La partecipazione italiana ad operazioni militari. Brevi
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La partecipazione italiana ad operazioni militari. Brevi
LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AD OPERAZIONI MILITARI. BREVI CONSIDERAZIONI GIURIDICO-ECONOMICHE. di Francesco Grassi A partire dalla prima significativa operazione di cosiddetta “polizia internazionale” cui partecipò il nostro Paese nel 1978 in Libano (denominata operazione UNIFIL) sotto l’egida delle Nazioni Unite per controllare l’effettivo ritiro delle truppe israeliane dai territori occupati ed il contemporaneo contenimento degli elementi siriani intervenuti nel conflitto a sostegno della posizione e della strategia del terrore degli Hezbollah, si è verificato un progressivo ed apparentemente inarrestabile processo di partecipazione dell’Italia ad operazioni di questo tipo e più in generale all’impiego concreto dello strumento militare di cui siamo dotati(1). In primis occorre sottolineare alcuni elementi di carattere giuridico-formale che caratterizzano le differenti tipologie in cui si sono evolute tali attività di uso della forza armata. Nei primi due decenni successivi alla fine della Seconda Guerra mondiale i Paesi europei furono impegnati ad occuparsi delle problematiche connesse con la loro ricostruzione civile e materiale realizzata, in particolare, grazie all’aiuto dell’alleato americano e del programma di investimenti nato dal Piano Marshall(2); tali Paesi pertanto non furono in grado e spesso neppure vollero politicamente prendere parte attiva e concreta agli interventi che richiedevano un uso più o meno misurato della forza militare seppur svolti in ambito ONU, anche in ragione del pessimo uso sino ad allora fatto di quello strumento delle relazioni internazionali. Con il progressivo e costante sviluppo nel corso degli anni seguenti e la ormai certa conformazione democratica di tali sistemi giuridici statuali, si è progressivamente fatta strada nella mentalità dei vertici politici l’idea che pure medie potenze regionali(3) quali l’Italia possano svolgere un proprio positivo ruolo nel panorama delle missioni internazionali a carattere militare divenendo soggetti attivi delle relazioni internazionali e coerenti applicatori delle regole pur mutevoli del diritto internazionale (variabili secondo i principi che regolano le fonti di quel particolare settore normativo). Proprio questa maggiore consapevolezza si è manifestata in modo tanto significativo ed esemplare per la nostra Repubblica che in origine era dotata di Forze Armate costruite sul modello strettamente difensivo-territoriale, strutturato secondo modalità dispendiose ed al tempo stesso scarsamente efficaci-efficienti, la cui evoluzione ha permesso un attivo inserimento dell’Italia nella geopolitica post-bipolare. Grazie anche ad una storica tradizione militare che ha permesso la conservazione e lo (1) In verità l’Italia aveva già partecipato a due missioni in ambito ONU. La prima denominata UNMOGIP raccoglieva un gruppo di osservatori internazionali, tra cui appunto anche alcuni italiani, che avrebbero dovuto procedere al controllo della tregua nella zona di confine tra India e Pakistan a partire dal 1949, anno in cui si origina la questione del controllo della regione del Kashmir; la seconda missione nel 1958 fu denominata UNTSO e avrebbe dovuto sorvegliare la tregua tra gli Stati arabi (Egitto, Giordania, Siria) ed Israele. (2) Il Piano Marshall rappresentò il primo esempio di significativa cooperazione tra Paesi e di collaborazione allo sviluppo dei soggetti statuali riformati dopo la fine del secondo conflitto mondiale; esso fu il frutto dell’intuizione dell’amministrazione statunitense conscia di poter riuscire a tenere a freno le ambizioni delle ex potenze europee ed al contempo impedirne una adesione al modello del socialismo reale di stampo sovietico solo garantendone un adeguato sviluppo economico quale presupposto imprescindibile di un corrispondente sviluppo civile, giuridico e sociale. (3) C. JEAN, L’uso della forza. Se vuoi la pace comprendi la guerra, Laterza, Roma-Bari, 1996. sviluppo di “punte di diamante”, ossia centri d’eccellenza del comparto militare capaci di porsi ad un livello tecnico-operativo paragonabile agli altri attori del processo internazionale, è stato possibile per le Forze Armate italiane inserirsi in modo mirabile nella gestione delle crisi permettendo nel contempo alle stesse un aumento significativo di esperienza e di capacità nell’amministrazione dei conflitti e delle situazioni conflittuali; ciò è emerso con forza anche nella recente riforma dello strumento militare tuttora in via di attuazione. Da quella lontana presenza italiana nella missione in Libano si è successivamente passati attraverso la prova del fuoco della cosiddetta “Prima Guerra del Golfo” del 1991 nel corso della quale partecipammo con i bombardieri Tornado alla prima operazione dell’Aeronautica Militare Italiana dalla fine della Seconda Guerra mondiale(4), operazione che nel contempo rappresentò una svolta nella storia della strategia militare in quanto introdusse forme di conflitto basate sulla superiorità aerea e sulla capacità di individuazione e distruzione dei bersagli con tecnologie maggiormente precise (dette “nuove tecnologie”) perseguendo in tal modo lo scopo di limitare le vittime civili(5) ed anche con l’intenzione di minimizzare i rischi di perdite umane tra le truppe alleate. Nonostante i molti richiami non sempre coerenti ed imparziali al diritto internazionale, alla Carta delle Nazioni Unite, alla Costituzione Repubblicana e quant’altro espressi da alcune forze politiche, la presenza italiana sullo scenario internazionale ha teso ad aumentare in modo considerevole. Dalla partenza un poco in sordina le Forze Armate del nostro Paese hanno acquisito capacità e competenza ad agire in scenari strategici sempre più complessi, difficili da analizzare e da affrontare concretamente sia sul versante politico che su quello, ugualmente rilevante, degli impegni finanziari. Tutto questo ci ha portato dapprima ad operare, seppur per un periodo di tempo limitato ed impiegando uomini e mezzi in misura ridotta, in luoghi del globo molto distanti dall’Europa e dal Mediterraneo nostri teatri naturali di operatività; basti ricordare la missione, realizzata con il sostegno dell’Aeronautica Militare, degli uomini del Battaglione Folgore nell’isola di Timor Est(6) in una operazione di frapposizione tra le parti in lotta (in senso lato operazione di “peace keeping”). Ciò ha prodotto un aumento dei costi della missione stessa rappresentati, nel caso specifico, non dal numero degli uomini impiegati o dalla durata delle operazioni in teatro ma dalla grande distanza che separa la nostra penisola da quella terra lontana. Le molteplici missioni in cui sono state impegnate le Forze italiane si sviluppano sotto configurazioni giuridico-politiche differenti che possiamo distinguere in alcune grandi categorie: le “missioni multinazionali” ovverosia attività svolte in accordo con una pluralità di soggetti statuali (ad esempio l’operazione “Enduring Freedom” in Afganistan); le “missioni ONU” cioè attività militari sviluppate su mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di cui già abbiamo ricordato l’operazione INTERFET a Timor Est; ancora le “missioni in ambito UE” ovverosia operazioni (4) Tale intervento seppur sostenuto da una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fu per il Governo all’epoca in carica quasi necessitato dato che in quegli anni sedevamo in un seggio non permanente di quel Consiglio ed avevamo sostenuto la peraltro diffusa posizione contro il regime di Baghdad. Non deve passare sotto silenzio il fatto che lo sviluppo politico-militare della crisi ed in particolare l’emabargo contro l’Iraq ci colpiva direttamente essendo al tempo in esecuzione un contratto di fornitura (contratto di mutuo) di svariate unità militari (sia navali che aeree) i cui strascichi finanziari e contabili giacciono ancora nelle pieghe del bilancio della Difesa (alla voce “pacchetto ex-Iraq”). (5) Ben preciso era il ricordo dei bombardamenti sistematici ed a tappeto della Seconda Guerra Mondiale che avevano raso al suolo molte delle più importanti città europee. (6) Missione denominata INTERFET (International Forces East Timor) autorizzata dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1264 del 15 settembre 1999; conclusasi per le forze italiane nel 2000. 2 militari che coinvolgono Paesi membri dell’Unione Europea, autorizzate dal Consiglio dell’Unione quale organo politico della stessa e ricomprendenti attività limitate alle operazioni di osservazione e supporto ed alle cosiddette “Missioni di Petersberg”(7) (esempio di tali limitate forme di collaborazione militare non in ambito Nato tra Paesi europei è la missione di monitoraggio degli osservatori UE denominata EUMM, European Union Monitor Mission, nella ex Jugoslavia per il controllo degli accordi di pace). A quelle sopra ricordate si affiancano le “missioni NATO” che rappresentano il nocciolo duro della presenza italiana all’estero sia sul piano strettamente militare che, più in generale, sul versante economico; queste peculiari missioni hanno visto una massiccia partecipazione italiana anche in ragione del fatto che si sono sviluppate in maniera pressoché esclusiva nella zona dei Balcani coincidente all’incirca con il territorio della ex Jugoslavia e dell’Albania, zone strategicamente vicine alla penisola e di cui non avremmo potuto non occuparci con vigile attenzione essendo quelle la “porta dell’Europa verso l’est ed il sud-est” (ossia l’Europa orientale e la Turchia e Middle Est) ed al contempo rappresentando per gli interessi economici dell’Italia delle teste di ponte verso mercati ancora arretrati ma di possibile futuro importante sviluppo. Nel quadro delle missioni Nato si possono ricordare la SFOR e KFOR in Bosnia-Erzegovina, Kosovo ed Albania. Per ultime dobbiamo menzionare le “missioni nazionali” cioè attività anche militari sviluppate dal nostro Paese in modo autonomo rispetto ad organizzazioni internazionali o sovranazionali ma che l’Italia ha deciso di intraprendere per un peculiare interesse alla stabilizzazione di certi Nazioni come l’Albania.Queste missioni tendono al contenimento dei flussi migratori irregolari, dei traffici illeciti ed allo sviluppo di forme di collaborazione-cooperazione con quei soggetti statuali al fine di renderli autonomi, riportandoli ad un livello sociale ed economico vicino a quello europeo. In tale contesto si debbono menzionare la DIE (Delegazione Italiana di Esperti) che svolge missioni di assistenza e cooperazione con le Forze Armate albanesi e l’operazione ALBANIA 2 di sorveglianza delle acque territoriali albanesi (sia marittime che interne) per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Sempre nel novero delle missioni militari nazionali si contano anche attività che traggono la loro ragion d’essere dalla vicinanza territoriale e dagli ottimi rapporti anche commerciali che si sviluppano con il piccolo Stato della Repubblica Maltese: esiste infatti un accordo denominato MIATM, Missione Italiana di Assistenza TecnicoMilitare, per procedere all’addestramento da parte italiana delle Forze Armate Maltesi. Solo per completezza si deve ancora ricordare che missioni nazionali ad opera delle nostre Forze Armate si sono realizzate anche sul territorio della Repubblica in particolare nel perseguimento di finalità di ordine pubblico ed in occasione di situazioni interne significativamente tese e difficili, come accaduto nel periodo della recrudescenza del fenomeno criminale mafioso dopo le stragi e gli attentati dei primi anni novanta a cui l’ordinamento rispose con un uso misurato ed intelligente dello strumento militare per compiti di controllo del territorio e di presidio degli obiettivi sensibili, liberando così risorse umane delle forze di polizia per lo svolgimento delle attività di indagine in senso stretto e con un impiego relativamente modesto delle scarse risorse finanziarie disponibili(8). Ed è proprio questo maggior impegno italiano sul versante della presenza militare in altri Paesi ed in situazioni di crisi sullo scenario internazionale che ci pone di fronte all’opportunità di considerare l’impiego delle risorse finanziarie a disposizione per tali (7) Dopo l’inglobamento dell’Unione Europea Occidentale (UEO) nella struttura dell’Unione Europea come modificata con il Trattato di Nizza. (8) Tali missioni furono denominate VESPRI SICILIANI e PARTENOPE 1 e 2, entrambe concluse nel 1999. 3 attività sotto una luce diversa; si vuol tentare di comprendere se le erogazioni necessarie al mantenimento ed all’operabilità efficiente delle forze in campo siano un inutile “esborso a fondo perduto” giustificato soltanto da mire pseudoimperialistiche del nostro sistema giuridico-politico oppure se esse rappresentino un vero e proprio investimento per gli anni a venire a vantaggio della macchina produttiva italiana. Si deve sottolineare che la decisione di inviare delle truppe in missione, indipendentemente dalla consistenza numerica e dalla composizione delle stesse, passa sempre e necessariamente attraverso una decisione del Parlamento quale soggetto che, essendo l’espressione più diretta della Sovranità Popolare, detiene il potere-facoltà di decidere tale partecipazione delle Forze Armate in quanto costituzionalmente detentore della “funzione d’indirizzo politico”. Negli ultimi anni questa configurazione del rapporto tra Parlamento e Governo appare essersi almeno in parte invertita. Ciononostante in questa materia specifica il voto parlamentare continua a rappresentare un elemento importante di condivisione di scelte politiche rilevanti per l’ordinamento e ciò appare confermato anche dal comportamento dell’opposizione (in particolare nella passata legislatura) che in questa materia normalmente tende ad appoggiare le linee indicate dal Governo nel perseguimento di un comune interesse nazionale e nel tentativo di rendere un’immagine della Nazione più coesa ed unitaria(9). Non possiamo però trascurare anche il ruolo del Consiglio Supremo di Difesa, presieduto dal Presidente della Repubblica, al cui vaglio debbono passare le decisioni del Governo in tale delicato ambito prima di giungere all’esame del Parlamento(10). In merito allo svilupparsi del meccanismo decisionale per tali operazioni, si deve procedere alla descrizione del relativo iter istituzionale premettendo che esso non trova riscontro diretto in atti giuridici formali né di livello costituzionale né tantomeno di rango legislativo o regolamentare ma viene ad inquadrarsi secondo un meccanismo ampiamente informale seppur ormai stratificato grazie allo sviluppo storicamente realizzatosi in tali attività poste in essere dal nostro Paese. Stante infatti lo stimolo che deriva dagli organismi internazionali interessati ad una situazione di “conflitto in atto od in potenza” (ad esempio Nazioni Unite, Nato, UE, UEO, OSCE ecc.) presso i quali le nostre rappresentanze faranno sentire la propria posizione indicando l’eventuale disponibilità italiana all’intervento e ponendo in essere tutti quei contatti a livello politico (Ministro degli Esteri, Sottosegretari di Stato, Ministri plenipotenziari, Ambasciatori, Consiglieri diplomatici e militari, Segreterie politiche ecc.) ed anche operativo (Dipartimenti ed Uffici dei Ministeri interessati competenti per la definizione degli aspetti maggiormente tecnici dell’eventuale missione) che appariranno necessari ed indispensabili per la formulazione di una posizione condivisa sulla situazione oggetto di analisi in tale sede, proprio sulla base della posizione adottata in quel consesso si attiverà il meccanismo decisorio nazionale che vede coinvolti in prima istanza il Presidente del Consiglio, il Ministro degli Esteri, il Ministro della Difesa, il Ministro dell’Economia e delle Finanze e più in generale l’intero Consiglio dei Ministri dato che tale decisione coinvolge la responsabilità politica dell’intero Governo. Fatte le valutazioni del caso che, si deve sottolineare, hanno una valenza principalmente politica (9) Le considerazioni sull’atteggiamento dell’opposizione variano molto in rapporto alla realtà politica contingente sul versante nazionale e risentono anche dell’impostazione ideologica dei partiti o gruppi politici coinvolti in tale procedura. Si può portare come esempio il diverso atteggiamento dell’opposizione (attuale maggioranza) in occasione dell’intervento in Kosovo nel 1999 ed a parti invertite dell’intervento in Iraq nel 2003. Ciò testimonia anche di quanto tenda ad affievolirsi sempre più la distinzione tra politica interna e politica internazionale al pari della differenza tra sicurezza e difesa. (10) Possiamo affermare che il Consiglio Supremo di Difesa svolge in questo settore una funzione di filtro rendendo più coerenti e ponderate decisioni politiche prese dal Governo su indicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro della Difesa e di quello degli Esteri, decisioni che debbono essere approvate dalle Camere. 4 e tecnica più che giuridica(11) il Consiglio dei Ministri delibera in materia ovverosia decide se intervenire o meno e le eventuali modalità in cui tale intervento si esplicherà sia sul piano tecnico-militare che sul più generale versante dell’impegno finanziario(12). Adottata tale decisione(13) il Governo si presenta al Parlamento nella veste del Presidente del Consiglio o di un Ministro a ciò delegato (solitamente il Ministro degli Esteri o quello della Difesa) per riferire alle Camere (in aula oppure in commissione) sulla posizione assunta dall’Esecutivo e, nel caso di decisione favorevole all’intervento, indicandone gli aspetti tecnici salienti (composizione ed impiego delle Forze, zona di responsabilità italiana, catena di comando se già individuata, prevedibile impegno finanziario, ragioni politiche dell’intervento ecc.); sulla base di quanto dichiarato dal Governo si apre un dibattito tra le forze politiche rappresentate in Parlamento (solitamente tra quelle di maggioranza e quelle di opposizione ma in certi casi all’interno delle stesse compagini di sostenitori od avversari del Governo) che normalmente si conclude con una risoluzione(14) in cui si esprime la valutazione sulla posizione e sull’agire del Governo stesso. Tale atto rappresenta una delle classiche espressioni della funzione d’indirizzo politico del Parlamento rispetto all’azione concreta dell’Esecutivo nel nostro sistema costituzionale-istituzionale pur dovendo sottolineare che difficilmente le Camere smentiranno la posizione del Governo, essendo questo espressione della stessa maggioranza parlamentare; ciò è tanto più vero oggi con il sistema bipolare maggioritario nel quale le eventuali dimissioni del Governo (peraltro non giuridicamente obbligatorie), a seguito di una risoluzione sfavorevole su un intervento militare in pratica già deciso, determinerebbero quasi certamente lo scioglimento delle Camere e l’indizione di elezioni politiche anticipate. Si verrebbe a creare in tale situazione una vera e propria crisi istituzionale interna con gravi riflessi sulle relazioni internazionali. Sulla base delle considerazioni sopra menzionate si comprende che effettivamente è l’autorità governativa ad esprimere la decisione in merito all’impiego delle Forze in tali operazioni militari, senza peraltro trascurare il legame fiduciario che lega Governo e Parlamento sulla base di un programma politico precedentemente formulato e condiviso dai membri della maggioranza parlamentare, legame che esplica i suoi effetti anche in relazione alla posizione del Presidente della Repubblica e del Consiglio Supremo di Difesa i quali non potranno non tener conto del concreto svilupparsi di tale rapporto dialogico essendone allo stesso tempo coinvolti in maniera principale: il primo come (11) Non si configura infatti un obbligo giuridico dell’ordinamento statuale ad intervenire in situazioni di conflitto neppure su richiesta di organizzazioni internazionali fatta eccezione per obblighi assunti in relazione a specifici accordi che prevedano forme di difesa collettiva. Ovviamente non si può immaginare che un Paese tenga in seno ad un’organizzazione internazionale o nei rapporti con altri Stati su un intervento di carattere militare una posizione non previamente concordata a livello di compagine di Governo e di maggioranza parlamentare; appare cioè pressoché impossibile che un Governo si dichiari disposto ad un intervento militare diretto in sede multinazionale e successivamente non confermi la parola data agendo con decisioni difformi sul versante nazionale-interno. (12) In tempi recenti questa prima fase in senso lato internazionale si è in parte modificata visto che si è affiancato alle tradizionali organizzazioni internazionali un nuovo modo di agglomerare i Paesi interessati ad interventi di carattere militare; meccanismo che è fondato sulla volontarietà e variabilità-contingenza della composizione delle stesse coalizioni. In pratica con il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza Atlantica del 1999 e più in particolare con il Documento Strategico sulla Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d’America del settembre 2001 viene a delinearsi la “coalition of willings” ovverosia una coalizione variabile di Stati che coagulano il loro consenso sulla specifica azione di volta in volta determinata, spesso non sostenuta direttamente da decisioni adottate in fori internazionali ma nascente da accordi estemporanei sui singoli teatri d’intervento. Un esempio di tale recente modo di operare è rappresentato dalla cosiddetta “Guerra contro l’Iraq” conclusasi recentemente. (13) Art. 2, L. 23 agosto 1988 n. 400. (14) Sulle risoluzioni come atti di indirizzo politico si veda M. L. MAZZONI HONORATI, Diritto Parlamentare, G. Giappichelli, Torino, 2001. 5 garante supremo della legalità costituzionale ed il secondo come luogo di incontro tra il Capo dello Stato (formalmente al vertice delle FF. AA.) ed il Governo stesso (effettivo decisore politico). Sul piano tecnico-finanziario, una volta che la partecipazione ad una determinata operazione militare sia stata valutata positivamente dalle Camere, il Governo emana un atto avente la forma del Decreto Legge con cui stanzia fondi per la realizzazione delle operazioni (spesso già materialmente iniziate) informandone il Parlamento e ovviamente chiedendo una conversione del Decreto in questione(15) nei termini fissati dalla Costituzione. All’interno di questo peculiare atto normativo oltre alle fondamentali indicazioni di finanza pubblica sono contenuti tutta una serie di elementi che vi si affiancano e che contribuiscono a determinare il complesso giuridico-normativo di riferimento per la mission che si va a regolare: in particolare si fa riferimento alle ragioni che hanno determinato l’intervento richiamandosi alle posizioni assunte dal Governo ed al sostegno che su di esse si è venuto formando nel dibattito parlamentare; si delineano in generale il trattamento economico (definito “indennità di missione”) e quello assicurativo-pensionistico per gli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia che parteciperanno all’attività in territorio straniero; si indicano eventuali agevolazioni o facilitazioni circa l’utilizzazione delle strutture militari per finalità personali dei componenti il contingente italiano (ad esempio la possibilità di utilizzare le apparecchiature di telecomunicazioni per i contatti con l’Italia, fatte salve le esigenze di servizio); si dispongono deroghe a normative organiche quando ciò appaia necessario per ragioni operative segnalate dalle autorità militari ai vertici del Ministero della Difesa. Nel Decreto si indicano anche le norme penali applicabili al personale impiegato in tali missioni e la disciplina in caso di morte, prigionia o quando il militare risulti disperso nel corso dell’attività intrapresa. Ovviamente nel Decreto Legge si individua la modalità con cui fare fronte alla copertura finanziaria derivante dalla missione oggetto dello stesso atto normativo, indicando gli oneri da sostenere complessivamente per il periodo di attività in esso determinato(16). Gli stanziamenti previsti si pongono a carico del “Fondo di Riserva per le spese impreviste” ai sensi dell’art. 1 della Legge 28 dicembre 1995, n. 549. Lo stesso Decreto e la successiva Legge di conversione autorizzeranno il Ministro dell’Economia e delle Finanze ad adottare Decreti Ministeriali per procedere alle variazioni di bilancio che risultino necessarie(17). Non si deve poi dimenticare che in ciascun Decreto Legge con cui si estende temporalmente la durata delle missioni militari e conseguentemente in ciascuna Legge di conversione degli stessi è fissata una data precisa per il termine delle operazioni, termine che rappresenta il limite per il ritiro delle truppe coinvolte in tali (15) Normalmente esso porta l’indicazione di “Disposizioni urgenti per la partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali” e la relativa Legge di conversione sovente introduce modifiche a tale atto normativo. (16)Di solito il termine viene successivamente prolungato attraverso un nuovo Decreto Legge nell’ipotesi in cui le esigenze che avevano giustificato la presenza dei nostri soldati non siano ancora cessate ed il Governo valuti positivamente la necessità di un prolungamento dei tempi dell’operazione (17) Soltanto per dare un’idea della rilevanza finanziaria degli interventi che abbiamo descritto si può ricordare che nel Decreto Legge del 20 gennaio 2003, n. 4 si è autorizzata una spesa di 359.549.625 Euro per la continuazione delle operazioni italiane nella ex Jugoslavia, in Kosovo, in Macedonia, ad Hebron, in Etiopia ed Eritrea e per le missioni di Isaf ed Enduring Freedom per la lotta contro il terrorismo. In occasione dell’intervento militare di pace in Bosnia-Erzegovina nel 1996 per la copertura degli oneri derivanti da tale missione si ricorse ad un incremento dell’accisa sulla benzina senza piombo fino alla conclusione di tale operazione. Questo meccanismo, seppure provvisorio, appare in realtà non adeguato al perseguimento di scopi a carattere generale propri di queste attività militari visto che non va a gravare in maniera generalizzata e progressiva sulla popolazione italiana (rectius contribuenti) bensì su una delle categorie di automobilisti ossia su di un solo segmento dei soggetti in astratto interessati al sostegno della forza impiegata. 6 attività salva l’emanazione di ulteriore atto che proroghi le scadenze così fissate. Con questo complesso meccanismo si garantisce un controllo ben certo da parte dell’organo legislativo che necessariamente dovrà essere di nuovo coinvolto nell’ipotesi in cui l’autorità governativa ritenga opportuno proseguire gli impegni militari anche in relazione al successivo sviluppo della situazione politica contingente che caratterizzerà lo scenario internazionale nel momento in cui andrà a scadere il termine originariamente fissato. Il Governo allora non potrà fare altro che emanare un nuovo Decreto Legge che deve necessariamente ottenere un nuovo consenso dalle Camere attraverso una nuova Legge di conversione che in teoria potrebbe anche mancare caducandone gli effetti. Si garantisce in tal modo che l’azione politica e quella economico-finanziaria conseguente siano adeguate al mutare della realtà internazionale e in parte anche al modificarsi della realtà politica interna al Paese(18), assicurando la legalità istituzionale e gli impegni assunti sul versante internazionale(19). All’attività di normazione primaria posta in essere dall’Esecutivo e dal Legislativo seguono poi una serie piuttosto nutrita di atti di carattere regolamentare tra i quali non si può non ricordare la Direttiva Ministeriale emanata dal Ministro della Difesa con cui si specificano elementi rilevanti della missione come le cosiddette “Regole d’Ingaggio (ROE)” descritte in linea generale dal Governo dinanzi al Parlamento ma che richiedono maggiore specificazione per gli operatori militari che andranno ad operare sul campo; in tale Direttiva si indica pure la struttura della catena di Comando e Controllo ecc.(20). La procedura descritta, ampiamente informale seppur stratificata nel corso degli anni, potrebbe apparire come uno scavalcamento delle prerogative del Parlamento nel sistema della Repubblica; in realtà è pienamente conforme alla disciplina costituzionale in quanto l’organo legislativo viene tempestivamente informato dal Governo che è in pratica l’unico soggetto ad avere una visione precisa e determinata della situazione geopolitica, strategica e finanziaria corrente. Esso appare quindi alla dottrina maggioritaria come l’unico depositario della gestione della politica estera ormai divenuta elemento strettamente correlato tanto a quella interna e nazionale quanto più in generale alle linee di politica economica e commerciale dell’intero “Sistema Italia”; conseguentemente l’Esecutivo risulta essere l’unico soggetto istituzionale in grado di assumere in materia una decisione sufficientemente ponderata. Nella nuova situazione, che potremmo sinteticamente definire di “globalizzazione” delle tematiche che lo Stato (inteso come ordinamento giuridicoformale) si trova ad affrontare, deve essere analizzata la funzione in senso lato economica delle missioni militari all’estero. Nel complesso possiamo dire che attualmente sono impegnati in missioni a carattere militare operanti in territorio non italiano circa novemila soldati appartenenti alle quattro Forze Armate (che diventeranno (18) Astrattamente è ipotizzabile ad esempio che il naturale mutare della composizione delle Camere del Parlamento determinata da un turno elettorale (per scadenza naturale della legislatura o per scioglimento anticipato delle Camere con conseguenti elezioni legislative) ed il susseguente possibile mutare della maggioranza che sostiene il Governo determini un mancato rinnovo degli impegni militari assunti e il conseguente decorrere della scadenza fissata in tali Decreti e Leggi di conversione. Ovviamente tale ipotesi appare quantomeno improbabile perché rischiosa sul piano dei rapporti tra gli Stati coinvolti in tali operazioni e potrebbe creare seri inconvenienti nel settore delle relazioni diplomatiche pur dovendosi sottolineare che il principale attore di queste operazioni militari ossia gli Stati Uniti d’America possono, sul piano tecnico-militare, agire ottimamente in completa solitudine esercitando un’azione pienamente efficace. (19) Per una posizione contraria all’utilizzo del Decreto Legge in relazione alla realizzazione di missioni militari all’estero vedere F. VARI, Note sulla decretazione d’urgenza in materia di politica estera militare, in Politica Dir. a. XXXII, n. 2, giugno 2001, pp. 359-368. (20) Per un’analisi particolareggiata dell’intera procedura si rinvia a: A. DE GUTTRY, Le missioni delle Forze Armate italiane fuori area. Profili giuridici della partecipazione nazionale alle “peace support operations”, Franco Angeli, Milano, 1997. 7 circa dodicimila a giugno quando inizierà l’operazione in Iraq denominata “Antica Babilonia”) cui debbono aggiungersi anche un rilevante numero di appartenenti alle Forze di Polizia ugualmente impiegati in operazioni di carattere internazionale ma non computabili ovviamente nella contabilità strettamente militare, essendo tali soggetti funzionalmente dipendenti da altri Ministeri (si pensi ad esempio agli appartenenti alla Polizia di Stato impiegati in missioni di polizia in Albania). Ricordate le numerose attività che vedono le nostre Forze Armate impegnate ad operare sui più ampi e differenti scenari geopolitici e descritti brevemente i meccanismi di finanziamento di tali operazioni, si deve sottolineare come questi impegni siano progressivamente ed eloquentemente aumentati nel numero e sul piano della difficoltà operativa nel corso degli anni, quasi in corrispettivo al rafforzamento della struttura democratica della Repubblica e della relativa stabilità politica ed economica conseguita nel corso dei decenni e rafforzata soprattutto a partire dal Trattato di Maastricht sull’Unione Europea. Vi è una singolare coincidenza tra questo incremento ed il passaggio alla cosiddetta “Seconda Repubblica” a seguito della sostituzione della classe dirigente azzerata dalle inchieste giudiziarie, cui ha corrisposto anche un’importante affermazione delle regole del libero mercato; ciò ha generato per conseguenza un necessario confronto della realtà italiana con quella degli altri soggetti statuali operanti nel quadro internazionale ed in particolare comunitario, favorendo l’assunzione di impegni di carattere politico-militare. A tutto ciò appare corrispondere una volontà più stabile, indipendentemente dalle coalizioni politiche che di volta in volta si trovano ad operare al vertice delle istituzioni, di assumere una posizione adeguata sul versante degli interventi militari al contempo reinterpretando una dottrina costituzionale che appariva per alcuni versi eccessivamente restrittiva e troppo legata ad aspetti e valutazioni giuridico-formalistiche(21) poco adeguate alla mutata realtà internazionale ed alle esigenze strategiche del dopo guerra fredda e del dopo undici settembre, ma ciononostante continuando a mantenere una posizione ancorata alle regole del diritto internazionale ed alla tutela dei diritti umani. Nella nuova ottica così delineata si procede all’individuazione, non sempre facile ma comunque possibile, dell’interesse nazionale che dovrà rappresentare la stella polare dell’operato del sistema-Paese indicando come fine ultimo delle azioni che le autorità politico-governative competenti dovranno di volta in volta adottare non tanto principi generici ed astratti, spesso difficilmente valutabili e concretizzabili, bensì una linea d’espansione della presenza politico-economica italiana nelle zone in cui essa ha interesse ad installarsi o ad incrementare la propria presenza. Si può portare come esempio il recente successo dell’ENI (assieme ad altri importanti competitors internazionali) nell’ottenimento dell’autorizzazione allo sfruttamento delle risorse petrolifere nel nord del Kuwait, per lungo tempo osteggiato dai gruppi di pressione (in particolare di ispirazione religiosa) presenti nelle istituzioni di quello Stato e che ha trovato soluzione positiva in occasione del recente conflitto iraqueno grazie appunto alla posizione tenuta dal Governo italiano a favore della coalizione dei volenterosi intervenuta in Iraq; determinazione politica che certamente ha rappresentato un importante asso nella manica per quell’impresa del nostro Paese permettendole di porsi in una posizione di forza rispetto ad altri soggetti ugualmente interessati dalla vicenda ma non sostenuti dalle azioni dei propri Governi (si pensi al gruppo francese Total-FinaElf). Altro esempio importante è quello della società Nuovo Pignone (ormai a capitale statunitense essendo entrata nell’orbita di General Electric pur mantenendo la sua sede principale a Firenze ed avendo un capitale umano quasi interamente italiano sia nella gestione che nell’attività lavorativa vera e propria) la quale è stata interpellata (21) A. CASSESE, Articolo 11, in AA. VV., Commentario della Costituzione, a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna-Roma, 1980. 8 dall’amministrazione americana per intervenire sulla sistemazione dei pozzi petroliferi in Iraq per i quali in passato aveva fornito un esclusivo sistema (pressoché unico al mondo) di estrazione del petrolio e di contemporanea reiniezione dei gas naturali presenti nelle attività perforativo-estrattive, meccanismo che permette un notevole incremento delle capacità produttive di ciascun campo petrolifero abbattendo i costi di estrazione ed al contempo aumentando la quantità di greggio estratta. In relazione alla problematica dei costi finanziari necessari a sostenere le operazioni militari in territorio straniero è necessario indicare che, stanti le recentissime novità intervenute a causa del mutare dello scenario strategico e geopolitico globale, apparirebbe quantomai opportuno determinare tra gli Stati partners che intervengono militarmente una partecipazione ai ritorni economici derivanti dalle attività ricostruttive e da una presenza economico-produttiva nel Paese oggetto dell’intervento “pacificatorio” almeno parzialmente commisurata ai costi sopportati onde non disincentivare l’invio di tali contingenti che, con la loro azione, spesso rappresentano un fattore moltiplicativo della democrazia. Nel quadro di riferimento dell’Italia come soggetto operante in campo militare attraverso gli strumenti di cui la Repubblica dispone è proprio il criterio dell’efficienza di questi strumenti che ci porta ad indicare gli interventi di cui trattiamo come di importanti indicatori sullo stato di avanzamento delle riforme attualmente in atto certo ispirate ad un incremento delle capacità operative che non sono più soltanto di carattere bellico ma si esplicano in modi e forme nuove che vanno appunto dal controllo dell’ordine pubblico nelle zone di conflitto al rafforzamento della pace (mirabilmente svolto dall’Arma dei Carabinieri anche come fulcro delle Multinational Specialised Units). Ciò vale anche per la valutazione delle effettive capacità dei differenti contingenti impiegati in tali zone di conflitto, essendo questi formati da personale esclusivamente professionista. L’indubbio miglioramento delle Forze che si realizza anche attraverso la presenza sui teatri di operazione permette allo stesso tempo l’instaurarsi un rapporto di diretta conoscenza delle realtà socio-economiche locali che possono risultare utili per una più coerente azione da parte degli organi direttamente interessati (in particolare il Ministero degli Esteri, il Ministero dell’Industria, il Dipartimento per il Commercio con l’Estero, il Ministero dell’Ambiente, quello dei Beni Culturali e più in generale l’intera Presidenza del Consiglio dei Ministri) cui dovrebbe fare da corollario, nel momento in cui la situazione raggiunga livelli adeguati di sicurezza e garanzia per l’incolumità individuale, la presenza di esponenti di tali Dicasteri, i quali dovrebbero affiancarsi alle forze militari per sviluppare ed attuare programmi di carattere economico creando un trampolino di lancio per le imprese italiane interessate ad operare, non appena possibile, nelle aree oggetto dell’intervento. In sostanza potremmo dire che i “soggetti militari italiani” inviati ad operare in zone di conflitto ed in zone recentemente pacificate dovrebbero svolgere, senza per questo motivo trascurare la loro primaria missione che è e deve rimanere in senso lato bellica, un’attività sussidiaria di raccolta di dati ed informazioni ed una limitata attività di analisi socio-economica del territorio in cui vengono ad operare fornendo così importanti elementi di valutazione ai soggetti istituzionalmente a ciò preposti. Ovviamente questo presuppone capacità di intelligence che le nostre Forze Armate hanno in più occasioni dimostrato di possedere cui dovrà unirsi una comprensione dei fenomeni giuridici ed economici di cui dovranno essere dotati in modo specifico i più alti gradi delle forze che operino in tali teatri. Ciò sembra potersi realizzare grazie alla recente riforma, attuata a partire dalla seconda metà degli anni novanta, culminata nella creazione di corsi di Laurea peculiari (di primo e secondo livello in Scienze della Difesa e della Sicurezza) frequentati dagli allievi di quelle “scuole d’eccellenza” che sono le Accademie Militari; corsi non più a carattere esclusivamente tecnico-scientifico ma 9 anche giuridico, economico, sociologico e politologico. Non è il caso di sottolineare oltre che tale attività di raccolta di dati ed informazioni e di limitata analisi ed organizzazione dei dati stessi mai dovrebbe andare a discapito degli obblighi primari e dei doveri istituzionalmente propri di tali soggetti che sono e devono rimanere quelli militari. Non dobbiamo neppure trascurare un altro elemento molto significativo legato proprio alla presenza di militari italiani che operano in quelle missioni all’estero: l’immagine che essi forniscono del nostro Paese. Essa può rappresentare una capitalizzazione rilevante della capacità e dell’efficienza del “Sistema Italia” creando le condizioni favorevoli, anche sul piano psicologico-sociale, per una percezione positiva delle nostre imprese che là intendano operare e dei funzionari da esse incaricati di realizzare la penetrazione in quei territori. Sullo stesso versante si deve pure sottolineare che proprio l’operatività sul campo in operazioni spesso complesse ed in territori culturalmente e socialmente differenti dalla nostra tradizione quando si raggiungono buoni risultati, come avvenuto sinora, rappresenta un importante stimolo per gli appartenenti alle Forze Armate sul piano della motivazione personale che costituisce la chiave di volta per un incremento dell’efficienza dell’intera struttura della Difesa. Si può ancora rilevare che l’immagine che le Forze Armate italiane danno in tali occasioni può determinare un rilevante incremento delle domande per accedere alla carriera militare (oramai in via di progressiva, totale professionalizzazione); carriera che purtroppo attinge, per ragioni anagrafiche e socioeconomiche, ad un bacino di risorse umane sempre più ristretto(22). In tale ottica possiamo quindi affermare che si realizza una sorta di investimento a lungo termine per il Paese in cui all’esborso immediato sul versante della finanza pubblica corrisponde la possibilità concreta di costruire un’immagine internazionale che ripaghi, attraverso i normali meccanismi di funzionamento dell’economia e del commercio internazionale, dei sacrifici sopportati e, grazie ad una diretta conoscenza dei molti aspetti sociali ed economico-giuridici delle zone in cui i militari hanno efficacemente operato, l’intero sistema economico italiano possa instaurare positive relazioni di collaborazione con le realtà produttive locali. In pratica si realizza un meccanismo circolare in cui l’aspetto militare è il primo elemento di contatto con tali realtà e rappresenta un importante tassello per la costruzione di relazioni stabili con quei Paesi che necessitano di supporto e di stretto contatto con Nazioni ben sviluppate e solide; rapporti capaci di accelerare la loro ricostruzione e l’acquisizione di modelli pienamente democratici in cui il mercato rappresenti fattore di moltiplicazione dei diritti e della ricchezza. (22) Si passerà infatti da un sistema misto leva-volontari di circa 300.000 unità ad uno interamente formato da professionisti di circa 190.000 uomini; ciò entro la fine del 2004 se sarà approvato il disegno di legge governativo presentato in Parlamento o al più tardi entro la fine del 2006 se l’iter parlamentare non fosse favorevole, cosa che appare poco probabile visto che sul punto maggioranza ed opposizione concordano pienamente. 10 ABSTRACT: In questo articolo si tenta di indicare le linee giuridiche di sviluppo della partecipazione delle Forze Armate della Repubblica Italiana ad operazioni (generalmente di carattere multinazionale) in cui la possibilità di uso della forza è centrale per il raggiungimento della finalità pacificatoria e di creazione o ristabilimento dell’ordine e delle istituzioni democratiche (“Nation building”). Senza soffermarsi su distinzioni di tipo internazionalistico si cerca di dimostrare come questa presenza italiana pur determinando costi di una certa importanza sul piano della finanza pubblica può rappresentare fattore di espansione della capacità economicoproduttiva dell’intero “Sistema Paese”, contemporaneamente contribuendo allo sviluppo economico delle Nazioni interessate da tali attività. 11