dell’ampiezza e complessità del tema affidatomi, come pure dei miei limiti personali a questo riguardo. Nato nell’America Latina, ho avuto bisogno di ben tre/quattro anni soltanto per farmi un’idea iniziale della realtà missionaria del nostro Ordine in questi tre continenti. Lontano da me quindi pensare che parlerò da “esperto” o da “autorità” in questo campo. L’unica mia “autorità”, se di questo si tratta, è l’amore che nutro per queste realtà e la volontà di contribuire al valido tentativo di fare una seria valutazione del nostro “fare missione” in quelle terre. Vi offro prima di tutto dei brevi accenni sullo sviluppo missionario dell’Ordine in Africa, Asia e Australia. Faccio riferimento soltanto alle missioni più vecchie e sviluppate e lascio da parte quelle più recenti, anche perché le conosco meno. Presento poi alcuni criteri per una valutazione critica di nostre missioni e finisco col tentativo di applicare questi criteri all’attività missionaria dell’Ordine continente per continente. Premetto che in questo semplice lavoro non ho intenzione di entrare nel dibattito accademico sul cosa sia o no una “missione”. Questo lavoro non è uno studio accademico, ma soltanto un contributo personale e sperienziale. Parto dalla premessa che per missione intendo: una nuova presenza dell’Ordine iniziata con lo scopo esplicito dell’evangelizzazione e della promozione del nostro carisma (spirito), particolarmente in quelle terre tradizionalmente chiamate “missionarie”. Vorrei chiarire anche in queste pagine, particolarmente nella terza parte sulla valutazione critica, non pretendo giudicare persone e comportamenti, ma soltanto offrire un’opinione personale sulla situazione di queste missioni applicando i criteri presentati nella seconda parte. Lo scopo è quello di contribuire ad uno scambio di pareri fra voi. I. SVILUPPO MISSIONARIO DELL’ORDINE IN AFRICA, ASIA, AUSTRALIA AFRICA 1. Zambia La nostra presenza recente in Africa inizia nel 1930 con l’apertura di una missione nello Zambia. L’iniziativa è stata presa dal governo generale dell’Ordine e la missione è stata affidata in maniera particolare ai frati della Provincia delle Marche. Il gruppo dei pionieri era composto da 2 sette frati italiani sotto la guida del P. Francesco Mazzieri 1 , futuro vescovo di Ndola e oggi Servo di Dio in cammino di beatificazione. Lo scopo della nascente missione era quello di collaborare con i PP. Bianchi, da tempo presenti in Zambia, nell’attenzione pastorale dei cattolici della così chiamata “Copperbelt”, la zona miniera per l’estrazione ed elaborazione del rame. Date le condizioni generali di povertà materiale della gente e la scarsità del personale ecclesiastico, i nostri frati hanno dovuto affrontare grandi difficoltà e fare un po’ di tutto: pastori del gregge, costruttori, muratori, falegnami, infermieri, ecc. Con l’arrivo di nuovi missionari dall’Europa, la nostra presenza in Zambia si estese a nuove aree pastorali sempre nella “Copperbelt”: Lwanshya, Ndola, Ibenga, Solwezi, Kitwe, Lusaka. All’inizio la promozione vocazionale e la formazione di frati non faceva parte del progetto missionario dato che, come racconta il Vescovo Mazzieri nelle sue note autobiografiche, Roma aveva chiaramente detto: Voi non siete in Africa per costruire una ‘colonia’ francescana, ma per preparare il clero nativo. I nostri frati, infatti, spinti dai bisogni pastorali della Prefettura Apostolica di Ndola, hanno intensamente partecipato insieme a Mazzieri alla formazione del clero zambiano. La loro attività missionaria si estenderà più tardi alla promozione e formazione dei frati nativi, alla tipografia e alle pubblicazioni, al lavoro sociale in favore dei più bisognosi, all’insegnamento in scuole pubbliche e in altre istituzioni diocesane o interfrancescane, alla gestione d'alcune case di spiritualità, ecc. Nell’anno 1954 la missione originale diventa Commissariato generale e nel 1969 Custodia generale. Da sua parte la Provincia americana della Consolatrice assumerà nel 1959, tramite i suoi frati già presenti nello Zambia ed insieme ad altri frati di diverse nazionalità, la responsabilità pastorale della zona di Solwezi. Qui l’Ordine stabilisce un Commissariato provinciale indipendente il quale diventerà Custodia provinciale nel 1970. Nel 1996 dalle due Custodie è stata creata un’unica Custodia generale che nel Capitolo generale del 1998 è diventata Provincia. 2. Kenya La nostra presenza missionaria in Kenya nasce nel 1984 sotto la responsabilità della Provincia polacca dell’Immacolata (Varsavia). Dopo la divisione della Provincia nel 1986 la missione è stata affidata alla nuova Provincia di S. Massimiliano Kolbe (Danzica). Questa missione è nata con un’impronta chiaramente kolbiana dato che era stata fondata per onorare il nostro santo e come segno di gratitudine alla Chiesa per la sua canonizzazione nel 1982. Accanto al lavoro di pastorale parrocchiale affidato ai primi frati in Ruiri, essi iniziano anche il ministero della stampa creando la “Kolbe Press”, una modesta tipografia più tardi trasferita a Limuru, ingrandita e migliorata. All’inizio degli anni 90’ la missione avvia lo sviluppo delle vocazioni native in maniera più intensa e sistematica. I primi candidati furono inviati nello Zambia per il postulato e il noviziato. Pochi anni dopo la missione aprirà a Limuru la propria casa di postulato per i candidati del primo anno, mentre quelli del secondo saranno inviati in Tanzania (Arusha). Oggi i candidati fanno il noviziato in Ghana e i professi la filosofia a Lusaka e la teologia a Nairobi. La nostra missione del Kenya è diventata Custodia nel 2004. 3. Tanzania La nostra presenza in Tanzania risale al 1988, anno in cui i frati della Provincia dell’Immacolata (Varsavia) aprono la prima casa a Mwanga nella Diocesi di Same. Al lavoro pastorale verrà quasi sin dall’inizio affiancato quello di una certa attività di pubblicazione con la rivista "Il Cavaliere dell’Immacolata" in lingua Kiswahili. Già nel 1991 si progetta e inizia la costruzione d'ampia casa ad Arusha per la formazione di vocazioni native. Il decollo vocazionale è stato travagliato, ma alcuni frutti cominciano ad apparire. Arusha è al presente casa di postulato sia 1 Sei dei sette religiosi provenivano dalla provincia delle Marche ed uno da quella di Padova. P. Francesco Mazzieri, P. Luciano Lelii, P. Angelo Trucchia, P. Bonaventura Rocchi, P. Giovanni Evandri, Fra Antonio Tofoni erano della provincia delle Marche e Fra Alberto Ferrari era della provincia di Padova. 3 per la Tanzania che per il secondo anno di postulato del Kenya, come accennato sopra. Nel 1999 sarà aperta una terza casa a Dar-es-Salaam sia per un presenza più incisiva nella grande città e nella vita dell’Arcidiocesi, sia per ampliare l’attività pastorale assumendo una nuova parrocchia. 4. Ghana Nel 1976 due diverse giurisdizioni dell’Ordine iniziano la loro presenza missionaria in Ghana: la Provincia Sant' Antonio (Italia) e la Provincia Sant’Antonio (USA). Queste due missioni sono state unificate in un’unica Custodia provinciale sotto Padova nel 1994. La missione patavina decise di non promuovere le vocazioni native se non dopo una diecina di anni di presenza in Ghana, mentre la missione americana iniziò una intensa promozione e il conseguente lavoro formativo quasi sin dall’inizio. La prima aprì diverse case e per il lavoro pastorale e per l’attività tipografica, la seconda invece rimase legata al lavoro formativo e all’animazione spirituale delle monache Clarisse, dei religiosi e dei laici avendo come centro il convento di Saltpond. Dopo non poche delusioni e fallimenti con le vocazioni locali e di un lungo periodo di stagnamento a questo riguardo, oggi la Custodia vive una fioritura vocazionale e ha rafforzato sia l’attività pastorale che quella tipografica. Soffre tuttavia di una seria mancanza di formatori nativi dovutamente preparati, benché si debba riconoscere lo sforzo degli ultimi anni per una più adeguata preparazione dei frati nativi in diversi campi. 5. Angola Nel 1990 la Provincia San Francesco (Brasile) decise di aprire una sua missione in Angola nella Diocesi di Nbanza Congo; n’esperienza missionaria interessante sia per il tipo di presenza dei frati fra la gente povera e nello stile loro, sia per il lavoro di equipe e la intensa formazione umana e religiosa data alla gente. Una seconda casa è stata aperta a Caxito, nelle vicinanze di Luanda, per l’attenzione pastorale del Santuario di Sant’Anna e più tardi usata anche per la formazione delle prime vocazioni native. I nostri frati in Angola hanno trovato non poca difficoltà con alcuni dei vescovi locali a motivo di una diversa visione teologica e a un diverso approccio pastorale. L’allontanamento di un frate da parte del Cardinale di Luanda, insieme alle difficoltà subite dai nostri frati a causa della guerra civile e delle malattie endemiche della zona, portarono la Provincia madre nel 1999 alla chiusura “pro tempore” della missione. 6. Burkina Faso Come risposta all’invito rivolto alla Chiesa e al mondo da Papa Giovanni Paolo II durante l’ultimo Giubileo: “Duc in altum”, la Provincia di Abruzzo decise di aprire una sua missione nel Burkina Faso. Questa iniziativa rispondeva anche alla richiesta del Vescovo Basile Tapsoba, ordinario della diocesi di Koudougou. Dopo un periodo di discernimento il Capitolo provinciale diede la sua approvazione al progetto a luglio del 2001.. I primi tre frati partono per il Burkina Faso a settembre del 2001. Per diversi motivi due dei primi frati hanno dovuto tornare definitivamente in patria e la Provincia ha cercato aiuto in altre giurisdizioni per portare avanti il progetto. A settembre 2002 la Provincia dell’Immacolata Concezione (Polonia) firma un accordo con la Provincia di Abruzzo per cui la prima assume la responsabilità della missione, contando con la collaborazione della seconda in termini economici e di personale. A richiesta del Vescovo i nostri frati hanno dedicato diversi mesi allo studio della lingua Moré e della cultura locale. Poi si sono inseriti in diverse parrocchie per un primo avvicinamento alla realtà pastorale della diocesi. Finalmente si sono stabiliti nel villaggio di Sabou e assunto la cura pastorale di una parrocchia con 6000 fedeli. Le priorità del progetto missionario approvato dalla Provincia e dal Vescovo sono le seguenti: a) la dimensione contemplativa, b) la vita fraterna, c) la minorità, d) l’inserimento nella vita della Chiesa locale, e) l’inculturazione della fede, f) la collaborazione con altre giurisdizioni dell’Ordine. 4 7. Uganda Già dal 1989 si parlava nell’Ordine di una possibile missione in Uganda. Dopo diverse iniziative da parte dei vari Segretari generali delle missioni, nell’anno 2000 il Capitolo provinciale della Provincia di Cracovia (Polonia) assunse la responsabilità di questa missione. Il progetto ricevette l’approvazione della Curia generale alla fine dello stesso anno. Inizialmente programmata per la diocesi di Fort Portal, nei confini col Congo, è stata invece iniziata nella diocesi di Kasama-Luweero, a 90 chilometri di Kampala. Il contratto col Vescovo è stato firmato a maggio del 2001 e stipula le seguenti priorità: a) l’inculturazione dei frati, b) costruire la Chiesa/comunione, c) formare i catechisti (una casa di ritiri), d) apostolato con la gioventù, e) formazione tecnica per i giovani, f) inculturazione della fede e presenza dei frati in mezzo al popolo. Al presente i frati polacchi in Uganda sono in quattro e si prendono cura di una parrocchia. Si pensa alla possibilità di una seconda comunità. ASIA 1. Giappone Missione fondata dal P. Massimiliano Kolbe nel 1930, si sviluppa velocemente nello stile proprio delle “Città dell’Immacolata”. Le date parlano da se stesse: fu costituita Commissariato generale nel 1940 e già nel 1969 era diventata Provincia. Ad essa s’aggiungono nel 1987 i conventi della isola di Amami Oshima, una missione della Provincia americana di Sant’ Antonio i cui frati erano presenti lì sin dal 1952. Inizialmente costituita da fratelli religiosi dediti principalmente al lavoro di stampa per la propagazione della causa dell’Immacolata Concezione, dopo la seconda guerra mondiale apre le porte più decisamente alle vocazioni sacerdotali. Un buon numero di loro faranno la teologia e la specializzazione nella nostra Facoltà di Roma. Senza abbandonare il lavoro di stampa iniziato dal nostro santo polacco, si passerà col tempo ad assumere diverse parrocchie e al lavoro educativo principalmente negli asili legati alle nostre parrocchie. La grande scuola di Nigawa però offre tutto il ciclo educativo fino al liceo e alla scuola media. Dopo il Vaticano II la Provincia è riuscita ad organizzare tutte le tappe formative in patria, pur nella scarsità delle vocazioni e nella difficoltà di trovare formatori accuratamente preparati. Il lavoro dei nostri frati in Amami Oshima si è concentrato quasi esclusivamente sulla pastorale parrocchiale. I conventuali, infatti, sono stati gli evangelizzatori di quella zona e fino ad oggi sono la presenza pastorale più numerosa e significativa. 2. Corea La missione è stata fondata nel 1958. Nel 1975 diventa Custodia generale e Provincia nel 2001. Si è sviluppata rapidamente grazie non soltanto una curata promozione vocazionale, ma anche all’organizzazione attenta del processo formativo. La presenza attiva dei frati in mezzo alla gente e il loro ministero pastorale in favore dei più bisognosi: anziani, disabili, orfani, lebbrosi, hanno pure contribuito allo sviluppo vocazionale della missione coreana. E’ indicativo in questa nostra giurisdizione il numero dei fratelli religiosi ai quali, soprattutto negli ultimi anni, li è stata offerta l’opportunità di una più solida formazione religiosa ed accademica. Non meno indicativo è il fatto che da diversi decenni i frati locali hanno assunto importanti ruoli di autorità e quasi ininterrottamente la leadership della Custodia, oggi Provincia. Diversi missionari italiani sono rimasti in Corea e offrono ai frati coreani la collaborazione della loro esperienza di vita. Alcuni di essi svolgono ancora ruoli importanti sia in favore della Provincia, sia in favore della Chiesa locale. E’ da lodare anche l’impegno di questa Provincia nella 5 preparazione accademica dei sacerdoti e dei formatori i quali a questo scopo sono inviati sia in Italia che in altre nazioni dell’Asia. 3. Indonesia Siamo presenti in Indonesia nell'isola di Giava sin dal 1937 tramite alcuni frati della Provincia olandese. Tornati in patria i primi missionari, la missione viene affidata nel 1968 alla Provincia bolognese che concentrerà la sua presenza nell’isola di Sumatra. Due frati sardi hanno lavorato sin dall’inizio con quelli di Bologna. I missionari assumono la cura pastorale in diverse parrocchie, lavorando in maniera semplice ed efficace in ambienti piuttosto poveri. Si sono preoccupati non solo dei bisogni spirituali della gente, ma anche dei loro problemi economici, sociali, educativi e di salute. Negli ultimi decenni i frati hanno ampliato la loro presenza a Jakarta con una parrocchia di periferia. Più di recente sono presenti anche in altre aree geografiche di quest'immensa nazione. La promozione vocazionale è stata avviata abbastanza presto e così anche l’organizzazione delle diverse tappe della formazione. Sfortunatamente non è stata sufficientemente curata la preparazione dei formatori così da poter far fronte alla fioritura vocazionale degli ultimi decenni. A differenza degli inizi, le nostre vocazioni provengono oggi dalle diverse aree geografiche e dai diversi gruppi etnici. La missione indonesiana è diventata Custodia nel 1985. 4. Filippine Nel 1979 approdano in Manila i frati conventuali della Provincia di Napoli “per una fondazione che privilegiasse la promozione vocazionale e l’animazione mariano-kolbiana”. Così la descrive fra Lanfranco Serrini nei suoi “Asterischi di Viaggio”. “Contrariamente alle previsioni continua fra Lanfranco – i frati si trovano a dover accettare una parrocchia di oltre 50.000 anime…”. L’attività pastorale però non fu ostacolo né alla promozione vocazionale né all’avvio delle diverse tappe formative. Sin dall’inizio della missione è stata aperta una casa di spiritualità a Novaliches sotto l’invocazione di Maria Immacolata. Qui si trova oggi la sede della Custodia, mentre continua l’attività della casa d'accoglienza e di spiritualità. Nel 1989 la missione vive la dolorosa esperienza della separazione del gruppo dei “Frigentini” e affronta la necessaria ricostituzione della comunità conventuale. A questo scopo sono arrivati nelle Filippine alcuni frati già missionari in diverse nazioni asiatiche e grazie al loro impegno si riesce a salvare la situazione. In questo stesso anno la missione è diventata Custodia sempre sotto la responsabilità della Provincia napoletana. In questo caso pure l’accettazione di troppi candidati nella scarsità dei formatori e di una loro adeguata preparazione, hanno inciso negativamente nello sviluppo generale di quella fondazione. Negli ultimi anni la selezione vocazionale e la preparazione dei formatori ha ricevuto una maggiore attenzione. 5. India La presenza missionaria conventuale in India inizia nel anno 1980 sotto la responsabilità della Provincia di Malta. Per diversi motivi i missionari dell’Ordine in India sono stati sempre pochi e molte volte ha dovuto rimanere là un unico frate con l’aiuto occasionale di qualche confratello maltese. La promozione vocazionale e la formazione hanno sempre fatto parte del progetto missionario dell’India e si sono mantenute fino ad oggi come priorità. Grazie a questa saggia decisione la missione è stata benedetta con abbondanti e qualificate vocazioni, il che ha favorito il suo rapido sviluppo fino a poter diventare Custodia nel 1995 e forse anche Provincia nel prossimo capitolo generale. L’abbondante numero delle vocazioni sacerdotali native ha anche consentito alla Custodia di proiettarsi nel campo pastorale con la assunzione di alcune parrocchie, cosa non tanto 6 facile in quella parte dell’India dove è abbondante il clero diocesano e religioso, e non sempre abbondante il numero dei cattolici. Grazie ad una programmazione con visione di futuro, la Custodia oggi è presente ed attiva nel campo della giustizia, la pace e la salvaguarda del creato, nel lavoro delle pubblicazioni, così come nell’animazione spirituale di religiosi e laici. Negli ultimi anni la Custodia ha iniziato la fondazione di presenze missionarie in altri stati dell’india. Le grandi distanze in questa immensa nazione, la diversità delle lingue e della cultura, le difficoltà proprie di un inserimento fra la gente povera, e le insicurezze di un ambiente non sempre favorevole ai cristiani, fanno dei nostri frati veri missionari nella loro stessa nazione. Da alcuni anni la Custodia si viene preparando per una fondazione missionaria nello Sri Lanka. 6. Vietnam Dietro la spinta dell’allora Ministro generale fra Lanfranco Serrini e contando sulla disponibilità dei vari frati conventuali vietnamiti, l’Ordine ha iniziato a dare i primi passi per una possibile presenza missionaria in Vietnam. Dato che l’attuale situazione politica non permette altro, si decise di organizzare la visita occasionale dei frati vietnamiti dell’Australia, così come le visite sporadiche dei vari responsabili del futuro progetto da parte del governo dell’ordine. Al presente uno dei frati vietnamiti riesce ad organizzare delle soste più lunghe in Vietnam ed a seguire un gruppo di candidati all’Ordine nel cammino della loro formazione iniziale. MEDIO ORIENTE Delegazione generale di Oriente e Terra Santa L’attuale Delegazione generale di Oriente e Terra Santa e la continuazione storica della nostra Provincia di Siria creata nel 1217 con fra Elia di Assisi come primo Provinciale e che si stendeva da Costantinopoli alla Siria e all’Egitto. Nel 1434 la così chiamata Custodia di Terra Santa fu affidata per volere di Eugenio IV agli Osservanti. I Conventuali rimasero nell’isola di Cipro, nella Grecia e nell’isola di Creta ed altre isole circondanti. Nel 1469 dalla Vicaria di Oriente la Santa Sede crea una nuova Provincia francescana con sede a Costantinopoli, stabilendo però che il Provinciale doveva essere nominato dal Definitorio generale. Questa si stendeva al regno di Trebisonda, all’Armenia maggiore e alla Persia. Nel 1975 a causa del numero ridotto dei frati e di altre difficoltà, viene sospeso dall’Ordine il governo della Provincia, mantenendo essa però il suo titolo. Le diverse case, indipendenti fra di loro, rimanevano sotto l’autorità immediata del Ministro generale. Nel 1998 viene costituita l’attuale Delegazione generale comprendente la Turchia e il Libano. Nella Turchia al presente i nostri frati, provenienti da diverse nazioni, hanno due conventi più una casa filiale, curano tre parrocchie, collaborano in diverse iniziative della Chiesa locale, fanno un valido lavoro nel campo dell’ecumenismo, così come un’attività di traduzione di libri cristiani all’turco, i quali hanno un’ampia diffusione. La nostra presenza nel Libano risale soltanto al 1968. Attualmente i nostri frati hanno per adesso un unico convento (si pensa seriamente a un secondo), curano una parrocchia, promuovono le vocazioni e ne curano la formazione iniziale di alcune tappe. I nostri frati rendono anche un valido servizio alla Chiesa locale nel Vicariato Apostolico di Beyrouth e nel Tribunale Ecclesiastico. Alcuni dei frati si dedicano pure all’insegnamento particolarmente nel campo del francescanesimo. ASIA CENTRALE Usbekistan 7 Fra Odoryk Bien, francescano conventuale era presente nel Kazakhstan già durante l’era comunista e vi ha lavorato con grande sacrificio, mantenendo sporadici contatti con la sua Provincia di Cracovia. Nel 1991 è stato raggiunto da Fra Krzysztof Kukulka il quale, dopo la morte di fra Odoryk, si è trasferito nel vicino Usbekistan. Nel 1993 è arrivato fra Ivan Rohloff, della Provincia americana della Consolatrice e già missionario nel Centro America. Nel 1996 la Santa Sede decide di creare in Usbekistan una Missio sui Iuris e il 29 settembre dell’anno seguente ne emette il decreto. Con l’arrivo di nuovi missionari e sotto la guida di Fra Krzysztof Kukulka, la nostra presenza in quella nazione prende nuovo slancio. Attualmente i frati hanno quattro conventi e curano quattro parrocchie. Oltre al lavoro parrocchiale i nostri frati svolgono anche attività caritative e più da recente stanno sviluppando a Buchara un centro per il dialogo con l’Islam. In aprile 2005 la Santa Sede ha trasformato la previa Missio sui Iuris in Amministrazione Apostolica sotto la guida del nostro confratello P. Jerzy Makulewicz come vescovo. OCEANIA Australia La nostra presenza in Australia inizia nel 1953 sotto la responsabilità della Curia generale. Nel 1964 la missione diventa Commissariato provinciale della Provincia di Malta e finalmente nel 1969 Custodia generale. Una caratteristica della nostra presenza in Australia è stata il lavoro d’attenzione pastorale a gruppi di emigrati da diverse nazioni: italiani, maltesi, portoghesi, vietnamiti, ecc. Ha caratterizzato pure la nostra presenza in questa nazione l’internazionalità dei missionari e degli stessi candidati che sono entrati a far parte del nostro Ordine. La promozione vocazionale e la formazione non sono state inizialmente una priorità per i nostri missionari. Negli ultimi decenni però è stata data una discreta attenzione anche a quest'importante campo, con lo sviluppo in patria di al meno alcune tappe del processo formativo. Pur nelle mancanze della propria eredità storica, delle difficoltà dell’ambiente e dei limiti umani, la Custodia è riuscita a mantenersi in piedi ed a rafforzare la sua identità e la sua coesione interna. Questo gli ha consentito negli ultimi anni di iniziare un cammino di collaborazione con altre realtà dell’ordine per avviare una presenza missionaria nel Vietnam. II. CRITERI PER L’ANALISI CRITICA DELLE NOSTRE MISSIONI I criteri qui presentati sono un tentativo di mettere per scritto alcune mie osservazioni che sono frutto di un contatto più o meno regolare e con i missionari e con la realtà missionaria del nostro Ordine in diversi continenti. L’ordine che ho seguito non è essenziale, ma neanche indifferente. Con esso tento solo di descrivere quello che considero essere il cammino naturale, e spero anche efficace, di preparazione e di realizzazione di un progetto missionario. 1. Discernimento nello Spirito Il primo elemento a considerare nel cammino verso una fondazione missionaria è proprio il discernimento della voce dello Spirito. Essa dovrà guidare i passi sia di coloro che prendono le decisioni, sia dei missionari stessi. E’ fondamentale sin dall’inizio poter rispondere a domande come queste: Cosa rappresenta per la Provincia o Custodia l’apertura di una propria missione? Da chi e da dove è partita l’idea di fondare e come si è sviluppata? Siamo abbastanza sicuri che si tratti di una mossa dello Spirito e non di un’dea isolata e individualistica, di un capriccio o di 8 un'arbitrarietà da parte di qualche superiore o di qualche singolo frate? C’è stato nella fase preparatoria un vero discernimento comunitario? 2. Elaborazione di un progetto missionario Dato che stiamo partendo da un discernimento comunitario, è importante sin dall’inizio la formulazione di un progetto di missione nel quale siano chiari la meta, gli obbiettivi, gli agenti, i mezzi, le scadenze, ecc. Uno dei motivi per cui è necessario questo progetto è quello di programmare la missione con visione di futuro e cioè prevedere, per quanto possibile, non soltanto i bisogni immediati e a corta scadenza, ma anche le tappe dello sviluppo, eventuali crisi, continuità dell’opera iniziata, ecc. Questo primo progetto della missione sarà utile inoltre come punto di partenza e di riferimento per il discernimento successivo, nonché come criterio per le verifiche. 3. Preparazione dei missionari e dei responsabili. Ogni progetto missionario serio ha bisogno di una adeguata preparazione giacché l’improvvisazione al riguardo è un lusso troppo caro che ha delle gravi conseguenze. Preparazione remota certo è tutto quanto la persona abbia imparato e vissuto previamente, ma il missionario ha inoltre bisogno di una preparazione immediata e specifica: delle solide fondamenta in una teologia e missiologia aggiornate, una formazione nel campo sociale, lo studio delle lingue e della cultura, la visione francescana del progetto, ecc. La preparazione accademica richiede anche che il missionario sviluppi la capacità di una lettura critica della nuova realtà nell’ottica del Vangelo, particolarmente nell’ottica del Progetto del Regno di Dio così come lo ha vissuto e proposto il Signore Gesù Cristo. Quanto detto sulla preparazione dei missionari è in buona misura applicabile agli altri responsabili della missione e a quanti accompagnano il processo delle decisioni e della fondazione della medesima. 4. Il cammino permanente dell’inculturazione Fare missione non è altro che iniziare e portare avanti un cammino di conversione che includa l’aspetto morale e religioso, più spesso sottolineato, ma anche la conversione intellettuale, sociale e culturale, generalmente meno considerata. Sebbene inculturazione e conversione non sono identificabili, tuttavia non possono neanche essere separate. Infatti l’una e l’altra richiedono una piena apertura mentale ed affettiva alla nuova realtà in cui si vive e si lavora; è qui dove si dovrà scoprire ed accettare l’azione dello Spirito del Signore che a tutto da vita e tutto trasforma. Se l’inculturazione si limita ad aspetti psicologici e sociologici, ma è assente la dimensione della fede, non sarà altro che una vernice superficiale e un triste inganno. La vera inculturazione comporta la rinuncia ai complessi di superiorità, ai pregiudizi e alle false sicurezze del mondo in cui finora si è vissuto; essa comporta anche il mettere in discussione i “dogmi” della cultura propria per aprirsi a una verità sempre più ampia e ricca. L’inculturazione comporta in fine mettere in discussione certi aspetti della nuova cultura valutati come contrari allo spirito del Vangelo e quindi al disegno di Dio sulla storia e sull’umanità; poi si tenterà di purificarli e orientarli secondo i valori del Regno. La vera inculturazione quindi è la kenosi del Figlio di Dio che amò e sposò il nostro mondo e la nostra umanità per dare spazio alla nascita del “cielo nuovo e della terra nuova in cui avrà stabile dimora la giustizia” (cfr 2Pe 3, 13b) 5. Un progetto missionario riveduto e riformulato in loco. Un progetto missionario elaborato a distanza aiuta a dare i passi iniziali, a mantenere la visione d’insieme e la continuità nel tempo, ma non sempre risponde alla realtà scoperta in loco alla luce di un’esperienza vissuta giorno per giorno. Il progetto missionario provinciale e generale, a loro volta, servono come sfondo e come ispirazione, ma non possono sostituire il progetto concreto che dovranno implementare i missionari. Saranno questi, aiutati dal discernimento dello Spirito, a scoprire la volontà di Dio nella realtà della pratica missionaria per poter elaborare un progetto che sia realizzabile ed operativo. E’ chiaro che qui non si tratta 9 soltanto di scrivere un bel documento, ma soprattutto di imparare a pensare, pregare, programmare e lavorare insieme, alla luce di principi e ideali comuni vissuti con uno scopo specificamente missionario. 6. Inserimento nel progetto pastorale e spirituale della Chiesa locale. Quella frase sopra citata:…non siete in Africa per costruire una ‘colonia’ francescana…è un po’ ambigua, ma contiene anche una buona dosi di verità. Noi non andiamo certo in missione per costruire una propria colonia e quindi per fondare l’Ordine come primo e unico scopo. Noi siamo presenti in una missione per costruire là il progetto del Regno di Dio nello spirito della Chiesa locale e in stretta e fedele collaborazione col vescovo, col clero e con tutti gli operatori pastorali. Il resto viene da sé. E’ molto rischioso e spesso dannoso il tentativo di mettere in pratica nella missione un progetto pastorale imparato e praticato in patria, forse con un certo successo, ma che in genere non risponde alla nuova realtà. L’esperienze previe saranno d'aiuto al missionario soltanto se valutate e processate alla luce del nuovo contesto umano, religioso, pastorale un cui adesso il Signore l’ha chiamato a lavorare. 7. Comunione col progetto dell’Ordine e della Provincia. Il missionario è un inviato della Chiesa ma anche dell’Ordine e non può fare missione se non in comunione con esso. Cosa vuol dire questa comunione? In poche parole significa vivere in sintonia con la mens e con lo spirito dell’Ordine e della propria Provincia; significa che i missionari s’impegnano seriamente a testimoniare con la vita i valori essenziali del proprio carisma e a trasmetterli al popolo di Dio; significa inoltre che i missionari prendono sul serio gli obiettivi e le linee guide che l’Ordine e la Provincia si sono date nei rispettivi capitoli e nella cui implementazione sono seriamente impegnati. 8. Promozione vocazionale e formazione La promozione vocazionale di candidati per il nostro Ordine e il conseguente lavoro formativo, pur non essendo essenziali al progetto missionario come tale, sono tuttavia di primaria importanza per la trasmissione e inculturazione del carisma; sono pure importanti per la continuità dell’opera missionaria iniziata. Idealmente parlando non bisognerebbe neanche fare promozione vocazionale. Come detto sopra, la testimonianza dei missionari dovrebbe essere l’incentivo principale perché i giovani locali sentano il desiderio di seguire le orme di Gesù nello stile di Francesco. In una situazione missionaria le vocazioni e la loro adeguata formazione sono, più che in altri ambienti, un segno chiaro della vitalità e dell’autenticità del processo evangelizzatore. Questo non nega la validità o l’autenticità di una missione dove, per motivi sociali, politici e religiosi indipendenti dai missionari, le vocazioni sono scarse o semplicemente inesistenti. 9. Graduale passaggio delle responsabilità e dell’autorità ai frati nativi. Un altro segno dell’autenticità e della vitalità di una missione è quello del trasferimento graduale delle responsabilità e dell’esercizio dell’autorità nelle mani dei frati nativi. Nel tentativo di sviluppare rapporti sani e maturi tra frati missionari e nativi è fondamentale che questi ultimi siano sufficientemente informati sulla vita della missione e opportunamente coinvolti nella presa delle decisioni. I missionari, come pure anche tanti genitori, raramente giudicano che i propri figli siano abbastanza maturi e sufficientemente preparati per le grandi responsabilità della vita; tuttavia allungare troppo i tempi in questo senso porta di solito a situazioni di sfiducia vicendevole, a divisioni nella comunità e fomenta necessariamente l’irresponsabilità e le dipendenze immature. 10. Sviluppo strutturale della missione verso l'autonomia giuridica ed economica 10 Il progresso di una missione si giudica anche dal suo sviluppo istituzionale verso l’autonomia giuridica, strutturale ed economica. L’autonomia giuridica si riferisce alla capacità sempre maggiore della giurisdizione di esercitare dell’autorità per conto proprio, soprattutto nella presa delle principali decisioni. L’autonomia strutturale ha da fare con lo sviluppo delle varie istanze formative, amministrative e pastorali proprie. L’autonomia economica invece fa riferimento alla crescente capacità di autogestione tramite mezzi e risorse finanziarie proprie. Da una parte lo stagnamento o arretramento della missione in alcuni di questi aspetti porta a dipendenze eccessive, a frustrazioni e qualche volta al fallimento del progetto missionario come tale. Da un’altra parte il bruciare tappe per il desiderio di diventare Custodia o Provincia al più presto possibile, porta spesso a situazioni di una più pesante dipendenza, così come a delusioni e a rimorsi tardivi e inutili. 11. Superazione delle crisi, rinnovamento e ridimensionamento. Una missione senza momenti di crisi non è né immaginabile né desiderabile. Le crisi sono o dovrebbero essere occasioni di grazia per la revisione e per la crescita. Una missione, così come un individuo o una comunità, può essere giudicata dalla sua capacità di ripensare se stessa, di riconoscere sbagli e di prendere nuove strade se necessario; in altre parole, dalla sua forza per affrontare le eventuali crisi nella fede e nella speranza, per superarle al meno parzialmente e per imparare da esse utilizzandole positivamente per la sua crescita e maturazione.. Una cosa simile si può dire della capacità che mostrerà la missione di rinnovarsi permanentemente nello spirito del Vangelo e del proprio carisma. Ciò si riferisce anche alla capacità di ripensare e rivedere le sue presenze in una nazione e di affrontare una possibile ristrutturazione, anche quando questo comporterà chiudere certe case, aprirne altre e trovare nuovi spazi d'apostolato quando quelli esistenti non siano più significativi. 12. Apertura e proiezione missionaria Una missione non è fondata e non si sviluppa per servire se stessa, ma per aprirsi progressivamente verso altre realtà meno sviluppate e più bisognose. Così nella misura in cui la fondazione percorre le tappe del cammino del suo sviluppo normale, troverà anche lo spazio per lo slancio missionario, sia con l’invio di frati ad altre nazioni, sia con la fondazione di una missione propria. Dato che l’amore cristiano è diffusivum sui, la vera missione ugualmente è chiamata a generare missionarietà e a maturare donando se stessa, anche quando si consideri e sia economicamente povera o incompleta in modi diversi. L’apertura missionaria per una Provincia/Custodia non significa soltanto un sacrificio di personale o di soldi, ma anche una possibilità di nuove vocazioni, un’opportunità per uno scambio culturale e spirituale arricchente, una fonte di ispirazione per il proprio rinnovamento e anche per una vera rinascita. Sono innumerevoli le benedizioni che il Signore riserva alle giurisdizioni che si aprono generosamente all’attività missionaria. III. ANALISI CRITICA DELLE NOSTRE MISSIONI: LUCI E OMBRE. 1. Africa A. Luci 1. La presenza conventuale in Africa dura da solo 75 anni e si estende a sei nazioni. Nonostante ciò si tratta di presenze molto significative per l’Ordine sia a causa della loro vitalità, sia a causa della speranza che destano a livello vocazionale. In quel continente abbiamo una Provincia con circa un centinaio di frati e numerosi candidati. Abbiamo inoltre due Custodie anche 11 queste con delle buone prospettive vocazionali e in chiara fase di crescita. Abbiamo finalmente tre delegazioni provinciali che malgrado la lentezza di ogni inizio, danno già dei segni postivi di sviluppo. 2. Un aspetto positivo della nostra presenza in Africa è il contatto regolare e la collaborazione che esistono tra le diverse nazioni tramite la Federazione AFCOF. E’ pure encomiabile il rapporto di aiuto vicendevole che esiste fra le varie giurisdizioni a livello informale e non programmato. Dato che lo Zambia è la fondazione più anziana e meglio sviluppata, ha giocato e gioca ancora il ruolo di sorella maggiore o di “zia” che offre al resto del Africa le sue risorse di personale e di strutture, come anche la sua esperienza umana e religiosa. 3. La decisione di AFCOF, che ormai dura da anni, di avere un unico noviziato ed altre case di formazione in comune per tutta la Federazione, ha consentito di creare dei legami umani specialmente fra i giovani frati, e ha favorito lo sviluppo di una piattaforma comune di scambio e di visione. Contribuisce a tutto questo anche l’organizzazione di corsi di formazione permanente e d'altre esperienze fatte a livello di Federazione. I Provinciali delle Province madri regolarmente visitano i missionari e le missioni, partecipano spesso ai raduni dell’AFCOF e vengono spesso coinvolti nella decisione delle principali attività portate avanti in comune. 4. Un segno di speranza per i Conventuali dell’Africa è in genere lo stile di vita semplice e modesto dei frati, così come l’austerità delle costruzioni e dei mezzi utilizzati. Questo li consente di essere abbastanza vicini alla gente povera e bisognosa e di mettersi chiaramente dalla loro parte nella lotta contro i grandi mali comuni di quel continente. La gente sa che i missionari non sono poveri come tanti di loro, tuttavia riconoscono che i beni di questi sono in buona misura anche suoi giacché sono usati a loro favore. Più avanti parleremo di certe difficoltà a questo riguardo. 5. I nostri missionari in Africa sono abbastanza inseriti nella vita della Chiesa locale e ne seguono i progetti pastorali. I rapporti con la gerarchia e con il clero diocesano, così come con la vita religiosa e col resto della famiglia francescana, sono buoni. La collaborazione che per più di dieci anni portano avanti frati Minori, Cappuccini e Conventuali a "St. Bonaventure" (Lusaka), è esemplare e degna d'imitazione. 6. Vorrei sottolineare come luce nell’Africa conventuale anche la varietà degli apostolati in cui i frati si sono impegnati. Tra altre cose essi gestiscono case di spiritualità, promuovono mezzi di comunicazione sociale tramite tipografie e pubblicazioni, hanno dato vita a progetti per persone handicappate o particolarmente bisognose, promuovono e curano l’Ordine Francescano Secolare ed altri gruppi legati all’eredità kolbiana, ecc. Ritengo che da questo punto di vista le nostre missioni in Africa riflettano con fedeltà il volto proprio del nostro carisma francescano conventuale con una certa sfumatura specificamente africana. B. Ombre 1. Alcune delle nostre missioni in Africa sono state iniziate senza un progetto e senza una adeguata programmazione, anche nel caso di alcune nate dopo il Vaticano II e il conseguente rinnovamento della Chiesa e dell’Ordine. Le ultime fondazioni però credo che siano state il frutto di un discernimento più accurato, di un dialogo più ampio Ordine/Provincia/Chiesa locale e di una programmazione più mirata e più precisa. Ci sono stati anche dei casi, come quello dell’Angola dove, nonostante una programmazione, è mancato tuttavia un elemento fondamentale, quello dell’assicurare la continuità del progetto con l’arrivo di nuovi frati, soprattutto davanti ad eventualità come quelle capitate nella nostra missione. 12 2. Ho costatato nel lavoro con le nostre missioni in Africa una scarsa conoscenza della cultura locale in una buona parte dei missionari. Sebbene la lingua faccia parte della cultura e in genere i nostri frati imparino bene le lingue locali, è chiaro che ciò non basta. Ho trovato missionari che, al meno fino a qualche anno fa, mostravano sorpresa se un altro missionario voleva fare dei corsi per conoscere meglio le culture africane. Non c’è dubbio che la cultura s’impara soprattutto nel quotidiano vivere in missione, ma c’è sempre il pericolo che essa venga guardata e letta con gli “occhiali” della cultura d’origine e quindi giudicata soltanto in questa ottica. Non si tratta quindi di un semplice contatto con la nuova cultura, ma dell’assimilazione personale di una realtà molto diversa, che dovrà essere “masticata” lentamente con l’aiuto dello studio, della riflessione, del dialogo e della preghiera. 3. Considero un’ombra nelle nostre missioni africane, e non solo africane, la mancanza di un vero aggiornamento missiologico in molti frati. Diversi missionari continuano a pensare e ad agire con dei vecchi schemi mentali e pastorali che diventano spesso un ostacolo all’evangelizzazione. Si trova ancora, per esempio, il “missionario orchestra”, che crede di dover saperlo tutto e farlo tutto. Non mancano i missionari “liberi battitori”, quelli che fanno “grandi opere”, ma sempre da testa propria, incapaci del lavoro in equipe, per dire poco. Esistono ancora missionari con lo spirito del “conquistador”, sia pure di “anime”; questi sono in missione per “salvare quella povera gente”, con un chiaro atteggiamento di superiorità che sembra più possesso che donazione. Non mancano neanche i missionari col complesso dei “zii ricchi” che si sentono nel dovere di distribuire beni e favori a tutti con “grande generosità”, grazie ai benefattori che da fuori li provvedono bene. 4. Per quanto riguarda il modello dello “zio ricco”, si deve aggiungere la difficoltà che esso crea nei rapporti tra missionari e frati nativi; i primi hanno un “potere” economico che di solito manca a questi ultimi, i quali non hanno i contatti all’estero come gli altri, né l’accesso alle loro fonti finanziarie. Queste cose, sono sicuro, capitano senza la cattiva intenzione di nessuno, anzi con la sola buona volontà di aiutare a chi sta nel bisogno; tuttavia creano tensioni, sfiducia, gelosie tra i frati d’una stessa Provincia/Custodia, e nella gente l’idea che esistano frati di “categoria A” e frati di “categoria B”; si rafforza così l’immagine del “frate buono” e del “frate meno buono” o “cattivo” perché l’uno “da” mentre l’altro “non da” o “non vuole dare”. Nonostante una nuova coscienza sul problema e certi tentativi di affrontarlo, sembra che non ci sia sempre la piena volontà di agire e la chiarezza del “come fare” per trovare una soluzione giusta e fraterna a questa situazione. 5. Una delle ombre che trovo nel panorama missionario dell’Africa, è la ripetizione di un vecchio modello che si è provato nocivo anche in altri continenti. Si tratta del forte cambio di status sociale che si opera nei candidati e nei giovani frati/sacerdoti locali una volta entrati nei nostri ambienti formativi e nelle nostre comunità; è il passaggio ad un livello di vita molto più alto di quello di prima con tutto quanto ciò comporta. In questo senso ho visto alcuni di questi frati, soprattutto una volta arrivati al sacerdozio, dimenticare quasi completamente le loro umili origini e optare tranquillamente per un modo di vita estraneo alla loro cultura e anche alla loro consacrazione religiosa e francescana. Li si può vedere vestire alla moda e anche con un certo lusso; sviluppare il bisogno regolare di una macchina, pur avendo a portata di mano i mezzi pubblici di trasporto; ricercare i migliori computers, macchine fotografiche, telefoni cellulari; godere di studi e viaggi abbondanti “senza dover sudare”, e sfruttare senza scrupoli qualsiasi tipo di privilegi clericali. Addirittura c’è chi rifiuta anche i lavori umili nel proprio convento o altrove. Ammesso che un certo cambiamento nel livello di vita sia quasi inevitabile e forse anche salutare, tuttavia quello che spesso ci capita non è educativo proprio perché non è rispettoso e della condizione previa dei candidati è della loro cultura. Lo status acquistato, per esempio, dai giovani 13 frati dentro le nostre comunità è troppo spesso molto superiore a quello della maggior parte dei loro compaesani e dei loro connazionali, Mi domando sempre in questi casi che tipo di frate stia formando l'Ordine. Aiutiamo così la causa del Regno di Dio in quelle terre o piuttosto la ostacoliamo? Questi frati sono persone migliori dopo aver bussato alle nostre porte, oppure sono peggiori? Certo sono domande che fanno pensare. Devo chiarire che molte delle cose che ho scritto in questi ultimi numeri al riguardo dell’Africa, potrebbero essere ugualmente applicate all’America Latina e ad altri continenti dove facciamo promozione vocazionale e lavoro formativo. 2. Asia La nostra presenza in Asia è limitata a cinque nazioni e sembra ancora più ridotta data la vastità del continente e la densità della popolazione. Inoltre nella maggior parte di esse è minima la popolazione cattolica e in alcune sono anche scarse le vocazioni. Se in Africa ci troviamo davanti a significative differenze culturali fra le nazioni, in Asia queste differenze sono molto più marcate. La mancanza di una lingua o più lingue comuni fa assai più complessa la comunicazione. A. Luci 1. La nostra presenza missionaria in Asia richiede da parte dei missionari uno speciale sforzo d’inculturazione. In alcune nazioni la lingua locale è particolarmente difficile per gli occidentali e i nostri missionari devono sottomettersi ad anni di sacrificio se vogliono impararla bene. Dobbiamo riconoscere che la maggior parte di loro ha superato questa prova e che oggi la parlano quasi come la propria. Un po’ diversa è la situazione nelle missioni dove l’inglese è lingua ufficiale ed alcuni missionari si risparmiano la fatica d’imparare lingue locali. Purtroppo questo rallenta e a volte ostacola il cammino verso una più completa inculturazione. 2. Un segno promettente della nostra presenza in Asia è il fatto che missionari in genere abbiano assunto stili di vita e di lavoro assai vicini alla gente semplice e povera. La nostra testimonianza francescana in favore di alcune categorie di gente piuttosto trascurate ed emarginate in quelle società (anziani, disabili, lebbrosi, orfani) sono motivo di gioia e di speranza. La stessa vicinanza e semplicità del rapporto dei frati con la gente favorisce lo sviluppo delle comunità cristiane e apre spazi per le vocazioni. 3. In Asia abbiamo già due Province e un’altra (forse due) che si prospettano per un prossimo futuro. Questo sta ad indicare la maturazione in tempi relativamente brevi di queste fondazioni. Molto presto infatti esse hanno sviluppato con non poco sacrificio le principali strutture formative ed amministrative, e hanno acquistato la necessaria autonomia nella gestione dei propri bisogni e progetti. A mio avviso ciò si deve, tra altre cose, al fatto di aver trovato in Asia, al meno in alcune di queste nazioni, un livello educativo abbastanza alto e un buon fondamento umano e familiare che hanno favorito un tale cammino verso la maturazione. Un altro fattore che ha contribuito positivamente allo sviluppo conventuale in Asia è stato l’influsso di certe personalità come quella di P. Massimiliano Kolbe, la cui santità di vita e spiritualità fortemente mariana e missionaria hanno permeato al meno tre delle nostre missioni in quel continente. 4. Per quanto riguarda il passaggio delle responsabilità e dell’esercizio dell’autorità nelle mani dei frati locali, le nostre missioni in Asia ci offrono un lodevole esempio. In questo momento tutte le giurisdizioni hanno dei frati asiatici come Provinciali, Custodi, Definitori, Guardiani. Nella maggior parte dei casi questo passaggio è stato graduale e pacifico, tanto che i frati missionari sono 14 rimasti lì a lavorare accanto ai frati più giovani, offrendo loro l’aiuto della loro esperienza e saggezza. Nei casi in cui il passaggio è stato un po’ brusco e quasi forzato dalle circostanze, quelle missioni fanno ancora fatica a trovare il loro giusto equilibrio e la loro necessaria stabilità. B. Ombre 1. Un punto che ritengo di grande importanza è il rapporto fra la Provincia madre o l’Ordine, secondo il caso, e la missione. Questo rapporto paterno/materno nell’ambito missionario equivale a quello richiesto anche in seno alla famiglia. A mio avviso questa funzione, in una buona parte dei casi nostri nell’Asia, è mancata quasi totalmente, oppure si è limitata all'aspetto economico o giuridico. Alle volte sono state le distanze geografiche e culturali, lingua inclusa, ad ostacolare un po’ il giusto coinvolgimento delle Province o l’Ordine nella vita della missione. Altre volte la missione è nata “orfana” ed è stata “adottata” più tardi da una giurisdizione senza mai arrivare ad acquistare la categoria di “figlia propria”. Ci sono stati anche dei casi di “paternità multipla” con le conseguenze che ben conosciamo. In genere questo tipo di mancanze ha accentuato l’isolamento e l'estraneità di queste missioni al riguardo del resto dell’Ordine, per non parlare di altri problemi propri del figlio/a che cresce senza genitori. Per fortuna credo che negli ultimi tempi questi rapporti Provincia/Ordinemissione abbiano migliorato in modo significativo. 2. Molto collegato col punto precedente nel contesto missionario asiatico è quello della trasmissione del proprio carisma, e quindi quello del collegamento della missione con tutta la tradizione e spiritualità dell’Ordine e della Provincia. In certi casi il carisma proprio era interpretato e quasi imposto da qualche missionario dalla personalità più forte. Alle volte questo carisma è stato identificato più con un santo dell’Ordine che col proprio Fondatore. Si deve capire che in alcune di queste nazioni il problema della lingua è stato un fattore decisivo che ha reso difficile l’accesso diretto e regolare alle Fonti Francescane e ad altri elementi della nostra tradizione e della nostra identità. Bisogna dire che anche in questo campo le cose sono migliorate significativamente negli ultimi decenni. 3.Un aspetto che elenco qui come ombra, particolarmente perché si tratta del continente asiatico, è lo scarso coinvolgimento dei nostri frati nel campo del dialogo interreligioso. E’ vero che la preoccupazione della Chiesa e dell’Ordine in questo senso è relativamente recente, ed è anche vero che i frati dell’Ordine in genere non sono stati preparati per questo tipo di apostolato. Tuttavia nell’oggi della Chiesa e dell’Ordine il dialogo interreligioso dovrebbe costituire una chiara priorità per tutte le nostre presenze missionarie particolarmente in Asia. L’Ordine francescano, infatti, sulle orme del Poverello d’Assisi, sta riscoprendo la sua missione di riconciliazione, di unità e di pace dovunque è chiamata a vivere ed operare. Quei pochi frati o le loro Province/Custodie che si sono impegnati in quest'importante ministero sono da lodare e vanno decisamente incoraggiati. 4. Una mancanza molto sentita nel continente asiatico è quella dei formatori locali e della loro adeguata preparazione. Questa, come sappiamo, non è un’esclusività dell’Asia, ma un problema sentito un po’ dappertutto nell’Ordine e nella Chiesa. Ancora una volta bisogna capire lo svantaggio in cui si trovano alcune di queste nazioni a causa della lingua e della stessa cultura, quando si tratta di trovare i luoghi e i programmi adatti per la preparazione dei loro formatori. Parlando della cultura, non dimentichiamo la grossa differenza che esiste fra gli schemi mentali, la visione del mondo e il modo esistenziale di affrontare la vita dell’orientale al riguardo dell’occidentale. Da non dimenticare anche è il predominio che ancora esiste nella Chiesa e nel l’Ordine della “visione” e dei metodi occidentali. 15 5. Ci colleghiamo a questo punto con un altro problema esistete in alcune delle nostre missioni asiatiche, come in altre missioni dell’Ordine; mi riferisco al grave rischio di accettare “generosamente” candidati al nostro Ordine quando non siamo preparati per offrire loro una dignitosa formazione. In termini familiari e sociali questo si chiama “paternità irresponsabile”, e così dovremmo chiamarlo anche tra noi. Le conseguenze in questi casi sono da noi abbastanza conosciute. 6. Vorrei sottolineare un altro aspetto che valuto come ombra nel nell'ambiente asiatico, pur non essendone esclusivo. Si tratta dell’apertura missionaria e dell’assumersi un impegno missionario stabile da parte delle nostre missioni. L’esistenza in Asia di due Province e di tre Custodie abbastanza sviluppate e alcune abbastanza numerose, fa diventare più pressante il bisogno di una tale apertura. Non possiamo negare le difficoltà che lingua, cultura ed altri fattori possono presentare all’impegno missionario, ma bisognerà considerare ancora più seriamente dell’importanza dell’attività missionaria per la vita dell’Ordine e delle varie giurisdizioni. Dei segni positivi si vedono qua e là; nonostante sono ancora pochi ed incipienti. Credo sia arrivata l’ora in cui le nostre missioni asiatiche diano dei passi più coraggiosi in questa direzione. 7. Finisco questa parte con un aspetto non attribuibile alle missioni gia presenti in Asia, quanto ad altre Province e all’insieme dell’Ordine. Si tratta della nostra scarsa presenza in Asia. Come detto sopra, non soltanto questa si limita finora a solo cinque nazioni, ma non c’è stata una nuova fondazione negli ultimi 25 anni. Anche in Africa è molto scarsa la nostra presenza, ma lì al meno qualche passo in avanti è stato dato. Particolarmente nel caso dell’Asia salta alla vista il contrasto con l’espansione missionaria dell’Ordine, per esempio, nell’America Latina. Dobbiamo riconoscere che l’Ordine ha perso e perde molto con questa marcata assenza dal continente asiatico; sta perdendo se non altro una grande opportunità per un più completo inserimento nelle varie culture, una conoscenza più ampia della ricchezza religiosa e spirituale di quel continente e una preziosa occasione per il raggiungimento di una più piena internazionalità e interculturalità della nostra famiglia. 3. Australia A. Luci L’Australia rappresenta per l’Ordine l’unica presenza nella vasta Oceania. Questa missione, lontanissima dal così chiamato “centro dell’Ordine”, è nata e cresciuta quasi come un vero miracolo. Tuttavia da quelle terre ci arrivano voci e messaggi di speranza. 1. La nostra presenza missionaria in Australia è stata segnata dall’internazionalità, come internazionale e interculturale è anche la popolazione di quella nazione. Qui si sono dati appuntamento lungo gli anni frati maltesi, americani, italiani, australiani, vietnamiti, croati, inglesi. La “convivenza” non è stata sempre pacifica, ma possiamo ringraziare il Signore che, malgrado tutto, la missione avanza con un discreto livello d’integrazione e di crescita. 2. Un merito della Custodia australiana è la sua salda volontà di mantenere il legame con una Conferenza o Federazione dell’Ordine. Nonostante certi dubbi sulla convenienza di appartenere a una o l'altra realtà, l’Australia si è inserita nella Federazione FAAMC e sembra questa appartenenza sia ormai abbastanza consolidata. Questo è stato un elemento decisivo per la superazione dell’isolamento in cui la missione era vissuta per anni. 16 3. Uno dei pericoli dei missionari dovunque ed in ogni tempo è quello di rimanere troppo legati ad un solo gruppo etnico, che spesso è quello d'origine. Credo che in Australia questo pericolo sia stato al meno in buona parte evitato, forse grazie giustamente al fatto della loro internazionalità. L’apertura dei nostri frati al servizio dei diversi gruppi nazionali ha consentito loro di essere ponte di collegamento fra di essi, contribuendo così alla causa dell’integrazione etnica, culturale e religiosa, tanto necessaria in Australia. 4. Ritengo giusto riconoscere nei nostri confratelli missionari dell’Australia la capacità di affrontare le diverse situazioni avverse: lontananza geografica, isolamento, periodi di orfanità, mancanze di personale, crisi vocazionali, ecc. Credo inoltre che nel loro caso non si tratti soltanto di un sopportare stoico delle difficoltà, ma di aver sviluppato un senso di tolleranza e una certa abilità per superare i conflitti, senza perdere né la propria identità, né la speranza di un futuro migliore. 5. Negli ultimi anni dall’Australia ci arriva un altro messaggio incoraggiante: si può dare agli altri malgrado la propria povertà (qui la povertà è piuttosto quella della scarsità del personale). Grazie soprattutto alla sollecitudine dei frati vietnamiti che fanno parte della Custodia, essa si è impegnata nell’avvio di una nostra presenza dell’Ordine in Vietnam, malgrado le difficoltà della situazione politica in quella nazione. Tramite visite sporadiche e qualche presenza occasionale dei nostri frati in, esiste già un gruppo di candidati all’Ordine e si profila un progetto missionario che sembra promettente. E’ chiaro che in questo caso si tratta di una strategia missionaria tutta particolare che comporta non pochi rischi, ma sembra l’unica viabile in questo momento. La nostra Custodia generale, pur consapevole dei suoi limiti, sta dando un sostegno sia economico che di personale e spirituale a questo coraggioso progetto. B. Ombre 1. Per certi aspetti la nostra missione in Australia è un buon esempio di quello che si deve evitare nel dare inizio ad una nuova presenza dell’Ordine. Qui mi riferisco alla mancanza di un progetto missionario con tutto quanto ciò comporta. E' chiaro che la buona volontà dei superiori di turno o dei missionari stessi non basta, come nel caso dell’Australia non è bastato neanche il proposito di soddisfare i bisogni pastorali dei gruppi etnici immigrati in quelle terre. La mancanza di coesione e l’instabilità di cui per anni ha sofferto quella nostra missione sarebbe stata al meno in parte evitata tramite un progetto chiaro e una saggia programmazione. 2. Un’ombra nel panorama australiano è la mancata presenza di un leadership appropriato sia per quanto riguarda la paternità/maternità di una Provincia o dell’Ordine, sia per quanto riguarda i missionari stessi. Suppongo che negli anni pre-conciliari questo problema sia stato meno sentito dato che i conventi erano quasi totalmente autonomi. Nel dopo concilio, però, con lo sviluppo nella Chiesa e nell’Ordine di una nuova visione missionaria con un forte senso di appartenenza a un’entità giuridica, il leadership è diventata un elemento fondamentale nel cammino della maturazione. Una volta, alle porte di un Capitolo custodiale, il governo dell’Ordine ha dovuto “importare” un Custode per l’Australia. Questo non è di per sé un male; anzi in quel momento un leader da fuori è stato provvidenziale, ma certo che non è stata neanche una situazione ideale. Come detto sopra, la leadership locale è una dimensione essenziale nel processo dello sviluppo missionario. 3. La nostra missione in Australia si è sviluppata prevalentemente in torno al lavoro della pastorale parrocchiale. Per questo ed altri motivi i frati non hanno potuto dare la necessaria attenzione alla promozione vocazionale e alla formazione. Nell'ambiente australiano sono scarse le vocazioni, e addirittura sono mancati spesso i formatori con vera vocazione e con la dovuta preparazione. L’improvvisazione ha portato non poche volte a dover cambiare formatori e case 17 formative, con la conseguente mancanza di continuità e di serietà nel processo. Gli sforzi fatti in questo campo negli ultimi anni sono da lodare, ma possono provarsi ancora insufficienti. La Custodia ha bisogno di una maggiore solidità in questo importante campo, anche se dovrà ridimensionare le sue presenze e rivedere i suoi apostolati. IV. A MODO DI CONCLUSIONE La nostra presenza missionaria in questi tre continenti è molto significativa per l’Ordine in quanto ha cambiato e sta cambiando il volto dei suoi componenti. Ciò dovrebbe significare anche un cambio delle nostre abitudini, della nostra visione del mondo, di molti schemi mentali e dei nostri programmi di futuro. La presenza e l’impegno dell’Ordine in queste aree è una benedizione dal Signore che non possiamo sottovalutare. Mi sia consentito, per concludere, offrire alcune raccomandazioni: ¾ Non è ancora tardi perché l’Ordine reagisca al bisogno di formulare per sé stessa un progetto missionario. Il presente Congresso potrebbe essere un primo passo in questa direzione. ¾ Tutte le Province e forse anche le Custodie, si prendano a cuore l’appello missionario della Chiesa e dell’Ordine. Dall’apertura alle missioni non riceveremo se non abbondanti benedizioni. ¾ L’Ordine abbia il coraggio di estendere la sua presenza missionaria alle zone culturali e agli ambiente religiosi dove adesso è poco presente o praticamente assente. ¾ L’impegno ecumenico e interreligioso non rimanga nei documenti, ma diventi una componente indispensabile del nostro impegno apostolico. ¾ I missionari non abbiano paura di annunziare esplicitamente Gesù Cristo e i valori del suo Regno, anche nelle circostanze più avverse e pericolose. Non basta fare un lavoro sociale né accontentarsi di un facile irenismo che alla fine possono tradire la causa del Vangelo. ¾ I missionari si ricordino che non cambieranno il mondo soltanto con i soldi, con le parole, con grandi edificazioni e neanche con molte vocazioni. La Parola di Dio, la pratica sacramentale, preghiera intensa, l’intercessione costante, il sacrificio personale e la testimonianza della vita sono, prima di tutto, la forza che trasformerà il mondo. Spero che questa semplice presentazione, così come tutto il lavoro del Congresso, contribuisca ad una maggiore chiarezza sulla situazione attuale e sulle prospettive future delle nostre missioni. A tutti voi che siete in India, i miei migliori auguri di buon lavoro e dell’abbondanza della pace che solo il Signore può donare. Pace e Bene! Fra Enrique Montero 18