come compreremo nel 2020

Transcript

come compreremo nel 2020
INCHIESTA
COME
COMPREREMO
NEL 2020
Uno scatto
dell’artista
fotografo Gianluca
Vassallo per
l’azienda di
illuminazione
Foscarini.
Dimenticatevi la scena nella
quale in negozio lei sceglie
e lui paga. Al design ora
i Millennial chiedono di più.
E fanno shopping in
modi diversi. Ecco quali
DI LAURA TRALDI
DCASA 2016
A
grandi linee, il panorama del mondo dell’abitare
del prossimo futuro potrebbe essere così: arredi
flessibili, da comporre e scomporre all’occorrenza;
mobili politically correct, con iter di manifattura, distribuzione e fine vita rivelato prima dell’acquisto;
tecnologia diffusa ma invisibile e in perenne evoluzione. La
personalizzazione sarà tutto, e ci arriverà sotto forma di soluzioni industriali ma create assieme a noi. Oppure di pezzi unici
che compreremo sui siti di crowdfunding da designer o marchi sconosciuti (che sono stati in grado di convincerci con le
loro storie appassionanti, raccontate in curatissimi videoclip). Per i consigli one-to-one non andremo più negli showroom ma sulle pagine social di chi avrà la cura di elargirli 24 ore
su 24, 7 giorni su 7, con leggerezza, spontaneità e un po’ di
ironia, magari sfruttando la popolarissima diretta tv o creando
tutorial belli come short movie (e rispondendo alle domande
49
INCHIESTA
dirette con attenzione e serietà, ricordandosi che gli interni
veri, ormai, sono piccoli, raccolti, poco pretenziosi ma accoglienti come alcove. Dovrebbe essere così, secondo gli
esperti, il panorama dell’arredo made in Italy prossimo venturo, se il settore (più di 80mila aziende per 320mila occupati,
nel primo semestre 2016 un +3,5% nei fatturati) vuole continuare a crescere nell’era dei Millennial. Chi si occupa di marketing descrive i nati tra il 1980 e il 1999
come “barbari” che fanno piazza pulita di tutto quello che trovano sulla strada. E per una volta non esagerano. La prima ricerca specifica sul rapporto di questa generazione con l’arredo, realizzata qualche mese fa da Pambianco con Federlegno
Arredo, ha infatti tracciato un ritratto interessante. Per loro, la
casa è un luogo fluido che il budget disponibile deve affrontare in toto: non solo gli elementi “impegnativi” (la cucina, il salotto) ma anche tessuti, complementi, accessori. Secondo i
Millennial, arredarla è il momento più divertente e creativo di
un processo lungo e costoso (acquisto o ristrutturazione): lo
vogliono quindi vivere in prima persona. Per questo si documentano online (dove molto spesso acquistano) e non si fidano dei consigli generici sulle “tendenze” né dei claim sulla
qualità dei marchi: fare di testa propria è per loro l’unica soluzione contro il detestato total look. In un settore dove il target
è da almeno vent’anni sempre lo stesso (la coppia agiata di
classe media, salvo eccezioni), si tratta di una rivoluzione. E
trasformarla in opportunità non è facile in un mondo come
quello del mobile, dove l’innovazione è oggi meno visibilmente dirompente di quanto non fosse in passato (provate a trovare un equivalente “disruptive” alla pari della Blow di De Pas
D’Urbino Lomazzi di Zanotta), dove si ripassa costantemente
l’età dell’oro (con anniversari di marchi e prodotti) e dove il
revival viene usato come una sicura coperta di Linus. «Non è facile ma è possibile, se ci si libera dall’idea della “seduzione a distanza” che con i giovani non funziona», dice Selena Pellegrini, anchorwoman su Rai e la7, autrice del libro Il Marketing del Made in Italy
(recentemente presentato a Milano presso lo
showroom di Alpi). «La ricetta per il successo ha
ingredienti come ascolto e personalizzazione,
servizi pre e post vendita oliati come quelli delle
multinazionali, e rapporti diretti on e off line, rigorosamente non ingessati. L’automobile per
esempio - un settore per certi versi paragonabile
all’arredo per impegno economico, complessità
della produzione e della distribuzione - da anni
ascolta il suo nuovo pubblico: ed è onnipresente
alle settimane del design e della moda, alle grandi mostre, crea prodotti e pacchetti d’acquisto
sartoriali e soprattutto sfrutta i social media al
meglio». Un esempio? La giapponese Lexus,
che pur di continuare il dialogo con i giovani oltre
l’ormai tradizionale presenza al FuoriSalone
(dove elargisce premi ai nuovi talenti) organizza
discussioni filosofiche durante i Brera Design
Days di Milano. O, spostandosi sul mondo online, il “battibecco” su Twitter tra le utilitarie di
FCA, BMW e Renault durante la Giornata del
Perdono lo scorso settembre. Ai post di 500: «Scusa Mini se
sono bellissima», e: «Scusa Twingo se sono unica», le altre
hanno risposto per le rime: «È vero 500, sei l’unica. A non
avere 5 porte», «Scusa 500, ho sbagliato. Pensavo fossi quella simpatica». Ironia, irriverenza, decontestualizzazione: sono
gli ingredienti della viralità che funzionano bene sui social.
Non a caso, dopo l’annuncio del divorzio, ecco Brad Pitt e
Angelina Jolie sfruttati da Norwegian Airways con il suo «Brad
è single. Vola a Los Angeles per 169 sterline», e la risposta
immediata di Alitalia: «Ragazzi tutti a Los Angeles. Le ragazze
le porta Norwegian».
Funzionerebbero questi approcci “leggeri” nel mondo del design che ama pensarsi come un motore intellettuale (oltre che
economico e commerciale) del sistema paese? Sembrerebbe proprio di sì, a giudicare da quello che è riuscito a fare il
Design Museum di Londra (3 milioni e mezzo di follower su
Twitter). Durante il recente trasloco da Shad Thames a South
Kensington ha prodotto con The Mill 12 video con protagonisti gli oggetti (la macchina da scrivere che fa l’autostop, la
lampada che prende il taxi, l’Apple iMac che corre sullo skate)
che hanno creato un clima di attesa virale tra i giovanissimi (e
hanno contribuito a raggiungere il target in termini di raccolta
fondi per la ristrutturazione). «Il punto di partenza per avvicinare i giovani sui social è dimenticarsi la foga di vendere e
aver invece voglia di dare: contenuti, storie, idee. Investire in
iniziative che daranno un ritorno in termini di fiducia e quasi
“amicizia”, fondamentali per costruire un nuovo pubblico»,
dice Stefano Rocco, già direttore marketing e contenuti di
MySpace Italia, ora a capo di BetterDays che pubblica Rockit.
it e DailyBest, esperto di social media. «Il sito tradizionale non
basta perché la maggior parte delle aziende lo usa come un
sostituto cheap del catalogo o della newsletter. Funziona per
gli adulti ma non per i Millennial. Esempi di ottima comunicazione in questo senso sono San Pellegrino, posizionata come
l’acqua di chi ama il buon
cibo e i viaggi (notoriamente, i Millennial) con il
suo magazine no-logo Finedininglovers, o RedBull,
sul cui sito non c’è nessuna lattina ma solo informazioni esclusive sugli sport
estremi (gettonatissimi tra
i giovani)». Esistono esempi simili nel mondo del design. Come il recentissimo
LE/Mag, un curatissimo
magazine online realizzato
dal marchio di mobili Lema,
dove si parla di food, lifestyle e design (ma senza
autoreferenzialità, come
conviene ai Millennial che
non si fidano di nessuno,
men che meno di chi ama
parlarsi addosso). A muoversi con agilità in questo
FARE DI TESTA
PROPRIA È UNA
PRIORITÀ PER
I GIOVANI.
E ANCHE L’UNICA
POSSIBILE
SOLUZIONE,
SECONDO LORO,
CONTRO
IL DETESTATO
TOTAL LOOK
50
DCASA 2016
Le campagne di
Norwegian Airlines
e Alitalia dopo
l’annuncio del
divorzio Pitt-Jolie.
In poche ore sono
diventate virali sui
social network.
52
universo complicato c’è anche Foscarini, che dopo il successo del suo magazine Inventario (in vendita nelle librerie, anche
qui senza alcun riferimento al brand) da qualche tempo lavora
ottimamente (spesso con artisti fotografi come l’intenso
Gianluca Vassallo) su Instagram, proponendo campagne di
hashtag, coinvolgendo i 46mila follower in azioni di reposting,
usando le sue lampade in divertenti illustrazioni accompagnate da didascalie che ne raccontano la storia.
Ma non è solo sulla comunicazione che i marchi devono agire
per rispondere alle sfide dei Millennial. «Il mondo del design è
perfettamente posizionato per lavorare sulla co-creazione, altra condizione per piacere ai giovani», continua Pellegrini.
«Come ha fatto, nel food, Rodolfi: per lanciare la linea kids dei
sughi ha coinvolto le mamme nell’ideazione della ricetta,
sfruttando il tam tam online come preparazione alla vendita. È
un capovolgimento del percorso tradizionale che rappresenta
un’occasione unica: con ideazione e comunicazione sviluppate insieme al consumatore si arriva infatti alla distribuzione
con una forza mai vista». Qualcuno si sta già muovendo in
questa direzione. L’e-brand leader del settore italiano LoveTheSign, per esempio, ha progettato il suo best seller, il divano personalizzabile Rodolfo, dopo avere ascoltato il pubblico.
Mentre la bergamasca Lago ha costruito la sua fortuna sul
rapporto continuo (nell’ambiente fisico degli “appartamenti”
che ha disseminato nelle varie capitali d’Europa) con il consumatore giovanissimo, regalando contenuti e scambi culturali
e ottenendo fiducia e rispetto. Né va dimenticata la nuova iniziativa dell’architetto Matteo Thun che ha saputo cogliere lo
spirito del tempo con il suo Atelier, una piattaforma digitale
dove consumatori e designer possono, insieme, configurare
mobili, lampade e oggetti. «Esistono esempi virtuosi, è vero»,
dice Pellegrini, «ma in generale, per chi non è del settore, il
mondo dell’arredamento - soprattutto quello dei grandi marchi - appare estremamente bloccato, avvitato su se stesso.
Quando passeggio per il Salone del Mobile mi pare un eterno
déjà vu. Per le aziende di design - come talvolta anche del
fashion - esiste un “tappo” generazionale e culturale che impone uno stile e che teme si depauperi la tradizione. L’inventiva dei brand è spesso dipendente dal genio del singolo e non
siamo ancora bravi nel trasformare la capacità di creare narrative in processi riproducibili e aggiornabili. Il made in Italy traina moltissimo nel mondo. Ma per il pubblico giovane un’etichetta non basta. E non dimentichiamo che questa
generazione, se guardiamo a un mercato fondamentale come
gli USA, è la più numerosa di sempre». E la più compatta. Visto che dalla ricerca Pambianco emerge l’allineamento dei
giovani italiani con i coetanei del resto del mondo. Perché i
fattori discriminanti, nel rapporto coi consumi, non sono più la
provenienza geografica o il reddito ma l’alfabetizzazione tecnologica. Inutile sperare che crescendo i giovani vireranno sui
terreni sicuri, già percorsi dai genitori: la visita in negozio, con
lei che sceglie (magari aiutata dall’architetto) e lui che paga.
La ricerca di Pambianco evidenzia che a segnare i Millennial è
un cambio di prospettiva legato a una scala di elementi (la
precarietà, l’individualismo, l’alfabetizzazione digitale, la globalizzazione) destinata a restare attaccata per il resto della
vita. Meglio pensarci da subito.
DCASA 2016
Courtesy Norwegian Air Shuttle, courtesy Alitalia
INCHIESTA