uno spazio dove nascere e crescere in carcere

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uno spazio dove nascere e crescere in carcere
UNO SPAZIO DOVE NASCERE E CRESCERE IN CARCERE
Valori architettonici a sostegno dellʼinfanzia reclusa
Di Cesare Burdese
“Non potremo mentire a noi stessi, non potremo dire che non sapevamo.
Cʼè il dovere di sapere e di voler sapere.”
Giuliano Palladino - 1960
Freedom è un bambino di quasi tre anni, ristretto con la sua mamma detenuta nella Casa
circondariale Lorusso e Cutugno di Torino.
Ho fatto la sua conoscenza nella sezione detentiva dove vive, che fra qualche tempo sarà
dismessa, in quanto è prevista la realizzazione, fuori dellʼarea detentiva, di una struttura
alternativa, della quale sono il progettista.
Nelle carceri italiane al 30 giugno 2012 risultavano presenti 60 bambini, insieme alle loro
madri (57), cui dovevano aggiungersi 13 detenute in gravidanza; al 31 dicembre di questʼanno i
bambini si erano ridotti a 41.
Le sezioni che ospitano queste mamme e bambini, a loro esclusivamente riservate, sono
denominate “Sezioni nido”, presenti in alcune carceri sparse per la penisola.
Dal 1° gennaio 2014, bambini e bambine potranno vivere con la propria madre detenuta in
carcere da 0 sino a sei anni; attualmente sino a 3 anni.
La nuova norma (L. 21 aprile 2011 n.62) ha introdotto importanti modifiche al codice di
procedura penale ed allʼordinamento penitenziario, con la finalità di agevolare il mantenimento ed il
ripristino della relazione genitoriale dei detenuti ed affrontare – attraverso la realizzazione di
strutture adeguate – il problema della permanenza dei bambini ristretti con le madri negli Istituti
Penitenziari.
Posto il divieto di custodia cautelare in carcere – fatte salve le esigenze cautelari di
eccezionale rilevanza - la legge citata ha previsto infatti lʼistituzione di nuove strutture, le Case
famiglia protette, non appartenenti allʼAmministrazione Penitenziaria, per lʼesecuzione degli arresti
domiciliari o della detenzione domiciliare per donne incinte, madri e/o padri con prole convivente,
nonché il ricorso agli Istituti a Custodia Attenuata per detenute madri (I.C.A.M.)
Con riferimento agli I.C.A.M., si rammenta che allʼinterno di tali strutture, potranno essere
ospitati sia bambini sino a dieci anni, che genitori di sesso maschile in custodia cautelare od
esecuzione di pena, nel caso di mancanza od impossibilità della madre.
Risulta chiaro come – almeno in linea di principio – il legislatore si sia impegnato per
scongiurare ai bambini ristretti, lʼesperienza traumatizzante del carcere e abbia fatto prevalere le
esigenze genitoriali e di educazione su quelle cautelari.
Ad oggi non sono state realizzate Case famiglia protette, così come la norma prescrive.
Nel 2006, ancora prima del varo della legge n. 62, è stata realizzata a Milano una struttura
sperimentale I.C.A.M., senza però il corredo di una elaborazione progettuale adeguata, cosa che
ha contribuito a determinare problemi sul fronte della sicurezza alle evasioni e di natura logistica.
Nel corso del 2012 il Dipartimento dellʼAmministrazione Penitenziaria ha tratteggiato alcune
linee guida relative alle caratteristiche tecniche delle sedi da adibire ad I.C.A.M., e ciò al fine di
evitare lʼemersione di criticità successivamente alla realizzazione dei progetti.
Nel 2012 è stato inaugurato un I.C.A.M. a Venezia.
Attualmente risultano allo studio, fra lʼaltro, i progetti degli I.C.A.M. di Catanzaro, Roma,
Firenze e Padova.
A Torino stanno per essere appaltati i lavori per la costruzione della struttura I.C.A.M.
citata.
Anche se il legislatore ha saputo fornire, con la legge n.62, strumenti giuridici di indiscussa
civiltà, resta il timore/convinzione che la realtà non sarà tale, vista lʼattuale incapacità dello Stato a
superare la “miseria” delle nostre carceri.
In futuro, i bambini ristretti, anche se potranno procrastinare sino al sesto/decimo anno di
età il drammatico momento del distacco dalla propria madre detenuta, difficilmente potranno
evitare il trauma del carcere, per la mancanza di strutture adeguate.
Cosciente delle numerose criticità del nostro sistema penitenziario/amministrativo,
sostengo che la qualità architettonica degli spazi carcerari, debba essere posta tra le priorità
assolute da affrontare e risolvere.
Lʼincarico di progettazione che mi è stato affidato, mi ha consentito di fornire soluzioni
inedite nella realtà progettuale carceraria e di tracciare una via.
Il progetto elaborato è coerente con la ratio della norma, rispettoso della dovuta qualità
ambientale che deve appartenere ad ogni ambiente di vita e di lavoro ed è attento ai bisogni fisici e
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psicologici di quanti, indipendentemente dallʼetà, a vario titolo sono costretti a subire la dura realtà
del carcere.
La mia proposta progettuale, certamente perfettibile, si è sviluppata a partire dalle criticità
architettoniche riscontrate nella “Sezione nido”, dove Freedom sta crescendo, e in sintesi si risolve
nel superamento delle stesse.
Fondamentale il fatto che la nuova struttura sia stata prevista fuori dellʼarea detentiva, e
che, pur ospitando persone private della libertà personale, possa consentire, pur senza venir meno
alle esigenze di sicurezza, soluzioni edilizie non carcerarie ma domestiche.
Lʼattuale “Sezione nido” – dal punto di vista architettonico - altro non è che una sezione
detentiva tradizionale, dove è possibile muoversi con un minimo di autonomia in più.
Essa è collocata nellʼedificio che ospita la sezione femminile, nella Casa Circondariale
edificata alla estrema periferia della città, sulla fine degli anni ʼ70 del secolo scorso, secondo
principi architettonici improntati esclusivamente alla sicurezza, per ospitare c.ca mille detenuti, che
oggi sono oltre il 50% in più.
Come nei restanti casi, la “Sezione nido” è stata realizzata adattando, per quanto possibile,
una sezione detentiva esistente per una generica tipologia di detenuti; per questo motivo essa
continua ad essere fortemente connotata nel senso di un ambiente carcerario.
Permangono pesanti e rumorosi cancelli a sbarre, i “blindati” con lo spioncino per le porte
delle camere, massicce inferriate alle finestre sempre uguali per forma e dimensioni ovunque,
improbabili porte esterne in lamiera anziché a vetri, ambienti poco illuminati ed areati, ecc.
Le camere, per il riposo notturno, come i restanti ambienti, sono molto essenziali, spoglie e
poco arredate.
La sua organizzazione spaziale è oltremodo schematica ed elementare, non dovutamente
articolata, essendo concepita originariamente per contenere ed incapacitare individui adulti e non
per consentire la crescita armonica di un bambino con la propria madre.
Sarebbe opportuno che una simile struttura avesse innanzi tutto la zona per la notte distinta
da quella per il giorno, per consentire un modello di vita scandita da ritmi e orari più simili a quelli
della vita libera.
La “Sezione nido” utilizza alcuni locali (lavanderia, stireria, infermeria, laboratori, locale
colloqui, ecc.), in comunione con le restanti sezioni, nella struttura femminile che la ospita.
Questa circostanza determina un ambiente disomogeneo e non esclusivo, che non
permette di sentire unʼatmosfera familiare, di casa nella quale ritrovarsi.
Le madri detenute ed i loro bambini, non dispongono autonomamente degli spazi dove
vivono, rimanendo a lungo segregate ed inattive tra le camere per il riposo notturno e lʼunico
corridoio della sezione, anche causa la carenza di personale di custodia, che è addetto alla loro
movimentazione allʼinterno della struttura.
Si osserva come il modello di vita delle donne detenute e dei bambini sia fortemente
condizionato da come è concepito architettonicamente il loro spazio detentivo, “infantilizzante”
anziché, come sarebbe auspicabile, di tipo comunitario autogestito e responsabilizzante.
Freedom ha una possibilità limitata di movimento, da solo od accompagnato, e non solo per
motivi di sicurezza.
In questo modo è minato negli stimoli sensoriali esterni, essendogli impedita lʼesperienza
della varietà degli ambienti che normalmente lʼindividuo libero sperimenta, sia al chiuso che
allʼaperto.
Lʼambiente uniforme e monotono nel quale è costretto, gli preclude la pluralità di esperienze
tattili, visive, olfattive e uditive.
Quando Freedom viene portato saltuariamente allʼaperto è per andare a giocare su di un
prato, che sorge nel recinto carcerario e sul quale incombono i sinistri edifici del carcere, oppure
per raggiungere lʼasilo pubblico in città.
Suo malgrado, nel tragitto da dento a fuori, egli deve subire le mura del carcere che lo
circonda e le procedure di sicurezza; realtà fatte di vaste aree cementificate e prive di verde, edifici
fatiscenti, lunghi corridoi, rumori dei cancelli che si aprono e che si chiudono e segnali di allarmi
improvvisi, urla, odori sgradevoli, uomini in divisa e lunghi tempi di attesa prima dellʼaperture delle
porte ecc.
Eʼ bene ricordare come lʼesagerato utilizzo di porte che si aprono e si chiudono nel carcere,
spaventino questi bambini; in questi casi si possono osservare situazioni di disagio, irrequietezza,
facilità al pianto, difficoltà di sonno, inappetenza e una certa correlazione tra ritmo sonno/veglia e
porte chiuse per periodi prolungati.
Daniel Gonin ci ha illustrato gli effetti devastanti – materiali e morali - della privazione della
libertà sul “corpo incarcerato” adulto, tanto più se in un ambiente impoverito dal punto di vista degli
stimoli e delle sollecitazioni sensoriali; per quello che abbiamo appreso, possiamo affermare che
questi bambini ristretti hanno a subire la stessa sorte.
Per questo è doveroso prodigare lʼimpegno, per concorrere a realizzare al più presto
quanto la norma consente e la coscienza civile impone.
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