carmi ii - 1994/1995/1996/1997
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carmi ii - 1994/1995/1996/1997
CARMI II - 1994/1995/1996/1997 da "VIAGGIO IN PARADISO" di Mark Twain. "Effetto della giustizia divina. In terra non hanno avuto una ricompensa adeguata ai loro meriti, ma qui occupano la posizione che loro compete. Billings, il sarto del Tenessee, scrisse poesie che Omero e Shakespeare non avrebbero potuto nemmeno lontanamente eguagliare, ma nessuno volle pubblicarle, nessuno le lesse salvo i suoi vicini di casa , gente ignorante che ne rise........... Carme XXX - A Silvana. Non t'aspettar da me dei canti eletti Di Romeo sugli amori e di Giulietta, Di Giuda o di Medea sugli atti abietti, D'Edipo sulla storia maledetta, Ma solo versi docili e corretti Dalla cadenza armonica e perfetta Che dolcemente cullan gl'intelletti Con la semplicità dell'operetta. Son cose fresche, come a primavera Zeffiro fa, accarezzando e via, Per volar verso l'ombre della sera. Sarà così, tutta la mia poesia, Perché ti giunga soffice e leggera Con un pizzico di malinconia. 1994 Carme XXXI Tu ti ricordi, mamma? Io ti sedevo accanto il dì che m'ha sfiorato, cogliendoti, la morte. Discesa or è la notte: mai più non sentirò il canto del tuo cuore. Carme XXXII - Aborto. Nella canea del più profondo inferno il grido senti, odiato, del bambino non nato che dalla nebbia vien del limbo eterno. Carme XXXIII - In morte di un cagnetto bianco. Stendo la mano lenta e t'accarezzo: un accenno d'addio. E mi guardi negli occhi, sei pieno di speranza; tu pensi ch’io sia Dio povero, piccolo cagnetto bianco! Al fischio acuto d'un treno lontano innalzi le orecchie senza interesse, in un moto riflesso; negli occhi mesti la disperazione, con le pupille scure ora più larghe, come supplicanti, e t'affanna la tosse, ed il respiro è stanco; tu pensi ch’io sia Dio povero, piccolo cagnetto bianco! Ti ho dato il cibo e l'acqua, piacevoli carezze, ed amori fugaci; io t'ho sempre curato, sempre aiutato, ed ora, con il cuore traboccante d'amore, nel momento supremo, guardi fidente ancora, ma io, non sono Dio; mio dolce piccolo cagnetto bianco, addio. Carme XXXIV (Zingaresca: antica forma poetica.) A Sua Santità Giovanni Paolo II° per un comune amore verso la madre celeste. Ave Maria, di grazia piena, chiara e serena, il Signore è sempre con te e fosti tu a dar Gesù consolatore al peccatore. Tu tra le donne, beata e insonne, coi motti tuoi preghi per noi; per la mia sorte sino alla morte. Carme XXXV (A Luigi.) Reggio Emilia, nel dì trentuno Maggio. Caro amico, continua nel tuo stile Che ti spinge, tapino, a lavorare. E' Giugno, vado a Roma, t'abbandono. La città che cantarono i poeti: Eterna, Dea, del mondo capitale Che il sole ognor si ferma ad ammirare, Delle bellezze sue vuol farmi dono. Quando la plebe in Luglio corre al mare Lascerò il caldo per le Dolomiti; Là dove ghiacci eterni e freschi rivi, Rocce rosate e laghi smeraldini S'adornano di larici e di pini. Piacevole è l'Agosto a Borgotaro, In quella verde valle deliziosa Che bontà sua cantò pure 'l Petrarca, Per fare del caffè la vita oziosa. Chiamato, infin, dal cinema, a Settembre, Al Lido correrò coi giornalisti Che scriveran di scandali e di divi, Di trame, di finocchi e di puttane Con poche miserabili parole Castrate di futuri e congiuntivi. Ottobre è triste, cadono le foglie Nel misterioso umore delle nebbie Venute il bianco inverno a preparare. Per riposar dagli strapazzi fatti Alla magione tornerò di certo. Buona fortuna e buon sudore, Alberto. 1995 Carme XXXVI: Mosaico.. *Voglio Venezia che tu donna sia Per poter farti carnalmente mia. *Vorrei Venezia, splendida città, Per poter farti carnalmente mia. Che tu fossi una donna; e voluttà E gioia aver con te. Forse é pazzia. *Vorrei Venezia, splendida città, Per poter farti carnalmente mia Che tu fossi una donna; e voluttà E gioia aver con te. Forse è pazzia; Ma se m'aggiro di trifora in merletto, Perché scoloro come un giovanetto? *Vorrei Venezia, splendida città, Per poter farti carnalmente mia Che tu fossi una donna; e voluttà E gioia aver con te, con bramosia Frugare ogni tua magica realtà, Ogni mistero tuo. Forse è pazzia; Ma se m'aggiro di trifora in merletto, Perché scoloro come un giovanetto? Carme XXXVII Salivo la collina che l’eterno m’esclude dalla vista or camminando lento, ora quasi correndo, senza voltarmi mai, come se avessi l’ansia d’arrivare. Già son molli le gambe e sono rotti i piedi, ma la cima mi sfugge; ad ogni passo sembra che s’innalzi, e va finendo il tempo. Allor mi fermo, stanco, mi riposo ed il cammino fatto mi volgo per guardare; non vedo volti, dietro a me, ma cippi, messi là per segnare l’ossa caste dei morti. Croci di legno son, di ferro e pietra; davanti a loro ho sempre camminato, per tutta la mia vita. ed in ogni momento, in ogni istante, senza che m’accorgessi, la fila s’allungava. Poi la notte m’assale, lumionosa per una luna gialla, pare lucida e sciocca, come stampata in una cartolina. Allora ancora m’alzo, m’avanzo stanco e vecchio, lasciando dietro que’ miseri segni e devo proseguire alla ventura con passo lento e molle e faticoso fiato. per un aspro sentier di sassi e zolle. Capisco ch’è la fine, quando una nera nube tutto m'oscura intorno: allora in pochi istanti, mi restano soltanto i fochi fatui: come piccole lucciole vaganti, ad uno ad uno tristi se ne vanno, Se tutte queste tremule lucine potessi mai riunire: oh che chiarore, infine! Potrei veder quanto mi resta ancora. Ma quella cima mai la toccherò? Saprò mai dell’eterno, sin’al cadere dell’ultimo mio passo? Carme XXXVIII Volteggiava la neve e danzava gentile come una ballerina, scendendo lieve con seduzione, contro la luce rosa d'un vecchio, brunito lampione. Si posava leggera sopra l'asfalto grigio, sopra la terra nera, sì che ovattava a festa, come una bomboniera, l'ultimo dì dell'anno. E nel silenzio ci conduceva al ballo con quella candida poesia, nella malia dei vivi lampadari di cristallo, del valzer lento, delle fanciulle che aprivano la danza in abiti d'organza. Ed al ritorno, ancora, quasi adornando un presepe vivente, tu la vedevi scendere silente: ti menava desioso all’oblio del riposo. Ora non scende più la neve sulla mia terra in quest'inverno grigio; invano prego che ritorni ancora lei, così bianca e pura, come in quei dì lontani quando, mistero arcano, sotto le belle forme incerte e vane, facea nascere il pane. Carme XXXIX A Silvana. Se fossi nato in un diverso tempo Senza saperlo, oh solo amore mio, Come t'avrei cercata inutilmente! Con Alessandro nelle donne indiane Così sensuali e piene di mistero, O con Cesare, tra valchirie bionde, Nelle nebbiose selve dei Germani; Con Marco Polo, nell'antica Cina, tra le donnine sue di porcellana, O con Colombo, verso un mondo nuovo, L'orme seguendo del divino Ulisse. E’ forse questa l’ansia che sospinge Uomini seri, uomini sapienti Le fonti a ricercar del Nilo azzurro, La bianca vetta del Kilimangiaro, Senza riuscire a darsene un perché? Ecco un vero Miracolo di Dio: Trovarsi insieme nello stesso luogo, In un attimo dell'eternità. Carme XL. A Silvana. Ti ricordi la gioia di quei giorni a Venezia in quell'eterno camminare senza una meta, in quell'andare, l'un dietro l'altra, per le sue fresche calli uscendo uniti nel sole dei campi stupiti dai limpidi bagliori dei marmi, dei mosaici, degli ori? Ti ricordi la gioia del mutar dei colori dell'acqua al cangiar del tuo viso, del tuo sorriso che lentamente andava spegnendosi stanco, nella notte rosata dagli antichi lampioni, in una romantica, calda ballata? Or nelle nebbie d’un’età grigia, avvolta nei bianchi capelli, rammenta quei giorni monelli pieni d’oblio, vuoti d’affanni; quei giorni leggeri nel sole. Carme XLI A Silvana. Noi siam due note, Do diesis re bemolle, Un solo suono. Carme XLII Il matrimonio, penso, E' solo una questione Di semplice buonsenso; Le donne ne hanno tanto Noi non n’abbiamo affatto. Morale: l'uomo è matto. Carme XLIII Icone. (Premio Firenze 1995: Segnalazione d'onore.) A Sua Eccellenza il Cardinale Giacomo Biffi augurando che possa continuare a lungo nelle sue coraggiose battaglie. a) Egli era Dio presente ed infinito Nell'eterno silenzio dello spazio Quando dal giorno separò la notte, Ponendo nel profondo e stelle e sole. Così la luce con mille colori, Mille armonie di suoni e di profumi Suscitò la gran festa della vita Che guizzò via vivificando l'onde, Volando nell'azzurro all'infinito E dando voce alla silente terra. Tra piante, fiori, frutti saporosi, Nacquero il bosco e la radura verde, Il prato solatio con l'ombra fresca, Il fuoco del vulcan ch’incendia i cieli Ed il deserto, il rivo spumeggiante Che corre come il tempo al suo destino. Indi l'acqua sfuggente e multiforme Venne a lambire la leggera arena Ed Egli le impastò, fece una statua, Un'anima v'infuse col respiro; Poi graziosa e garbata una compagna, Con grande amore, ancora gli donò. b) Eva tenendo sulle sue ginocchia, Baciati gli occhi, accarezzando il capo: "Eva - le disse - queste meraviglie Che vanno sino al giunger della luce Ed attorno rimiri all'infinito, Tutte le fece Iddio, tutte ci diede." Ed ella a lui, fissa lo sguardo agli occhi: "Amore mio di tutte queste cose Tu puoi godere, ma nessuna è tua. Le mucche tu le vedi ma non sai Se son quante le dita d'una mano, D'entrambe, oppure delle nostre insieme Quando unite s'intrecciano amorose. Vedi il lupo giocare con l'agnello, Senti la fiera che ti lecca il viso, Ma cosa muove mai le loro vite? Che cosa batte dentro il loro petto? Perché dormono e van brucando l'erbe? Ma se saprai contarle ad una ad una, Conoscere il perché di queste cose Avrai la scienza e tutte saran tue: Diverranno obbedienti al tuo comando, Il tuo potere splenderà sul mondo." c) Orgogliosa la mostra ad un'amica, Stende la mano e l'indica col dito: "Quella è Maria, mia figlia prediletta." Obbediente la bimba nella scala S'avanza, verso il sommo sacerdote; Questi l'attende sulla soglia sacra Mite nel cuore, ma severo il viso Incorniciato dalla folta barba. Ricco di marmi la sovrasta il tempio, Immenso appare agli occhi suoi, ma lei Muove sicura incontro alla sua sorte. d) Venuto il tempo e giunto alla sua casa, L'arcangelo Gabriele, mentre guarda Quegli occhi liquidi com'é la notte, Le dice "Ave Maria piena di grazia Il Signore è con te." Questo il saluto; Poi le reca la volontà di Dio: Del ventre suo santificato in Cristo E della vita sua, del suo dolore. Muta la donna, reclinato il capo, Inginocchiata come una bambina Al cospetto d'un mago misterioso Che parlando le sveli il suo destino, Trema pudica al verbo del Signore. Dice: "Sia fatta la sua volontà." Lei, tra tutte le donne benedetta, Pur subendo lo scherno dei vicini, L'invidia delle sterili comari, I primi ombrosi dubbi di Giuseppe, Come una trepida, amorosa madre Culla nel cuore la gioiosa attesa. e) Quando venne la notte misteriosa, Prese il suo bimbo e, con le mani amiche, Lo pose a riposare sulla paglia; Un asino ed un bue soli compagni. Dagli angeli avvisati nella notte, Seguiti dal belar stanco del gregge, Discesero i pastori alla capanna Per adorare, ed al celeste coro S'unirono a cantar con franca voce: "Lode al Signore nei sereni cieli, Pace in terra alle genti laboriose, Ai popoli di buona volontà." Là dove il giorno va tingendo il cielo Col velo rosa che la vaga Aurora Gli porge al primo nascere del sole, Già s'eran mossi i Magi dell'oriente. Seduti sulle selle ricche d'ori, Cavalcando magnifici destrieri Di fini briglie e di gualdrappe ornati, Seguon l'astro lucente nelle notti, Per giungere alla misera capanna Ad adorare il bimbo del presagio. f) Torbida e nera e complice, la notte Nascose i cavalieri del monarca Mentre, tra il pianto e la disperazione, Strappavano i bambini dalle madri Per soddisfar l'angoscia del tiranno. Raccolti gli innocenti entro una sala, Provvidero i soldati, ebbri di vino, A perpetrare la più cupa strage. Emblematico fu quel giorno orrendo: Mutilazioni, aborti, stupri e fame, Scandali e morte fatti sui bambini Tutti son maledetti dal Signore, Oltre il finir dei secoli in eterno! g) Il tempo in cui compiva i dodici anni, Giunti a Gerusalemme per la Pasqua, Ecco che sulla strada del ritorno S'accorsero, sgomenti, i genitori Che con loro non c'era più Gesù. Oh tre giorni d'angoscia, di tormento, Ed eterni, per la ricerca ansiosa. Era nel tempio che parlava ai saggi Muti, incantati dalle sue parole. Che gioia fu trovarlo e quale orgoglio Vederlo disputar tra quei vecchioni; Ma ancor più grande lo stupore quando, Rispondendo alle grida ed ai rimbrotti, Disse: "Perché cercarmi, non sapete? Sto curando le cose di mio Padre." Come fu muto e triste quel ritorno Mentre ognuno dei tre, dentro il suo cuore, Presagiva la fine della storia. h) Accadde che in quel dì, vicino al fiume, Giovanni, circondato dalle genti, Battezzasse con l'acqua del Giordano Che, lì, scendeva pigra alla sua foce Sbiancando in lievi spume contro i sassi; Dietro c'era, invisibile al suo fianco, L'ombra nera ed immobile d'Erode. Mentre Cristo pregava a capo chino, Lo benedì Giovanni con quell'acqua; Stupito s'aprì il cielo e la Colomba Discese su Gesù, s'udì la Voce: "E' questo il mio figliuolo prediletto, Perciò di lui mi sono compiaciuto." i) Celeste padre, Dio dell'universo, Noi canteremo sempre la tua gloria. Venga il tuo regno e la tua volontà Sia fatta così in terra come in cielo. Sotto la neve tieni caldo il grano Frutto della fatica quotidiana E del sudore della nostra fronte. Perdonaci le offese ed i peccati, Come i debiti noi rimetteremo All'orfano che chiede con la mano, Alla vedova, al padre disperato. Allontanaci dalle tentazioni, Dalle bassezze, dai pensieri turpi E quando giunge l'ora della morte, Quando si spegne l'umile candela, Vienci incontro, Signore, sulla via. l) Quante sono le belle cortigiane, Il volto dolce come una madonna, Occhi torpidi e morbida la bocca Che ancheggiano sinuose e compiacenti! Così la peccatrice s'avvicina Alla tavola ornata per la cena. La guardano con sdegno i convitati, Ma subito si piega sui ginocchi E prende l'acqua fresca e lava i piedi, E li asciuga con i capelli sciolti. E' piena di speranza e d'umiltà, Non parla, nella mente ha la preghiera. Gesù capisce e stende la sua mano: "T'ha redenta la fede, Maddalena: Io ti perdono d'aver molto amato, Vattene in pace e non peccare più." m) Mentre il povero implora con la mano Per chiedere un po' d'acqua, un po' di pane, Epulone si sazia di peccato. Sdraiato al desco con le cortigiane Ch'espongono le carni vellutate Come cibi preziosi al suo palato, Egli v'affonda ingordo ed occhi e mani. Fanno cornice a quella ricca mensa Quattro virtuosi, siedono per terra Suonando delle musiche sensuali Con preziosi strumenti a corda e a fiato. La presenza del triste mendicante Aumenta per contrasto ogni piacere. Or, nel rugghiante fuoco dell'inferno, Con gli occhi riarsi ed arida la gola, Chiede Epulone un solo sorso d'acqua, Ma nessuno l'ascolta, ché l'ingordo Ha già bevuto in vita a sazietà. n) Quando giunge vicino a quella tomba Già l'odore dolciastro della morte Aleggia sulla gente disperata. Ma la donna lo prega e tanta fede Tocca il Signore ed egli si commuove. Lazzaro, uscito dalla nera morte, Come un bimbo svegliato la mattina Sbatte le palpebre alla viva luce Che gli ferisce gli occhi all'improvviso; Barcollando, insicuro nel cammino, Lascia il sepolcro per entrar nel sole. Tra i parenti, gli amici, i famigliari C'è chi trema, chi tace ammutolito, Chi s'accascia travolto dall'orrore E chi per non veder fugge lontano. Ma il sasso è già caduto nello stagno Ed il cerchio s'allarga all'infinito: Più nulla può restar com'era prima. o) Mentre prega sul monte degli ulivi, Dormono gli altri in quella notte orrenda Che lo consegna al tragico destino. Come il fratello che il fratello uccide Corre lungi dal luogo del delitto, Giuda nel buio cerca un nascondiglio Per sfuggire allo sguardo del Creatore, Ma la voce di Dio lo segue ovunque. Veloce il cuore pulsa nelle orecchie, Affannoso diventa il suo respiro, Il rimorso s'incolla come un'ombra, Più non resiste; un albero robusto Gli porge un ramo per il suo destino. p) "Forza gli dice il re, fammi vedere Che tu sai tramutare l'acqua in vino, Volar per l'aria come un lieve uccello, Edificare templi, i vaghi amici Richiamar dalle tenebre dell'orco. Se tu non compi qui questi prodigi, Tu che d'essere dici il re dei re, Sei solo un miserabile cialtrone." Così beffardo lo deride Erode, Ma sa che non ha colpe e la sua vita Non osa consegnare al passo estremo: E' macerato dentro dal rimorso D'aver donata, su d'un piatto d'oro, La testa di Giovanni a Salomé. Neri i capelli, gli occhi del cerbiatto, Sinuoso il fianco, il petto seduttore, Nuda danzando candida e lasciva, Gli aveva soggiogato sensi e mente Strappando quell'orribile regalo. Così rimanderà Cristo a Pilato Ed egli invano Lo vorrà salvare. q) Sotto la frusta trasudava il sangue Rosso rubino su quei fianchi scarni, Sul corpo fatto a reggere la croce. Ed egli sale lungo il suo Calvario Mentre il sudore lucido e copioso Lo bagna macerando le sue carni. "Sali re dei Giudei verso la morte." Urla la gente immemore e crudele. E cade, attende aiuto e gli occhi stanchi Invocano un sollievo al suo soffrire. "Sali re dei Giudei verso la morte." Si sente solo, là su quella croce, Ed anche il dubbio turba la sua mente: "Oh Padre mio! Perché tu m'abbandoni?" Muovendo lento, l'astro della notte Oscura il sole, e tutti gli animali Zittiti dal terrore del portento Corrono a ripararsi nelle tane. Si nasconde il serpente tra 'l fogliame, Gli uccelli il capo coprono con l'ale, Trema la terra mentre Cristo muore; Degli amici lo segue il tradimento Al cantare del gallo nel mattino. r) Risorto tornerà dentro la barca Che, rossa macchia contro il cielo nero, Vaga squassata sull'ondoso lago. Si distendon placate l'acque stanche Al lento segno della man di Cristo; E l'astro bianco che risplende in cielo Lenti di fuoco va segnando intorno Che guizzano al rollio come folletti. Calan le reti dentro quell'incantato, Vibrano i pesci avvinti dalle maglie Già catturati dal divino verbo, Mentre sale sicura la sua voce: "D'anime Pietro sei mio pescatore La Chiesa erigerò sulla tua pietra." s) E' verde la collina degli ulivi Quando viene il momento del commiato, Ma s'inargenta al sole mentre Cristo Sale al cielo, sparendo tra le nubi, Per sedere alla destra di Dio Padre. Qui si compie la vita di Gesù, Qui comincia la storia della Chiesa Nell'attesa dell'ultimo Vangelo. 1996 Carme XLIV (Al Sindaco di Venezia Massimo Cacciari per una eguale simpatia verso l'Angelo Custode.) Angelo del Signore Posa benedicente La mano sul mio capo; Se l'ombra del peccato S'allunga su di me, Sorreggi il piede mio, Governa il mio cammino, Ridona la tua luce All'insicura mente. Così tu sia per sempre Custode di quell'anima Che t'ha affidato Iddio. Carme XLV Anche se è sciocca La filastrocca Come un rondò Vi conterò. Tre Porcellini Son tre bambini E le Ocarine Son tre bambine. Lupo ed Agnello, Ma che macello, Con Biancaneve Sopra la neve; E Pollicino, Gran birichino, La Sirenetta Mette in burletta, Mentre Pinocchio Gli stringe l'occhio. C'è Cenerentola Che mette in pentola Zio Paperino Con Tredicino: Ma guarda un po’ Che fricandò. Quando la bella Salta in padella, La brutta Bestia, Ma che modestia, Va dal Gran Kan Con Peter Pan. Alì Babà, Che crudeltà, La bella Alice Mette in cornice E, mentre Bambi Fa sogni strambi, Si chiudon gli occhi Ai miei marmocchi. Carme XLVI Alla Fenice. L'ala spezzata, il fantastico uccello che tu vedevi volare nel cielo tra mille suoni, tra mille colori, muto si tace, ferito, per terra. Là, prigioniere tra nere rovine, grevi penombre confondono insieme maschere e volti, cupi fantasmi di cori lontani coprono i canti. Genti cortesi che tutte le cose più belle adorate, or di lacrime è tempo; or che Venezia va sciogliendo in pianto gli occhi cerulei della sua laguna, ora straziate il cuore col suo tormento. Carme XLVII Alla morte. Già t'ho visto una volta ed eri tanto bella, imbellettata come una cortigiana che con aria sfrontata ti s'offre nuda per una serata. M'hai voluto ghermire, ma ti sono sfuggito, perché sapevo che appena raggiunta, dopo il mio primo castissimo bacio, ti saresti consunta, mutata in forma di scheletro osceno. Ora t'aspetto ancora, so che ritornerai, ma mi consolo con quel dolce inganno che dice: " Scampi un giorno scampi un anno." Carme XLVIII Per una vendita. Addio pallidi monti nella notte, rosati all'alba contro un ciel dipinto sul mare di conifere ondeggianti; addio lezioso Udai che corri a valle come la vita or saltellando tra le bianche schiume ora ringhiando come un vecchio cane. Addio mite e silente casetta di Mazzin che risuonavi di grida e di risate, di mille giuochi e pianti al lieto giungere dei miei nipoti, là dove la gran stufa e 'l chiaro legno riempivano di gioia e di tepore i nostri giorni. Ora non sei più mia non potrò più goderti; casetta di Mazzin di nuovo addio. Carme IL Davanti a Burano Poesia vincitrice del "Premio Internazionale S. Marco cita di Venezia" 1996. (Sezione: "Una poesia per Venezia"). Davanti a Burano Col sole morente T'accendi di rosso Laguna d'opale; E' solo un istante. La gondola nera, Quell'ombra cinese Che scivola lieve Sull'acqua cangiante, Ti porta la sera. Lontano Torcello, Al blu della notte, Si chiude nel mare. 1997 Carme L Addio Parigi di tutte le città la più maestosa. Io lascio le tue strade con le macchine belle che corrono ordinate come i giornali sulla rotativa, e le tue piazze enormi che il vento sembra spazzare all'infinito: palcoscenici vuoti ove poche comparse si muovono con aria un po’ spaurita. Sotto le strade i cittadini tuoi, lontani da quel sole che in venustà t'illumina e t'accende, nel scendere e salir per le tue scale, come impazziti, vivono la vita. Oh splendida città costruita soltanto per un imperatore da operetta che un geniale scenografo volle bella così, come la scena fissa d'un teatro, ma troppo fredda ahimè per essere vissuta. Carme LI Bicentenario del tricolore (”Premio Internazionale A.L.I.A.S.“1997 Melbourne. Menzione d'onore per la poesia Carme LX“bicentenario del tricolore” dalla quale sono tratti i versi della canzone "Dolce Patria" musicata dal Maestro Guido Maria Ferilli. Oh dolce patria mia che facesti delle “diverse genti” una sola città, tremò d’orrore il mondo al tuo cadere. Quella tua notte piansero i poeti e “l’anime dei grandi,” tra le colonne e gli archi dei ruderi, cupi vagando. Là nel ricordo dei perduti giorni, mesto cantava un vate l’amata patria sua “bella e perduta”, chiamando all’arme un popolo di morti. Ed a quel grido di rabbia e di dolore venne l’eroe dalla corrusca chioma, vene il sabaudo Re uniti nei colori dell’Italia ancor “schiava di Roma”. Or contro l’armi dei tiranni va “latin sangue gentile”, in aiuto del debole ed oppresso; innalza il tricolore a nuova vita e libertà rinato; te lo diedero i padri con orgoglio molle del pianto delle loro donne, molle del sangue degli eroi. E tu ricorda! Carme LII All'osteria di Bagno (premio poesia e vino citta’ di Voghera 2004 ) Fuori la neve cade, tutto raffredda e imbianca. Ma noi, sopra la panca calda dell’osteria, amici ritrovati brindiamo tutti insieme, col vino ch'é sincero e brilla nel bicchiere, al petto dell'ostessa sodo, procace invito che sborda prosperoso dall’abito sdrucito. Brindiamo alle speranze offese dalla vita, ai cieli rutilanti soltanto immaginati, al mutar dei valori sempre più incostanti, all'occasioni perse, ai non finiti amori, ai figli ben diversi che noi ci aspettavamo. E mentre mescoliamo il vino coi pensieri dentro memorie stanche, presenze di fantasmi siedono, vuote e bianche, su quelle vecchie panche e parlano con noi al ritmo degli spari: un mite cappellano, un caro amico spento, un vecchio capitano. Amici ritrovati brindiamo tutti insieme col vino ingannatore: pare un rubino vero che brilla nei bicchieri opachi di vapore, al caldo della stanza. E mentre ci consola, fuori la neve cade, tutto raffredda e imbianca. Carme LIII A Silvana. Ti ricordi, Silvana, quel primo fuggevole bacio nella strada di periferia al separarci per ritornare a casa? Quel casto bacio sulla bocca nel buio della sera, là, sotto lo spento lampione della chiesetta vicino all'ospedale? Noi eravamo in un romanzo rosa dell'ottocento, fatto d'amore che rimava con cuore, quasi ritratti in un quadro di banalità. Ma che felicità nella casta promessa mantenuta di quel continuo amore rinnovato che, nel tempo disfatto, ancora, tu mi perpetui intatto. Carme LIV "Conviviale" A Silvana. (Vincitore del prestigioso premio Giuseppe Tirinnansi - Legnano 1999) Ricordi quelle sagre di päese Che dopo una fantastica mangiata Finivan sempre con la "Zuppa Inglese"? Piena di crema casta e vellutata, (Sopra la gialla, sotto quella nera Divise da una brusca marmellata) Avvolta in una rossa bomboniera Fatta di savoiardi e di liquore, Essa t'accompagnava sino a sera. Colorata, così, come un bel fiore Si disfaceva lentamente in bocca Riempiendoti di gusto e di torpore Come la nenia d’una filastrocca. Carme LV Quel giorno morirò. Non sentirò mai più quell'aria fresca delle Dolomiti ricca di mille sensazioni estive; né, suadente ed asprigno, il profumo del mare; né gl’incerti vagiti delle nascenti, lievi primavere nelle mattine del luogo natale. Quel giorno morirò. Il dolce volto, chino su di me, d’una fresca infermiera non potrà più formare nella mente, neppure il desiderio d’un ricordo; e forse in quel momento le mani intorpidite non palperanno più l’aspra carezza del pulito lenzuolo di cotone. Il cibo sarà fiele alla mia bocca, una musica strana giungerà da lontano, fastidiosa come un ronzio di mosche, mentre il pensiero formerà una voce che l’arsa lingua modificherà. Forse mi piegherà il dolore dei muscoli contratti a maledire il giorno d'esser nato; o forse sarò cieco, simile ai mostri che popolano il mare nei più profondi abissi, nei sogni foschi delle notti cupe. Ma sia qualunque cosa, l’orribile momento non potrà cancellare nel ricordo quella mia vita, viva, insieme a te. Allora amore mio, prima d'entrar nel buio ad ascoltare l'eterno e cieco suono del silenzio, anche per un istante solamente, io vorrei risentire la tua voce Silvana mia. Carme LVI Egizia. (Liberamente ispirato ad una poesia dell'antico Egitto) Mio amato, mio dio, com'è dolce il tuffarmi innanzi a tè nell'acqua chiara; la mia bellezza, così, ti mostro sotto l'abito bagnato. Guizza tra le mie gambe un pesce rosso, un brivido m'assale, che un sigillo di fuoco m'hai impresso e mi fa male. CARMI III 1998/1999/2000/2001 1998 Carme LVII In ricordo di un vecchio socialista. Grigio era e brutto di repellente aspetto: un veneto dal vecchio spiritaccio maledetto; ed aveva la gobba a mezza schiena, segava legna e quasi per un vezzo facea la cresta sul peso e sopra il prezzo. Ma combatteva come un vecchio pazzo per il proletariato e pel progresso. urlando a squarciagola a tavola, nei bar, persino al cesso. Credeva in un Dio vago, ma laico si diceva; ora riposa in pace, mio vecchio socialista, in quel silenzio là, fuor della mischia! Carme LVIII Haiku. (Vincitore del premio Primavera Haiku 1998 Il Grillo.) La nostra vita: Ombre cinesi là, Sul muro bianco. Carme LIX A Silvana Ancora adesso, mogliettina mia, Tu sei la mia letizia, la mia vita Ed insieme la mia malinconia, Perché si scioglie il tempo tra le dita; Fugge il respiro, se ne va l’ardore, Si fissa nel pensier la dipartita. Ma dolce mi parrebbe il mio dolore Se dalla trista caligine potessi Sentir con la tua voce il tuo calore. Carme LX Bella come un'antica nave greca sopra ad un mare verde, senz'alberi né vele, pietrificata per l'eternità, con la prora che guarda verso il cielo blu nella chiara notte e le stelle che guidano il nocchiero, ergesi, là, “…..Bismantova in cacume”. Carme LXI Esco nel sole fuor della grigia nebbia tinta di luce da rosate voglie; ed una bianca luna mattutina, riflette, chiaro, il cielo d'autunno, sul fiume verde, Sto tornando al mio Borgo. Vedo, davanti, la mia vecchia vita consueta nella vecchia cittadina, in quelle vecchie strade, tra quelle vecchie case, nei volti degli amici ritrovati. Dopo, al ritorno, s'empie 'l cuore di pianto. Ogni volta così, dovunque vada, dovunque mi ritrovi, triste un dubbio m'assale: mai più non vi vedrò dolci colline, pallide nel tramonto? Mai più monti dorati che si tingon di rosa nella sera, campi di grano pronti per il pane, uve mature che scendete dai tralci rigogliosi? Mai più sole di fuoco nel tramonto della valle padana, mare bizzoso di cavalli ch’arruffano le schiume alla barriera del pallido corallo. E mai più voi opre belle dell’uomo, ornamento del mondo, forse ispirate dagli dei d’Olimpo? Età felice dei capelli bianchi resa serena dai placati sensi, dalla mente matura; s’ogni dì non vi fosse, l'ansia d’interrogarmi, di questo chieder mio senza risposta. 1999 Carme LXII a Silvana Com’è ancor dolce il tuo pudore Passato così tanto tempo: Il buio è il regno del tuo amore. Carme LXIII Dolce amante nell'acqua, dove si van formando fantastici colori della luce e della fantasia. Sull'assolata piazza suona la voce tua nella campana e si frantuma, lì, in cubetti d'argento, sull'ali dei colombi, nel piombo opaco delle tue vetrate. E rivoli di luce; vanno ad illuminare i marmi ed i mosaici delle chiese; si spargono nei cieli delle notti serene frusciando via come gondole nere sui nastri di cobalto. Nel sole dei campielli, uno strambo Arlecchino va mescolando capriole e sberleffi agl'inviti suadenti dell'amante nell'acqua. Carme LXIV In ricordo dell’allunaggio. Pallida luna Amica misteriosa: Diana violata. Carme LXV Vedo il tuo volto pallido disteso nella morte, del tuo costato tocco le ferite, una ad una le conto come fossero mie; vedo la tua corona, miserabile re dei derelitti, e le mani distese. col sangue che s’aggruma sopra i polsi. O sacra Sindone: telo della speranza! Carme LXVI Tu sorridi statuetta di montagna Avvolta, in quella notte di splendore, Dentro la casta paglia che ti dona Il tuo tepore Quando ti prendo in mano bambinello Si placano gli affanni del mio cuore E cadono sopite le tempeste Al tuo tepore Che la mia morte sia cattiva o buona Seguita dalla gioia o dal dolore Fa che mi spenga, bambinello mio, Nel tuo tepore E se destino mio sarà l’inferno Sperduto in mezzo al mondo dell’orrore Fammi sentire almeno per un giorno Quel tuo tepore. 2000 Carme LXVII Dante 2000 Tanto gentile e tanto onesta “pare” La pupa mia, quand’ella altrui saluta, Che ogni lingua divien tremando muta E gli occhi non si sazian di guardare. Ella sen va, sentendosi laudare, Modernamente d’umiltà svestuta, Come se fosse giù dal ciel venuta Mammelle e cosce a farti rimirare. Sotto quell’abito fatto sol di velo, Sempre modesta, con virginal candore, Porta uno slip che le ricopre il pelo. Di tutto il suo, nasconde solo il cuore Fatto di rovi, avvolto dentro il gelo, Poi va gridando a tutti: “Voglio amore!” Carme LXVIII Lo giuro. Nell'aria che s'imbruna C'è una gondola "verde" Che scivola sull'acqua Della verde laguna. E' come un quadrifoglio, Raro nel verde prato, Ma non porta fortuna: E' solo una stranezza, Una testa di legno Assurda, inopportuna Che nera tornerà Come l'altre, di notte, Contro la gialla luna. Carme LXIX In morte di mia sorella Bruna. Il ghigno cupo vedo del tuo male, La faccia gonfia per il cortisone, I guasti della chemioterapia. Ecco del tempo la maledizione Che ti sfigura. S’apre la bocca bianca senza fiato, Scuote l’affanno il petto che non posa, L’angoscia vela gli occhi dilatati. Piccola cosa siam, misera cosa Sorella mia. Poi nella pace si distende il viso E nel riposo già s'adagia il seno E le labbra si chiudono composte: Finito della morte è 'l rito osceno, Ti chiudo gli occhi. In un vecchio ritratto ti ricordo: La chioma nera che t’adorna il volto, L’occhio vivace, fiera l’espressione; Ed il respiro tuo quasi l’ascolto Uscir dal labbro. Ora sei là, dentro la bara chiusa Dove giaci composta nel riposo Ove non odi, triste, la preghiera Né ti conforta il pianto mio copioso “Vale.” Sorella Carme LXX Al laghetto di S. Vito di Cadore. Chiara pozza di cielo e di smeraldo, avvolto in un tappeto di larici e di pini, ove il Sorapis rosso si rimira con le leziose guglie: umide gocce di pesante arena cadute dal secchiello d’un bambino. E variegato dalla casta neve, specchiandosi sereno, maestoso l’Antelao spezza le nubi in frammenti d’argento iridescente. Ma sta mutando il tempo, s’increspa l’acqua con le prime gocce, come nel bianco velo d’una sposa ogni cosa s’avvolge e si nasconde. Bel tenebroso il Pelmo, padrone della pioggia, va tingendo di viola la tempesta mentre rugge rabbioso il Boite a valle. E dopo, quand’il cielo torna sereno col venir del buio, nel silenzio lo senti correr tra i sassi, or impetuoso or lento, come la vita tua sin’al venir del gelo. Carme LXXI Quando traspari, tremula sull’acqua, Dietro una nebbia diafana e sottile, Ti porgi all’occhio mio com’un ventaglio In un morbido pizzo di Burano. Vedo San Giorgio, vedo le Zitelle, Il Redentore, rigido rinascimento, Lezioso per gli arditi minareti E la Salute, eretta sulla poppa, Sembra venirmi incontro Fendendo l’acque della tua laguna. Sulla destra la chiesa di Vivaldi E di colonne e di finestre ornato Il palazzo ducal ricco di fregi. La Cattedrale e le Procuratie Racchiudono un salotto: la tua piazza. Ed al suonar dell’ore, il campanile Un volo grigio di piccioni innalza Che ti nasconde il sole e il cielo incanta. Apollo padre della fresca aurora Che porti il dì con l’infuocato carro Sulla laguna ferma i tuoi destrieri: Mille cose vedrai forse più grandi Mai nessuna più bella di Venezia. Carme LXXII a Silvana Il dolce tuo sorriso Si muta in ogni istante: E’ l’acquerello verde Dei prati in primavera, E’ l’ombra che ristora Chi va mietendo il grano, Il rosso delle foglie Che infuocano l’autunno, Il brivido d’un lago Blu nella casta neve; Arsura ogni momento E fresca sazietà. 2001 Carme LXXIV Orgoglio. Ho scelto l’albero Scartato da voi. L’ho messo a dimora Nel verde mio prato: Un piccolo prato Ch’è quasi un’aiuola. Ed ora è cresciuto Contorto e bizzoso, Ma pieno d’orgoglio: E’ forte e cocciuto! Adorno di gemme, Di vividi fiori Che sbocciano al sole, In mille colori. Nel caldo d’estate, Con l’ombra serena Di tinte melate Ti porta frescura. Nel placido inverno Le fredde giornate Lo copron di neve, Perché si prepari A l’anno che viene. E vedo quei lecci: Son alberi immensi, E formano boschi Uguali e melensi, D’un verde che serve Per ogni stagione: E sento pietà Per quei monumenti D’opaca realtà. Carme LXXV A Giulietta. Una tortora Sopra un ramo di pino Del mio giardino. Carme LXXVI Il verbo è come un fiume, l’amore in Dio forma una sponda, l’amor per l’uomo l’altra: limiti fermi; portano l’acque sino al venir del mare. Carme LXXVII Dentro il piccolo schermo ognor ti vedo con le tua faccia. Muta di volta in volta, ma sempr’eguale resta, che tu sia maschio o femmina che importa, sua l’ignoranza, sua la presunzione, forte di vari, cronici sfondoni. Lei vaga propalando vacue banalità e la prosopopea gonfia le guance. Mentre ti pavoneggi Con quel tuo viso tondo e ’l collo corto, circondato dal gruppo dei serventi, t’applaudono gli sciocchi; invitati da te, ti fanno coro sotto comando. Or da quegl’occhi tuoi così severi, oltre le lenti bianche, guizzano i cupi lampi del veleno che spargono letame, sempre godendo dell’immunità. Or dalla bocca tua ricca di vecchio, malmaturo inganno, esce tra la dentiera trita e ritrita la demagogia, urlata all’infinito. Or dai capelli, canapa sdrucita, sforando tra due turgidi labbroni, sopra le poppe tue fatte a melone, scoron osceni e torbidi pensieri. Ora coi soldi dell’abbonamento, allievo d’uno stato biscazziere, con un sorriso insulso vai premiando il tristo concorrente che non conosce Omero, ma tutto sa del gran Pinco Pallino. Signori miei è tempo di morale: stupide son l’idee misere le parole? Suvvia, spegnete la televisione, bevete un buon bicchiere con gli amici o andate a letto: nel morbido giacilio sonno ristorator porta la notte. Carme LXXVIII A Silvana Sei la mia luna E quando brilli tu Sorride il cielo. CARMI IV - 20O2/2003/2004/2005 2002 Carme LXXIX Mia povera puttana da due soldi che batti il marciapiede giù per la provinciale; chi sei giovane donna? Da dove sei venuta? Che pena e che dolcezza mi susciti nel cuore. Brucia la testa il sole dell’estate in un caldo meriggio per una triste attesa; e la limpida sera delle stelle, nel fango avvolge il tuo dolente cuore, mentre l’inverno ti ferisce gli occhi e t’arrossa le mani, Che pena e che dolcezza Mia povera puttana! Quando vitrei si serran gli occhi stanchi, mentre tu fingi i versi dell’orgasmo e ti vai agitando in una falsa frenesia d’amore doni tanto piacere, solo dolore prendi, mia povera puttana da due soldi. Invece l’altra compare sullo schermo, d’oro coperta e di costose gioie, non l’arrossa il pudore mentre si vanta di servili amori; non per fame s’è data. ma solo per carriera in un’insana sete di denaro. E melenso l’elogia il suo giullare e l’esaltano tutti e battono le mani, la chiamano divina. Tu mi sovvieni allora: che pena e che dolcezza mi susciti nel cuore mia povera puttana da due soldi che batti il marciapiede per mangiare! Carme LXXX A Nannarella ne “Il soldato innamorato.” Bella t’ho vista, ed era un film di guerra. Sul palco tu salivi: davanti a te vedevi, attenti, tutti quei soldati E tanti eran feriti E tanti t’ascoltavano soltanto perch’eran cechi, ma che felicità sui loro volti. E, mentre dalle labbra usciva il canto: il volto tuo mutava lentamente, da sereno qual’era, allo sgomento, sino a tal punto c’hio vedea soltanto umidi gli occhi e splendidi i capelli. Carme LXXXI Poesia contemporanea. La mia torcia elettrica s’è scaricata e non funziona più, per piacere porta una pila nuova; voglio vedermi dentro, nell’interno del cuore mio pazzoide, il mio amore per te? Sotto i miei piedi l’infinita terra. Del telefono portami l’elenco; vorrei guardare solo il nome degli amanti che rallegrano sempre la mia vita, per vedere se tu ci sei ancora tra tanti cavolfiori. Sotto i miei piedi l’infinito mare. L’oroscopo consulto, perché vorrei sapere se i nostri segni sono in congiunzione, così potremmo unirci nell’amplesso virtuale, con internet, per giungere all’orgasmo. Sotto i miei piedi l’infinito cielo. Oh divina, sublime ispirazione di poesia discaunt va, trova un musicante al vertice dei gridi giovanili che ti musichi bella, anche (ahimè!) se la metrica v’entrò. Sotto i miei piedi l’infinito tutto. Carme LXXXII Mas me(i)dia Se nell’antica Londra (che casino) L’inglese pronunciavano in latino, Uomini colti che ignorano il futuro Pei quali congiuntivo è un male oscuro, Per rimediar, nel nostro bel päese Il latino pronunciano in inglese. Se in un negozio van concupiscenti Per comperare un paio d’indumenti Siano le scarpe, siano i pantaloni, Non contenti di simili sfondoni La Nike alata, o nobile sagacia Trasforman nella Naic di Samotracia; Carme LXXXIII Scrigno di splendide gioie, Avvolta in marmi pregiati, Delle tue chiese, Venezia, E’ la più casta e pudica: Maria Santa del Miracolo, Palcoscenico di Dio.. Carme LXXXIV A Silvana.. Ricordi il caldo di quel giorno estivo! Noi due sereni, sedevamo insieme Sull’erba fresca, ai pié del monte Penna, Là dove acuta s’inerpica la roccia, Mentre il sole, giocando a luci ed ombre, Alle cose donava lo spessore. Il cocker di colore formentino Scoperto aveva il giuoco della palla E le ringhiava contro, ed abbaiava Spingendola col muso e con le zampe; Mentre la lunga lingua a penzoloni S’agitava per ricercare il fresco. E insieme a lui giocavano i bambini Correndo lieti sopra il prato verde Col visetto arrossato dal calore. E scoppiettava il fuoco della legna. Mentre, posate su lastre di lavagna del bue cuocevan le rosate carni, Atte ad ornar i tavoli di legno. Poi pranzavamo allegri e spensierati Con altri amici e col bicchiere in mano, All’ombra fresa d’un maestoso pino, Quas’irridendo al tempo che passava, Gettando al cane succulenti avanzi. Vi sarà ancora quella vecchia palla In un vecchio solaio polveroso? E’ morto quel grazioso cockerino, Son diventati adulti i due bambini; Ma noi siamo rimasti su quel prato, nell’erba fresca ai pié del monte Penna, Là dove acuta s’inerpica la roccia, Sempre fermi, con lei, nel nostr’amore. 2003 Carme LXXXV A Silvana Com’é dolce la sera Dormire insieme a te, E chiudere quel giorno Con un tuo bacio lieve. Svegliarmi nella notte, Sentire la tua mano, Così vicina e calda. Destarmi la mattina E porgere la guancia A un assonnato bacio Per dire con dolcezza, “Buon giorno amore mio”. Allora ti ringrazio Lettone genovese Di ferro ricciolino Che sai render felice Un bianco vecchierello Ancora innamorato De la sua dolce amante. Carme LXXXVI Se potessi sedermi Cavalcando la luna Sopra l’ultimo quarto, Avere un cannocchiale Lungo com’un pilone Dell’alta tensione, Ma che divertimento! Mie piccole formiche, Vedervi di nascosto Urtarvi assatanate, Astute nel rubare, E pronte a bestemmiare; Attente ogni momento, Ad ingannar l’amico, Il falso a spergiurare Ed a tradir la moglie, Feroci, a violentare Bambini fiduciosi, Uccidere la madre Il padre che v’adora. D’ognuno, miei buffoni, Tremanti e bianchi in volto, Potrei veder la morte, Che ferma lì davanti, Orribile v’aspetta: Un ladro nella notte. Allora riderei! “Guardate, vi direi, Oh stupide formiche, La saggia tartaruga Che vive di lattuga Di rosso pomodoro E s’avanza serena Muovendo il suo capino Mentre si guard’attorno, Senza voler strafare, Prende quel che le basta Per bere e per mangiare; E vive più di voi.” Carme LXXXVII Uccisa dalla gretta stupidità dell’uomo, alla vita risorge la Fenice. Signore ti ringrazio! Limpidi suoni melodia di canti e morbidi colori, cacciano l’ombre d’orridi fantasmi. Rotta l’oscura notte, come Lazzaro uscita dalla tomba tolte le bende grigie porge ancora le maschere e le voci. Votata a nuova gloria, libera vola verso l’infinito sopra l’acque cangianti. Carme LXXXVIII a Silvana Ricordi quel sentiero di montagna Che s’inerpica in mezzo ai pini verdi Accompagnato da minute rocce, Pietre miliari d’un’antica strada? Poi vi s’apre la piana di Fuchiade Ricca d’erbe e di fiori variopinti, Ornata d’orgogliosi martagoni Torniti nel colore ros’arancio. Ricordi quella nuvoletta nera Che sembrava giocare tra le rocce, Quella piccola macchia contro il cielo? E dopo s’allargava all’improvviso Affamata d’azzurro luminoso, Desiderosa di mangiarlo tutto. E di tempesta s’imbruniva l’aria Già folgorata da bagliori vivi; Il tuono percorreva le vallate Mentre gli aghi di grandine, cadendo, Penetravano, acuti, nei maglioni. Poi d’improvviso tutto si taceva E tornava a risplendere l’occaso Come se Giove, già rasserenato, Dopo riposti i fulmini infuocati, Ci guardasse benigno e compiacente. Tutto sembrava risvegliarsi allora: Cantavano gli uccelli nella luce Mentr’i cani spaurititi, tra le panche, Uscivano leccandoti la mano. E gli insetti fecondi e laboriosi Propagavan la vita d’ogni fiore; S’intrecciavano i giuochi dei bambini, Mentre noi guardavamo, stupefatti, L’improvviso tornare del sereno E’l nuovo rifiorire della vita. Carme LXXXIX a Silvana. Tu, giovane e bella, sembravi la vita che limpida scorre: giocoso zampillo di fresca fontana. Carme XC Alla luna. Col caldo soffocante dell’estate, Aperta una finestra nella sera, Per dare un po’ di vita al mio respiro, Mi sdraiavo sereno sopra il letto. Flessuosa dietro una finestra aperta Illuminata dalla fioca luce, Una fanciulla si spogliava lenta, Certo sicura d’essere ammirata. E, sotto il giallo opaco dei lampioni, Sentivo il chiacchiericcio delle donne Che col venir della notturna brezza Si scambiavano l’ultime parole Seguite solo dal cantar dei grilli. Nel cielo luminoso della notte Vedevo il volto giallo della luna, Quel volto bello, misterioso e strano Che mi faceva correre la mente Ad Astolfo col suo cavallo alato, All’arco teso della diva Diana, Ai segni un po’ bizzarri dei crateri, All’altra faccia ancora sconosciuta. E poi m’accompagnava ai miei pensieri, All’antica domanda dei perché, Ai voli strani della fantasia, Ai sogn’immaginari del domani. Dopo, tutto s’andava confondendo (Come, nell’illusione, fan le carte Tra le mani d’un buon prestigiatore) E si chiudean le palpebre nel sonno. Povera luna senza più poesia, Adesso vero “padellon del cielo” Cacciata crudamente fuor dal mito, Spogliata dei suoi veli misteriosi, Vestita d’una tuta a stelle e strisce. Che dirai mai, al buon pastore errante Ed agli innamorati solitari? Sdraiato, dal mio morbido giaciglio, Fuori della finestra spalancata, Non vedo più quella fanciulla nuda, Non sento delle donne il chiacchiericcio Né ’l cantare dei grilli nella notte E mi par triste, luna, il tuo bel cielo Con le stelle che piangono per te. Ora mi pesa il buio della stanza; All’affollarsi crudo dei pensieri, Tarda a venir, ristoratore, il sonno. Carme XCI Sabato addio. La donzelletta non ritorna più Dalla campagna col suo fascio d’erba E con un mazzolin di rose e viole, Perché la notte stessa ha la sua festa. Più non s’accende l’occhio del ragazzo Davanti alla guizzante motoretta, Né quello del bambino innanz’il giuoco; Nel giardino del re non nasce più L’erba voglio uccisa dall’asfalto. Se ’l regalo precede il desiderio, Quand’ogni cosa nuova nasce vecchia, Muore cupa la gioia dell’attesa. Degli adulti crudeli e incoscienti La vigilia v’han tolto, amici miei, Di tutti sette il più gradito giorno. Ora resta soltanto il dì di festa Che scorre sempre via veloce e vuoto. Non perdete più tempo nella noia, Tornate ai vecchi giorni dell’attesa Privi di stress, ma pieni d’allegria, Quando il sabato sempre si riempiva Di bei sorrisi e di giocondi canti, Fatti di donzellette e rose e viole E dall’attesa di campane a festa. 2004 Carme XCII Un haiku per Antonella Clerici Quando sorridi Fuggon l’ombre dal cuore Di chi ti guarda. Carme XCIII Il dì che morirò vedrò venir verso di me le muse che scendono dal loro monte sacro. Tersicore sull’erba rugiadosa intreccerà la danza, suonerà ’l flauto Euterpe ed Erato söave canterà: “Non essere mai triste, non preoccuparti più di quegli stolti i quali credon l’arte un sciarada per una conventicola di sciocchi. Dall’alto d’Elicona li vedrai e rideremo insieme. Un giorno tornerà l’amore per il gusto e per il bello: ti riconosceranno e scalderai degli uomini la mente, i cuori avvinti degli innamorati; coi sentimenti tuoi godranno tutti delle tue parole Carme XCIV Uomini vili e pacifisti, in piedi, Passa la bara dell’eroe Quatrocchi: E’ morto con un grido di vittoria Carme XCV Spesso con dolce nostalgia ricordo i movimenti lenti che segnavano i tempi della mia giovinezza: il muovere sapiente della gamba del barbuto arrotino chiacchierone, il volare leggero della falce silente nella mano callosa del villano, la martellata secca del bottaio per fermare le doghe con il ferro, lo scorrere del mosto nel fumo greve della pigiatura, il bel cavallo bianco che trottava nel caldo dell’asfalto e fermava alla solita osteria. Con nostalgia ricordo le tenere fanciulle prosperose cui si scoprivano le cosce bianche al lento pedalare, il lieve cicaleccio delle vecchie comari chiacchierone perdersi nel pallore delle lucciole, il giuoco delle carte al tepore invernale della stalla, la figura d’un bimbo sulla pianta coglier l’aspro sapor dell’amarena, il mio dolce chinarmi al bere fresco della fontanella. E, con rimpianto e nostalgia, ricordo la lunga fila nera che, lentamente, accompagnava i morti all’ultimo riposo, in mezzo al verde, mentre noi tutti si credeva in Dio. Ero giovane allora e sentivo la vita che batteva nei polsi come un frizzante vino di campagna. Ora mi guardo, nell’età matura, con intorno una folla che si muove impazzita, pigiata sopra i mezzi di trasporto, urtata dagli zaini della scuola; e guardo la mefitic’atmosfera resa più cupa dalle ciminiere, dal veleno di macchine veloci; leggo negli occhi l’ansia dello scippo ed il folle terror della rapina, e la disperazione dei padri licenziati nel vigore fiorente della vita. E gli occhi vedo, torbidi di droga nei giovani caduti sulle strade al ritornar dal ballo, degli umili la fame, lo sterminio dei poveri nel mondo. Così, superbi uomini moderni (eredi di due secoli maligni) nella nostra morente civiltà, alziamo altari al sesso ed al denaro; cercando di nasconderci la fine: un funerale rapido e furtivo dentro un furgone nero con quattro gatti, senza le campane, e privo di ricordo e di speranza. Carme XCVI Odio il tristo filare dell’urina: Parla d’esami di laboratorio E ricorda la prostata assassina Che sa di medicina e d’obitorio; Amo il piscio che ti rigonfia il pene, Zampilla vivo, pare una sorgente, E, sbarazzino, come si conviene, Insegue una formica briosamente. L’urina si nasconde nel pitale, Dentro l’antica comoda di legno, Il piscio esplode come il carnevale Pieno di forza e di virile impegno. Carme XCVII Misurina luglio 2004. Dentro il lago si specchiano severe Sorapis, Antelao e Marmarole; E neve e roccia, che tu puoi vedere Illuminate, brillano nel sole. Non si saziano gli occhi di godere Mentre gelano in bocca le parole E innanzi a tal preziosa castità Tu credi in Dio, speranza o verità. Carme XCVIII Sant’Anna di Stazzema Uscite da un padule che ristagna, Ornate con la svastica d’orrore, Salivano le blatte alla collina Verso la strage, verso il disonore: Ché di quei morti, là resta la voce E l’umana pietà resta, e la croce. 2005 Carme XCIX Luceva un tempo L’altra metà del cielo Torbida adesso. Carme C Da gran’amor sei preso. Pensi che il matrimonio ti debba continuare tutta l’eternità. Ma questo grand’amore, per quanto durar possa, ti parrà molto breve: e appena un soffio dopo quel giorno tuo felice, la morte arriverà a sparigliar le carte. Carme CI 1945. “Nunc est bibendum, Libero pede nuc, pulsanda tellus”. Finite l’urla e i pianti e le violenze, finito il sangue sulle bianche strade, sui verdi campi e sulle riarse zolle è tornato il sereno. Sorridono gli occhi alle fanciulle col prospettarsi di novelli amori e giocano i fanciulli nelle strade: odi le loro grida cessato ormai il fragore degli spari. Una donna s’affaccia sulla porta, tranquilla, ad osservare, allattando il bambino. E’ finita la guerra ed all’ansiose madri fremon di gioia i cuori nell’attesa del suo ritorno, ma per quante sarà fremito vano, e quanti, con le lacrime negli occhi, .chi non ritornerà ricorderano. Ma noi, lucidi gli occhi dalla gioia, siamo felici E’ finita la guerra. S’apron le mani e cadono le bocce col pallino in attesa sul morgido terreno, si strngono le stecce tra le dita alzandosi stupite dal bigliardo E sul tappeto restano le carte del vecchio giocatore all’osteria: “Corri in cantina ostessa e stappa del migliore; colma il bicchier di nettare rubino. “Or’è tempo di bere Ora, con piede sciolto, Di battere la terra.” Carme CII a Silvana Dopo tant’anni Sono rimasti freschi I sentimenti. Carme CIII Puttane nude che non lasciate spazio a fantasie. Carme CIV (dall’isola dei morti a Venezia.) Dal verde sacro, dalle grigie tombe torno all’imbarcadero. Guardo. Davanti quell’antica chiesa, sul fondo blu del cielo, si staglian le montagne disegnate con la matita bianca. L’aria dell’atmosfera, tersa come la fede, limpida come l’occhio d’un bambino, sembra che te le ponga sul palmo della mano. Tu fermale pittore sulla tela, e conservale per l’eternità. Carme CV A mé Arida mente, Arida fantasia Addio poesia. Ogni riferimento a persone non nominate è puramente casuale e non voluto. Torna alle Poesie