Lectio Magistralis - Prof. Galliani - Adult Learning

Transcript

Lectio Magistralis - Prof. Galliani - Adult Learning
CONVEGNO : APPRENDIMENTO IN ETA’ ADULTA E ICT -Torino 24.09.2013
APPRENDIMENTO IN ETÀ ADULTA, CONTESTI E RETI
Sintesi della Lectio Magistralis del prof. Luciano Galliani – ordinario di Pedagogia Sperimentale
all’Università di Padova e presidente della SIRD-Società Italiana di Ricerca Didattica
1. Apprendimento in età adulta tra contesti formali, non formali e informali
Al di là della contraddittoria traduzione italiana (l’apprendimento non si eroga!) delle Linee Guida
del CEDEFOP, il Glossario pubblicato dalla Comunità Europea (Terminology of education and
training policy: a multilingual glossary), dice chiaramente che l’apprendimento “ è un processo con
cui un individuo assimila informazioni, idee e valori e acquisisce conoscenza (knowledge, savoir),
conoscenza applicata (know-how, savoir-faire), abilità, attitudini e/o competenze (skills, aptitudes
and/or competences)”, che “può aver luogo in contesti formali, non formali e informali”. La ricerca
psico-pedagogica sostiene la continuità dinamica del processo di apprendimento che accompagna
l’individuo dal “context of education” (istruzione scolastica e universitaria), dove acquisisce
informazioni trasformandole in conoscenza teorica e procedurale, al “context of work and
profession” (formazione professionale e continua) dove applica conoscenze nella pratica e da essa
trae conoscenze tacite , fino al “context of life” ( contenitore educativo permanente) di tutte le
esperienze di studio e di lavoro e non solo di quelle libere e self-directed, proprie della vita
famigliare e sociale.
Non potendo aprire in questo contributo una indagine sui nodi semantici implicati nell’istruire,
nell’educare e nel formare e sul cambiamento di sovraordinazione concettuale avvenuta negli
ultimi vent’anni a favore della formazione, applicare al “contesto” (context) le tre caratteristiche di
“formale, informale, non formale” significa non solo riferirsi correttamente agli “ambienti di/per
l’apprendimento” (environments), ma soprattutto entrare scientificamente nel merito delle “qualità”
ontologiche e metodologiche dei “processi di apprendimento”, senza negare l’evidenza empirica
della possibile compresenza in ogni contesto, anche se con diverso peso, di forme distinte di
apprendimento.
Quando si usa il costrutto “ambiente di/per l’apprendimento” ci si riferisce alla configurazione
spazio-temporale di un luogo fisico o virtuale, intenzionalmente attrezzato (setting) per rispondere
ad esigenze formative, attraverso strategie pedagogiche e dispositivi didattici mirati a promuovere,
sostenere, direzionare e sviluppare processi di apprendimento. Immediatamente si è portati ad
esemplificare con un’aula scolastica o universitaria attrezzata tecnologicamente, ma quale
differenza vi è con uno spazio/laboratorio didattico di un museo/di una mostra d’arte aperto ai
visitatori o con una piattaforma e-learning LCMS (Learning Content Management System) per la
formazione interna del personale di una grande azienda? Probabilmente nessuna rispetto alla
categorizzazione di “ambiente di/per l’apprendimento”, ma sicuramente molte rispetto alla
collocazione in tre contesti distinti (formale, informale, non formale) e dunque agli scopi perseguiti
e ai metodi utilizzati.
1
A configurare un “ambiente tecnologico di apprendimento” vi sono sicuramente l’affordance
(Gibson 1986) come opportunità e disponibilità ad agire e la metafora della “serratura per la
chiave” (Baron & Boudreau 1982) ovvero l’ambiente per la persona-attore che crea la situazione di
apprendimento. Inoltre l’attore nell’interazione con l’ambiente sempre “ritaglia una finestra”
(Mantovani 1995) con cui categorizza, seleziona, interpreta l’informazione (apprendimento
necessariamente “situato”). Ancora, il processo cognitivo come interazione partecipativa tra attori e
sistemi fisici e sociali si reifica in “artefatti” simbolici, culturali e tecnologici. Riteniamo allora più
corretto scientificamente e più produttivo empiricamente entrare nel merito della tipologia e della
qualità dei “processi di apprendimento”, considerati in relazione alle Tecnologie dell’Informazione
e della Comunicazione (ICT - Information and Communication Technologies), che hanno
“innescato” mutazioni profonde (molti le chiamano “rivoluzioni”) nei processi di produzione, di
trasmissione e di acquisizione della conoscenza e della cultura, come anticipava nel 1971, ben
prima dell’ invenzione del PC e di Internet, Lyotard ne La condizione post-moderna. In quanto
“tessuto connettivo della società” i nuovi media hanno messo le persone in condizione di
partecipare con “creatività e generosità” (Shirky 2010 ) ai processi di comunicazione sociale,
modificando profondamente anche gli oggetti del sapere, i soggetti dell’educazione e i contesti
della formazione.
Dal 2000 – in seguito ad un PRIN “Modelli pedagogici, tecnologici e organizzativi di Open
Distance Learning e indicatori di qualità”, che ha visto la collaborazione delle Università di
Padova, Bari, Palermo, Roma Tre, Lecce, Salerno, e a due PON-Fse, sempre con capofila il
Dipartimento di Scienze dell’Educazione di Padova, il primo con il CUOA di Altavilla Vicentina e
l’ELEA di Roma-Torino su “Open Trainer e metodologie integrate di formazione in rete”, e il
secondo con il CUOA e il CERISDI di Palermo su “Valutazione di efficacia dei processi di
integrazione tra formazione, istruzione e mercato del lavoro” – abbiamo diffuso un modello
empirico di “ambiente tecnologico di apprendimento” integrando nei diversi contesti (scolastico,
universitario, di formazione professionale e continua) paradigmi, metodi, strumenti, propri della
didattica in presenza, sul campo, on line.
In relazione all’apprendimento in età adulta il “ modello integrato di lifelong learning” (Galliani,
de Waal, 2005) fra contesti di formazione in presenza, nelle azioni lavorative e on line selezionato fra i contributi scientifici più rilevanti a livello internazionale, presentati nei Convegni
annuali di EDEN (European Distance and E-Learning Network) e ripubblicati per il ventennio
dell’Associazione (Bernarth et alii, 2009) – è stato applicato nei corsi ECM della Regione Veneto ,
nel Master Mundis per i futuri dirigenti scolastici promosso dalla CRUI, nell’Alta Formazione per i
Docenti dei CTP promossa con la Direzione Regionale della Scuola, nei corsi di laurea on line
attivati nella Facoltà di Scienze della Formazione dal 2006-07 e destinati agli insegnanti in servizio
nella scuola dell’infanzia e primaria (Scienze per la formazione dell’infanzia e della
preadolescenza) e ai formatori/docenti degli Enti di formazione professionale in collaborazione con
l’ISFOL (Scienze della formazione professionale). Questa esperienza, unica a livello nazionale, che
si completa per molti con la laurea magistrale on line in Teorie e metodologie dell’e-learning e
della media education, non solo riconosce ed accredita le competenze acquisite nei contesti di
lavoro e di vita professionale, ma si fonda su un percorso formativo (contesto formale) integrato tra
nuove conoscenze proposte dai docenti attraverso materiali multimediali e confronto critico con
tutor e docenti sulle pratiche formative e organizzative condotte nei luoghi di lavoro ( contesto non
2
formale), con attivazione di comunità di apprendimento e/o di pratica costruite liberamente dai
corsisti e spesso trasmigrate nei Social Software (contesto informale di Facebook e Lindekin). Si
integrano così tre tipologie di apprendimento e tre metodologie formative (in presenza, sul campo,
in rete).
Autonomia e
sviluppo personale
Apprendimento
autodiretto e
libero
Formazione
in presenza
individuo adulto
Formazione
a distanza
esperienza sociale
Apprendimento
riflessivo
sulle pratiche
Continuità e
innovazione
delle competenze
Apprendimento
trasformativo
nell’organizzazione
Formazione sul campo
Cambiamento
e qualità
del servizio
Fig. 1: Modello integrato di lifelong learning
2
.Reti sociali e ICT
Niklas Luhmann (1984) concepisce i sistemi sociali come “autopoietici”, nei quali l’azione è un
prodotto della comunicazione: “la comunicazione è l’unità elementare dell’auto-costituzione dei
sistemi sociali, mentre l’azione ne è l’unità elementare di auto-osservazione e di auto-descrizione”.
Dall’organizzazione “reticolare” dei sottosistemi Pier Paolo Donati (1991) rappresentando la società
come “sistema che sviluppa relazioni di dipendenza e indipendenza allo stesso tempo e che fa uso
simultaneo di unità e diversità e combina reciprocità e simmetria , apre totalmente al paradigma
della rete come connessione di contesti formali, informali, non formali di comunicazione e di
azione. Ed essendo quella “educativa” una “attività di natura specifica” della società relazionale
(come quelle economica, politica, religiosa, ecc.) non vi è dubbio che la riflessione pedagogica
debba considerare la comunicazione con le sue tecnologie e “processuali” (Galliani 1979,1989) e
le reti sociali (social network) con le loro e e pratiche relazionali nei luoghi reali e virtuali (Galliani
1998, 2004) come oggetti privilegiati di ricerca, ma anche di buone pratiche per il cambiamento.
Tanto più che la nuova situazione di partecipazione comunitaria virtuale dei Social Network si è
determinata anche come difesa nella disgregazione dei legami sociali, assicurati prima dalle reti
3
politiche e istituzionali e dalle loro agenzie di solidarietà , come spiegava Touraine, quasi dieci anni
fa ne “La globalizzazione e la fine del sociale”
Ragionare di comunicazione e di reti sociali vuol dire innanzitutto uscire dal “determinismo
tecnologico”, sia nella versione degli apocalittici sia in quella dei guru digitali, perché le ICT
“innescano” l’innovazione (Finnegan 1990), ma non ne definiscono né il senso né la direzione.
Come sosteneva Carlini (2002) sono sicuramente tecnologie “normalizzate” quanto al loro uso in
tutti i contesti sociali compresi quelli dell’istruzione formale, scolastica e universitaria, e “abilitanti”
quanto al coinvolgimento attivo e autonomo nella gestione quotidiana “multischermica” (Prensky
2006) nei contesti di vita degli individui, in particolare dei “nativi digitali”. Eppure è ancora
faticoso, non solo in ambito pedagogico, entrare in una fase culturale post-informatica in cui
spostare il baricentro teleologico dall’oggetto-prodotto al soggetto-processo, riconquistando anche
“le condizioni necessarie a ricomporre le dimensioni istituzionale, relazionale, contestuale e tacita
delle azioni formative” (Galliani, 2003). Basti pensare ai ritardi e alle contraddizioni, rispetto a
quella Europea, con cui stiamo realizzando l’Agenda Digitale nel nostro Paese, che oltre tutto è uno
di quelli in cui il digital divide è molto forte. Allora il ruolo delle tecnologie va contestualizzato e
relazionato alle altre quattro questioni, che hanno di fronte oggi i sistemi educativi: la quantità e la
qualità delle conoscenze da insegnare, il rapporto nella formazione tra teoria e pratica verso una
didattica per competenze, la personalizzazione dell’apprendimento tra diversità e uguaglianza, le
identità culturali e l’universalismo della scienza nel processo di globalizzazione. Qualcuno, a
ragione, le ritiene proprie dell’indagine pedagogico-didattica (Damiano), ma sicuramente non sono
comprensibili e risolvibili se non ristrutturando il campo della comunicazione educativa e dei suoi
processi di produzione dell’informazione e delle conoscenze, di trasmissione e acquisizione della
conoscenza, di partecipazione autodiretta e libera alla costruzione sociale del proprio
apprendimento, di universalizzazione comunitaria delle culture identitarie attraverso la rete. Per
avvicinare questo obiettivo occorre liberarsi da due illusioni di autosufficienza. La prima è che le
tecnologie, con la loro forza democratica e coinvolgente, possano sostenere da sole processi autoeducativi delle persone, tali da sostituire l’istruzione formale. La seconda è che le istituzioni
scolastiche e universitarie possano confinare, entro le proprie mura ed i propri setting didattici
tradizionali, i processi di apprendimento e le attività di trasmissione delle informazioni e di
costruzione della conoscenza, magari introducendo nelle aule e “addomesticando” anche le
tecnologie come storicamente è avvenuto.
E’ necessario, a questo punto della nostra riflessione, togliere ogni possibile equivoco tra le “reti
sociali del mondo reale” tra persone o comunità (Scott 2002) e le “reti sociali della virtualità
reale”(Maldonado 1992, 1997; Levy 1997), che non funzionano in modo parallelo ma integrato, e
di come il “capitale sociale”, inteso come “insieme di relazioni e di comunicazioni familiari e
comunitarie attivate”, possa influire nella costruzione del “capitale umano”, inteso come “insieme
di capacità personali che mettono un soggetto in grado di ‘dare senso’ alla complessità del suo
percorso di socializzazione”(Scanagatta, 2002). Di esso è componente determinante il “capitale
culturale” (Bourdieu, 1994) accumulato con i risultati di apprendimento (conoscenze, abilità,
competenze), acquisiti nella formazione scolastica e accademica e sviluppati nelle (eventuali)
esperienze lavorative e professionali.
4
Un esempio virtuoso dell’integrazione sono le Reti Territoriali di Orientamento per i Giovani (47
progetti) e per gli Adulti (24 progetti) della Regione Veneto, monitorati e valutati nel biennio
2008/09 attraverso un Progetto di ricerca affidato all’Università di Padova (Galliani, Zaggia,
Maniero, 2009). I 15 ricercatori, da me coordinati, hanno svolto un’indagine quantitativa, con
questionari e qualitativa, con focus group + visite in loco, sulle Azioni di orientamento, utilizzando
indicatori e descrittori di qualità delle pratiche, messi a punto e concordati con la committenza
regionale e con i coordinatori dei progetti in un seminario preliminare. Per quanto riguarda gli
Adulti le Azioni previste e indagate sono state cinque: 1° Ricerca dell’utenza, anche tramite la
costituzione di reti di “prossimità” individuale; 2° Informazione e accoglienza; 3° Orientamento e
bilancio e/o ricostruzione del percorso personale e professionale, con tutorato personalizzato; 4°
Progetti di pre-formazione per la conoscenza dei diritti di cittadinanza e dei servizi offerti dal
territorio; 5° Monitoraggio al fine di verificare l’andamento dei progetti e gli esiti delle azioni.
Alle 24 reti hanno partecipato 372 partner ( 213 comuni con i loro servizi sociali, 65 enti formativi,
36 sindacati/associazioni di categoria, 6 aziende sanitarie , 52 altri enti, come parrocchie, agenzie
interinali, scuole secondarie, ecc.) e 32 enti associati (associazioni immigrati, cooperative, ecc.).
Dalla valutazione sono emersi due profili qualitativamente diversi: “reti di cooperazione ad alto
grado di coordinamento” e “reti di informazione e collaborazione o reti di adempimento”. In esse le
ICT hanno giocato con più o meno intensità un ruolo connettivo nelle attività di confronto tra
operatori con diverse competenze e di diversi servizi, di programmazione, di suddivisione del
lavoro, di circolazione dei materiali, di condivisione di una cultura e di un’etica dell’orientamento
con al centro i soggetti con le loro esigenze (in particolare immigrati, giovani, donne).
La condizione per sostenere “ambienti tecnologici integrati di apprendimento” è l’assicurazione di
un esercizio professionale delle funzioni di mediazione culturale, di consulenza metodologica e di
sostegno all’azione formativa da parte di docenti/formatori appositamente preparati. Dopo le buone
pratiche del PON sull’Open Trainer prima citato, abbiamo attivato nell’Università di Padova nel
2004 un Master, in modalità blended, con docenti ed esperti nazionali e stranieri, in cui
sperimentare un modello di formazione degli e-tutor (Galliani, De Waal 2005a),
5
Competenze
socio-comunicative
COMPETENZE OPEN TRAINER / E-TUTOR
modellazione
leadership
Competenze
strategiche
personalizzazione
metacognizione
autoregolazione
coordinamento
monitoraggio
valutazione
moderazione
negoziazione
scaffolding
emotivo
accesso
selezione
contestualizzazione
facilitazione
istruzione
scaffolding
cognitivo
gestione di
risorse multimediali
gestione di
ambienti interattivi
gestione
di network
Competenze
tecnologiche
Fig. 2 - Modello delle competenze degli open trainer/e-tutor
attraverso la costruzione di tre tipologie di competenze: tecnologiche di gestione delle risorse
multimediali (content learning), degli ambienti interattivi (come MOODLE), dei network(interni e
territoriali); socio-comunicative di facilitazione dei processi di apprendimento (scaffolding
cognitivo), di moderazione dei processi di negoziazione sociale (scaffolding emotivo), di
modellazione della funzione di e-tutor (leadership); strategiche di accesso/selezione delle risorse di
rete (integrazione dei contesti), di personalizzazione dei percorsi (riflessione metacognitiva), di
monitoraggio e valutazione delle azioni formative (coordinamento). Queste ultime, all’interno di
una strategia autoriflessiva sul percorso di apprendimento, hanno portato alla costruzione di ePortfolio (Nadin 2008), come strumenti di autoregolazione dei processi di apprendimento e di
consapevolezza dello sviluppo delle proprie capacità personali e professionali.
2. Adulti e Reti trans-contestuali
Pensare secondo una pedagogia degli “ambienti educativi integrati” significa allora costruire una
metodologia di inter-azioni tra contesti formali, non formali e informali, partendo dalle pratiche
comunicativo-sociali quotidiane, che comprendono anche i Social Software secondo i nuovi
paradigmi autoriali e collaborativi del Web 2.0, generati dall’apprendimento esperienziale (Kolb
1990 ). In questo senso va rovesciata l’impostazione metodologica, che sembra dominante anche
nelle esperienze formative più avanzate a livello universitario, dove la presenza in YouTube, in
iTunes o in Facebook di docenti e studenti, è vista con sospetto o addirittura vietata, e nei lodevoli
progetti scolastici ministeriali (es: LIM e Cl@ssi 2.0), in cui il movimento va dal formale al non
6
formale e all’informale e non viceversa. “E’ ancora il formale con le sue regole didattiche,
linguistiche, contenutistiche, tecniche che ingloba, seleziona, organizza e orienta a fini istruttivi il
non formale e l’informale e non sono invece le esperienze costruite nelle relazioni sociali della vita
quotidiana e soprattutto nelle pratiche comunicative e produttive di artefatti culturali e simbolici a
dare senso personalizzante ed empatico a conoscenze, abilità e competenze da condividere e
sviluppare insieme per un progetto educativo comune” (Galliani 2010)
Occorre attivare allora consapevolmente una prima tipologia di rete trans-contestuale tra
scuola/università/formazione professionale e territorio nelle sue organizzazioni comunitarie
lavorative/culturali/politiche, non solo per ancorare gli apprendimenti a “compiti autentici”e quindi
motivanti, ma soprattutto per rendere palese che l’uso del PC (notebook o netbook che sia !) e dei
tablet nello studio, nel lavoro e nel gioco così come la frequentazione del Web e il successo degli
applicativi sui mobile media, “dimostra a tutti che accedere/condividere/costruire informazioni e
conoscenze è una attività pratica e non teorica, così come imparare una lingua o fare ricerca
scientifica” (Galliani 2010).
Fig. 3 – Modello di competenze socializzate tra scuola e comunità
E tutte le attività pratiche o savoirs d’action (Barbier 1996) intervengono per risolvere problemi
reali, legati alla vita delle persone e delle comunità, con l’apertura mentale di chi ritiene che non
siano troppo dissimili le abilità di un bravo artigiano, di un grande artista o di un campione di
scacchi. La ricerca-azione, che Gruppo di ricercatori dell’Università di Padova ha condotto per
l’IPRASE (Istituto Provinciale Ricerca Aggiornamento Sperimentazione Educativa) di Trento,
“Didaduezero. Un progetto formativo integrato per la scuola e le comunità del territorio, basato
7
sul paradigma di condivisione sociale del Web 2.0”, presenta primi risultati sicuramente
incoraggianti, ispirati ad un modello di integrazione tra contesti formale, non formale e informale
(Petrucco 2010).
Una seconda tipologia di rete trans-contestuale tra enti/agenzie di formazione, università,
organizzazioni aziendali e distretti produttivi territoriali può innovare dall’interno la formazione
tecnico-professionale dei lavoratori.
Formazione
tecnicospecialistica
Formazione
comunicativo
-relazionale
PERSONA
ORGANIZZAZIONE
DISTRETTO
Efficacia dei
comportamenti
professionali,
sociali ed etici
Formazione
organizzativo
-sociale
Fig. 4 – Modello integrato di competenze distribuite
La rete può infatti favorire tre interazioni connettive: la prima nella formazione tecnicoprofessionale, fra l’apprendimento individuale e autodiretto della persona, caratterizzato dalle
competenze tacite, e l’apprendimento organizzativo dell’impresa, finalizzato alla trasformazione
collettiva della conoscenza e alla gestione delle risorse umane verso l’innovazione; la seconda nella
formazione comunicativo-relazionale, fra lo sviluppo individuale di competenze costruite e
cumulate nel processo evolutivo di ogni singola impresa, e le competenze relazionali e di
responsabilità sociale, proprie dell’apprendimento distrettuale, attraverso comunità di pratiche che
condividono storie, valori, regole sociali sedimentate nei comportamenti famigliari e di coesione
territoriale; la terza nella formazione organizzativo-sociale, fra le competenze distintive delle
singole organizzazioni imprenditoriali e delle relative risorse professionali e la capacità di
rapportarsi ad attori esterni alla filiera distrettuale, valorizzando le ICT sia per dinamizzare le
relazioni nel contesto locale sia per inserire le conoscenze tacite ed esplicite del distretto entro reti
di comunicazione interconnesse ai circuiti dell’economia globale. Quello illustrato è il modello di
base delle linee guida per la formazione nei Distretti industriali della Regione Veneto, da noi
elaborate all’interno di un Progetto Equal CRADLE: “Proactive cycle for local knowledge
qualification District Learning”, che ha visto la collaborazione di più enti ed imprese e l’indagine
sul campo nei distretti turistico-termale di Abano-Montegrotto e industriale-portuale di MargheraVenezia (Galliani, Zaggia, 2007).
8
Una terza tipologia di rete trans-contestuale è quella indispensabile a creare le condizioni positive
per sostenere e accompagnare le persone al riconoscimento, validazione e certificazione delle
competenze acquisite nei contesti non formali e informali del lavoro e della vita quotidiana. E’
d’obbligo il riferimento alla legge 92/2012 e al successivo decreto n.13 del 16 gennaio 2013 e
soprattutto all’intesa tra Governo, Regioni ed Enti locali “per la promozione e il sostegno alla
realizzazione di reti territoriali” per l’apprendimento permanente. Anche qui però voglio richiamare
una precedente “azione di sistema” della Regione Veneto che negli anni 2009-10 ha finanziato 47
progetti di ricerca (Programma operativo FSE 2007/13 Asse Capitale Umano) per
il
riconoscimento e la certificazione delle competenze sia negli ambiti di apprendimento non formali e
informali (linea B) che negli ambiti di apprendimento formali (linea A), che hanno coinvolto oltre
10.000 destinatari finali e ai quali hanno collaborato circa 4.000 operatori di oltre 700
organizzazioni del sistema istruzione, formazione, lavoro. Come Università di Padova siamo stati
titolari due Progetti (e partner in altri tre): “MOIRC-Modello Operativo Integrato per il
Riconoscimento e la Certificazione delle Competenze” (Linea B) e “Progettazione e
sperimentazione di strumenti per la validazione e certificazione delle competenze nei corsi di laurea
universitari di secondo livello” (linea A) in collaborazione con analoghi Progetti dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia per le lauree di primo livello e dell’Università di Verona per i Master. Non
essendo possibile dare conto dei progetti, rinvio ai due volumi pubblicati nel 2011 (Galliani,
Zaggia, Serbati). Mi interessa però evidenziare tre risultati delle ricerche condotte: la progettazione
e la sperimentazione di un modello di bilancio e di portfolio delle competenze per adulti che
vogliono entrare nei percorsi formali; la progettazione e sperimentazione delle procedure di
accompagnamento per la validazione dei saperi esperienziali; la stesura di linee guida per
l’accreditamento e la certificazione delle competenze e l’ attivazione di Centri per l’Apprendimento
Permanente nelle Università. La Regione del Veneto ha emanato il 28/12/2012 le “Linee guida per
la validazione di competenze acquisite in contesti non formali ed informali”, in cui si confermano
molti dei nostri modelli e delle nostre pratiche di ricerca-azione.
Come potranno queste reti territoriali e trans-contestuali funzionare senza pratiche consolidate nei
servizi pubblici e associativi di uso delle ICT e in particolare dei social network autoriali e
partecipativi? Allora il vero e grande piano nazionale che manca a questo Paese è un’azione
educativa generalizzata e coordinata di Digital Literacy (Commissione Europea 2006, Rivoltella
2008) o meglio di New Media Literacy (Jenkins, 2006) che colleghi i contesti formali, non formali
e informali.
Nella Raccomandazione della Commissione Europea quella digitale viene ritenuta una delle sei
“competenze chiave” per il Life Long and Wide Learning e si manifesta nel “saper utilizzare con
dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione per il lavoro, il tempo
libero, la comunicazione. Essa è supportata da abilità di base nell’ICT e nell’uso del computer per
reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni, nonché per
comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet”.
Nella prospettiva indicata da Jenkins di una “cultura convergente” tra vecchi e nuovi media, che
interagiscono in modi imprevedibili nella produzione e nel consumo, e di una “cultura
partecipativa” di affiliazione e cooperazione paritaria, “c’è una maggior enfasi sulla literacy in
quanto pratica sociale e collettiva piuttosto che individuale; sull’imparare a collaborare e scambiare
9
conoscenza con gli altri”. Da qui l’indicazione delle 11 nuove competenze culturali e abilità sociali
che spostano il focus dall’individuo alla comunità: gioco (fare esperienza ludica di ciò che
circonda); simulazione ( costruire/usare modelli dinamici dei processi reali); performance (saper
impersonare diverse identità); appropriazione (campionare e miscelare contenuti); multitasking
(scansionare fonti multimediali di informazione); conoscenza distribuita (interagire con gli altri);
intelligenza collettiva ( essere membri attivi di comunità); giudizio (riconoscere affidabilità e
credibilità di fonti e persone); navigazione transmediale (muoversi nella molteplicità degli ambienti
tecnologici e degli applicativi); networking (cercare e disseminare informazione in rete);
negoziazione ( riconoscere e gestire la molteplicità delle prospettive).
L’innovazione pedagogica e metodologica che si propone non è solo quella di partire dagli
apprendimenti propri dei Social Software nei contesti informali, ma di integrare i paradigmi
comunicativi della multimedialità linguistica, della interattività autoriale e della virtualità sociale
(Galliani 2006) mettendo in guardia i nativi digitali (Ferri 2011) dai rischi rispettivamente: di non
saper più riflettere prima di scegliere, di andar perdendo nella scrittura condivisa le proprietà di
linguaggi sempre più sofisticati e specialistici e di vivere “Alone Togheter” (Turkle 2010)
presentandosi in rete con identità insostenibili.
La “multimedialità interattiva di Rete” può diventare il nuovo ambiente di sintesi delle comunità di
apprendimento, integrato tra contesti di studio, di lavoro e di vita soltanto se insegnanti, educatori,
formatori, operatori culturali e sociali, così come genitori e famiglie in cui avviene la prima
“domesticazione” dei media (Silverstone 1994), non vengono lasciati soli, senza formazione
specifica. Un piano nazionale di Digital Literacy e New Media Literacy deve essere accompagnato
da una politica pubblica di sostegno alle reti sociali (Social Network), con particolare attenzione
agli adulti e ai gruppi di disagiati e minoritari, e non solo ai luoghi istituzionali/formali
dell’integrazione tra reale e virtuale.
L’implementazione dell’Agenda Europea per l’Apprendimento in età adulta può essere una
occasione, con il prezioso contributo dell’ISFOL, per mettere in sinergia le evidenze empiriche
delle ricerche e i positivi risultati dei progetti e delle esperienze condotte nelle Regioni e nei territori
provinciali, con il fine di non continuare a fare sperimentazioni parziali, ma operare scelte comuni a
livello istituzionale. Un Piano nazionale di Digital Literacy deve collegare Scuola, Università,
Formazione Continua ed essere inserito come priorità nell’Agenda Digitale italiana. E’ il solo modo
per uscire dagli ultimi posti delle classifiche degli adulti in formazione, ma anche dell’accesso ad
Internet e dell’uso delle ICT nel sistema dell’istruzione scolastica e superiore. Se non riusciremo
anche in questo ambito a “fare sistema” il nostro continuerà ad essere un Paese perduto.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Barbier. J.M. (1996), Savoirs theoriques et savoirs d’action. Paris: PUF
Baron, R.M. & Boudreau,L.A. (1987). An ecological perspective on integratine personalità and
social psychology, Journal of Personality and Social Psychology, 53, 1222-1228
10
Bernarth U., Szucs A., Tait A., Vidal M.(Ed.) (2009), Distance and E-Learning in Transition,
London: Iste-Willey
Bourdieu, P. (1994), Raisons pratiques. Sur la théorie de l’action. Paris: Seuil
Carlini, F. (2002), Divergenze digitali. Conflitti, soggetti e tecnologie della terza Internet, Roma:
Manifestolibri
Castells M. (1996), La nascita della società in rete, Milano: Egea- Università Bocconi (2002)
Donati, P. (1991), Teoria relazionale della società. Milano: F. Angeli
Finnegan, R. (1990), La fine di Gutemberg. Firenze: Sansoni
Ferri, P. (2011), Nativi Digitali, Milano: Bruno Mondadori
Galliani L., Zaggia C., Serbati A. (2011), (a cura di), Apprendere e valutare competenze
all'Università. Progettazione e sperimentazione di strumenti nelle lauree magistrali. Lecce:Pensa
MultiMedia
Galliani L. (2009) (a cura di), Formare in rete, Napoli, Tecnodid
Galliani L., Zaggia C., Serbati A. (2010), (a cura di), Adulti all'università. Bilancio, portfolio e
certificazione delle competenze. Lecce: Pensa MultiMedia
Galliani L., Zaggia C. (2007) (a cura di), Progetto Equal C.R.A.D.L.E - Competenze tacite,
apprendimento organizzativi e comportamenti etici nei distretti veneti. Lecce: Pensa Multimedia
Galliani L., Zaggia C., Maniero S., (2009) Valutare l’orientamento, Lecce, Pensa MultiMedia
Galliani, L. & De Waal, P. (2005), Learning Face-to-Face, In action and On-line: Integrated Model
of Lifelong Learning, European Distance and E-learning Network Proceedings, Helsinky: EDEN
Galliani, L. & De Waal.P. (2005a), Verso un nuovo modello didattico per la formazione degli etutor, Atti del 2° Congresso Nazionale della Società Italiana di e-Learning (Sie-L), Firenze
Galliani, L. (1979), Il processo è il messaggio. Bologna: Cappelli
Galliani, L. (1989), A Pedagogic Model of Multi-Mediality, EMI-Educational Media International,
Official Quartely Journal of ICEM, 26, 133-137
Galliani, L. (1998), Comunicazione e didattica, Studium Educationis, vol. 4, 626-662
Galliani, L. (2003), Il concetto di e-learning in ambito psico-socio-pedagogico, in P. Botta ( a cura
di ), Capitale umano on line: le potenzialità dell’e-learning nei processi formativi e lavorativi.
Milano: Isfol-F.Angeli
Galliani, L. (2004 a) La scuola in rete. BARI: Laterza, p. 0-214
Galliani, L. (2010). Prefazione a Petrucco C., Didattica dei social software e del web 2.0. Lecce:
Pensa Multimedia
Gibson, J.J. (1986). The ecological approach to visual perception, Hillsdale- New york: Erlbaum
Gubitta P. (2012) Il lavoro imprenditoriale nell’era dell’accesso. In Economia e Società Regionale,
116 (2), 7-22.
Jenkins, H. (2006), Cultura convergente. Milano: Apogeo
Kolb D. A. (1984) Esperiential Learning. Experience as the source of learning and development,
Prentice Hall, New Jersey
Levy, P. (1997), Il virtuale. Milano:Raffaello Cortina
Luhmann, N. (1984), Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale. Bologna: Il Mulino 1990
Lyotard, J.F. (1971), La condizione post-moderna, Milano:Feltrinelli 1981
Maldonado, T. (1997), Critica della ragione informatica. Milano:Feltrinelli
Maldonado, T. (2007), Reale e virtuale. Milano:Feltrinelli (1° 1992)
Mantovani, G. (1995), Comunicazione e identità. Dalle situazioni quotidiane agli ambienti virtuali.
Bologna: Il Mulino
11
Marini D. (2008), Fuori dalla media. Percorsi di sviluppo delle imprese di successo (ed.), Venezia,
Marsilio
Nadin, A. (2008), Autovalutazione in rete. Uso del portfolio nella formazione post-lauream, Tesi di
Dottorato in Scienze Pedagogiche, Università di Padova, a.a. 2007-08
Petrucco, C. (a cura di) (2010), Didattica dei Social Software e del Web 2.0, Padova: Cleup
Prensky, M. (2006), Mamma non rompere. Sto imparando, Roma:Multiplayer 2008
Rivoltella, P.C. (Ed) (2008), Digital Literacy. Tools and Methodologies for the Information Society.
Hershey Pennsylvania: Idea Group Inc.
Scanagatta, S. (2002), Socializzazione e capitale umano. Padova: Cleup
Scott, J. (2002), L’analisi delle reti sociali, Roma: Carocci
Shirky, C. (2010), Surplus cognitivo. Creatività e generosità nell’era digitale, Torino: Codice
edizioni
Touraine A. (2008), La globalizzazione e la fine del sociale, Milano, Il Saggiatore
12