La partecipazione italiana ad operazioni militari. Brevi

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La partecipazione italiana ad operazioni militari. Brevi
LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AD OPERAZIONI MILITARI.
BREVI CONSIDERAZIONI GIURIDICO-ECONOMICHE.
di Francesco Grassi
A partire dalla prima significativa operazione di cosiddetta “polizia
internazionale” cui partecipò il nostro Paese nel 1978 in Libano (denominata
operazione UNIFIL) sotto l’egida delle Nazioni Unite per controllare l’effettivo ritiro
delle truppe israeliane dai territori occupati ed il contemporaneo contenimento degli
elementi siriani intervenuti nel conflitto a sostegno della posizione e della strategia del
terrore degli Hezbollah, si è verificato un progressivo ed apparentemente inarrestabile
processo di partecipazione dell’Italia ad operazioni di questo tipo e più in generale
all’impiego concreto dello strumento militare di cui siamo dotati(1).
In primis occorre sottolineare alcuni elementi di carattere giuridico-formale che
caratterizzano le differenti tipologie in cui si sono evolute tali attività di uso della forza
armata. Nei primi due decenni successivi alla fine della Seconda Guerra mondiale i
Paesi europei furono impegnati ad occuparsi delle problematiche connesse con la loro
ricostruzione civile e materiale realizzata, in particolare, grazie all’aiuto dell’alleato
americano e del programma di investimenti nato dal Piano Marshall(2); tali Paesi
pertanto non furono in grado e spesso neppure vollero politicamente prendere parte
attiva e concreta agli interventi che richiedevano un uso più o meno misurato della forza
militare seppur svolti in ambito ONU, anche in ragione del pessimo uso sino ad allora
fatto di quello strumento delle relazioni internazionali.
Con il progressivo e costante sviluppo nel corso degli anni seguenti e la ormai
certa conformazione democratica di tali sistemi giuridici statuali, si è progressivamente
fatta strada nella mentalità dei vertici politici l’idea che pure medie potenze regionali(3)
quali l’Italia possano svolgere un proprio positivo ruolo nel panorama delle missioni
internazionali a carattere militare divenendo soggetti attivi delle relazioni internazionali
e coerenti applicatori delle regole pur mutevoli del diritto internazionale (variabili
secondo i principi che regolano le fonti di quel particolare settore normativo).
Proprio questa maggiore consapevolezza si è manifestata in modo tanto
significativo ed esemplare per la nostra Repubblica che in origine era dotata di Forze
Armate costruite sul modello strettamente difensivo-territoriale, strutturato secondo
modalità dispendiose ed al tempo stesso scarsamente efficaci-efficienti, la cui
evoluzione ha permesso un attivo inserimento dell’Italia nella geopolitica post-bipolare.
Grazie anche ad una storica tradizione militare che ha permesso la conservazione e lo
(1) In verità l’Italia aveva già partecipato a due missioni in ambito ONU. La prima denominata
UNMOGIP raccoglieva un gruppo di osservatori internazionali, tra cui appunto anche alcuni italiani, che
avrebbero dovuto procedere al controllo della tregua nella zona di confine tra India e Pakistan a partire
dal 1949, anno in cui si origina la questione del controllo della regione del Kashmir; la seconda missione
nel 1958 fu denominata UNTSO e avrebbe dovuto sorvegliare la tregua tra gli Stati arabi (Egitto,
Giordania, Siria) ed Israele.
(2) Il Piano Marshall rappresentò il primo esempio di significativa cooperazione tra Paesi e di
collaborazione allo sviluppo dei soggetti statuali riformati dopo la fine del secondo conflitto mondiale;
esso fu il frutto dell’intuizione dell’amministrazione statunitense conscia di poter riuscire a tenere a freno
le ambizioni delle ex potenze europee ed al contempo impedirne una adesione al modello del socialismo
reale di stampo sovietico solo garantendone un adeguato sviluppo economico quale presupposto
imprescindibile di un corrispondente sviluppo civile, giuridico e sociale.
(3) C. JEAN, L’uso della forza. Se vuoi la pace comprendi la guerra, Laterza, Roma-Bari, 1996.
sviluppo di “punte di diamante”, ossia centri d’eccellenza del comparto militare capaci
di porsi ad un livello tecnico-operativo paragonabile agli altri attori del processo
internazionale, è stato possibile per le Forze Armate italiane inserirsi in modo mirabile
nella gestione delle crisi permettendo nel contempo alle stesse un aumento significativo
di esperienza e di capacità nell’amministrazione dei conflitti e delle situazioni
conflittuali; ciò è emerso con forza anche nella recente riforma dello strumento militare
tuttora in via di attuazione.
Da quella lontana presenza italiana nella missione in Libano si è successivamente
passati attraverso la prova del fuoco della cosiddetta “Prima Guerra del Golfo” del 1991
nel corso della quale partecipammo con i bombardieri Tornado alla prima operazione
dell’Aeronautica Militare Italiana dalla fine della Seconda Guerra mondiale(4),
operazione che nel contempo rappresentò una svolta nella storia della strategia militare
in quanto introdusse forme di conflitto basate sulla superiorità aerea e sulla capacità di
individuazione e distruzione dei bersagli con tecnologie maggiormente precise (dette
“nuove tecnologie”) perseguendo in tal modo lo scopo di limitare le vittime civili(5) ed
anche con l’intenzione di minimizzare i rischi di perdite umane tra le truppe alleate.
Nonostante i molti richiami non sempre coerenti ed imparziali al diritto
internazionale, alla Carta delle Nazioni Unite, alla Costituzione Repubblicana e
quant’altro espressi da alcune forze politiche, la presenza italiana sullo scenario
internazionale ha teso ad aumentare in modo considerevole. Dalla partenza un poco in
sordina le Forze Armate del nostro Paese hanno acquisito capacità e competenza ad
agire in scenari strategici sempre più complessi, difficili da analizzare e da affrontare
concretamente sia sul versante politico che su quello, ugualmente rilevante, degli
impegni finanziari.
Tutto questo ci ha portato dapprima ad operare, seppur per un periodo di tempo
limitato ed impiegando uomini e mezzi in misura ridotta, in luoghi del globo molto
distanti dall’Europa e dal Mediterraneo nostri teatri naturali di operatività; basti
ricordare la missione, realizzata con il sostegno dell’Aeronautica Militare, degli uomini
del Battaglione Folgore nell’isola di Timor Est(6) in una operazione di frapposizione tra
le parti in lotta (in senso lato operazione di “peace keeping”). Ciò ha prodotto un
aumento dei costi della missione stessa rappresentati, nel caso specifico, non dal
numero degli uomini impiegati o dalla durata delle operazioni in teatro ma dalla grande
distanza che separa la nostra penisola da quella terra lontana.
Le molteplici missioni in cui sono state impegnate le Forze italiane si sviluppano
sotto configurazioni giuridico-politiche differenti che possiamo distinguere in alcune
grandi categorie: le “missioni multinazionali” ovverosia attività svolte in accordo con
una pluralità di soggetti statuali (ad esempio l’operazione “Enduring Freedom” in
Afganistan); le “missioni ONU” cioè attività militari sviluppate su mandato del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di cui già abbiamo ricordato l’operazione
INTERFET a Timor Est; ancora le “missioni in ambito UE” ovverosia operazioni
(4) Tale intervento seppur sostenuto da una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite fu
per il Governo all’epoca in carica quasi necessitato dato che in quegli anni sedevamo in un seggio non
permanente di quel Consiglio ed avevamo sostenuto la peraltro diffusa posizione contro il regime di
Baghdad. Non deve passare sotto silenzio il fatto che lo sviluppo politico-militare della crisi ed in
particolare l’emabargo contro l’Iraq ci colpiva direttamente essendo al tempo in esecuzione un contratto
di fornitura (contratto di mutuo) di svariate unità militari (sia navali che aeree) i cui strascichi finanziari e
contabili giacciono ancora nelle pieghe del bilancio della Difesa (alla voce “pacchetto ex-Iraq”).
(5) Ben preciso era il ricordo dei bombardamenti sistematici ed a tappeto della Seconda Guerra Mondiale
che avevano raso al suolo molte delle più importanti città europee.
(6) Missione denominata INTERFET (International Forces East Timor) autorizzata dalla Risoluzione del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1264 del 15 settembre 1999; conclusasi per le forze italiane
nel 2000.
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militari che coinvolgono Paesi membri dell’Unione Europea, autorizzate dal Consiglio
dell’Unione quale organo politico della stessa e ricomprendenti attività limitate alle
operazioni di osservazione e supporto ed alle cosiddette “Missioni di Petersberg”(7)
(esempio di tali limitate forme di collaborazione militare non in ambito Nato tra Paesi
europei è la missione di monitoraggio degli osservatori UE denominata EUMM,
European Union Monitor Mission, nella ex Jugoslavia per il controllo degli accordi di
pace). A quelle sopra ricordate si affiancano le “missioni NATO” che rappresentano il
nocciolo duro della presenza italiana all’estero sia sul piano strettamente militare che,
più in generale, sul versante economico; queste peculiari missioni hanno visto una
massiccia partecipazione italiana anche in ragione del fatto che si sono sviluppate in
maniera pressoché esclusiva nella zona dei Balcani coincidente all’incirca con il
territorio della ex Jugoslavia e dell’Albania, zone strategicamente vicine alla penisola e
di cui non avremmo potuto non occuparci con vigile attenzione essendo quelle la “porta
dell’Europa verso l’est ed il sud-est” (ossia l’Europa orientale e la Turchia e Middle Est)
ed al contempo rappresentando per gli interessi economici dell’Italia delle teste di ponte
verso mercati ancora arretrati ma di possibile futuro importante sviluppo. Nel quadro
delle missioni Nato si possono ricordare la SFOR e KFOR in Bosnia-Erzegovina,
Kosovo ed Albania.
Per ultime dobbiamo menzionare le “missioni nazionali” cioè attività anche
militari sviluppate dal nostro Paese in modo autonomo rispetto ad organizzazioni
internazionali o sovranazionali ma che l’Italia ha deciso di intraprendere per un
peculiare interesse alla stabilizzazione di certi Nazioni come l’Albania.Queste missioni
tendono al contenimento dei flussi migratori irregolari, dei traffici illeciti ed allo
sviluppo di forme di collaborazione-cooperazione con quei soggetti statuali al fine di
renderli autonomi, riportandoli ad un livello sociale ed economico vicino a quello
europeo. In tale contesto si debbono menzionare la DIE (Delegazione Italiana di
Esperti) che svolge missioni di assistenza e cooperazione con le Forze Armate albanesi
e l’operazione ALBANIA 2 di sorveglianza delle acque territoriali albanesi (sia
marittime che interne) per contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina.
Sempre nel novero delle missioni militari nazionali si contano anche attività che
traggono la loro ragion d’essere dalla vicinanza territoriale e dagli ottimi rapporti anche
commerciali che si sviluppano con il piccolo Stato della Repubblica Maltese: esiste
infatti un accordo denominato MIATM, Missione Italiana di Assistenza TecnicoMilitare, per procedere all’addestramento da parte italiana delle Forze Armate Maltesi.
Solo per completezza si deve ancora ricordare che missioni nazionali ad opera
delle nostre Forze Armate si sono realizzate anche sul territorio della Repubblica in
particolare nel perseguimento di finalità di ordine pubblico ed in occasione di situazioni
interne significativamente tese e difficili, come accaduto nel periodo della
recrudescenza del fenomeno criminale mafioso dopo le stragi e gli attentati dei primi
anni novanta a cui l’ordinamento rispose con un uso misurato ed intelligente dello
strumento militare per compiti di controllo del territorio e di presidio degli obiettivi
sensibili, liberando così risorse umane delle forze di polizia per lo svolgimento delle
attività di indagine in senso stretto e con un impiego relativamente modesto delle scarse
risorse finanziarie disponibili(8).
Ed è proprio questo maggior impegno italiano sul versante della presenza militare
in altri Paesi ed in situazioni di crisi sullo scenario internazionale che ci pone di fronte
all’opportunità di considerare l’impiego delle risorse finanziarie a disposizione per tali
(7) Dopo l’inglobamento dell’Unione Europea Occidentale (UEO) nella struttura dell’Unione Europea
come modificata con il Trattato di Nizza.
(8) Tali missioni furono denominate VESPRI SICILIANI e PARTENOPE 1 e 2, entrambe concluse nel
1999.
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attività sotto una luce diversa; si vuol tentare di comprendere se le erogazioni necessarie
al mantenimento ed all’operabilità efficiente delle forze in campo siano un inutile
“esborso a fondo perduto” giustificato soltanto da mire pseudoimperialistiche del nostro
sistema giuridico-politico oppure se esse rappresentino un vero e proprio investimento
per gli anni a venire a vantaggio della macchina produttiva italiana.
Si deve sottolineare che la decisione di inviare delle truppe in missione,
indipendentemente dalla consistenza numerica e dalla composizione delle stesse, passa
sempre e necessariamente attraverso una decisione del Parlamento quale soggetto che,
essendo l’espressione più diretta della Sovranità Popolare, detiene il potere-facoltà di
decidere tale partecipazione delle Forze Armate in quanto costituzionalmente detentore
della “funzione d’indirizzo politico”. Negli ultimi anni questa configurazione del
rapporto tra Parlamento e Governo appare essersi almeno in parte invertita.
Ciononostante in questa materia specifica il voto parlamentare continua a rappresentare
un elemento importante di condivisione di scelte politiche rilevanti per l’ordinamento e
ciò appare confermato anche dal comportamento dell’opposizione (in particolare nella
passata legislatura) che in questa materia normalmente tende ad appoggiare le linee
indicate dal Governo nel perseguimento di un comune interesse nazionale e nel tentativo
di rendere un’immagine della Nazione più coesa ed unitaria(9). Non possiamo però
trascurare anche il ruolo del Consiglio Supremo di Difesa, presieduto dal Presidente
della Repubblica, al cui vaglio debbono passare le decisioni del Governo in tale delicato
ambito prima di giungere all’esame del Parlamento(10).
In merito allo svilupparsi del meccanismo decisionale per tali operazioni, si deve
procedere alla descrizione del relativo iter istituzionale premettendo che esso non trova
riscontro diretto in atti giuridici formali né di livello costituzionale né tantomeno di
rango legislativo o regolamentare ma viene ad inquadrarsi secondo un meccanismo
ampiamente informale seppur ormai stratificato grazie allo sviluppo storicamente
realizzatosi in tali attività poste in essere dal nostro Paese. Stante infatti lo stimolo che
deriva dagli organismi internazionali interessati ad una situazione di “conflitto in atto od
in potenza” (ad esempio Nazioni Unite, Nato, UE, UEO, OSCE ecc.) presso i quali le
nostre rappresentanze faranno sentire la propria posizione indicando l’eventuale
disponibilità italiana all’intervento e ponendo in essere tutti quei contatti a livello
politico (Ministro degli Esteri, Sottosegretari di Stato, Ministri plenipotenziari,
Ambasciatori, Consiglieri diplomatici e militari, Segreterie politiche ecc.) ed anche
operativo (Dipartimenti ed Uffici dei Ministeri interessati competenti per la definizione
degli aspetti maggiormente tecnici dell’eventuale missione) che appariranno necessari
ed indispensabili per la formulazione di una posizione condivisa sulla situazione oggetto
di analisi in tale sede, proprio sulla base della posizione adottata in quel consesso si
attiverà il meccanismo decisorio nazionale che vede coinvolti in prima istanza il
Presidente del Consiglio, il Ministro degli Esteri, il Ministro della Difesa, il Ministro
dell’Economia e delle Finanze e più in generale l’intero Consiglio dei Ministri dato che
tale decisione coinvolge la responsabilità politica dell’intero Governo. Fatte le
valutazioni del caso che, si deve sottolineare, hanno una valenza principalmente politica
(9) Le considerazioni sull’atteggiamento dell’opposizione variano molto in rapporto alla realtà politica
contingente sul versante nazionale e risentono anche dell’impostazione ideologica dei partiti o gruppi
politici coinvolti in tale procedura. Si può portare come esempio il diverso atteggiamento
dell’opposizione (attuale maggioranza) in occasione dell’intervento in Kosovo nel 1999 ed a parti
invertite dell’intervento in Iraq nel 2003. Ciò testimonia anche di quanto tenda ad affievolirsi sempre più
la distinzione tra politica interna e politica internazionale al pari della differenza tra sicurezza e difesa.
(10) Possiamo affermare che il Consiglio Supremo di Difesa svolge in questo settore una funzione di filtro
rendendo più coerenti e ponderate decisioni politiche prese dal Governo su indicazione del Presidente del
Consiglio dei Ministri, del Ministro della Difesa e di quello degli Esteri, decisioni che debbono essere
approvate dalle Camere.
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e tecnica più che giuridica(11) il Consiglio dei Ministri delibera in materia ovverosia
decide se intervenire o meno e le eventuali modalità in cui tale intervento si esplicherà
sia sul piano tecnico-militare che sul più generale versante dell’impegno finanziario(12).
Adottata tale decisione(13) il Governo si presenta al Parlamento nella veste del
Presidente del Consiglio o di un Ministro a ciò delegato (solitamente il Ministro degli
Esteri o quello della Difesa) per riferire alle Camere (in aula oppure in commissione)
sulla posizione assunta dall’Esecutivo e, nel caso di decisione favorevole all’intervento,
indicandone gli aspetti tecnici salienti (composizione ed impiego delle Forze, zona di
responsabilità italiana, catena di comando se già individuata, prevedibile impegno
finanziario, ragioni politiche dell’intervento ecc.); sulla base di quanto dichiarato dal
Governo si apre un dibattito tra le forze politiche rappresentate in Parlamento
(solitamente tra quelle di maggioranza e quelle di opposizione ma in certi casi
all’interno delle stesse compagini di sostenitori od avversari del Governo) che
normalmente si conclude con una risoluzione(14) in cui si esprime la valutazione sulla
posizione e sull’agire del Governo stesso. Tale atto rappresenta una delle classiche
espressioni della funzione d’indirizzo politico del Parlamento rispetto all’azione
concreta dell’Esecutivo nel nostro sistema costituzionale-istituzionale pur dovendo
sottolineare che difficilmente le Camere smentiranno la posizione del Governo, essendo
questo espressione della stessa maggioranza parlamentare; ciò è tanto più vero oggi con
il sistema bipolare maggioritario nel quale le eventuali dimissioni del Governo (peraltro
non giuridicamente obbligatorie), a seguito di una risoluzione sfavorevole su un
intervento militare in pratica già deciso, determinerebbero quasi certamente lo
scioglimento delle Camere e l’indizione di elezioni politiche anticipate. Si verrebbe a
creare in tale situazione una vera e propria crisi istituzionale interna con gravi riflessi
sulle relazioni internazionali.
Sulla base delle considerazioni sopra menzionate si comprende che effettivamente
è l’autorità governativa ad esprimere la decisione in merito all’impiego delle Forze in
tali operazioni militari, senza peraltro trascurare il legame fiduciario che lega Governo e
Parlamento sulla base di un programma politico precedentemente formulato e condiviso
dai membri della maggioranza parlamentare, legame che esplica i suoi effetti anche in
relazione alla posizione del Presidente della Repubblica e del Consiglio Supremo di
Difesa i quali non potranno non tener conto del concreto svilupparsi di tale rapporto
dialogico essendone allo stesso tempo coinvolti in maniera principale: il primo come
(11) Non si configura infatti un obbligo giuridico dell’ordinamento statuale ad intervenire in situazioni di
conflitto neppure su richiesta di organizzazioni internazionali fatta eccezione per obblighi assunti in
relazione a specifici accordi che prevedano forme di difesa collettiva. Ovviamente non si può immaginare
che un Paese tenga in seno ad un’organizzazione internazionale o nei rapporti con altri Stati su un
intervento di carattere militare una posizione non previamente concordata a livello di compagine di
Governo e di maggioranza parlamentare; appare cioè pressoché impossibile che un Governo si dichiari
disposto ad un intervento militare diretto in sede multinazionale e successivamente non confermi la parola
data agendo con decisioni difformi sul versante nazionale-interno.
(12) In tempi recenti questa prima fase in senso lato internazionale si è in parte modificata visto che si è
affiancato alle tradizionali organizzazioni internazionali un nuovo modo di agglomerare i Paesi interessati
ad interventi di carattere militare; meccanismo che è fondato sulla volontarietà e variabilità-contingenza
della composizione delle stesse coalizioni. In pratica con il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza
Atlantica del 1999 e più in particolare con il Documento Strategico sulla Sicurezza Nazionale degli Stati
Uniti d’America del settembre 2001 viene a delinearsi la “coalition of willings” ovverosia una coalizione
variabile di Stati che coagulano il loro consenso sulla specifica azione di volta in volta determinata,
spesso non sostenuta direttamente da decisioni adottate in fori internazionali ma nascente da accordi
estemporanei sui singoli teatri d’intervento. Un esempio di tale recente modo di operare è rappresentato
dalla cosiddetta “Guerra contro l’Iraq” conclusasi recentemente.
(13) Art. 2, L. 23 agosto 1988 n. 400.
(14) Sulle risoluzioni come atti di indirizzo politico si veda M. L. MAZZONI HONORATI, Diritto
Parlamentare, G. Giappichelli, Torino, 2001.
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garante supremo della legalità costituzionale ed il secondo come luogo di incontro tra il
Capo dello Stato (formalmente al vertice delle FF. AA.) ed il Governo stesso (effettivo
decisore politico).
Sul piano tecnico-finanziario, una volta che la partecipazione ad una determinata
operazione militare sia stata valutata positivamente dalle Camere, il Governo emana un
atto avente la forma del Decreto Legge con cui stanzia fondi per la realizzazione delle
operazioni (spesso già materialmente iniziate) informandone il Parlamento e
ovviamente chiedendo una conversione del Decreto in questione(15) nei termini fissati
dalla Costituzione. All’interno di questo peculiare atto normativo oltre alle fondamentali
indicazioni di finanza pubblica sono contenuti tutta una serie di elementi che vi si
affiancano e che contribuiscono a determinare il complesso giuridico-normativo di
riferimento per la mission che si va a regolare: in particolare si fa riferimento alle
ragioni che hanno determinato l’intervento richiamandosi alle posizioni assunte dal
Governo ed al sostegno che su di esse si è venuto formando nel dibattito parlamentare;
si delineano in generale il trattamento economico (definito “indennità di missione”) e
quello assicurativo-pensionistico per gli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia che
parteciperanno all’attività in territorio straniero; si indicano eventuali agevolazioni o
facilitazioni circa l’utilizzazione delle strutture militari per finalità personali dei
componenti il contingente italiano (ad esempio la possibilità di utilizzare le
apparecchiature di telecomunicazioni per i contatti con l’Italia, fatte salve le esigenze di
servizio); si dispongono deroghe a normative organiche quando ciò appaia necessario
per ragioni operative segnalate dalle autorità militari ai vertici del Ministero della
Difesa. Nel Decreto si indicano anche le norme penali applicabili al personale impiegato
in tali missioni e la disciplina in caso di morte, prigionia o quando il militare risulti
disperso nel corso dell’attività intrapresa.
Ovviamente nel Decreto Legge si individua la modalità con cui fare fronte alla
copertura finanziaria derivante dalla missione oggetto dello stesso atto normativo,
indicando gli oneri da sostenere complessivamente per il periodo di attività in esso
determinato(16). Gli stanziamenti previsti si pongono a carico del “Fondo di Riserva per
le spese impreviste” ai sensi dell’art. 1 della Legge 28 dicembre 1995, n. 549. Lo stesso
Decreto e la successiva Legge di conversione autorizzeranno il Ministro dell’Economia
e delle Finanze ad adottare Decreti Ministeriali per procedere alle variazioni di bilancio
che risultino necessarie(17). Non si deve poi dimenticare che in ciascun Decreto Legge
con cui si estende temporalmente la durata delle missioni militari e conseguentemente in
ciascuna Legge di conversione degli stessi è fissata una data precisa per il termine delle
operazioni, termine che rappresenta il limite per il ritiro delle truppe coinvolte in tali
(15) Normalmente esso porta l’indicazione di “Disposizioni urgenti per la partecipazione italiana ad
operazioni militari internazionali” e la relativa Legge di conversione sovente introduce modifiche a tale
atto normativo.
(16)Di solito il termine viene successivamente prolungato attraverso un nuovo Decreto Legge nell’ipotesi
in cui le esigenze che avevano giustificato la presenza dei nostri soldati non siano ancora cessate ed il
Governo valuti positivamente la necessità di un prolungamento dei tempi dell’operazione
(17) Soltanto per dare un’idea della rilevanza finanziaria degli interventi che abbiamo descritto si può
ricordare che nel Decreto Legge del 20 gennaio 2003, n. 4 si è autorizzata una spesa di 359.549.625 Euro
per la continuazione delle operazioni italiane nella ex Jugoslavia, in Kosovo, in Macedonia, ad Hebron, in
Etiopia ed Eritrea e per le missioni di Isaf ed Enduring Freedom per la lotta contro il terrorismo.
In occasione dell’intervento militare di pace in Bosnia-Erzegovina nel 1996 per la copertura degli oneri
derivanti da tale missione si ricorse ad un incremento dell’accisa sulla benzina senza piombo fino alla
conclusione di tale operazione. Questo meccanismo, seppure provvisorio, appare in realtà non adeguato al
perseguimento di scopi a carattere generale propri di queste attività militari visto che non va a gravare in
maniera generalizzata e progressiva sulla popolazione italiana (rectius contribuenti) bensì su una delle
categorie di automobilisti ossia su di un solo segmento dei soggetti in astratto interessati al sostegno della
forza impiegata.
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attività salva l’emanazione di ulteriore atto che proroghi le scadenze così fissate. Con
questo complesso meccanismo si garantisce un controllo ben certo da parte dell’organo
legislativo che necessariamente dovrà essere di nuovo coinvolto nell’ipotesi in cui
l’autorità governativa ritenga opportuno proseguire gli impegni militari anche in
relazione al successivo sviluppo della situazione politica contingente che caratterizzerà
lo scenario internazionale nel momento in cui andrà a scadere il termine originariamente
fissato. Il Governo allora non potrà fare altro che emanare un nuovo Decreto Legge che
deve necessariamente ottenere un nuovo consenso dalle Camere attraverso una nuova
Legge di conversione che in teoria potrebbe anche mancare caducandone gli effetti. Si
garantisce in tal modo che l’azione politica e quella economico-finanziaria conseguente
siano adeguate al mutare della realtà internazionale e in parte anche al modificarsi della
realtà politica interna al Paese(18), assicurando la legalità istituzionale e gli impegni
assunti sul versante internazionale(19).
All’attività di normazione primaria posta in essere dall’Esecutivo e dal Legislativo
seguono poi una serie piuttosto nutrita di atti di carattere regolamentare tra i quali non si
può non ricordare la Direttiva Ministeriale emanata dal Ministro della Difesa con cui si
specificano elementi rilevanti della missione come le cosiddette “Regole d’Ingaggio
(ROE)” descritte in linea generale dal Governo dinanzi al Parlamento ma che richiedono
maggiore specificazione per gli operatori militari che andranno ad operare sul campo; in
tale Direttiva si indica pure la struttura della catena di Comando e Controllo ecc.(20).
La procedura descritta, ampiamente informale seppur stratificata nel corso degli
anni, potrebbe apparire come uno scavalcamento delle prerogative del Parlamento nel
sistema della Repubblica; in realtà è pienamente conforme alla disciplina costituzionale
in quanto l’organo legislativo viene tempestivamente informato dal Governo che è in
pratica l’unico soggetto ad avere una visione precisa e determinata della situazione
geopolitica, strategica e finanziaria corrente. Esso appare quindi alla dottrina
maggioritaria come l’unico depositario della gestione della politica estera ormai
divenuta elemento strettamente correlato tanto a quella interna e nazionale quanto più in
generale alle linee di politica economica e commerciale dell’intero “Sistema Italia”;
conseguentemente l’Esecutivo risulta essere l’unico soggetto istituzionale in grado di
assumere in materia una decisione sufficientemente ponderata.
Nella nuova situazione, che potremmo sinteticamente definire di
“globalizzazione” delle tematiche che lo Stato (inteso come ordinamento giuridicoformale) si trova ad affrontare, deve essere analizzata la funzione in senso lato
economica delle missioni militari all’estero. Nel complesso possiamo dire che
attualmente sono impegnati in missioni a carattere militare operanti in territorio non
italiano circa novemila soldati appartenenti alle quattro Forze Armate (che diventeranno
(18) Astrattamente è ipotizzabile ad esempio che il naturale mutare della composizione delle Camere del
Parlamento determinata da un turno elettorale (per scadenza naturale della legislatura o per scioglimento
anticipato delle Camere con conseguenti elezioni legislative) ed il susseguente possibile mutare della
maggioranza che sostiene il Governo determini un mancato rinnovo degli impegni militari assunti e il
conseguente decorrere della scadenza fissata in tali Decreti e Leggi di conversione. Ovviamente tale
ipotesi appare quantomeno improbabile perché rischiosa sul piano dei rapporti tra gli Stati coinvolti in tali
operazioni e potrebbe creare seri inconvenienti nel settore delle relazioni diplomatiche pur dovendosi
sottolineare che il principale attore di queste operazioni militari ossia gli Stati Uniti d’America possono,
sul piano tecnico-militare, agire ottimamente in completa solitudine esercitando un’azione pienamente
efficace.
(19) Per una posizione contraria all’utilizzo del Decreto Legge in relazione alla realizzazione di missioni
militari all’estero vedere F. VARI, Note sulla decretazione d’urgenza in materia di politica estera militare,
in Politica Dir. a. XXXII, n. 2, giugno 2001, pp. 359-368.
(20) Per un’analisi particolareggiata dell’intera procedura si rinvia a: A. DE GUTTRY, Le missioni delle
Forze Armate italiane fuori area. Profili giuridici della partecipazione nazionale alle “peace support
operations”, Franco Angeli, Milano, 1997.
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circa dodicimila a giugno quando inizierà l’operazione in Iraq denominata “Antica
Babilonia”) cui debbono aggiungersi anche un rilevante numero di appartenenti alle
Forze di Polizia ugualmente impiegati in operazioni di carattere internazionale ma non
computabili ovviamente nella contabilità strettamente militare, essendo tali soggetti
funzionalmente dipendenti da altri Ministeri (si pensi ad esempio agli appartenenti alla
Polizia di Stato impiegati in missioni di polizia in Albania).
Ricordate le numerose attività che vedono le nostre Forze Armate impegnate ad
operare sui più ampi e differenti scenari geopolitici e descritti brevemente i meccanismi
di finanziamento di tali operazioni, si deve sottolineare come questi impegni siano
progressivamente ed eloquentemente aumentati nel numero e sul piano della difficoltà
operativa nel corso degli anni, quasi in corrispettivo al rafforzamento della struttura
democratica della Repubblica e della relativa stabilità politica ed economica conseguita
nel corso dei decenni e rafforzata soprattutto a partire dal Trattato di Maastricht
sull’Unione Europea. Vi è una singolare coincidenza tra questo incremento ed il
passaggio alla cosiddetta “Seconda Repubblica” a seguito della sostituzione della classe
dirigente azzerata dalle inchieste giudiziarie, cui ha corrisposto anche un’importante
affermazione delle regole del libero mercato; ciò ha generato per conseguenza un
necessario confronto della realtà italiana con quella degli altri soggetti statuali operanti
nel quadro internazionale ed in particolare comunitario, favorendo l’assunzione di
impegni di carattere politico-militare.
A tutto ciò appare corrispondere una volontà più stabile, indipendentemente dalle
coalizioni politiche che di volta in volta si trovano ad operare al vertice delle istituzioni,
di assumere una posizione adeguata sul versante degli interventi militari al contempo
reinterpretando una dottrina costituzionale che appariva per alcuni versi eccessivamente
restrittiva e troppo legata ad aspetti e valutazioni giuridico-formalistiche(21) poco
adeguate alla mutata realtà internazionale ed alle esigenze strategiche del dopo guerra
fredda e del dopo undici settembre, ma ciononostante continuando a mantenere una
posizione ancorata alle regole del diritto internazionale ed alla tutela dei diritti umani.
Nella nuova ottica così delineata si procede all’individuazione, non sempre facile
ma comunque possibile, dell’interesse nazionale che dovrà rappresentare la stella polare
dell’operato del sistema-Paese indicando come fine ultimo delle azioni che le autorità
politico-governative competenti dovranno di volta in volta adottare non tanto principi
generici ed astratti, spesso difficilmente valutabili e concretizzabili, bensì una linea
d’espansione della presenza politico-economica italiana nelle zone in cui essa ha
interesse ad installarsi o ad incrementare la propria presenza. Si può portare come
esempio il recente successo dell’ENI (assieme ad altri importanti competitors
internazionali) nell’ottenimento dell’autorizzazione allo sfruttamento delle risorse
petrolifere nel nord del Kuwait, per lungo tempo osteggiato dai gruppi di pressione (in
particolare di ispirazione religiosa) presenti nelle istituzioni di quello Stato e che ha
trovato soluzione positiva in occasione del recente conflitto iraqueno grazie appunto alla
posizione tenuta dal Governo italiano a favore della coalizione dei volenterosi
intervenuta in Iraq; determinazione politica che certamente ha rappresentato un
importante asso nella manica per quell’impresa del nostro Paese permettendole di porsi
in una posizione di forza rispetto ad altri soggetti ugualmente interessati dalla vicenda
ma non sostenuti dalle azioni dei propri Governi (si pensi al gruppo francese Total-FinaElf). Altro esempio importante è quello della società Nuovo Pignone (ormai a capitale
statunitense essendo entrata nell’orbita di General Electric pur mantenendo la sua sede
principale a Firenze ed avendo un capitale umano quasi interamente italiano sia nella
gestione che nell’attività lavorativa vera e propria) la quale è stata interpellata
(21) A. CASSESE, Articolo 11, in AA. VV., Commentario della Costituzione, a cura di Scialoja e Branca,
Zanichelli, Bologna-Roma, 1980.
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dall’amministrazione americana per intervenire sulla sistemazione dei pozzi petroliferi
in Iraq per i quali in passato aveva fornito un esclusivo sistema (pressoché unico al
mondo) di estrazione del petrolio e di contemporanea reiniezione dei gas naturali
presenti nelle attività perforativo-estrattive, meccanismo che permette un notevole
incremento delle capacità produttive di ciascun campo petrolifero abbattendo i costi di
estrazione ed al contempo aumentando la quantità di greggio estratta.
In relazione alla problematica dei costi finanziari necessari a sostenere le
operazioni militari in territorio straniero è necessario indicare che, stanti le recentissime
novità intervenute a causa del mutare dello scenario strategico e geopolitico globale,
apparirebbe quantomai opportuno determinare tra gli Stati partners che intervengono
militarmente una partecipazione ai ritorni economici derivanti dalle attività ricostruttive
e da una presenza economico-produttiva nel Paese oggetto dell’intervento
“pacificatorio” almeno parzialmente commisurata ai costi sopportati onde non
disincentivare l’invio di tali contingenti che, con la loro azione, spesso rappresentano un
fattore moltiplicativo della democrazia.
Nel quadro di riferimento dell’Italia come soggetto operante in campo militare
attraverso gli strumenti di cui la Repubblica dispone è proprio il criterio dell’efficienza
di questi strumenti che ci porta ad indicare gli interventi di cui trattiamo come di
importanti indicatori sullo stato di avanzamento delle riforme attualmente in atto certo
ispirate ad un incremento delle capacità operative che non sono più soltanto di carattere
bellico ma si esplicano in modi e forme nuove che vanno appunto dal controllo
dell’ordine pubblico nelle zone di conflitto al rafforzamento della pace (mirabilmente
svolto dall’Arma dei Carabinieri anche come fulcro delle Multinational Specialised
Units). Ciò vale anche per la valutazione delle effettive capacità dei differenti
contingenti impiegati in tali zone di conflitto, essendo questi formati da personale
esclusivamente professionista. L’indubbio miglioramento delle Forze che si realizza
anche attraverso la presenza sui teatri di operazione permette allo stesso tempo
l’instaurarsi un rapporto di diretta conoscenza delle realtà socio-economiche locali che
possono risultare utili per una più coerente azione da parte degli organi direttamente
interessati (in particolare il Ministero degli Esteri, il Ministero dell’Industria, il
Dipartimento per il Commercio con l’Estero, il Ministero dell’Ambiente, quello dei
Beni Culturali e più in generale l’intera Presidenza del Consiglio dei Ministri) cui
dovrebbe fare da corollario, nel momento in cui la situazione raggiunga livelli adeguati
di sicurezza e garanzia per l’incolumità individuale, la presenza di esponenti di tali
Dicasteri, i quali dovrebbero affiancarsi alle forze militari per sviluppare ed attuare
programmi di carattere economico creando un trampolino di lancio per le imprese
italiane interessate ad operare, non appena possibile, nelle aree oggetto dell’intervento.
In sostanza potremmo dire che i “soggetti militari italiani” inviati ad operare in zone di
conflitto ed in zone recentemente pacificate dovrebbero svolgere, senza per questo
motivo trascurare la loro primaria missione che è e deve rimanere in senso lato bellica,
un’attività sussidiaria di raccolta di dati ed informazioni ed una limitata attività di
analisi socio-economica del territorio in cui vengono ad operare fornendo così
importanti elementi di valutazione ai soggetti istituzionalmente a ciò preposti.
Ovviamente questo presuppone capacità di intelligence che le nostre Forze Armate
hanno in più occasioni dimostrato di possedere cui dovrà unirsi una comprensione dei
fenomeni giuridici ed economici di cui dovranno essere dotati in modo specifico i più
alti gradi delle forze che operino in tali teatri. Ciò sembra potersi realizzare grazie alla
recente riforma, attuata a partire dalla seconda metà degli anni novanta, culminata nella
creazione di corsi di Laurea peculiari (di primo e secondo livello in Scienze della Difesa
e della Sicurezza) frequentati dagli allievi di quelle “scuole d’eccellenza” che sono le
Accademie Militari; corsi non più a carattere esclusivamente tecnico-scientifico ma
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anche giuridico, economico, sociologico e politologico. Non è il caso di sottolineare
oltre che tale attività di raccolta di dati ed informazioni e di limitata analisi ed
organizzazione dei dati stessi mai dovrebbe andare a discapito degli obblighi primari e
dei doveri istituzionalmente propri di tali soggetti che sono e devono rimanere quelli
militari.
Non dobbiamo neppure trascurare un altro elemento molto significativo legato
proprio alla presenza di militari italiani che operano in quelle missioni all’estero:
l’immagine che essi forniscono del nostro Paese. Essa può rappresentare una
capitalizzazione rilevante della capacità e dell’efficienza del “Sistema Italia” creando le
condizioni favorevoli, anche sul piano psicologico-sociale, per una percezione positiva
delle nostre imprese che là intendano operare e dei funzionari da esse incaricati di
realizzare la penetrazione in quei territori. Sullo stesso versante si deve pure sottolineare
che proprio l’operatività sul campo in operazioni spesso complesse ed in territori
culturalmente e socialmente differenti dalla nostra tradizione quando si raggiungono
buoni risultati, come avvenuto sinora, rappresenta un importante stimolo per gli
appartenenti alle Forze Armate sul piano della motivazione personale che costituisce la
chiave di volta per un incremento dell’efficienza dell’intera struttura della Difesa. Si
può ancora rilevare che l’immagine che le Forze Armate italiane danno in tali occasioni
può determinare un rilevante incremento delle domande per accedere alla carriera
militare (oramai in via di progressiva, totale professionalizzazione); carriera che
purtroppo attinge, per ragioni anagrafiche e socioeconomiche, ad un bacino di risorse
umane sempre più ristretto(22).
In tale ottica possiamo quindi affermare che si realizza una sorta di investimento a
lungo termine per il Paese in cui all’esborso immediato sul versante della finanza
pubblica corrisponde la possibilità concreta di costruire un’immagine internazionale che
ripaghi, attraverso i normali meccanismi di funzionamento dell’economia e del
commercio internazionale, dei sacrifici sopportati e, grazie ad una diretta conoscenza
dei molti aspetti sociali ed economico-giuridici delle zone in cui i militari hanno
efficacemente operato, l’intero sistema economico italiano possa instaurare positive
relazioni di collaborazione con le realtà produttive locali. In pratica si realizza un
meccanismo circolare in cui l’aspetto militare è il primo elemento di contatto con tali
realtà e rappresenta un importante tassello per la costruzione di relazioni stabili con quei
Paesi che necessitano di supporto e di stretto contatto con Nazioni ben sviluppate e
solide; rapporti capaci di accelerare la loro ricostruzione e l’acquisizione di modelli
pienamente democratici in cui il mercato rappresenti fattore di moltiplicazione dei diritti
e della ricchezza.
(22) Si passerà infatti da un sistema misto leva-volontari di circa 300.000 unità ad uno interamente
formato da professionisti di circa 190.000 uomini; ciò entro la fine del 2004 se sarà approvato il disegno
di legge governativo presentato in Parlamento o al più tardi entro la fine del 2006 se l’iter parlamentare
non fosse favorevole, cosa che appare poco probabile visto che sul punto maggioranza ed opposizione
concordano pienamente.
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ABSTRACT: In questo articolo si tenta di indicare le linee giuridiche di sviluppo
della partecipazione delle Forze Armate della Repubblica Italiana ad operazioni
(generalmente di carattere multinazionale) in cui la possibilità di uso della forza è
centrale per il raggiungimento della finalità pacificatoria e di creazione o
ristabilimento dell’ordine e delle istituzioni democratiche (“Nation building”). Senza
soffermarsi su distinzioni di tipo internazionalistico si cerca di dimostrare come questa
presenza italiana pur determinando costi di una certa importanza sul piano della
finanza pubblica può rappresentare fattore di espansione della capacità economicoproduttiva dell’intero “Sistema Paese”, contemporaneamente contribuendo allo
sviluppo economico delle Nazioni interessate da tali attività.
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