“IL SERVIZIO CIVILE OLTRE CONFINE” Parole

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“IL SERVIZIO CIVILE OLTRE CONFINE” Parole
“IL SERVIZIO CIVILE OLTRE CONFINE”
Parole di una giovane volontaria
L’attività del Servizio Civile Nazionale, sancita dall’articolo 9 della legge del 6 marzo 2001, n. 64,
permette ai volontari di prestare servizio e di collaborare in progetti di sostegno e pacificazione fra
i popoli, presso altri enti operanti all’estero, nell’ambito di iniziative promosse dall’Unione
Europea.
Le modalità di partecipazione ai progetti sono le medesime di quelle previste per l’Italia, ed
hanno cadenza annuale.
Sempre più numerosi sono gli organismi impegnati in attività oltre confine: dal 2001 al 2009 sono
intervenuti in attività di assistenza all’estero 2.929 volontari. Più precisamente: lo scorso anno
sono stati inviati 499 volontari di SCN in 75 differenti Paesi, svolgendo la propria attività in Africa,
in America, in Asia, in Europa, in Australia, impegnati in un progetto comune al fine di fornire
soccorso, assistenza e promozione culturale.
In merito all’argomento introdotto, abbiamo reputato significativo proporvi le parole di chi ha
provato sulla propria pelle l’esperienza del volontariato all’estero: vogliamo raccontarvi la
testimonianza di Elena, che si intitola:
“UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA”
“Oggi è il 3 ottobre 2005, un anno fa mi trovavo a Lima e insieme alla mia compagna Fabiana e
alla nostra responsabile Silvia stavo traendo le conclusioni di un anno di Servizio civile in Perù come
Caschi Bianchi.
E' passato un anno, ma solo adesso riesco a far ordine nella mia testa e a capire cosa è successo
dentro di me.
Per 10 mesi filati mi sono chiesta che cosa volesse dire essere un Casco Bianco e non ne venivo mai
a capo. Nonostante la formazione ricevuta prima della partenza, i dubbi sono stati tanti e in
continuazione mi chiedevo se sarei stata all'altezza di questo compito, cercando fuori di me
risposte che non arrivavano. Ripensavo alle richieste che c'erano state fatte alla partenza, a quelli
che sarebbero stati i nostri "compiti" e siccome si era insistito molto sull'essere voce dei senza voce
mi sforzavo, senza riuscirci, di scrivere qualcosa che potesse essere di qualche interesse.
Solo adesso, dopo un anno dal mio rientro, mi rendo conto di quante cose abbia dato per scontate,
di quanto poco le persone siano informate e di come molti rimangano increduli ascoltando
semplicemente il racconto di una giornata a Lima. Ora sento di essere un Casco Bianco, qui in
Italia, in Friuli, ogni giorno.
Il Servizio Civile è stata una scintilla, probabilmente c'è voluto un po' perché il fuoco attecchisse,
ma ora si è scatenato un incendio dentro e fuori di me. Ho fatto miei i valori in cui credevo prima di
partire per il Perù e li ho trasformati in cellule del mio corpo. Sono diventati parte della mia vita e
ho così capito cosa significhi insegnare con l'esempio, essere coerenti, partecipativi e critici nei
confronti della realtà e della società che ci circonda.
Adesso affronterei la stessa esperienza in modo diverso, molto più consapevole. Sicuramente non
c'è un modo giusto o uno sbagliato di fare il Servizio civile: è un cammino, un sentiero poco segnato
che ognuno arricchisce lasciando un pezzo di sé a indicare il suo passaggio per quelli che verranno
poi.
Mettendo ordine nelle mie idee ho accantonato per un po' la mia voglia di ripartire il più presto
possibile. Incredibilmente l'aver aperto una finestra sull'altro lato del pianeta mi ha dato la
possibilità di osservare con più attenzione la realtà che mi circonda. Così ho deciso di impegnarmi
sul territorio, rendendomi conto di quanto lavoro c'è da fare per porre delle basi solide necessarie
alla costruzione di ponti duraturi tra i pochi "nord" e i tanti "sud", non solo quelli geografici. Sì,
perché la geografia in questi casi ci aiuta solo a fare confusione, a catalogare le persone e a
sentirci tranquilli perché salvati dalle distanze. Queste distanze non esistono più, oggi i "sud" sono i
campi nomadi fuori (o dentro) le nostre città, le comunità di immigrati che vivono e lavorano con
noi, i ragazzi emarginati di quel quartiere con cui nessuno vuole avere a che fare.
Con questa nuova consapevolezza mi sveglio tutti i giorni, con questi nuovi occhi leggo il giornale o
ascolto le notizie, con la voglia di approfondire, di saperne di più e non fermarmi alla superficie.
Adesso, cerco di individuare il problema reale e provo a dare soluzioni creative, osservando dal di
fuori e da ogni angolazione.
Quando stavo a Lima spesso mi incontravo con un gruppo di amici peruviani, ragazzi e ragazze di
un quartiere popolare, accomunati dalla passione per l'arte in genere e in particolare per il teatro.
Molte erano le occasioni di confronto e a volte mi sentivo profondamente in imbarazzo perché,
posta davanti alla vita, io avevo comunque la possibilità di scegliere, mentre loro no. Dovevano
risolvere questioni quotidiane di cui io, invece, non dovevo preoccuparmi e questo li obbligava a
prendere decisioni concrete invece di inseguire un sogno o un ideale.
E' anche per questo che, adesso che sono tornata, cerco di dare concretezza ai valori che mi hanno
portata in Perù.
Io posso permettermi di decidere quale strada percorrere nella mia vita e, pensando a tutti quelli
che non lo possono fare, ho scelto con più volontà e determinazione di percorrere il cammino verso
la pace, contribuendo passo dopo passo e giorno dopo giorno alla sua costruzione.
Non sarà una strada facile da percorrere, ma visto che le regole, purtroppo, si fanno da questa
parte del mondo, credo che tutti noi abbiamo una responsabilità enorme nei confronti di chi le
subisce e questo deve spingerci verso una consapevolezza, affinché le nostre scelte diventino
sempre di più scelte di vita per tutti.” - Elena De Giusti (Il presente testo è stato oggetto di una testimonianza nel corso dell'udienza del Presidente della
Repubblica del 5 marzo 2010)
Helenia Palma
Responsabile Nazionale
Servizio Civile U.Di.Con.