gennaio. - BCC Comuni Cilentani

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GENNAIO.
Con un solo, eccezionale libro, Edgar Lee Masters passò alla storia con un successo che non
conosce oblio. Nato nel 1869 da famiglia patriarcale dell’Illinois, aveva compiuto alcuni tentativi con
modesti risultati per farsi conoscere dal grande pubblico. Per necessità, divenne uomo di legge con
buoni riscontri a Chicago. Non abbandonò tuttavia le ambizioni letterarie, coltivando la speranza di
poter scrivere la storia del suo villaggio. Nel 1914 avviò un percorso del ricordo che dalle piccole
sponde del fiume Spoon della sua infanzia si trasformò in memoria universale. Masters descrisse la vita
umana raccontando le vicende del microcosmo sempre presente nel suo cuore. Vennero così alla luce
nel 1916 le 244 epigrafi della Antologia di Spoon River. Per un paio d’anni fu toccato da una grazia
inimitabile che lo collocò per sempre tra i grandi, specie in Europa, ove i toni dimessi e delicati
dell’opera fecero gridare al miracolo. I protagonisti “si autodenunciano con una sincerità violenta,
commossa e dolente. Registrano il loro fallimento, l’amara constatazione che la realtà contrasta con
l’ideale perseguito e con le illusioni”. Uomini e donne ai quali la morte ha mutato la vita in destino.*
Un genio, addirittura il rifondatore della poesia americana, per i tanti che l’apprezzarono. Ma,
pure, in tanti lo ridimensionarono severamente, rifiutando il realismo psicologico dell’autore come
metodo minore (e, magari, artificioso) rispetto all’aulicità ed alla capacità di divenire simbolo, attribuita
tout court alla poesia come allora veniva pensata. In Italia lo scoprì Cesare Pavese, facendolo editare da
Einaudi nel 1943, con la traduzione eccelsa di Fernanda Pivano. Per quanto ci riguarda, ci mettiamo
sommessamente sotto l’ala di Cesare Pavese nel riconfermare che Masters fu un “infaticato e misantropico scrutatore dei segreti del cuore e dei dilemmi della vita morale...questo volume di liriche fa racconto, fa dramma”.
Per chi ne scrive adesso, stiamo parlando di un autore che espresse la commedia umana
attraverso una tensione etica di profondo spessore. Morì quasi povero, nel 1950. Fu sepolto nel cimitero di Petersburg, il paese dei nonni paterni. Sulla lapide si legge “Buoni amici andiamo nei campi/Dopo
un po’ di passeggio, col vostro permesso/vorrei dormire. Non c’è cosa più dolce/né più benigno
destino che il sonno./Non sono che il sogno di un sonno benigno./Andiamo a passeggio e ascoltiamo
l’allodola”. Sublime. Dedico alla curiosità dei giovani l’epitaffio per Dippold the Optician. Nel 1971
Fabrizio De André pubblicò l'album "Non al denaro, non all'amore né al cielo", liberamente tratto
dall'Antologia, scegliendo nove temi e trasformandoli in altrettante canzoni. Riconosciamo, almeno nel
finale della rivisitazione dell’artista genovese, questo nostro ottico. Buon Anno a tutti.
* spunto liberamente tratto dalla prefazione di Antonio Porta al volume edito nel 1987 da Mondadori.
Dippold l’ottico.
di Edgar Lee Masters
Adesso che cosa vedi?
Globi rossi, gialli, viola.
Un momento! E adesso?
Mio padre e mia madre e le mie sorelle.
Bene! E adesso?
Cavalieri in armi, donne bellissime, volti gentili.
Prova questa.
Un campo di grano - una città.
Molto bene! E adesso?
Una giovane donna con angeli che si chinano su di lei.
Una lente più forte! E adesso?
Molte donne con occhi luccicanti e labbra socchiuse.
Prova questa.
Solo un bicchiere su un tavolo.
Ah, capisco. Prova questa lente!
Solo uno spazio aperto - non vedo niente di particolare.
Bene, adesso!
Pini, un lago, un cielo estivo.
E’ già meglio. E adesso?
Un libro.
Leggimi una pagina.
Non posso. I miei occhi vanno oltre la pagina.
Prova questa lente.
Abissi d’aria.
Eccellente. E adesso?
Luce, solo luce, che fa di qualsiasi cosa sotto di sé
un mondo giocattolo.
Molto bene, gli occhiali li faremo così.