carmi ii - 1994/1995/1996/1997

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carmi ii - 1994/1995/1996/1997
CARMI II - 1994/1995/1996/1997
da "VIAGGIO IN PARADISO" di Mark Twain.
"Effetto della giustizia divina. In terra non hanno avuto una ricompensa adeguata ai loro meriti, ma qui occupano la posizione che loro
compete. Billings, il sarto del Tenessee, scrisse poesie che Omero e Shakespeare non avrebbero potuto nemmeno lontanamente eguagliare,
ma nessuno volle pubblicarle, nessuno le lesse salvo i suoi vicini di casa , gente ignorante che ne rise...........
Carme XXX - A Silvana.
Non t'aspettar da me dei canti eletti
Di Romeo sugli amori e di Giulietta,
Di Giuda o di Medea sugli atti abietti,
D'Edipo sulla storia maledetta,
Ma solo versi docili e corretti
Dalla cadenza armonica e perfetta
Che dolcemente cullan gl'intelletti
Con la semplicità dell'operetta.
Son cose fresche, come a primavera
Zeffiro fa, accarezzando e via,
Per volar verso l'ombre della sera.
Sarà così, tutta la mia poesia,
Perché ti giunga soffice e leggera
Con un pizzico di malinconia.
1994
Carme XXXI
Tu ti ricordi, mamma?
Io ti sedevo accanto
il dì che m'ha sfiorato,
cogliendoti, la morte.
Discesa or è la notte:
mai più non sentirò
il canto del tuo cuore.
Carme XXXII - Aborto.
Nella canea del più profondo inferno
il grido senti, odiato,
del bambino non nato
che dalla nebbia vien del limbo eterno.
Carme XXXIII - In morte di un cagnetto bianco.
Stendo la mano lenta e t'accarezzo:
un accenno d'addio.
E mi guardi negli occhi,
sei pieno di speranza;
tu pensi ch’io sia Dio
povero, piccolo cagnetto bianco!
Al fischio acuto d'un treno lontano
innalzi le orecchie senza interesse,
in un moto riflesso;
negli occhi mesti la disperazione,
con le pupille scure
ora più larghe, come supplicanti,
e t'affanna la tosse,
ed il respiro è stanco;
tu pensi ch’io sia Dio
povero, piccolo cagnetto bianco!
Ti ho dato il cibo e l'acqua,
piacevoli carezze,
ed amori fugaci;
io t'ho sempre curato,
sempre aiutato,
ed ora, con il cuore
traboccante d'amore,
nel momento supremo,
guardi fidente ancora,
ma io, non sono Dio;
mio dolce piccolo cagnetto bianco,
addio.
Carme XXXIV
(Zingaresca: antica forma poetica.)
A Sua Santità Giovanni Paolo II° per un comune amore verso la madre celeste.
Ave Maria,
di grazia piena,
chiara e serena,
il Signore è
sempre con te
e fosti tu
a dar Gesù
consolatore
al peccatore.
Tu tra le donne,
beata e insonne,
coi motti tuoi
preghi per noi;
per la mia sorte
sino alla morte.
Carme XXXV (A Luigi.)
Reggio Emilia, nel dì trentuno Maggio.
Caro amico, continua nel tuo stile
Che ti spinge, tapino, a lavorare.
E' Giugno, vado a Roma, t'abbandono.
La città che cantarono i poeti:
Eterna, Dea, del mondo capitale
Che il sole ognor si ferma ad ammirare,
Delle bellezze sue vuol farmi dono.
Quando la plebe in Luglio corre al mare
Lascerò il caldo per le Dolomiti;
Là dove ghiacci eterni e freschi rivi,
Rocce rosate e laghi smeraldini
S'adornano di larici e di pini.
Piacevole è l'Agosto a Borgotaro,
In quella verde valle deliziosa
Che bontà sua cantò pure 'l Petrarca,
Per fare del caffè la vita oziosa.
Chiamato, infin, dal cinema, a Settembre,
Al Lido correrò coi giornalisti
Che scriveran di scandali e di divi,
Di trame, di finocchi e di puttane
Con poche miserabili parole
Castrate di futuri e congiuntivi.
Ottobre è triste, cadono le foglie
Nel misterioso umore delle nebbie
Venute il bianco inverno a preparare.
Per riposar dagli strapazzi fatti
Alla magione tornerò di certo.
Buona fortuna e buon sudore,
Alberto.
1995
Carme XXXVI: Mosaico..
*Voglio Venezia che tu donna sia
Per poter farti carnalmente mia.
*Vorrei Venezia, splendida città,
Per poter farti carnalmente mia.
Che tu fossi una donna; e voluttà
E gioia aver con te. Forse é pazzia.
*Vorrei Venezia, splendida città,
Per poter farti carnalmente mia
Che tu fossi una donna; e voluttà
E gioia aver con te. Forse è pazzia;
Ma se m'aggiro di trifora in merletto,
Perché scoloro come un giovanetto?
*Vorrei Venezia, splendida città,
Per poter farti carnalmente mia
Che tu fossi una donna; e voluttà
E gioia aver con te, con bramosia
Frugare ogni tua magica realtà,
Ogni mistero tuo. Forse è pazzia;
Ma se m'aggiro di trifora in merletto,
Perché scoloro come un giovanetto?
Carme XXXVII
Salivo la collina
che l’eterno m’esclude dalla vista
or camminando lento,
ora quasi correndo,
senza voltarmi mai,
come se avessi l’ansia d’arrivare.
Già son molli le gambe
e sono rotti i piedi,
ma la cima mi sfugge;
ad ogni passo sembra che s’innalzi,
e va finendo il tempo.
Allor mi fermo, stanco, mi riposo
ed il cammino fatto
mi volgo per guardare;
non vedo volti, dietro a me, ma cippi,
messi là per segnare
l’ossa caste dei morti.
Croci di legno son, di ferro e pietra;
davanti a loro ho sempre camminato,
per tutta la mia vita.
ed in ogni momento, in ogni istante,
senza che m’accorgessi,
la fila s’allungava.
Poi la notte m’assale,
lumionosa per una luna gialla,
pare lucida e sciocca,
come stampata in una cartolina.
Allora ancora m’alzo,
m’avanzo stanco e vecchio,
lasciando dietro que’ miseri segni
e devo proseguire alla ventura
con passo lento e molle
e faticoso fiato.
per un aspro sentier di sassi e zolle.
Capisco ch’è la fine,
quando una nera nube
tutto m'oscura intorno:
allora in pochi istanti,
mi restano soltanto i fochi fatui:
come piccole lucciole vaganti,
ad uno ad uno tristi se ne vanno,
Se tutte queste tremule lucine
potessi mai riunire:
oh che chiarore, infine!
Potrei veder quanto mi resta ancora.
Ma quella cima mai la toccherò?
Saprò mai dell’eterno,
sin’al cadere dell’ultimo mio passo?
Carme XXXVIII
Volteggiava la neve
e danzava gentile
come una ballerina,
scendendo lieve
con seduzione,
contro la luce rosa
d'un vecchio, brunito lampione.
Si posava leggera
sopra l'asfalto grigio,
sopra la terra nera,
sì che ovattava a festa,
come una bomboniera,
l'ultimo dì dell'anno.
E nel silenzio
ci conduceva al ballo
con quella candida poesia,
nella malia
dei vivi lampadari di cristallo,
del valzer lento,
delle fanciulle
che aprivano la danza
in abiti d'organza.
Ed al ritorno, ancora,
quasi adornando
un presepe vivente,
tu la vedevi scendere silente:
ti menava desioso
all’oblio del riposo.
Ora non scende più la neve
sulla mia terra
in quest'inverno grigio;
invano prego che ritorni ancora
lei, così bianca e pura,
come in quei dì lontani
quando, mistero arcano,
sotto le belle forme incerte e vane,
facea nascere il pane.
Carme XXXIX A Silvana.
Se fossi nato in un diverso tempo
Senza saperlo, oh solo amore mio,
Come t'avrei cercata inutilmente!
Con Alessandro nelle donne indiane
Così sensuali e piene di mistero,
O con Cesare, tra valchirie bionde,
Nelle nebbiose selve dei Germani;
Con Marco Polo, nell'antica Cina,
tra le donnine sue di porcellana,
O con Colombo, verso un mondo nuovo,
L'orme seguendo del divino Ulisse.
E’ forse questa l’ansia che sospinge
Uomini seri, uomini sapienti
Le fonti a ricercar del Nilo azzurro,
La bianca vetta del Kilimangiaro,
Senza riuscire a darsene un perché?
Ecco un vero Miracolo di Dio:
Trovarsi insieme nello stesso luogo,
In un attimo dell'eternità.
Carme XL. A Silvana.
Ti ricordi la gioia
di quei giorni a Venezia
in quell'eterno camminare
senza una meta,
in quell'andare,
l'un dietro l'altra,
per le sue fresche calli
uscendo uniti
nel sole dei campi stupiti
dai limpidi bagliori
dei marmi,
dei mosaici, degli ori?
Ti ricordi la gioia
del mutar dei colori
dell'acqua
al cangiar del tuo viso,
del tuo sorriso
che lentamente
andava spegnendosi stanco,
nella notte rosata
dagli antichi lampioni,
in una romantica,
calda ballata?
Or nelle nebbie
d’un’età grigia,
avvolta nei bianchi capelli,
rammenta quei giorni monelli
pieni d’oblio, vuoti d’affanni;
quei giorni leggeri nel sole.
Carme XLI A Silvana.
Noi siam due note,
Do diesis re bemolle,
Un solo suono.
Carme XLII
Il matrimonio, penso,
E' solo una questione
Di semplice buonsenso;
Le donne ne hanno tanto
Noi non n’abbiamo affatto.
Morale: l'uomo è matto.
Carme XLIII Icone.
(Premio Firenze 1995: Segnalazione d'onore.)
A Sua Eccellenza il Cardinale Giacomo Biffi augurando che possa continuare a lungo nelle sue coraggiose battaglie.
a)
Egli era Dio presente ed infinito
Nell'eterno silenzio dello spazio
Quando dal giorno separò la notte,
Ponendo nel profondo e stelle e sole.
Così la luce con mille colori,
Mille armonie di suoni e di profumi
Suscitò la gran festa della vita
Che guizzò via vivificando l'onde,
Volando nell'azzurro all'infinito
E dando voce alla silente terra.
Tra piante, fiori, frutti saporosi,
Nacquero il bosco e la radura verde,
Il prato solatio con l'ombra fresca,
Il fuoco del vulcan ch’incendia i cieli
Ed il deserto, il rivo spumeggiante
Che corre come il tempo al suo destino.
Indi l'acqua sfuggente e multiforme
Venne a lambire la leggera arena
Ed Egli le impastò, fece una statua,
Un'anima v'infuse col respiro;
Poi graziosa e garbata una compagna,
Con grande amore, ancora gli donò.
b)
Eva tenendo sulle sue ginocchia,
Baciati gli occhi, accarezzando il capo:
"Eva - le disse - queste meraviglie
Che vanno sino al giunger della luce
Ed attorno rimiri all'infinito,
Tutte le fece Iddio, tutte ci diede."
Ed ella a lui, fissa lo sguardo agli occhi:
"Amore mio di tutte queste cose
Tu puoi godere, ma nessuna è tua.
Le mucche tu le vedi ma non sai
Se son quante le dita d'una mano,
D'entrambe, oppure delle nostre insieme
Quando unite s'intrecciano amorose.
Vedi il lupo giocare con l'agnello,
Senti la fiera che ti lecca il viso,
Ma cosa muove mai le loro vite?
Che cosa batte dentro il loro petto?
Perché dormono e van brucando l'erbe?
Ma se saprai contarle ad una ad una,
Conoscere il perché di queste cose
Avrai la scienza e tutte saran tue:
Diverranno obbedienti al tuo comando,
Il tuo potere splenderà sul mondo."
c)
Orgogliosa la mostra ad un'amica,
Stende la mano e l'indica col dito:
"Quella è Maria, mia figlia prediletta."
Obbediente la bimba nella scala
S'avanza, verso il sommo sacerdote;
Questi l'attende sulla soglia sacra
Mite nel cuore, ma severo il viso
Incorniciato dalla folta barba.
Ricco di marmi la sovrasta il tempio,
Immenso appare agli occhi suoi, ma lei
Muove sicura incontro alla sua sorte.
d)
Venuto il tempo e giunto alla sua casa,
L'arcangelo Gabriele, mentre guarda
Quegli occhi liquidi com'é la notte,
Le dice "Ave Maria piena di grazia
Il Signore è con te." Questo il saluto;
Poi le reca la volontà di Dio:
Del ventre suo santificato in Cristo
E della vita sua, del suo dolore.
Muta la donna, reclinato il capo,
Inginocchiata come una bambina
Al cospetto d'un mago misterioso
Che parlando le sveli il suo destino,
Trema pudica al verbo del Signore.
Dice: "Sia fatta la sua volontà."
Lei, tra tutte le donne benedetta,
Pur subendo lo scherno dei vicini,
L'invidia delle sterili comari,
I primi ombrosi dubbi di Giuseppe,
Come una trepida, amorosa madre
Culla nel cuore la gioiosa attesa.
e)
Quando venne la notte misteriosa,
Prese il suo bimbo e, con le mani amiche,
Lo pose a riposare sulla paglia;
Un asino ed un bue soli compagni.
Dagli angeli avvisati nella notte,
Seguiti dal belar stanco del gregge,
Discesero i pastori alla capanna
Per adorare, ed al celeste coro
S'unirono a cantar con franca voce:
"Lode al Signore nei sereni cieli,
Pace in terra alle genti laboriose,
Ai popoli di buona volontà."
Là dove il giorno va tingendo il cielo
Col velo rosa che la vaga Aurora
Gli porge al primo nascere del sole,
Già s'eran mossi i Magi dell'oriente.
Seduti sulle selle ricche d'ori,
Cavalcando magnifici destrieri
Di fini briglie e di gualdrappe ornati,
Seguon l'astro lucente nelle notti,
Per giungere alla misera capanna
Ad adorare il bimbo del presagio.
f)
Torbida e nera e complice, la notte
Nascose i cavalieri del monarca
Mentre, tra il pianto e la disperazione,
Strappavano i bambini dalle madri
Per soddisfar l'angoscia del tiranno.
Raccolti gli innocenti entro una sala,
Provvidero i soldati, ebbri di vino,
A perpetrare la più cupa strage.
Emblematico fu quel giorno orrendo:
Mutilazioni, aborti, stupri e fame,
Scandali e morte fatti sui bambini
Tutti son maledetti dal Signore,
Oltre il finir dei secoli in eterno!
g)
Il tempo in cui compiva i dodici anni,
Giunti a Gerusalemme per la Pasqua,
Ecco che sulla strada del ritorno
S'accorsero, sgomenti, i genitori
Che con loro non c'era più Gesù.
Oh tre giorni d'angoscia, di tormento,
Ed eterni, per la ricerca ansiosa.
Era nel tempio che parlava ai saggi
Muti, incantati dalle sue parole.
Che gioia fu trovarlo e quale orgoglio
Vederlo disputar tra quei vecchioni;
Ma ancor più grande lo stupore quando,
Rispondendo alle grida ed ai rimbrotti,
Disse: "Perché cercarmi, non sapete?
Sto curando le cose di mio Padre."
Come fu muto e triste quel ritorno
Mentre ognuno dei tre, dentro il suo cuore,
Presagiva la fine della storia.
h)
Accadde che in quel dì, vicino al fiume,
Giovanni, circondato dalle genti,
Battezzasse con l'acqua del Giordano
Che, lì, scendeva pigra alla sua foce
Sbiancando in lievi spume contro i sassi;
Dietro c'era, invisibile al suo fianco,
L'ombra nera ed immobile d'Erode.
Mentre Cristo pregava a capo chino,
Lo benedì Giovanni con quell'acqua;
Stupito s'aprì il cielo e la Colomba
Discese su Gesù, s'udì la Voce:
"E' questo il mio figliuolo prediletto,
Perciò di lui mi sono compiaciuto."
i)
Celeste padre, Dio dell'universo,
Noi canteremo sempre la tua gloria.
Venga il tuo regno e la tua volontà
Sia fatta così in terra come in cielo.
Sotto la neve tieni caldo il grano
Frutto della fatica quotidiana
E del sudore della nostra fronte.
Perdonaci le offese ed i peccati,
Come i debiti noi rimetteremo
All'orfano che chiede con la mano,
Alla vedova, al padre disperato.
Allontanaci dalle tentazioni,
Dalle bassezze, dai pensieri turpi
E quando giunge l'ora della morte,
Quando si spegne l'umile candela,
Vienci incontro, Signore, sulla via.
l)
Quante sono le belle cortigiane,
Il volto dolce come una madonna,
Occhi torpidi e morbida la bocca
Che ancheggiano sinuose e compiacenti!
Così la peccatrice s'avvicina
Alla tavola ornata per la cena.
La guardano con sdegno i convitati,
Ma subito si piega sui ginocchi
E prende l'acqua fresca e lava i piedi,
E li asciuga con i capelli sciolti.
E' piena di speranza e d'umiltà,
Non parla, nella mente ha la preghiera.
Gesù capisce e stende la sua mano:
"T'ha redenta la fede, Maddalena:
Io ti perdono d'aver molto amato,
Vattene in pace e non peccare più."
m)
Mentre il povero implora con la mano
Per chiedere un po' d'acqua, un po' di pane,
Epulone si sazia di peccato.
Sdraiato al desco con le cortigiane
Ch'espongono le carni vellutate
Come cibi preziosi al suo palato,
Egli v'affonda ingordo ed occhi e mani.
Fanno cornice a quella ricca mensa
Quattro virtuosi, siedono per terra
Suonando delle musiche sensuali
Con preziosi strumenti a corda e a fiato.
La presenza del triste mendicante
Aumenta per contrasto ogni piacere.
Or, nel rugghiante fuoco dell'inferno,
Con gli occhi riarsi ed arida la gola,
Chiede Epulone un solo sorso d'acqua,
Ma nessuno l'ascolta, ché l'ingordo
Ha già bevuto in vita a sazietà.
n)
Quando giunge vicino a quella tomba
Già l'odore dolciastro della morte
Aleggia sulla gente disperata.
Ma la donna lo prega e tanta fede
Tocca il Signore ed egli si commuove.
Lazzaro, uscito dalla nera morte,
Come un bimbo svegliato la mattina
Sbatte le palpebre alla viva luce
Che gli ferisce gli occhi all'improvviso;
Barcollando, insicuro nel cammino,
Lascia il sepolcro per entrar nel sole.
Tra i parenti, gli amici, i famigliari
C'è chi trema, chi tace ammutolito,
Chi s'accascia travolto dall'orrore
E chi per non veder fugge lontano.
Ma il sasso è già caduto nello stagno
Ed il cerchio s'allarga all'infinito:
Più nulla può restar com'era prima.
o)
Mentre prega sul monte degli ulivi,
Dormono gli altri in quella notte orrenda
Che lo consegna al tragico destino.
Come il fratello che il fratello uccide
Corre lungi dal luogo del delitto,
Giuda nel buio cerca un nascondiglio
Per sfuggire allo sguardo del Creatore,
Ma la voce di Dio lo segue ovunque.
Veloce il cuore pulsa nelle orecchie,
Affannoso diventa il suo respiro,
Il rimorso s'incolla come un'ombra,
Più non resiste; un albero robusto
Gli porge un ramo per il suo destino.
p)
"Forza gli dice il re, fammi vedere
Che tu sai tramutare l'acqua in vino,
Volar per l'aria come un lieve uccello,
Edificare templi, i vaghi amici
Richiamar dalle tenebre dell'orco.
Se tu non compi qui questi prodigi,
Tu che d'essere dici il re dei re,
Sei solo un miserabile cialtrone."
Così beffardo lo deride Erode,
Ma sa che non ha colpe e la sua vita
Non osa consegnare al passo estremo:
E' macerato dentro dal rimorso
D'aver donata, su d'un piatto d'oro,
La testa di Giovanni a Salomé.
Neri i capelli, gli occhi del cerbiatto,
Sinuoso il fianco, il petto seduttore,
Nuda danzando candida e lasciva,
Gli aveva soggiogato sensi e mente
Strappando quell'orribile regalo.
Così rimanderà Cristo a Pilato
Ed egli invano Lo vorrà salvare.
q)
Sotto la frusta trasudava il sangue
Rosso rubino su quei fianchi scarni,
Sul corpo fatto a reggere la croce.
Ed egli sale lungo il suo Calvario
Mentre il sudore lucido e copioso
Lo bagna macerando le sue carni.
"Sali re dei Giudei verso la morte."
Urla la gente immemore e crudele.
E cade, attende aiuto e gli occhi stanchi
Invocano un sollievo al suo soffrire.
"Sali re dei Giudei verso la morte."
Si sente solo, là su quella croce,
Ed anche il dubbio turba la sua mente:
"Oh Padre mio! Perché tu m'abbandoni?"
Muovendo lento, l'astro della notte
Oscura il sole, e tutti gli animali
Zittiti dal terrore del portento
Corrono a ripararsi nelle tane.
Si nasconde il serpente tra 'l fogliame,
Gli uccelli il capo coprono con l'ale,
Trema la terra mentre Cristo muore;
Degli amici lo segue il tradimento
Al cantare del gallo nel mattino.
r)
Risorto tornerà dentro la barca
Che, rossa macchia contro il cielo nero,
Vaga squassata sull'ondoso lago.
Si distendon placate l'acque stanche
Al lento segno della man di Cristo;
E l'astro bianco che risplende in cielo
Lenti di fuoco va segnando intorno
Che guizzano al rollio come folletti.
Calan le reti dentro quell'incantato,
Vibrano i pesci avvinti dalle maglie
Già catturati dal divino verbo,
Mentre sale sicura la sua voce:
"D'anime Pietro sei mio pescatore
La Chiesa erigerò sulla tua pietra."
s)
E' verde la collina degli ulivi
Quando viene il momento del commiato,
Ma s'inargenta al sole mentre Cristo
Sale al cielo, sparendo tra le nubi,
Per sedere alla destra di Dio Padre.
Qui si compie la vita di Gesù,
Qui comincia la storia della Chiesa
Nell'attesa dell'ultimo Vangelo.
1996
Carme XLIV
(Al Sindaco di Venezia Massimo Cacciari per una eguale simpatia verso l'Angelo Custode.)
Angelo del Signore
Posa benedicente
La mano sul mio capo;
Se l'ombra del peccato
S'allunga su di me,
Sorreggi il piede mio,
Governa il mio cammino,
Ridona la tua luce
All'insicura mente.
Così tu sia per sempre
Custode di quell'anima
Che t'ha affidato Iddio.
Carme XLV
Anche se è sciocca
La filastrocca
Come un rondò
Vi conterò.
Tre Porcellini
Son tre bambini
E le Ocarine
Son tre bambine.
Lupo ed Agnello,
Ma che macello,
Con Biancaneve
Sopra la neve;
E Pollicino,
Gran birichino,
La Sirenetta
Mette in burletta,
Mentre Pinocchio
Gli stringe l'occhio.
C'è Cenerentola
Che mette in pentola
Zio Paperino
Con Tredicino:
Ma guarda un po’
Che fricandò.
Quando la bella
Salta in padella,
La brutta Bestia,
Ma che modestia,
Va dal Gran Kan
Con Peter Pan.
Alì Babà,
Che crudeltà,
La bella Alice
Mette in cornice
E, mentre Bambi
Fa sogni strambi,
Si chiudon gli occhi
Ai miei marmocchi.
Carme XLVI Alla Fenice.
L'ala spezzata,
il fantastico uccello
che tu vedevi volare nel cielo
tra mille suoni, tra mille colori,
muto si tace, ferito, per terra.
Là, prigioniere tra nere rovine,
grevi penombre
confondono insieme maschere e volti,
cupi fantasmi di cori lontani
coprono i canti.
Genti cortesi
che tutte le cose più belle adorate,
or di lacrime è tempo;
or che Venezia va sciogliendo in pianto
gli occhi cerulei della sua laguna,
ora straziate il cuore
col suo tormento.
Carme XLVII Alla morte.
Già t'ho visto una volta
ed eri tanto bella,
imbellettata
come una cortigiana
che con aria sfrontata
ti s'offre nuda per una serata.
M'hai voluto ghermire,
ma ti sono sfuggito,
perché sapevo che appena raggiunta,
dopo il mio primo castissimo bacio,
ti saresti consunta,
mutata in forma di scheletro osceno.
Ora t'aspetto ancora,
so che ritornerai,
ma mi consolo con quel dolce inganno
che dice: " Scampi un giorno scampi un anno."
Carme XLVIII Per una vendita.
Addio pallidi monti nella notte,
rosati all'alba contro un ciel dipinto
sul mare di conifere ondeggianti;
addio lezioso Udai
che corri a valle
come la vita
or saltellando tra le bianche schiume
ora ringhiando come un vecchio cane.
Addio mite e silente
casetta di Mazzin
che risuonavi
di grida e di risate,
di mille giuochi e pianti
al lieto giungere dei miei nipoti,
là dove la gran stufa e 'l chiaro legno
riempivano di gioia e di tepore
i nostri giorni.
Ora non sei più mia
non potrò più goderti;
casetta di Mazzin
di nuovo addio.
Carme IL Davanti a Burano
Poesia vincitrice del "Premio Internazionale S. Marco cita di Venezia" 1996. (Sezione: "Una poesia per Venezia").
Davanti a Burano
Col sole morente
T'accendi di rosso
Laguna d'opale;
E' solo un istante.
La gondola nera,
Quell'ombra cinese
Che scivola lieve
Sull'acqua cangiante,
Ti porta la sera.
Lontano Torcello,
Al blu della notte,
Si chiude nel mare.
1997
Carme L
Addio Parigi
di tutte le città la più maestosa.
Io lascio le tue strade
con le macchine belle
che corrono ordinate
come i giornali sulla rotativa,
e le tue piazze enormi
che il vento sembra
spazzare all'infinito:
palcoscenici vuoti
ove poche comparse
si muovono con aria un po’ spaurita.
Sotto le strade
i cittadini tuoi,
lontani da quel sole
che in venustà t'illumina e t'accende,
nel scendere e salir per le tue scale,
come impazziti, vivono la vita.
Oh splendida città
costruita soltanto
per un imperatore da operetta
che un geniale scenografo
volle bella così,
come la scena fissa d'un teatro,
ma troppo fredda ahimè
per essere vissuta.
Carme LI Bicentenario del tricolore
(”Premio Internazionale A.L.I.A.S.“1997 Melbourne. Menzione d'onore per la poesia Carme LX“bicentenario del tricolore” dalla quale sono
tratti i versi della canzone "Dolce Patria" musicata dal Maestro Guido Maria Ferilli.
Oh dolce patria mia
che facesti delle “diverse genti”
una sola città,
tremò d’orrore il mondo al tuo cadere.
Quella tua notte piansero i poeti
e “l’anime dei grandi,”
tra le colonne e gli archi dei ruderi,
cupi vagando.
Là nel ricordo dei perduti giorni,
mesto cantava un vate
l’amata patria sua “bella e perduta”,
chiamando all’arme un popolo di morti.
Ed a quel grido di rabbia e di dolore
venne l’eroe dalla corrusca chioma,
vene il sabaudo Re
uniti nei colori dell’Italia
ancor “schiava di Roma”.
Or contro l’armi dei tiranni va
“latin sangue gentile”,
in aiuto del debole ed oppresso;
innalza il tricolore
a nuova vita e libertà rinato;
te lo diedero i padri con orgoglio
molle del pianto delle loro donne,
molle del sangue degli eroi.
E tu ricorda!
Carme LII All'osteria di Bagno
(premio poesia e vino citta’ di Voghera 2004 )
Fuori la neve cade,
tutto raffredda e imbianca.
Ma noi, sopra la panca
calda dell’osteria,
amici ritrovati
brindiamo tutti insieme,
col vino ch'é sincero
e brilla nel bicchiere,
al petto dell'ostessa
sodo, procace invito
che sborda prosperoso
dall’abito sdrucito.
Brindiamo alle speranze
offese dalla vita,
ai cieli rutilanti
soltanto immaginati,
al mutar dei valori
sempre più incostanti,
all'occasioni perse,
ai non finiti amori,
ai figli ben diversi
che noi ci aspettavamo.
E mentre mescoliamo
il vino coi pensieri
dentro memorie stanche,
presenze di fantasmi
siedono, vuote e bianche,
su quelle vecchie panche
e parlano con noi
al ritmo degli spari:
un mite cappellano,
un caro amico spento,
un vecchio capitano.
Amici ritrovati
brindiamo tutti insieme
col vino ingannatore:
pare un rubino vero
che brilla nei bicchieri
opachi di vapore,
al caldo della stanza.
E mentre ci consola,
fuori la neve cade,
tutto raffredda e imbianca.
Carme LIII A Silvana.
Ti ricordi, Silvana,
quel primo fuggevole bacio
nella strada di periferia
al separarci
per ritornare a casa?
Quel casto bacio sulla bocca
nel buio della sera,
là, sotto lo spento lampione
della chiesetta
vicino all'ospedale?
Noi eravamo
in un romanzo rosa
dell'ottocento,
fatto d'amore
che rimava con cuore,
quasi ritratti
in un quadro di banalità.
Ma che felicità
nella casta promessa mantenuta
di quel continuo amore rinnovato
che, nel tempo disfatto,
ancora,
tu mi perpetui intatto.
Carme LIV "Conviviale" A Silvana.
(Vincitore del prestigioso premio Giuseppe Tirinnansi - Legnano 1999)
Ricordi quelle sagre di päese
Che dopo una fantastica mangiata
Finivan sempre con la "Zuppa Inglese"?
Piena di crema casta e vellutata,
(Sopra la gialla, sotto quella nera
Divise da una brusca marmellata)
Avvolta in una rossa bomboniera
Fatta di savoiardi e di liquore,
Essa t'accompagnava sino a sera.
Colorata, così, come un bel fiore
Si disfaceva lentamente in bocca
Riempiendoti di gusto e di torpore
Come la nenia d’una filastrocca.
Carme LV
Quel giorno morirò.
Non sentirò mai più
quell'aria fresca delle Dolomiti
ricca di mille sensazioni estive;
né, suadente ed asprigno,
il profumo del mare;
né gl’incerti vagiti
delle nascenti, lievi primavere
nelle mattine del luogo natale.
Quel giorno morirò.
Il dolce volto, chino su di me,
d’una fresca infermiera
non potrà più formare nella mente,
neppure il desiderio d’un ricordo;
e forse in quel momento
le mani intorpidite
non palperanno più l’aspra carezza
del pulito lenzuolo di cotone.
Il cibo sarà fiele alla mia bocca,
una musica strana
giungerà da lontano,
fastidiosa come un ronzio di mosche,
mentre il pensiero formerà una voce
che l’arsa lingua modificherà.
Forse mi piegherà il dolore
dei muscoli contratti
a maledire il giorno d'esser nato;
o forse sarò cieco,
simile ai mostri
che popolano il mare
nei più profondi abissi,
nei sogni foschi delle notti cupe.
Ma sia qualunque cosa,
l’orribile momento
non potrà cancellare nel ricordo
quella mia vita, viva, insieme a te.
Allora amore mio,
prima d'entrar nel buio ad ascoltare
l'eterno e cieco suono del silenzio,
anche per un istante solamente,
io vorrei risentire la tua voce
Silvana mia.
Carme LVI Egizia.
(Liberamente ispirato ad una poesia dell'antico Egitto)
Mio amato, mio dio,
com'è dolce il tuffarmi innanzi a tè
nell'acqua chiara;
la mia bellezza, così,
ti mostro sotto l'abito bagnato.
Guizza tra le mie gambe un pesce rosso,
un brivido m'assale,
che un sigillo di fuoco m'hai impresso
e mi fa male.
CARMI III 1998/1999/2000/2001
1998
Carme LVII In ricordo di un vecchio socialista.
Grigio era e brutto
di repellente aspetto:
un veneto
dal vecchio spiritaccio maledetto;
ed aveva la gobba a mezza schiena,
segava legna e quasi per un vezzo
facea la cresta
sul peso e sopra il prezzo.
Ma combatteva come un vecchio pazzo
per il proletariato e pel progresso.
urlando a squarciagola
a tavola, nei bar, persino al cesso.
Credeva in un Dio vago,
ma laico si diceva;
ora riposa in pace,
mio vecchio socialista,
in quel silenzio là,
fuor della mischia!
Carme LVIII Haiku.
(Vincitore del premio Primavera Haiku 1998 Il Grillo.)
La nostra vita:
Ombre cinesi là,
Sul muro bianco.
Carme LIX A Silvana
Ancora adesso, mogliettina mia,
Tu sei la mia letizia, la mia vita
Ed insieme la mia malinconia,
Perché si scioglie il tempo tra le dita;
Fugge il respiro, se ne va l’ardore,
Si fissa nel pensier la dipartita.
Ma dolce mi parrebbe il mio dolore
Se dalla trista caligine potessi
Sentir con la tua voce il tuo calore.
Carme LX
Bella come un'antica nave greca
sopra ad un mare verde,
senz'alberi né vele,
pietrificata per l'eternità,
con la prora che guarda verso il cielo
blu nella chiara notte
e le stelle che guidano il nocchiero,
ergesi, là, “…..Bismantova in cacume”.
Carme LXI
Esco nel sole
fuor della grigia nebbia
tinta di luce da rosate voglie;
ed una bianca luna mattutina,
riflette, chiaro, il cielo d'autunno,
sul fiume verde,
Sto tornando al mio Borgo.
Vedo, davanti, la mia vecchia vita
consueta nella vecchia cittadina,
in quelle vecchie strade,
tra quelle vecchie case,
nei volti degli amici ritrovati.
Dopo, al ritorno,
s'empie 'l cuore di pianto.
Ogni volta così,
dovunque vada,
dovunque mi ritrovi,
triste un dubbio m'assale:
mai più non vi vedrò dolci colline,
pallide nel tramonto?
Mai più monti dorati
che si tingon di rosa nella sera,
campi di grano pronti per il pane,
uve mature
che scendete dai tralci rigogliosi?
Mai più sole di fuoco nel tramonto
della valle padana,
mare bizzoso di cavalli
ch’arruffano le schiume alla barriera
del pallido corallo.
E mai più voi opre belle dell’uomo,
ornamento del mondo,
forse ispirate dagli dei d’Olimpo?
Età felice dei capelli bianchi
resa serena dai placati sensi,
dalla mente matura;
s’ogni dì non vi fosse,
l'ansia d’interrogarmi,
di questo chieder mio senza risposta.
1999
Carme LXII a Silvana
Com’è ancor dolce il tuo pudore
Passato così tanto tempo:
Il buio è il regno del tuo amore.
Carme LXIII
Dolce amante nell'acqua,
dove si van formando
fantastici colori della luce
e della fantasia.
Sull'assolata piazza
suona la voce tua nella campana
e si frantuma, lì,
in cubetti d'argento,
sull'ali dei colombi,
nel piombo opaco delle tue vetrate.
E rivoli di luce;
vanno ad illuminare
i marmi ed i mosaici delle chiese;
si spargono nei cieli
delle notti serene
frusciando via come gondole nere
sui nastri di cobalto.
Nel sole dei campielli,
uno strambo Arlecchino
va mescolando capriole e sberleffi
agl'inviti suadenti
dell'amante nell'acqua.
Carme LXIV In ricordo dell’allunaggio.
Pallida luna
Amica misteriosa:
Diana violata.
Carme LXV
Vedo il tuo volto pallido
disteso nella morte,
del tuo costato tocco le ferite,
una ad una le conto
come fossero mie;
vedo la tua corona,
miserabile re dei derelitti,
e le mani distese.
col sangue che s’aggruma sopra i polsi.
O sacra Sindone:
telo della speranza!
Carme LXVI
Tu sorridi statuetta di montagna
Avvolta, in quella notte di splendore,
Dentro la casta paglia che ti dona
Il tuo tepore
Quando ti prendo in mano bambinello
Si placano gli affanni del mio cuore
E cadono sopite le tempeste
Al tuo tepore
Che la mia morte sia cattiva o buona
Seguita dalla gioia o dal dolore
Fa che mi spenga, bambinello mio,
Nel tuo tepore
E se destino mio sarà l’inferno
Sperduto in mezzo al mondo dell’orrore
Fammi sentire almeno per un giorno
Quel tuo tepore.
2000
Carme LXVII Dante 2000
Tanto gentile e tanto onesta “pare”
La pupa mia, quand’ella altrui saluta,
Che ogni lingua divien tremando muta
E gli occhi non si sazian di guardare.
Ella sen va, sentendosi laudare,
Modernamente d’umiltà svestuta,
Come se fosse giù dal ciel venuta
Mammelle e cosce a farti rimirare.
Sotto quell’abito fatto sol di velo,
Sempre modesta, con virginal candore,
Porta uno slip che le ricopre il pelo.
Di tutto il suo, nasconde solo il cuore
Fatto di rovi, avvolto dentro il gelo,
Poi va gridando a tutti: “Voglio amore!”
Carme LXVIII Lo giuro.
Nell'aria che s'imbruna
C'è una gondola "verde"
Che scivola sull'acqua
Della verde laguna.
E' come un quadrifoglio,
Raro nel verde prato,
Ma non porta fortuna:
E' solo una stranezza,
Una testa di legno
Assurda, inopportuna
Che nera tornerà
Come l'altre, di notte,
Contro la gialla luna.
Carme LXIX In morte di mia sorella Bruna.
Il ghigno cupo vedo del tuo male,
La faccia gonfia per il cortisone,
I guasti della chemioterapia.
Ecco del tempo la maledizione
Che ti sfigura.
S’apre la bocca bianca senza fiato,
Scuote l’affanno il petto che non posa,
L’angoscia vela gli occhi dilatati.
Piccola cosa siam, misera cosa
Sorella mia.
Poi nella pace si distende il viso
E nel riposo già s'adagia il seno
E le labbra si chiudono composte:
Finito della morte è 'l rito osceno,
Ti chiudo gli occhi.
In un vecchio ritratto ti ricordo:
La chioma nera che t’adorna il volto,
L’occhio vivace, fiera l’espressione;
Ed il respiro tuo quasi l’ascolto
Uscir dal labbro.
Ora sei là, dentro la bara chiusa
Dove giaci composta nel riposo
Ove non odi, triste, la preghiera
Né ti conforta il pianto mio copioso
“Vale.” Sorella
Carme LXX Al laghetto di S. Vito di Cadore.
Chiara pozza di cielo e di smeraldo,
avvolto in un tappeto
di larici e di pini,
ove il Sorapis rosso si rimira
con le leziose guglie:
umide gocce di pesante arena
cadute dal secchiello d’un bambino.
E variegato dalla casta neve,
specchiandosi sereno,
maestoso l’Antelao spezza le nubi
in frammenti d’argento iridescente.
Ma sta mutando il tempo,
s’increspa l’acqua con le prime gocce,
come nel bianco velo d’una sposa
ogni cosa s’avvolge e si nasconde.
Bel tenebroso il Pelmo,
padrone della pioggia,
va tingendo di viola la tempesta
mentre rugge rabbioso il Boite a valle.
E dopo, quand’il cielo
torna sereno col venir del buio,
nel silenzio lo senti
correr tra i sassi, or impetuoso or lento,
come la vita tua
sin’al venir del gelo.
Carme LXXI
Quando traspari, tremula sull’acqua,
Dietro una nebbia diafana e sottile,
Ti porgi all’occhio mio com’un ventaglio
In un morbido pizzo di Burano.
Vedo San Giorgio, vedo le Zitelle,
Il Redentore, rigido rinascimento,
Lezioso per gli arditi minareti
E la Salute, eretta sulla poppa,
Sembra venirmi incontro
Fendendo l’acque della tua laguna.
Sulla destra la chiesa di Vivaldi
E di colonne e di finestre ornato
Il palazzo ducal ricco di fregi.
La Cattedrale e le Procuratie
Racchiudono un salotto: la tua piazza.
Ed al suonar dell’ore, il campanile
Un volo grigio di piccioni innalza
Che ti nasconde il sole e il cielo incanta.
Apollo padre della fresca aurora
Che porti il dì con l’infuocato carro
Sulla laguna ferma i tuoi destrieri:
Mille cose vedrai forse più grandi
Mai nessuna più bella di Venezia.
Carme LXXII a Silvana
Il dolce tuo sorriso
Si muta in ogni istante:
E’ l’acquerello verde
Dei prati in primavera,
E’ l’ombra che ristora
Chi va mietendo il grano,
Il rosso delle foglie
Che infuocano l’autunno,
Il brivido d’un lago
Blu nella casta neve;
Arsura ogni momento
E fresca sazietà.
2001
Carme LXXIV Orgoglio.
Ho scelto l’albero
Scartato da voi.
L’ho messo a dimora
Nel verde mio prato:
Un piccolo prato
Ch’è quasi un’aiuola.
Ed ora è cresciuto
Contorto e bizzoso,
Ma pieno d’orgoglio:
E’ forte e cocciuto!
Adorno di gemme,
Di vividi fiori
Che sbocciano al sole,
In mille colori.
Nel caldo d’estate,
Con l’ombra serena
Di tinte melate
Ti porta frescura.
Nel placido inverno
Le fredde giornate
Lo copron di neve,
Perché si prepari
A l’anno che viene.
E vedo quei lecci:
Son alberi immensi,
E formano boschi
Uguali e melensi,
D’un verde che serve
Per ogni stagione:
E sento pietà
Per quei monumenti
D’opaca realtà.
Carme LXXV A Giulietta.
Una tortora
Sopra un ramo di pino
Del mio giardino.
Carme LXXVI
Il verbo è come un fiume,
l’amore in Dio
forma una sponda,
l’amor per l’uomo l’altra:
limiti fermi;
portano l’acque
sino al venir del mare.
Carme LXXVII
Dentro il piccolo schermo ognor ti vedo
con le tua faccia.
Muta di volta in volta,
ma sempr’eguale resta,
che tu sia maschio o femmina che importa,
sua l’ignoranza, sua la presunzione,
forte di vari, cronici sfondoni.
Lei vaga propalando
vacue banalità
e la prosopopea gonfia le guance.
Mentre ti pavoneggi
Con quel tuo viso tondo e ’l collo corto,
circondato dal gruppo dei serventi,
t’applaudono gli sciocchi;
invitati da te, ti fanno coro
sotto comando.
Or da quegl’occhi tuoi così severi,
oltre le lenti bianche,
guizzano i cupi lampi del veleno
che spargono letame,
sempre godendo dell’immunità.
Or dalla bocca tua
ricca di vecchio, malmaturo inganno,
esce tra la dentiera
trita e ritrita la demagogia,
urlata all’infinito.
Or dai capelli, canapa sdrucita,
sforando tra due turgidi labbroni,
sopra le poppe tue fatte a melone,
scoron osceni
e torbidi pensieri.
Ora coi soldi dell’abbonamento,
allievo d’uno stato biscazziere,
con un sorriso insulso vai premiando
il tristo concorrente
che non conosce Omero,
ma tutto sa
del gran Pinco Pallino.
Signori miei è tempo di morale:
stupide son l’idee
misere le parole?
Suvvia, spegnete la televisione,
bevete un buon bicchiere con gli amici
o andate a letto:
nel morbido giacilio
sonno ristorator porta la notte.
Carme LXXVIII A Silvana
Sei la mia luna
E quando brilli tu
Sorride il cielo.
CARMI IV - 20O2/2003/2004/2005
2002
Carme LXXIX
Mia povera puttana da due soldi
che batti il marciapiede
giù per la provinciale;
chi sei giovane donna?
Da dove sei venuta?
Che pena e che dolcezza
mi susciti nel cuore.
Brucia la testa il sole dell’estate
in un caldo meriggio
per una triste attesa;
e la limpida sera delle stelle,
nel fango avvolge il tuo dolente cuore,
mentre l’inverno ti ferisce gli occhi
e t’arrossa le mani,
Che pena e che dolcezza
Mia povera puttana!
Quando vitrei si serran gli occhi stanchi,
mentre tu fingi i versi dell’orgasmo
e ti vai agitando
in una falsa frenesia d’amore
doni tanto piacere,
solo dolore prendi,
mia povera puttana da due soldi.
Invece l’altra compare sullo schermo,
d’oro coperta e di costose gioie,
non l’arrossa il pudore
mentre si vanta di servili amori;
non per fame s’è data.
ma solo per carriera
in un’insana sete di denaro.
E melenso l’elogia il suo giullare
e l’esaltano tutti
e battono le mani,
la chiamano divina.
Tu mi sovvieni allora:
che pena e che dolcezza
mi susciti nel cuore
mia povera puttana da due soldi
che batti il marciapiede per mangiare!
Carme LXXX A Nannarella ne “Il soldato innamorato.”
Bella t’ho vista,
ed era un film di guerra.
Sul palco tu salivi:
davanti a te
vedevi, attenti, tutti quei soldati
E tanti eran feriti
E tanti t’ascoltavano soltanto
perch’eran cechi,
ma che felicità sui loro volti.
E, mentre dalle labbra usciva il canto:
il volto tuo mutava lentamente,
da sereno qual’era,
allo sgomento,
sino a tal punto c’hio vedea soltanto
umidi gli occhi e splendidi i capelli.
Carme LXXXI Poesia contemporanea.
La mia torcia elettrica
s’è scaricata e non funziona più,
per piacere porta una pila nuova;
voglio vedermi dentro,
nell’interno del cuore mio pazzoide,
il mio amore per te?
Sotto i miei piedi l’infinita terra.
Del telefono portami l’elenco;
vorrei guardare solo
il nome degli amanti
che rallegrano sempre la mia vita,
per vedere se tu ci sei ancora
tra tanti cavolfiori.
Sotto i miei piedi l’infinito mare.
L’oroscopo consulto,
perché vorrei sapere
se i nostri segni sono in congiunzione,
così potremmo unirci
nell’amplesso virtuale,
con internet, per giungere all’orgasmo.
Sotto i miei piedi l’infinito cielo.
Oh divina, sublime
ispirazione di poesia discaunt
va, trova un musicante
al vertice dei gridi giovanili
che ti musichi bella,
anche (ahimè!) se la metrica v’entrò.
Sotto i miei piedi l’infinito tutto.
Carme LXXXII Mas me(i)dia
Se nell’antica Londra (che casino)
L’inglese pronunciavano in latino,
Uomini colti che ignorano il futuro
Pei quali congiuntivo è un male oscuro,
Per rimediar, nel nostro bel päese
Il latino pronunciano in inglese.
Se in un negozio van concupiscenti
Per comperare un paio d’indumenti
Siano le scarpe, siano i pantaloni,
Non contenti di simili sfondoni
La Nike alata, o nobile sagacia
Trasforman nella Naic di Samotracia;
Carme LXXXIII
Scrigno di splendide gioie,
Avvolta in marmi pregiati,
Delle tue chiese, Venezia,
E’ la più casta e pudica:
Maria Santa del Miracolo,
Palcoscenico di Dio..
Carme LXXXIV A Silvana..
Ricordi il caldo di quel giorno estivo!
Noi due sereni, sedevamo insieme
Sull’erba fresca, ai pié del monte Penna,
Là dove acuta s’inerpica la roccia,
Mentre il sole, giocando a luci ed ombre,
Alle cose donava lo spessore.
Il cocker di colore formentino
Scoperto aveva il giuoco della palla
E le ringhiava contro, ed abbaiava
Spingendola col muso e con le zampe;
Mentre la lunga lingua a penzoloni
S’agitava per ricercare il fresco.
E insieme a lui giocavano i bambini
Correndo lieti sopra il prato verde
Col visetto arrossato dal calore.
E scoppiettava il fuoco della legna.
Mentre, posate su lastre di lavagna
del bue cuocevan le rosate carni,
Atte ad ornar i tavoli di legno.
Poi pranzavamo allegri e spensierati
Con altri amici e col bicchiere in mano,
All’ombra fresa d’un maestoso pino,
Quas’irridendo al tempo che passava,
Gettando al cane succulenti avanzi.
Vi sarà ancora quella vecchia palla
In un vecchio solaio polveroso?
E’ morto quel grazioso cockerino,
Son diventati adulti i due bambini;
Ma noi siamo rimasti su quel prato,
nell’erba fresca ai pié del monte Penna,
Là dove acuta s’inerpica la roccia,
Sempre fermi, con lei, nel nostr’amore.
2003
Carme LXXXV A Silvana
Com’é dolce la sera
Dormire insieme a te,
E chiudere quel giorno
Con un tuo bacio lieve.
Svegliarmi nella notte,
Sentire la tua mano,
Così vicina e calda.
Destarmi la mattina
E porgere la guancia
A un assonnato bacio
Per dire con dolcezza,
“Buon giorno amore mio”.
Allora ti ringrazio
Lettone genovese
Di ferro ricciolino
Che sai render felice
Un bianco vecchierello
Ancora innamorato
De la sua dolce amante.
Carme LXXXVI
Se potessi sedermi
Cavalcando la luna
Sopra l’ultimo quarto,
Avere un cannocchiale
Lungo com’un pilone
Dell’alta tensione,
Ma che divertimento!
Mie piccole formiche,
Vedervi di nascosto
Urtarvi assatanate,
Astute nel rubare,
E pronte a bestemmiare;
Attente ogni momento,
Ad ingannar l’amico,
Il falso a spergiurare
Ed a tradir la moglie,
Feroci, a violentare
Bambini fiduciosi,
Uccidere la madre
Il padre che v’adora.
D’ognuno, miei buffoni,
Tremanti e bianchi in volto,
Potrei veder la morte,
Che ferma lì davanti,
Orribile v’aspetta:
Un ladro nella notte.
Allora riderei!
“Guardate, vi direi,
Oh stupide formiche,
La saggia tartaruga
Che vive di lattuga
Di rosso pomodoro
E s’avanza serena
Muovendo il suo capino
Mentre si guard’attorno,
Senza voler strafare,
Prende quel che le basta
Per bere e per mangiare;
E vive più di voi.”
Carme LXXXVII
Uccisa dalla gretta
stupidità dell’uomo,
alla vita risorge la Fenice.
Signore ti ringrazio!
Limpidi suoni melodia di canti
e morbidi colori,
cacciano l’ombre d’orridi fantasmi.
Rotta l’oscura notte,
come Lazzaro uscita dalla tomba
tolte le bende grigie
porge ancora le maschere e le voci.
Votata a nuova gloria,
libera vola verso l’infinito
sopra l’acque cangianti.
Carme LXXXVIII a Silvana
Ricordi quel sentiero di montagna
Che s’inerpica in mezzo ai pini verdi
Accompagnato da minute rocce,
Pietre miliari d’un’antica strada?
Poi vi s’apre la piana di Fuchiade
Ricca d’erbe e di fiori variopinti,
Ornata d’orgogliosi martagoni
Torniti nel colore ros’arancio.
Ricordi quella nuvoletta nera
Che sembrava giocare tra le rocce,
Quella piccola macchia contro il cielo?
E dopo s’allargava all’improvviso
Affamata d’azzurro luminoso,
Desiderosa di mangiarlo tutto.
E di tempesta s’imbruniva l’aria
Già folgorata da bagliori vivi;
Il tuono percorreva le vallate
Mentre gli aghi di grandine, cadendo,
Penetravano, acuti, nei maglioni.
Poi d’improvviso tutto si taceva
E tornava a risplendere l’occaso
Come se Giove, già rasserenato,
Dopo riposti i fulmini infuocati,
Ci guardasse benigno e compiacente.
Tutto sembrava risvegliarsi allora:
Cantavano gli uccelli nella luce
Mentr’i cani spaurititi, tra le panche,
Uscivano leccandoti la mano.
E gli insetti fecondi e laboriosi
Propagavan la vita d’ogni fiore;
S’intrecciavano i giuochi dei bambini,
Mentre noi guardavamo, stupefatti,
L’improvviso tornare del sereno
E’l nuovo rifiorire della vita.
Carme LXXXIX a Silvana.
Tu, giovane e bella,
sembravi la vita
che limpida scorre:
giocoso zampillo
di fresca fontana.
Carme XC Alla luna.
Col caldo soffocante dell’estate,
Aperta una finestra nella sera,
Per dare un po’ di vita al mio respiro,
Mi sdraiavo sereno sopra il letto.
Flessuosa dietro una finestra aperta
Illuminata dalla fioca luce,
Una fanciulla si spogliava lenta,
Certo sicura d’essere ammirata.
E, sotto il giallo opaco dei lampioni,
Sentivo il chiacchiericcio delle donne
Che col venir della notturna brezza
Si scambiavano l’ultime parole
Seguite solo dal cantar dei grilli.
Nel cielo luminoso della notte
Vedevo il volto giallo della luna,
Quel volto bello, misterioso e strano
Che mi faceva correre la mente
Ad Astolfo col suo cavallo alato,
All’arco teso della diva Diana,
Ai segni un po’ bizzarri dei crateri,
All’altra faccia ancora sconosciuta.
E poi m’accompagnava ai miei pensieri,
All’antica domanda dei perché,
Ai voli strani della fantasia,
Ai sogn’immaginari del domani.
Dopo, tutto s’andava confondendo
(Come, nell’illusione, fan le carte
Tra le mani d’un buon prestigiatore)
E si chiudean le palpebre nel sonno.
Povera luna senza più poesia,
Adesso vero “padellon del cielo”
Cacciata crudamente fuor dal mito,
Spogliata dei suoi veli misteriosi,
Vestita d’una tuta a stelle e strisce.
Che dirai mai, al buon pastore errante
Ed agli innamorati solitari?
Sdraiato, dal mio morbido giaciglio,
Fuori della finestra spalancata,
Non vedo più quella fanciulla nuda,
Non sento delle donne il chiacchiericcio
Né ’l cantare dei grilli nella notte
E mi par triste, luna, il tuo bel cielo
Con le stelle che piangono per te.
Ora mi pesa il buio della stanza;
All’affollarsi crudo dei pensieri,
Tarda a venir, ristoratore, il sonno.
Carme XCI Sabato addio.
La donzelletta non ritorna più
Dalla campagna col suo fascio d’erba
E con un mazzolin di rose e viole,
Perché la notte stessa ha la sua festa.
Più non s’accende l’occhio del ragazzo
Davanti alla guizzante motoretta,
Né quello del bambino innanz’il giuoco;
Nel giardino del re non nasce più
L’erba voglio uccisa dall’asfalto.
Se ’l regalo precede il desiderio,
Quand’ogni cosa nuova nasce vecchia,
Muore cupa la gioia dell’attesa.
Degli adulti crudeli e incoscienti
La vigilia v’han tolto, amici miei,
Di tutti sette il più gradito giorno.
Ora resta soltanto il dì di festa
Che scorre sempre via veloce e vuoto.
Non perdete più tempo nella noia,
Tornate ai vecchi giorni dell’attesa
Privi di stress, ma pieni d’allegria,
Quando il sabato sempre si riempiva
Di bei sorrisi e di giocondi canti,
Fatti di donzellette e rose e viole
E dall’attesa di campane a festa.
2004
Carme XCII Un haiku per Antonella Clerici
Quando sorridi
Fuggon l’ombre dal cuore
Di chi ti guarda.
Carme XCIII
Il dì che morirò
vedrò venir verso di me le muse
che scendono dal loro monte sacro.
Tersicore sull’erba rugiadosa
intreccerà la danza,
suonerà ’l flauto Euterpe
ed Erato söave canterà:
“Non essere mai triste,
non preoccuparti più di quegli stolti
i quali credon l’arte un sciarada
per una conventicola di sciocchi.
Dall’alto d’Elicona li vedrai
e rideremo insieme.
Un giorno tornerà
l’amore per il gusto e per il bello:
ti riconosceranno
e scalderai degli uomini la mente,
i cuori avvinti degli innamorati;
coi sentimenti tuoi
godranno tutti delle tue parole
Carme XCIV
Uomini vili e pacifisti, in piedi,
Passa la bara dell’eroe Quatrocchi:
E’ morto con un grido di vittoria
Carme XCV
Spesso con dolce nostalgia ricordo
i movimenti lenti
che segnavano i tempi
della mia giovinezza:
il muovere sapiente della gamba
del barbuto arrotino chiacchierone,
il volare leggero
della falce silente
nella mano callosa del villano,
la martellata secca del bottaio
per fermare le doghe con il ferro,
lo scorrere del mosto
nel fumo greve della pigiatura,
il bel cavallo bianco che trottava
nel caldo dell’asfalto
e fermava alla solita osteria.
Con nostalgia ricordo
le tenere fanciulle prosperose
cui si scoprivano le cosce bianche
al lento pedalare,
il lieve cicaleccio
delle vecchie comari chiacchierone
perdersi nel pallore delle lucciole,
il giuoco delle carte
al tepore invernale della stalla,
la figura d’un bimbo sulla pianta
coglier l’aspro sapor dell’amarena,
il mio dolce chinarmi
al bere fresco della fontanella.
E, con rimpianto e nostalgia, ricordo
la lunga fila nera
che, lentamente, accompagnava i morti
all’ultimo riposo, in mezzo al verde,
mentre noi tutti si credeva in Dio.
Ero giovane allora
e sentivo la vita
che batteva nei polsi
come un frizzante vino di campagna.
Ora mi guardo, nell’età matura,
con intorno una folla
che si muove impazzita,
pigiata sopra i mezzi di trasporto,
urtata dagli zaini della scuola;
e guardo la mefitic’atmosfera
resa più cupa dalle ciminiere,
dal veleno di macchine veloci;
leggo negli occhi l’ansia dello scippo
ed il folle terror della rapina,
e la disperazione
dei padri licenziati
nel vigore fiorente della vita.
E gli occhi vedo, torbidi di droga
nei giovani caduti sulle strade
al ritornar dal ballo,
degli umili la fame,
lo sterminio dei poveri nel mondo.
Così, superbi uomini moderni
(eredi di due secoli maligni)
nella nostra morente civiltà,
alziamo altari al sesso ed al denaro;
cercando di nasconderci la fine:
un funerale rapido e furtivo
dentro un furgone nero
con quattro gatti, senza le campane,
e privo di ricordo e di speranza.
Carme XCVI
Odio il tristo filare dell’urina:
Parla d’esami di laboratorio
E ricorda la prostata assassina
Che sa di medicina e d’obitorio;
Amo il piscio che ti rigonfia il pene,
Zampilla vivo, pare una sorgente,
E, sbarazzino, come si conviene,
Insegue una formica briosamente.
L’urina si nasconde nel pitale,
Dentro l’antica comoda di legno,
Il piscio esplode come il carnevale
Pieno di forza e di virile impegno.
Carme XCVII Misurina luglio 2004.
Dentro il lago si specchiano severe
Sorapis, Antelao e Marmarole;
E neve e roccia, che tu puoi vedere
Illuminate, brillano nel sole.
Non si saziano gli occhi di godere
Mentre gelano in bocca le parole
E innanzi a tal preziosa castità
Tu credi in Dio, speranza o verità.
Carme XCVIII Sant’Anna di Stazzema
Uscite da un padule che ristagna,
Ornate con la svastica d’orrore,
Salivano le blatte alla collina
Verso la strage, verso il disonore:
Ché di quei morti, là resta la voce
E l’umana pietà resta, e la croce.
2005
Carme XCIX
Luceva un tempo
L’altra metà del cielo
Torbida adesso.
Carme C
Da gran’amor sei preso.
Pensi che il matrimonio
ti debba continuare
tutta l’eternità.
Ma questo grand’amore,
per quanto durar possa,
ti parrà molto breve:
e appena un soffio dopo
quel giorno tuo felice,
la morte arriverà
a sparigliar le carte.
Carme CI 1945.
“Nunc est bibendum,
Libero pede nuc, pulsanda tellus”.
Finite l’urla e i pianti e le violenze,
finito il sangue sulle bianche strade,
sui verdi campi e sulle riarse zolle
è tornato il sereno.
Sorridono gli occhi alle fanciulle
col prospettarsi di novelli amori
e giocano i fanciulli nelle strade:
odi le loro grida
cessato ormai il fragore degli spari.
Una donna s’affaccia sulla porta,
tranquilla, ad osservare,
allattando il bambino.
E’ finita la guerra
ed all’ansiose madri
fremon di gioia i cuori nell’attesa
del suo ritorno,
ma per quante sarà fremito vano,
e quanti, con le lacrime negli occhi,
.chi non ritornerà ricorderano.
Ma noi, lucidi gli occhi dalla gioia,
siamo felici
E’ finita la guerra.
S’apron le mani e cadono le bocce
col pallino in attesa
sul morgido terreno,
si strngono le stecce tra le dita
alzandosi stupite dal bigliardo
E sul tappeto restano le carte
del vecchio giocatore all’osteria:
“Corri in cantina ostessa
e stappa del migliore;
colma il bicchier di nettare rubino.
“Or’è tempo di bere
Ora, con piede sciolto,
Di battere la terra.”
Carme CII a Silvana
Dopo tant’anni
Sono rimasti freschi
I sentimenti.
Carme CIII
Puttane nude
che non lasciate spazio
a fantasie.
Carme CIV
(dall’isola dei morti a Venezia.)
Dal verde sacro, dalle grigie tombe
torno all’imbarcadero.
Guardo. Davanti quell’antica chiesa,
sul fondo blu del cielo,
si staglian le montagne
disegnate con la matita bianca.
L’aria dell’atmosfera,
tersa come la fede,
limpida come l’occhio d’un bambino,
sembra che te le ponga
sul palmo della mano.
Tu fermale pittore sulla tela,
e conservale per l’eternità.
Carme CV A mé
Arida mente,
Arida fantasia
Addio poesia.
Ogni riferimento a persone non nominate è puramente casuale e non voluto.
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