Crescita e produttività: gli effetti economici della
Transcript
Crescita e produttività: gli effetti economici della
Concorrenza, bene pubblico Centro Studi Crescita e produttività: gli effetti economici della regolazione Paola Parascandolo e Grazia Sgarra 1 2 Progetto Concorrenza di Confindustria coordinato da Innocenzo Cipolletta, Stefano Micossi e Giangiacomo Nardozzi 1 2 Assonime. Centro Studi Confindustria. Le opinioni e i giudizi espressi in questo lavoro non impegnano la responsabilità di Confindustria. 1 Concorrenza, bene pubblico Indice Introduzione .................................................................................................................... 3 1. I divari di performance dell'UE vs. gli USA ................................................................. 4 2. Regolazione e performance economica nella letteratura ........................................... 6 3. La regolazione nel settore dei servizi: quali effetti sul sistema economico............... 12 Conclusioni ................................................................................................................... 17 Bibliografia .................................................................................................................... 19 2 Concorrenza, bene pubblico Introduzione3 Le barriere al buon funzionamento dei mercati e gli ostacoli alla competitività di un paese sono spesso dovuti all’intervento dello Stato nel sistema economico. Lo Stato interviene direttamente nella vita dei vari attori economici e nelle loro interazioni disegnando le regole del gioco, regolando comportamenti e strutture dei mercati per risolvere problemi di fallimento dei mercati stessi (condizioni di monopolio naturale, presenza di esternalità e asimmetrie informative), per produrre servizi pubblici e beni meritori (quali l’istruzione obbligatoria e la conservazione dell’ambiente), per redistribuire ricchezza qualora la distribuzione del reddito generata in maniera concorrenziale non sia socialmente accettabile. Questo apparato di regole è noto in letteratura come “regolazione economica” (cfr. per es., OCSE, 1997; Commissione europea, 2004). Nell’esperienza di molti paesi industriali, la regolazione delle attività economiche ha ecceduto un limite “fisiologico”. Sono state introdotte norme che si sono sovrapposte nel tempo, risultando eccessivamente numerose e spesso confliggenti. L’evoluzione economica e sociale e il progresso tecnico hanno messo in discussione i vincoli normativi imposti dalla regolazione all’attività d’impresa nei diversi settori. In molti casi, quindi, la regolazione è risultata inefficace, inutilmente vincolante per lo svolgimento dell’attività economica e per il funzionamento dei meccanismi di mercato, producendo più costi dei benefici attesi, inducendo molti paesi a riconsiderare il ruolo dello Stato nell’economia (cfr. Centro Studi Confindustria, 2002 per una rassegna). Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, questo processo è stato intrapreso già negli anni Settanta – Ottanta, anche sotto la spinta del progressivo rallentamento della crescita economica, nonché per la necessità di adeguare l’impostazione della regolamentazione alle trasformazioni indotte dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Lo spostamento di enfasi è stato verso l’idea di uno Stato che crei, in primo luogo, “regole del gioco” favorevoli alla crescita economica e all’efficienza del sistema (Stiglitz, 1992). Da queste esperienze è scaturito un ampio consenso nella comunità accademica e tra policy makers sul fatto che l’intervento dello Stato non sia sempre necessario e che la concorrenza può, invece, contribuire a promuovere l’efficienza economica del sistema, riducendo barriere all’entrata e all’uscita dai mercati, oneri e vincoli all’attività d’impresa, le rendite di posizione, i prezzi di beni e servizi a favore dei consumatori e incentivando le imprese stesse a crescere e innovare. Un processo analogo di ripensamento del ruolo economico dello Stato e del suo apparato di regole è avvenuto nella maggior parte degli altri paesi europei nell’ultimo decennio, quando la bassa performance economica ha reso evidente il divario dell’Europa rispetto, in particolare, agli Stati Uniti in termini di crescita e produttività. Da tutto ciò è derivata una grande attenzione alle possibili determinanti dei diversi andamenti macroeconomici. Gli studi intrapresi a partire dagli anni Novanta hanno rilevato che i fattori a carattere strutturale, più di quelli ciclici e delle divergenze tra le politiche economiche di ciascun paese, contribuiscono a spiegare la diminuzione del tasso di crescita potenziale dell’economia europea (tra molti altri autori, cfr. Blanchard e Giavazzi, 2002). Tra i fattori strutturali vi sono anche i contesti istituzionali e normativi che regolano diversi mercati (dei prodotti, dei servizi, del lavoro e così via). 3 Le autrici ringraziano Ginevra Bruzzone e Giulio de Caprariis sia per avere discusso l’impostazione del presente lavoro sia per i suggerimenti e i commenti forniti. Sono altresì grate a Lorena Scaperrotta per la collaborazione nella ricerca ed elaborazione dei dati statistici. Il paragrafo 3 del presente lavoro riprende parte del Capitolo 5, paragrafo 5.1 pubblicato da Grazia Sgarra nel Rapporto del Centro Studi Confindustria, Dicembre 2005. 3 Concorrenza, bene pubblico Numerosi studi empirici hanno rilevato l’esistenza di una relazione inversa tra regolazione economica e una buona performance del sistema o, viceversa, di una correlazione positiva tra aumenti del livello di concorrenza nel mercato e aumenti di produttività (tra gli altri, cfr. Bassanini e Ernst, 2002; Gordon, 2004; Loayza et al., 2005; Nicoletti e Scarpetta, vari anni): nei paesi caratterizzati da un sistema economico competitivo, dove i diversi vincoli all’attività economica del settore privato sono contenuti, le risorse si allocano in modo efficiente traducendosi in guadagni di produttività e in crescita economica (e viceversa). Nell’ultimo decennio, la maggior parte dei paesi europei ha avviato riforme della regolazione del mercato dei prodotti e del lavoro, anche se di diversa intensità e a partire da condizioni iniziali diverse. Nella maggior parte di essi, invece, una più rigida regolazione permane nel settore dei servizi: diffuse barriere normative e amministrative caratterizzano il settore, consentono alle imprese già operanti nel mercato di beneficiare di extra-profitti e influenzano l’allocazione e l’uso dei fattori produttivi, creando inefficienze. Dato che i servizi costituiscono anche una parte significativa degli input impiegati per la produzione di beni (per es., per l’Italia incidono per il 38% sulla produzione manifatturiera), loro inefficienze finiscono per condizionare la competitività del settore industriale più direttamente esposto alla concorrenza internazionale. Anche in questo caso sono necessarie riforme pro-competitive che rimuovano barriere normative e amministrative ingiustificate e aprano il settore alla concorrenza. A supporto di tale tesi, alcuni studi hanno quantificato l’impatto positivo della creazione di un mercato unico europeo dei servizi in termini di crescita economica, di occupazione, di volume di scambi intra-UE e di IDE (Commissione europea, 2004 ; Copenaghen Economics, 2005 tra gli altri). Nel lavoro si effettuerà una rassegna ragionata delle recenti ricerche teoriche ed empiriche sulle possibili relazioni tra regolazione e performance economica e si analizzeranno i principali risultati degli studi sugli effetti della regolazione, in particolare del settore dei servizi privati, su crescita e produttività del sistema. Il presente lavoro sarà così strutturato: dopo aver descritto le caratteristiche principali e più generali che hanno contraddistinto i processi di crescita di Stati Uniti, Europa e Italia a partire dagli anni Novanta (paragrafo 1), effettueremo una rassegna della letteratura sul ruolo della regolazione economica nelle spiegazioni delle differenze di crescita e produttività tra questi paesi (paragrafo 2); ci concentreremo sugli effetti della regolazione nel settore dei servizi per il sistema economico (paragrafo 3). Concluderemo il lavoro mettendo in evidenza gli aspetti critici degli studi passati in rassegna, sottolineando l’importanza e la difficoltà di avviare riforme della regolazione orientate al mercato soprattutto nei settori, come quello dei servizi, rigidamente regolati (paragrafo 4). 1. I divari di performance dell'UE vs. gli USA Uno dei fenomeni economici più evidenti dell’ultimo decennio è stata la graduale divergenza nel dinamismo delle due principali aree economiche: Stati Uniti ed Europa. Negli anni Novanta si è progressivamente aperto un divario a svantaggio dell’Europa, divario che si è molto accentuato nel triennio 2002-2004 ed è ancora rilevante nel 2005 (Figg.1-3). Dal 1995 al 2005 l’economia americana ha in effetti realizzato un’ottima performance, con una forte crescita del prodotto e con i maggiori guadagni di efficienza produttiva: il PIL è cresciuto in media del 3,3 per cento l’anno, (+ 3,5% nel periodo 2002-2004; +3,6% nel 2005) raggiungendo livelli superiori al 56% rispetto ai valori di 4 Concorrenza, bene pubblico inizio anni Novanta (Fig.1)4. Le stime relative alla produttività totale dei fattori mostrano un aumento superiore al 15% nell’ultimo decennio (e al 20% dall’inizio degli anni Novanta; Fig.2) con un tasso di crescita medio annuo dell’1,4%. Figg.1-3: Misure di crescita e produttività a confronto Fig.1- PIL 160.0 150.0 140.0 Fig.2- Produttività totale dei fattori (a prezzi 1995; 1991=100) (1991=100) 125.0 Unione Europea Unione Europea Italia Italia Stati Uniti Stati Uniti 115.0 130.0 120.0 105.0 110.0 100.0 90.0 95.0 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Fonte: elaborazioni su dati AMECO. Fonte: elaborazioni su dati Eurostat. Fig.3- PIL pro capite (a prezzi 1995;1991=100) 150.0 140.0 130.0 Unione Europea Italia Stati Uniti 120.0 110.0 100.0 90.0 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Fonte: elaborazioni su dati Eurostat. Non è stata questa la storia della maggior parte degli altri paesi dell’Europa continentale. All’interno dell'UE a 15, i paesi in cui più forte è stato tale rallentamento sono l’Italia e la Germania. Nella media UE, tra il 1995 e il 2005 il PIL è aumentato del 26%, circa venti punti percentuali in meno rispetto agli Stati Uniti (Fig.1). Il tasso di crescita medio annuo dell’economia europea è stato poco più del 2%, un punto in meno all’anno rispetto all’economia americana e in Italia, nel medesimo periodo, appena superiore all’1%. Il divario con gli Stati Uniti risulta maggiore se il confronto 4 Salvo diverse indicazioni, le stime presentate sono elaborazioni delle autrici su dati Eurostat, OCSE e Ameco. 5 Concorrenza, bene pubblico viene riferito al periodo 2002-2005 quando la crescita del PIL in Europa è stata dell’1,5% all’anno, ossia circa la metà di quella realizzata negli Stati Uniti. Al divario di crescita con gli Stati Uniti ha contribuito la minor crescita della popolazione in Europa (circa 1 punto nell’ultimo decennio)5 e ciò si riflette in una più bassa disponibilità del fattore lavoro. La demografia sfavorevole - dato strutturale e modificabile solo nel lungo termine - può essere compensata da una maggior crescita della produttività. Tuttavia, anche su questo fronte, la posizione dell’Europa rispetto agli Stati Uniti appare problematica: a un più accentuato rallentamento demografico del continente europeo si aggiunge, infatti, un trend declinante della produttività. L’Italia a sua volta registra un gap di produttività molto ampio sia rispetto all’Europa che rispetto agli Stati Uniti (Fig.2). Questi andamenti si sono riflessi in una crescita media annua del reddito pro-capite che è stata maggiore negli Stati Uniti (+ 2,2%) rispetto all’Europa (+1,7) e in particolare rispetto all’Italia (+1,2): il differenziale nel livello del reddito medio tra Stati Uniti ed Europa è cresciuto, dal 1990 al 2005, di 10 punti percentuali, quello con l’Italia è aumentato di 18 punti (Fig.3). Numerosi studi dedicati all’analisi dei differenziali di performance hanno messo in luce come questa lunga fase di bassa crescita sia riconducibile principalmente a problemi di natura strutturale (come una insufficiente espansione dell’offerta dei fattori), di produttività totale, che dipende dall’efficienza con cui le risorse sono impiegate nel sistema. Gli Stati Uniti, attuando misure di riforma in senso concorrenziale di diversi mercati e migliorando la qualità dell’ambiente normativo in generale, hanno potuto diversamente dalla maggior parte paesi dell’Europa continentale - velocemente adeguare il sistema economico alla diffusione e all’adozione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con una crescita significativa della produttività dei fattori. I problemi di bassa potenzialità di crescita dell’Europa sono dunque essenzialmente dovuti a cause interne. Tra queste hanno ricevuto particolare attenzione i contesti istituzionali e normativi che regolano i mercati e hanno favorito una gestione inefficiente delle risorse per interi comparti di attività economica, influendo sul tasso di crescita e sulle caratteristiche produttive nelle diverse aree economiche. I mutamenti nel quadro internazionale – in particolare la concorrenza accresciuta dei paesi emergenti nei settori tradizionali – hanno aggravato i problemi, ma non li hanno determinati. 2. Regolazione e performance economica nella letteratura In anni recenti molti studi sono stati dedicati all’analisi delle possibili determinanti dei divari di crescita e produttività tra Stati Uniti e continente europeo. Alcuni di questi, sulla base della teoria neoclassica della crescita (Solow, 1956, 1957; Swan, 1956; e tra gli altri, Jorgenson e Stiroh, 2000; Oliner e Sichel, 2000; Gordon, 2002)6, riconducono tale gap alla capacità di innovazione, al progresso tecnico che caratterizza l’economia 5 Elaborazioni su dati OCSE. Nel modello neoclassico della crescita di Solow-Swan (1956;1957), la produttività totale dei fattori (ptf) è definita come il residuo (A) ottenuto dalla differenza tra i tassi di variazione dell'output e degli input (lavoro (L) e capitale (K)), per cui ∆Y=α∆K +(1-α)∆L+ A. Una misura del tasso di variazione della produttività totale (o residuo di Solow) equivale, sotto determinate condizioni, a una misura dell'effetto del progresso tecnico, dei miglioramenti tecnologici, della qualità dell’input di lavoro e di diversi altri fattori sulla produzione. Secondo l’approccio neoclassico,dunque, la produttività totale dei fattori contribuisce alla crescita e di conseguenza, il divario in termini di crescita economica si riflette nel divario della produttività complessiva tra Stati Uniti ed Europa (e tra Europa e Italia). 6 6 Concorrenza, bene pubblico americana7. Questi studi hanno dunque dimostrato l’esistenza di una correlazione positiva tra crescita della produttività multifattoriale con diverse misure di intensità tecnologica. Nuovi investimenti, nuove tecnologie e nuovi prodotti si sono tradotti, per gli Stati Uniti, in guadagni di produttività e in incrementi di crescita economica (Gordon, 2004). Nel modello di crescita neoclassica anche la regolazione dell’attività economica influisce sul livello di output prodotto nel sistema, mentre un suo aumento continuo influisce sugli equilibri di lungo periodo, contribuendo a un abbassamento del tasso di crescita (North, 1990; Aghion e al. 2001): l’effetto è principalmente di spostare verso l’alto la funzione di costo delle imprese e verso il basso la funzione di produzione, generando un più basso livello di prodotto e un più basso tasso di crescita nel lungo termine. Altri studi hanno mostrato l’importanza dell’assetto delle istituzioni economiche - in particolare la presenza di varie forme di “corporativismo”- quale fattore decisivo per la spiegazione del divario in termini di performance economica. L’idea di fondo è che il business environment e le forme di mercato che caratterizzano il sistema economico di ciascun paese sono anche il risultato delle istituzioni e delle politiche assunte in quel paese. Nelle recenti analisi di Phelps (2003, 2004) emerge che esse possono creare ostacoli e impedimenti all’attività economica principalmente in tre ambiti : (i) nella creazione di “circoli chiusi”. I sistemi corporativi riescono, anche in modo informale, attraverso una rete di insiders, a controllare il cambiamento economico e finanziario di un paese. Creando un legame tra imprese, sindacati e banche8, riescono a limitare e/o a filtrare la realizzazione o la rinuncia a determinati progetti industriali, finanziari, all’acquisto/alla vendita di compagnie e banche, etc.; (ii) nello sviluppo del mercato finanziario. Dato che l’obiettivo principale di un sistema governato da istituzioni corporative è di impedire un’incontrollata “distruzione creativa” propria del capitalismo Schumpeteriano, anche lo sviluppo del mercato finanziario è vincolato al rispetto di norme rigide sulla quotazione delle società, sugli standard di contabilità e governance e sulla sua liquidità; (iii) nella creazione di nuove imprese o nelle condizioni di uscita/entrata nel mercato del lavoro. L’accesso al mercato da parte di nuovi entranti è vincolato dalla concessione di diverse autorizzazioni (licenze e/o permessi) da parte dell’autorità amministrativa competente. Altri vincoli derivano invece dalla legislazione a protezione del rapporto di lavoro (employment protection legislation, di seguito ELP). L’EPL rende costoso per l’impresa terminare un rapporto di impiego a causa di procedure lunghe e di indennità di licenziamento troppo onerose. Nell’ultimo decennio, caratterizzato da rapidi cambiamenti tecnologici, si è sviluppato un crescente interesse per gli effetti esercitati dai contesti istituzionali e normativi relativi al mercato del lavoro e dei prodotti su produttività e innovazione del settore industriale (Blanchard e Giavazzi, 2002; Nicoletti e Scarpetta, 2003). Una rigida regolazione del mercato dei beni ha un effetto negativo sul grado di concorrenza dei mercati, sull’adozione di nuove tecnologie e sulla produttività: aumenta i costi per le imprese operanti nel mercato, scoraggia l’ingresso di nuove, disincentiva quelle già esistenti ad allocare efficientemente le risorse ed a innovare. La regolazione, nell’ostacolare l’accesso al mercato di nuovi entranti, rischia di rallentare lo sviluppo tecnologico e l’andamento della produttività aggregata. Le nuove imprese, infatti, 7 Il progresso tecnico è in genere misurato dalla spesa in ICT. Gli Stati Uniti, infatti, hanno investito molto nella capacità di innovazione tecnologica, nel settore ICT, che ora conta per il 7,8% del PIL, mentre in Europa è del 6,3% e in Italia è solo del 5,3%. Elaborazioni su dati Eurostat 2004. 8 Ciascuna di queste istituzioni è governata da un’elite che lavora per il mantenimento dello status quo. Cfr. Phelps (2003), p. 24. 7 Concorrenza, bene pubblico adottano più facilmente nuove tecnologie rispetto alle imprese già esistenti perché sostengono costi opportunità più bassi e contribuiscono, più delle altre, alla crescita della produttività settoriale (cfr. Gjersem, 2004 e Schiantarelli, 2005 per una rassegna). In modo analogo, un rigido assetto normativo del mercato del lavoro può incidere sulla dinamica della produttività. In particolare, una rigida normativa per la protezione dell’impiego aumenta i costi per le imprese di riallocazione della forza lavoro sempre più necessaria in un contesto caratterizzato da un rapido progresso tecnologico. Questi effetti sono più marcati quando le imprese non possono compensare i più elevati costi di licenziamento e di adeguamento del processo di produzione alle dinamiche del mercato con il processo di formazione dei salari (cfr. tra molti altri Scarpetta e al., 2002; Scarpetta e Tressel 2002). Le istituzioni incidono dunque sull’ambiente in cui operano gli agenti economici e sulla capacità che essi hanno di alimentare e sfruttare l’innovazione tecnologica. Analisi di questo tipo tendono a tenere conto anche dei fattori culturali che caratterizzano il modo di operare in ciascun paese. A tal riguardo, Roe (2002), Phelps (2003 e 2004) e Gordon (2004) tra gli altri, considerano le differenze culturali tra le possibili determinanti dell’andamento e dei differenziali di produttività tra Stati Uniti e paesi europei. Mentre in Europa si è sviluppata la “cultura della dipendenza”, gli americani imparano a essere economicamente indipendenti a giovane età, a lavorare prima degli europei, a pagarsi gli studi all’università lavorando in “fast-food e outlet” (Gordon, 2004, p.50). Aghion e al. (2005), tra i più recenti studi teorici, sostiene la possibilità di una relazione a parabola tra struttura di mercato e innovazione, riconducibile al fatto che i forti incentivi a innovare sono presenti sia in una struttura di mercato molto concorrenziale sia monopolistica, dove si realizzano investimenti in innovazione grazie all’utilizzo della rendita di posizione da parte dell’impresa dominante. Per Etro (2004) questo ragionamento rimane valido soprattutto quando, in presenza di barriere all’ingresso non troppo elevate, il monopolista investe in innovazione al fine di evitare l’entrata di potenziali concorrenti e continuare ad appropriarsi delle rendite generate. Nonostante alcune visioni contrapposte, vi è ampio consenso nella comunità accademica e tra policy makers sui benefici di un sistema economico competitivo, dove i diversi vincoli all’attività economica del settore privato sono contenuti, le risorse si allocano in modo efficiente traducendosi in guadagni di produttività e in crescita economica. Questo consenso si fonda sui numerosi studi empirici che hanno rilevato l’esistenza di una relazione inversa tra una rigida regolazione e una buona performance del sistema o, viceversa, di una correlazione positiva tra aumenti del livello di concorrenza nel mercato e aumenti di produttività (cfr., tra tutti, Haskel, 1991; Nickell, 1996; Bassanini e Ernst, 2002; Scarpetta e al., 2002; Scarpetta e Tressel 2002; Gordon, 2004;Conway e al., 2005; Loayza e al., 2005; Schiantarelli, 2005). In particolare, gli studi di Nicoletti e Scarpetta (2003) e Scarpetta e Tressel (2002) condotti per 18 paesi Ocse e 23 industrie (17 del settore manifatturiero e 6 dei servizi) dimostrano che: a) un basso valore dell’indicatore di rigidità del mercato dei prodotti (Tab.2) - costruito tenendo conto delle barriere all’entrata poste dalla regolamentazione sull’attività imprenditoriale e dal controllo diretto dello Stato sull'economia (economic regulation); dei vincoli amministrativi all’attività economica (administrative regulation); delle barriere relative al commercio e agli investimenti diretti (barriers to trade) - è correlato positivamente con un sostenuto tasso di crescita della produttività del lavoro (Fig.4). Questo perché un ambiente competitivo contribuisce ad aprire il mercato del lavoro alla concorrenza e a ridurre l’incentivo dei lavoratori ad appropriarsi indebitamente di rendite attraverso attività di lobby per il mantenimento della legislazione a protezione del rapporto di lavoro (cfr. Blanchard e Giavazzi, 2002); b) regolamentazioni troppo rigide possono incidere negativamente sull’attività e sulla 8 Concorrenza, bene pubblico spesa in Ricerca e Sviluppo delle industrie e dunque sull’andamento della produttività totale9. nell'industria manifatturiera, 1994-2004 Tasso di crescita della produttività del lavoro F ig .4 - R e g o la m e n ta z io n e e p r o d u ttiv ità d e l la v o r o 1 0 .0 9 .0 8 .0 7 .0 6 .0 5 .0 4 .0 3 .0 2 .0 1 .0 0 .0 IR L SVE USA AUS G IA P UK DAN GER POR FRA GR O LA CAN AUL 0 .5 BEL IT A SPA 0 .8 1 .1 1 .4 1 .7 2 I n d ic e d i r e g o la m e n t a z io n e d e l m e r c a t o d e i p r o d o t t i, 2 0 0 3 * P e r G r e c i a e I r la n d a : t a s s o d i c r e s c it a 1 9 9 5 - 2 0 0 4 . F o n t e : E la b o r a z io n i s u d a t i d e lla C o m m is s io n e E u r o p e a e O c s e . , F ig .5 - R e g o la m e n ta z io n e e c r e s c ita Tasso di crescita economica 1994-2004 1994-2004 8 .0 IR L 7 .0 6 .0 5 .0 AUL 4 .0 CAN USA 3 .0 UK DAN 2 .0 1 .0 0 .5 0 .8 F IN 1 .1 1 .4 GRE SPA O LA POR SVE BEL AUS G IA P GER FRA IT A 1 .7 2 I n d ic e d i r e g o la m e n t a z io n e d e l m e r c a t o d e i p r o d o t t i, 2 0 0 3 F o n t e : e la b o r a z io n i s u d a t i E u r o s t a t e O c s e . Nell’ultimo decennio, la maggior parte dei paesi ha avviato riforme della regolamentazione del mercato dei prodotti e del lavoro, anche se di diversa intensità e a partire da condizioni iniziali diverse10. Queste riforme creano un interessante contesto per la verifica di numerose ipotesi teoriche riguardanti gli effetti delle politiche volte a promuovere la concorrenza. I risultati empirici supportano l’idea di fondo relativa agli effetti benefici degli interventi di riforma pro-competitivi dei mercati dei prodotti e del lavoro sulla produzione, sull’innovazione, sulla produttività e sulla crescita, con implicazioni negative- ma di breve periodo- sull’occupazione in seguito all’uscita dal mercato delle imprese inefficienti (cfr., per es., Griffith e Harrison, 2004; Nicodème e Sauner-Leroy, 2004; Gjersem 2004; Faini et al., 2005)11. Come dimostrato dai lavori di 9 Scarpetta e Tressel (2002) utilizzano la spesa in Ricerca e Sviluppo quale proxy dell’attività innovativa delle 23 industrie e dimostrano che l’impatto di questa variabile sulla produttività è particolarmente significativo per le industrie high-tech operanti nei paesi leader dal punto di vista tecnologico. 10 Sul tema ci sono, oltre ai diversi studi della letteratura economica, anche analisi puntuali sulle riforme della regolazione attuate o da realizzare nei singoli paesi condotte da istituzioni internazionali, quali il Fondo Monetario, l’OCSE, la Banca Mondiale, la BCE. 11 Contrariamente alla gran parte delle verifiche empiriche, inoltre, nello studio di Basu e Kimball (2004), le innovazioni tecnologiche, in un contesto di concorrenza imperfetta e di rigidità nominali, comportano, nel 9 Concorrenza, bene pubblico Nicoletti e Scarpetta (2000, 2003, 2005), di Scarpetta e al. (2002) e Bassanini ed Ernst (2002), gli interventi di riforma, volti a creare un ambiente competitivo per le industrie nelle quali l’Europa ha accumulato un gap tecnologico (Ict-related industries), favoriscono una maggiore diffusione e adozione di tecnologie Ict nei processi di produzione, nonché una maggiore propensione delle imprese (e dei paesi) a investire in attività di Ricerca e Sviluppo, in conoscenza, per essere competitive e non perdere quote di mercato. Gli Stati Uniti che hanno – prima di altri - adottato misure di riforma in senso concorrenziale del mercato dei beni e del lavoro hanno potuto velocemente adeguare il sistema economico alla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le hanno adottate con effetti benefici sulla crescita di produttività del lavoro e del sistema economico nel suo complesso (Feldstein, 2003; Figg.4-5). A supporto di questi risultati, Suppanaz e al. (2004) dimostrano, mediante l’utilizzo di diversi indicatori, che gli Stati Uniti sono il paese, tra quelli OCSE, in cui la relazione positiva tra deregolamentazione/competitività e aumenti di produttività trova il riscontro empirico più evidente. Gli studi di Nicoletti e Scarpetta (2003; 2005) mostrano che riformando in Europa il contesto regolatorio, sia nel suo complesso sia mediante interventi ad hoc in alcuni settori industriali, al fine di rendere i paesi europei più simili ai paesi più liberali tra quelli OCSE (come gli Stati Uniti), la maggiore crescita della produttività totale sarebbe, nell’arco di un decennio, pari a un tasso annuo compreso tra lo 0,1% e l’1,1% (Tab.1). L’effetto complessivo degli interventi di riforma risulta tanto più incisivo quanto più è rigido il contesto normativo del paese. Tab.1 - Variazione della crescita annua della produttività totale dei fattori in seguito all'allineamento delle politiche della regolazione di ciascun paese alle best practices dei paesi OCSE nell'arco di un decennio Paesi Regno Unito Danimarca Spagna Austria Olanda Finlandia Belgio Francia Portogallo Germania Italia Grecia Contributo derivante dalle riforme regolatorie: di tipo generale specifiche per il settore industriale 0.00 0.10 0.12 0.10 0.11 0.04 0.15 0.19 0.23 0.08 0.22 0.29 0.11 0.27 0.28 0.32 0.34 0.55 0.45 0.43 0.42 0.62 0.48 0.83 Effetto totale 0.11 0.37 0.41 0.42 0.45 0.59 0.60 0.62 0.65 0.70 0.70 1.12 I risultati si basano su stime panel relative a 23 industrie per 18 paesi per il periodo1984-1998. Fonte: Nicoletti e Scarpetta (2003). Le tabelle 1 e 2, mostrano una situazione non uniforme in Europa. I paesi europei differiscono per regime di regolazione, per grado di rigidità, per estensione dell’intervento pubblico nei settori economici e per i potenziali effetti derivanti da riforme pro-competitive, date le iniziali condizioni di partenza. Per il Regno Unito, per breve periodo, una riduzione dell’impiego di input, una riduzione della domanda di investimento e una diminuzione dell’output. 10 Concorrenza, bene pubblico esempio, Guadalupe (2004), partendo dal legame tra regime competitivo del mercato dei prodotti e del mercato del lavoro, dimostra che con l’aumento della concorrenza, i profitti delle imprese sono più sensibili alla riduzione dei costi. Le imprese tendono dunque ad assumere capitale umano altamente qualificato in grado di aumentare la produttività a costi minori e per questo, sono disposte a pagare salari più elevati rispetto a lavoratori di bassa qualità12. Tra i paesi europei, l’Italia si distingue per essere un outlier in senso negativo (Nicoletti, 2002): registra tassi di crescita del Pil, del reddito pro-capite e di produttività minori (cfr. Figg.1-3) correlati alla rigidità della regolazione dei mercati (cfr. Figg. 4-5). Quest’ultima è a sua volta riconducibile a un’ingente presenza dello Stato nell’economia, ai forti vincoli amministrativi all’attività imprenditoriale, alle barriere normative all’ingresso di nuovi operatori anche stranieri e alle barriere al commercio internazionale (Tab.2). Sebbene vi siano stati dei progressi, a partire dalla fine degli anni Novanta, documentati da una diminuzione in termini assoluti dell'indicatore sintetico OCSE di rigidità del mercato dei prodotti (Tab.2), l’ordinamento italiano resta in termini relativi tra quelli più restrittivi, ben distaccato dal gruppo di paesi OCSE che presentano minori vincoli amministrativi e regolamentari. Il gruppo di paesi relatively restrictive, ossia con un indice intorno al 2, è composto, oltre a diversi paesi dell’Est europeo, da Italia,Turchia, Messico e Grecia. Tra i paesi relatively liberal, con un indice vicino all’1, troviamo i paesi di common law, la Danimarca e la Svezia. Altri studi mettono in luce come l’Italia sia stata - e continui a esserlo - caratterizzata da un ambiente normativo più rigido, dall’esistenza di diversi vincoli esterni all’attività imprenditoriale rispetto alla media OCSE e alla media europea, (fra tutti, ISAE, 2000; Nicoletti, 2002; Pryor, 2002). Anche gli indicatori pubblicati annualmente della Banca Mondiale evidenziano (Tab.3) l’esistenza di vincoli e costi per l’avvio di un attività imprenditoriale nel nostro paese particolarmente gravosi: il costo (in dollari) di avviare una attività imprenditoriale è in Italia circa 20 volte più alto di quello che si sostiene negli Stati Uniti, ma anche ben 11 volte più gravoso di quello francese e finlandese. Il numero di procedimenti da avviare in Italia è 9 rispetto ai 2 necessari in Canada e ai 3 richiesti in Svezia e Finlandia. A tutto questo si aggiunge il fatto che in Italia, come in Europa, esistono ancora settori normativamente più protetti e più “problematici” per la concorrenza, in misura rilevante quelli che offrono beni e servizi intermedi utilizzati in particolare dall’industria esportatrice (Autorità garante per la concorrenza e per il mercato, 2003). Si tratta principalmente, come rilevato da diverse analisi empiriche, delle attività di servizi privati forniti a cittadini e imprese. 12 In particolare, Guadalupe verifica l’esistenza di rilevanti differenziali salariali tra i lavoratori del settore manifatturiero dal 1982 al 1999, in seguito alle riforme di deregulation realizzate nel Regno Unito. 11 Concorrenza, bene pubblico Tabella 2: La rigidità del mercato dei prodotti (grado di rigidità: 0=assente; 6 = molto alto) Indicatore sintetico di Controllo dello Paesi rigidità del Stato mercato dei prodotti 1998 2003 1998 2003 Australia 1,3 0,9 1,4 0,6 Austria 1,8 1,4 2,5 1,9 Belgio 2,1 1,4 3,3 2,4 Canada 1,4 1,2 1,8 1,7 Danimarca 1,5 1,1 2,2 1,3 Finlandia 2,1 1,3 3,3 2,3 Francia 2,5 1,7 3,3 2,7 Germania 1,9 1,4 2,9 2,2 Grecia 2,8 1,8 4,5 2,8 Ungheria 2,5 2,0 3,9 3,3 Irlanda 1,5 1,1 2,6 2,0 Italia 2,8 1,9 4,4 3,2 Giappone 1,9 1,3 1,9 1,5 Messico 2,4 2,2 2,5 1,9 Olanda 1,8 1,4 2,7 1,9 Norvegia 1,8 1,5 3,2 2,8 Polonia 3,9 2,8 4,6 3,6 Portogallo 2,1 1,6 3,7 2,7 Spagna 2,3 1,6 3,2 2,7 Svezia 1,8 1,2 2,2 1,9 Turchia 3,1 2,3 3,9 2,8 Regno Unito 1,1 0,9 1,8 1,7 Stati Uniti 1,3 1,0 1,4 1,2 Fonte: Conway e al.(2005). Barriere al commercio e all’investimento internazionale Barriere all’attività d’impresa 1998 1,4 1,7 1,9 1,0 1,4 2,1 2,8 2,0 2,1 1,6 1,2 2,7 2,4 2,7 1,9 1,5 2,8 1,8 2,3 1,9 3,2 1,1 1,5 2003 1,1 1,6 1,6 0,8 1,2 1,1 1,6 1,6 1,6 1,4 0,9 1,4 1,4 2,2 1,6 1,0 2,3 1,3 1,6 1,1 2,5 0,8 1,2 1998 1,0 1,3 1,1 1,3 0,9 1,1 1,5 0,9 1,9 1,9 0,8 1,5 1,3 2,1 0,9 1,0 4,3 1,1 1,6 1,4 2,3 0,6 1,1 2003 0,9 0,7 0,3 1,1 0,8 0,6 1,0 0,6 1,2 1,4 0,5 1,1 0,9 2,4 0,7 0,8 2,4 0,8 0,7 0,8 1,7 0,4 0,7 Tabella 3: Tempi e costi per l'avvio di una attività di impresa, 2005 Numero procedimenti Giorni lavorativi Costi (valori in dollari) Canada 2 3 252.5 Danimarca 3 5 0,0 Regno Unito 6 18 246.9 Stati Uniti 5 5 210.0 Finlandia 3 14 378.8 Svezia 3 16 250.2 Francia 7 8 353.4 Italia 9 13 4102.1 Fonte: Banca Mondiale, Doing business. 3. La regolazione nel settore dei servizi: quali effetti sul sistema economico Il Consiglio europeo del marzo 2005 ha individuato nell’apertura dei mercati, nel buon funzionamento del mercato interno e nella creazione di un mercato unico dei servizi alcune delle misure essenziali per rafforzare il potenziale di crescita 12 Concorrenza, bene pubblico dell’economia europea nel medio-lungo termine. In questo processo, i servizi privati13 svolgono una funzione importante, per la rilevanza che ricoprono nell’economia europea (e italiana) e perché possono stimolare la ristrutturazione e favorire la competitività di altri settori e, dunque, del sistema economico nel suo complesso. Dagli anni Novanta i servizi sono stati generalmente le attività economiche più dinamiche e hanno contribuito a spiegare gran parte del tasso di crescita sia delle principali economie europee (compresa l’Italia), sia degli Stati Uniti14 (Tab.4). Nel 2003 i servizi privati rappresentavano il 65% del valore aggiunto dell’Unione europea a 15, una quota più bassa di quella degli Stati Uniti. Sempre nell’UE a 15, il settore dei servizi impiegava nel 2003 più del 41% degli occupati (ma era 37% già nel 1993), con livelli superiori alla media europea, tra il 42 e il 55%, in Belgio, Lussemburgo, Olanda e Regno Unito. Tabella 4: Crescita media annua1 e contributi alla crescita tra il 1993 e il 2003, peso2 dei vari settori di attività economica nel 2003 Paesi Francia Germania Italia Regno Unito Unione europea Agricoltura, Industria in silvicoltura e senso pesca stretto Crescita Contributo Peso Crescita Contributo Peso Crescita Contributo Peso Crescita Contributo Peso Crescita Contributo Peso 0.8 1.3 3.5 1.0 0.8 1.4 -0.1 -0.2 3.2 0.2 0.1 1.5 0.5 0.4 2.5 2.8 35.3 24.7 0.7 12.2 31.2 1.4 21.2 27.0 1.0 10.5 30.8 3.4 32.5 25.4 Stati Uniti 4 Costruzioni -0.8 -2.5 6.6 -2.2 -8.4 5.4 1.1 3.7 6.3 2.2 6.2 10.1 0.9 2.1 6.8 Crescita 3.3 2.5 3.0 Contributo 1.8 17.2 5.4 Peso 2.0 22.2 6.2 1 Tasso di crescita medio annuo del valore aggiunto a prezzi base 2000. 2 Quota sul valore aggiunto dell'intera economia a prezzi base correnti. 3 Esclusi i servizi della PA, difesa, assicurazione sociale, sanità e altri servizi sociali. 4 1993-2001. Fonte: elaborazioni su dati OCSE, National Accounts. Servizi privati 3 Totale settori 2.1 65.9 65.3 3.0 95.4 62.0 2.3 75.2 63.6 4.2 83.1 57.6 3.1 65.1 65.3 2.0 100 100 1.8 100 100 1.9 100 100 2.9 100 100 3.0 100 100 4.1 75.6 69.6 3.6 100 100 Anche in Italia, negli ultimi dieci anni, il settore dei servizi è stato il più dinamico, ma con tassi di crescita più contenuti rispetto a quelli registrati negli altri paesi prima citati, fatta eccezione della Francia (Tab.4). E’ diventato anche il settore più rilevante in termini di valore aggiunto (circa il 64% dell’intera economia) e di occupati (il 39% circa dell’occupazione totale) e tra il 1993 e il 2003 ha contribuito per oltre il 75% alla crescita dell’economia. 13 Il comparto ricopre branche di attività economica molto eterogenee tra di loro, quali commercio e pubblici esercizi (tra cui alberghi e ristoranti), trasporti, magazzinaggio e comunicazioni, intermediazione finanziaria, attività immobiliari e altri servizi alle imprese. 14 L’ottima performance degli Stati Uniti dal 1993 al 2003 non sembra riconducibile a un settore in particolare, quanto piuttosto agli alti tassi di crescita mostrati da tutti i settori dell’economia. 13 Concorrenza, bene pubblico Per quanto riguarda la produttività,un recente studio di Van Ark e al. (2003), che scompone i settori di attività economica in due categorie, rispettivamente produttori e utilizzatori di ICT 15, evidenzia che (Tab.5) il differenziale di produttività più significativo tra Stati Uniti ed Europa si rileva nelle imprese manifatturiere produttrici di ICT e nei servizi utilizzatori delle nuove tecnologie. Tra le imprese troviamo, in particolare, quelle di fabbricazione di macchine per ufficio, di apparecchi trasmittenti e riceventi per la radiodiffusione e la televisione e per la telefonia, nonché di apparecchi medicali e chirurgici. Tra i servizi troviamo il commercio all’ingrosso e al dettaglio, nonché attività di intermediazione finanziaria (incluse le assicurazioni e i fondi pensione) e le attività di ricerca e sviluppo. In particolare, dallo studio di Van Ark emerge che il differenziale di produttività nei servizi tra Stati Uniti ed Europa è riconducibile per il 55% al commercio al dettaglio, per il 24% al commercio all’ingrosso e per la restante parte alle attività finanziarie. Tabella 5: Crescita della produttività in imprese e servizi, 1995-2001 (variazioni % medie annue) Unione Stati Uniti europea Italia Totale economia 2,2 1,7 1,3* Industrie produttrici di Ict - Imprese manifatturiere - Servizi 10,0 23,7 1,8 7,5 11,9 5,9 5,3 n.d. n.d. Industrie utilizzatrici di Ict - Imprese manifatturiere - Servizi 4,7 0,4 5,3 1,9 1,8 1,8 1,6 n.d. 1,0* Altre *Stime. Fonte:Van Ark e al. (2003). -0,2 1,0 0,4 L’analisi delle problematiche di un settore ‘tradizionale’ come quello distributivo è molto utile per comprendere, almeno in parte, il divario di produttività tra Europa e Stati Uniti. Gordon (2004) spiega tale divario con il differente grado di rigidità della regolazione del settore nei due continenti. Mentre gli Stati Uniti si caratterizzano per l’assenza di rigidità, tra i paesi dell’Unione europea esistono ampie differenze nel regime di regolamentazione del settore del commercio al dettaglio e all’ingrosso. Il grado di regolamentazione incide sulla struttura del settore, ostacolando operazioni di concentrazione tra le unità di vendita che consentono di sfruttare economie di scala e di scopo (definite da Gordon “big-box organization/store”). Le forme di regolamentazione più diffuse riguardano l’utilizzo del terreno (di cui, tra l’altro, gli Stati Uniti sono maggiormente dotati), quelle urbanistiche, le restrizioni sugli orari di esercizio e sulle condizioni in entrata e in uscita dei lavoratori. I paesi europei con un assetto regolamentare meno rigido e con un certo grado di concorrenza nel settore sono anche quelli in cui è accresciuta la presenza della grande distribuzione (e la produttività del settore) come negli USA: è il caso, per esempio, della Francia e della 15 Lo studio effettua un’analisi anche sugli andamenti della produttività del lavoro e sull’impiego di capitale da parte delle imprese considerate. 14 Concorrenza, bene pubblico Svezia, non dell’Italia (Boylaud, 2000; Boylaud e Nicoletti, 2001; ISAE 2002; Rapacciuolo e Sgarra, 2003). Nei moderni sistemi produttivi, i servizi tendono, inoltre, ad assumere una crescente importanza per la competitività: nel complesso sistema di interdipendenze che caratterizzano le moderne economie, i servizi sono parte degli input impiegati per la produzione di beni finali. Si stima che il peso dei servizi nel valore della produzione manifatturiera sia all’incirca del 45% nel Regno Unito, del 38% in Italia e sia compreso tra il 34-41% in Germania (Tab.6). Cosicché una bassa o elevata produttività dei primi incide sulla competitività dell’intero sistema e per tale via sulla crescita. Tabella 6 - Incidenza dei servizi sulla produzione manifatturiera Italia 1985 Media semplice 1992 Germania 1986 1990 Regno Unito 1995 1984 1990 1998 0.2905 0.3633 0.3024 0.3089 0.3408 0.2376 0.3865 0.4501 Media ponderata con 0.3091 0.3761 0.3528 i VA settoriali 0.359 0.4102 0.2585 0.4072 0.4454 Fonte: Faini e al. (2005). Nonostante il settore dei servizi sia il principale fattore di crescita e la più rilevante fonte occupazionale in Europa, il commercio intra-europeo di servizi è al di sotto delle sue potenzialità. Recenti stime OCSE – basate sui dati della bilancia dei pagamenti mostrano che le esportazioni di servizi rappresentano solo un quinto del commercio totale intra-UE (Vogt, 2005). Includendo i servizi offerti da imprese nazionali mediante partecipate estere, non computati nella parte corrente della bilancia dei pagamenti, il peso delle esportazioni di servizi sul commercio intra-UE aumenta, raggiungendo il 40% circa (per la maggior parte riconducibile alle attività di viaggio e turismo; cfr. Karsenty, 2000). E’ una quota bassa se comparata con il peso del settore nelle economie europee. Su questa bassa performance incidono diversi fattori, in particolare il grado di regolamentazione del settore a livello nazionale e l’eterogeneità delle regolazioni medesime. La presenza di vincoli normativi e amministrativi specifici e differenti per ogni Stato membro ostacola sia l’offerta interna e transfrontaliera di servizi sia eventuali investimenti diretti esteri. Gran parte di queste restrizioni sono sintetizzate negli indicatori di rigidità del mercato dei servizi, Domestic and Foreign Restrictiveness Indeces, della Productivity Commission del Governo Australiano e dell’Australian National University. In un progetto di ricerca congiunto, le due istituzioni hanno elaborato i due indici tenendo conto delle barriere all’entrata poste dalla regolamentazione per l’accesso, l’avvio e lo stabilimento dell’impresa di servizi sia nazionale sia estera in ciascun paese oggetto del campione (restrictions on establishment); dei vincoli amministrativi e normativi posti all’esercizio dell’attività e alla fornitura del servizio (restrictions on ongoing operations)16. Tali restrizioni incidono sulla struttura del settore, sulla sua dimensione e sulla sua efficienza: mentre le imprese manifatturiere sono sottoposte alla concorrenza estera e continuamente 16 Gli indici riguardano inoltre otto diversi tipi di attività di servizi (tra cui alcune professioni regolamentate, servizi di intermediazione finanziaria, commercio al dettaglio e distribuzione, comunicazioni) e coprono un campione molto ampio di paesi europei, asiatici e americani. Cfr. Measures of Restrictions on Trade in Services Database: http://www.pc.gov.au/research/rm/servicesrestriction/index.html e McGuire ( 2002). 15 Concorrenza, bene pubblico incentivate a migliorare l’efficienza dei processi produttivi e la qualità e varietà dei beni offerti, i prestatori di servizi sono protetti da barriere alla concorrenza, tendono a operare su scala nazionale (il grado di apertura è mediamente dell’85% più basso rispetto a quello dell’industria manifatturiera)17 e non sono incentivati a un utilizzo efficiente delle risorse né a guadagni di produttività, piuttosto ad appropriarsi di rendite di posizione. La figura 6 mostra la relazione negativa esistente tra l’indicatore sintetico delle restrizioni imposte al libero scambio di servizi da parte di imprese nazionali ed estere e il tasso di crescita della produttività del lavoro nel settore dei servizi dal 1995 al 2003: a un più alto valore dell’indicatore corrisponde, nella maggior parte dei paesi considerati, un basso tasso di crescita della produttività. *Le numerose restrizioni regolamentari e amministrative presenti a livello nazionale riducono le potenzialità di crescita del settore e con esse, quelle dell’intero sistema economico nazionale ed europeo. Recenti studi mettono in luce gli effetti postivi derivanti dal potenziamento della concorrenza nel comparto dei servizi. Dall’analisi della Commissione europea (2004) emerge che l’eliminazione di barriere al commercio e agli investimenti transfrontalieri e la creazione in Europa di un mercato interno di servizi competitivo incentiverebbero le imprese a innovarsi, a utilizzare le risorse in modo più produttivo e, trattandosi di attività labour intensive, fornire più opportunità di lavoro. Lo sviluppo del settore comporterebbe gli stessi ampi vantaggi in termini di crescita (+1,8% del PIL) e di occupazione (+2,5 milioni di posti di lavoro) registratisi grazie al miglior funzionamento del mercato interno dei beni. A supporto di tale tesi, uno studio della Copenhagen Economics (2005) mostra che la riduzione di vincoli e ostacoli regolamentari e normativi (misurati mediante un indicatore sintetico delle restrizioni nel mercato interno dei servizi per le imprese nazionali ed estere, IMRIS) dovrebbe condurre, per le imprese, a una riduzione notevole dei costi di fornitura di servizi, a miglioramenti produttivi e ad aumenti nel livello di produzione; per i 17 Elaborazioni su dati di Faini et al. (2005). 16 Concorrenza, bene pubblico consumatori, a un aumento nelle possibilità di scelta (i consumatori dovrebbero beneficiare di una più ampia varietà di servizi a prezzi più bassi), a maggiori opportunità di lavoro e a salari più elevati, con notevoli guadagni di benessere per l’intera collettività18. Gli aumenti di welfare si sostanziano in un incremento dei consumi complessivi di 0,6 punti percentuali (di 0,7 nel lungo periodo, in assenza di ogni forma di restrizione alla libera circolazione), con un aumento dello 0,3% del tasso di occupazione (fino a 600.000 posti di lavoro) e dello 0,4% del salario reale. Rilevanti dovrebbero essere anche gli incrementi in termini di produzione e di valore aggiunto in tutti i settori economici stimati in 33 miliardi di euro. Uno studio del CPB, centro olandese di ricerche economiche (2005), analizza il potenziale impatto di un’apertura del mercato dei servizi in Europa e si concentra sugli effetti sul commercio internazionale e sugli investimenti diretti esteri. Attualmente i servizi rappresentano appena il 20% del commercio intracomunitario, mentre l’analisi del CPB conclude che la riduzione dei vincoli normativi e amministrativi dovrebbe favorire un aumento sia del volume di scambi intra-UE di servizi del 30-60% e degli investimenti diretti esteri del 20-35%. L’entità dell’aumento dipende dal grado di disparità tra le regolamentazioni di uno Stato rispetto ai propri partner commerciali: maggiore è l’eterogeneità iniziale, più elevato è l’aumento previsto negli scambi bilaterali e nei flussi di IDE. E’ questo il caso di paesi come l’Italia, l’Austria, la Spagna, la Grecia e il Portogallo. Anche gli studi OCSE suggeriscono che, pur essendo la liberalizzazione dei servizi uno degli strumenti più importanti per realizzare le riforme strutturali sottese al programma di Lisbona, tuttavia non tutti gli Stati membri ne beneficeranno in ugual misura, essendo caratterizzati da sistemi e gradi di regolamentazione dei servizi differenti (Vogt, 2005)19. Alcuni paesi – tra i quali l’Italia – dove i sistemi di regolamentazione sono più rigidi e restrittivi, potranno avvantaggiarsi degli effetti benefici dell’apertura al mercato delle attività di servizi in termini di crescita economica, produttività, scambi commerciali e di miglioramenti nella dimensione ed efficienza del settore medesimo. Conclusioni Dalla rassegna della letteratura sul nesso tra performance economica e regolazione emerge una indicazione di policy chiara in favore dell'’implementazione di politiche proconcorrenziali. Non sono altrettanto esplicite le specifiche azioni che ne derivano. Molte della analisi utilizzano indicatori sintetici che aggregano diversi aspetti relativi al contesto normativo ed istituzionale di un paese. Il limite di questi studi è la genericità delle indicazioni di policy: essi rilevano gli effetti benefici di riforme della regolazione orientate al mercato sulla performance economica di un paese, ma non forniscono indicazioni puntuali sulle modalità e sugli ambiti specifici di intervento. Studi più di dettaglio, che analizzano singoli settori o comparti di attività economica, hanno il pregio di approfondire gli aspetti critici della regolazione e avanzare proposte di policy puntuali. Un altro aspetto rilevante che emerge dalla rassegna dei lavori empirici è la presenza di una complementarietà tra assetti normativi più o meno rigidi dei diversi mercati. In generale, Paesi con elevata rigidità del mercato dei beni presentano una corrispondente rigidità della regolazione in altri mercati (del lavoro, dei servizi, etc.) e 18 Lo studio considera le barriere presenti nei tre importanti comparti del settore dei servizi, quello delle professioni regolamentate, del commercio al dettaglio e della distribuzione e i servizi alle imprese. Cfr. Copenhagen Economics (2005). I risultati di questo studio sono stati ripresi dalla Commissione europea nella Comunicazione al Consiglio per il rilancio della strategia di Lisbona. Cfr. Commissione europea (2005). 19 Cfr. Conclusioni della Presidenza, Consiglio europeo di Lisbona, 23 e 24 marzo 2000, http://ue.eu.int/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/00100-r1.i0.htm; Vogt L. (2005). 17 Concorrenza, bene pubblico viceversa. La figura 7 mostra, per esempio, la correlazione piuttosto elevata (0,73) che si registrava tra rigidità del mercato dei prodotti e del mercato del lavoro alla fine degli anni Novanta: i paesi anglosassoni, di tradizione più liberale e concorrenziale, si caratterizzano per un assetto di entrambi i mercati più favorevole all’attività d’impresa; al contrario, paesi come l’Italia, la Francia, la Grecia e il Portogallo si distinguono per scarsa concorrenzialità nel mercato dei beni e un elevato grado di protezione del lavoro20. Queste rigidità non solo incidono sulla struttura del mercato, ma creano anche oneri all’attività d’impresa e rendono più difficoltosi sia l’utilizzo efficiente delle risorse sia l’adeguamento del processo produttivo alle dinamiche di mercato. E’ stato ampiamente dimostrato che aumenti di concorrenza in questi mercati comportano, nel medio termine, una migliore performance in termini di innovazione, produttività e crescita. E’ dunque importante che i policy makers intervengano con riforme pro-concorrenziali, scelgano il modo e l’entità di intervento più opportuni, tenendo conto della complementarietà tra regimi di regolazione. Le modalità di attuazione delle riforme possono seguire due approcci differenti: a) un approccio “radicale” in cui si riformano contemporaneamente gli assetti normativi dei diversi mercati; b) un approccio “graduale” in cui si interviene con intensità e in tempi differenti sui diversi mercati. Dal punto di vista della political economy il primo approccio è migliore del secondo: la correlazione tra regimi di regolazione rigidi potrebbe rendere la riforma procompetitiva su un solo mercato meno efficace rispetto a una riforma simultanea attuata 20 Questo lavoro è stato esteso da Conway e al. (2005) ad un campione di paesi più numeroso per l’anno 2003. Il coefficiente di correlazione è risultato significativo e pari a 0,5. Poiché i nuovi paesi introdotti nell’analisi sono essenzialmente quelli dell'Est europeo e altri emergenti, il coefficiente di correlazione più alto riscontrato nell’analisi relativa al 1998 (0,73) indica che tale correlazione è più forte nei paesi più industrializzati. 18 Concorrenza, bene pubblico su due o più mercati. Tuttavia, l’esperienza europea dell’ultimo decennio ha evidenziato la tendenza a procedere attraverso riforme “mercato per mercato”. Tale metodo è risultato di più semplice implementazione sia per la maggiore facilità di trovare un accordo in sede politica sia perché diluisce nel tempo i costi della transizione21. Nella maggior parte dei paesi europei, infatti, si è intervenuti in primo luogo riformando il mercato dei beni, anche sotto la spinta della concorrenza internazionale e per l’impegno a realizzare il Mercato Interno. Si è successivamente intervenuti - almeno in parte - sulla regolazione del mercato del lavoro, mentre il settore dei servizi rimane in molti comparti normativamente protetto e rigidamente regolato. Il diverso andamento della produttività dei servizi, poco concorrenziali, contribuisce a spiegare il differenziale di performance economica tra Europa e Stati Uniti e più in particolare tra Italia e continente europeo. Dato inoltre il complesso sistema di interdipendenze che caratterizza le economie moderne, i servizi sono parte degli input impiegati per la produzione di beni finali. Pertanto servizi non competitivi comportano costi elevati e una minore produttività per le imprese industriali, influenzandone la competitività sui mercati internazionali. La rilevanza dei servizi e la loro debole concorrenzialità rendono necessario e urgente intervenire con riforme pro-competitive in questo settore. A livello europeo, la Commissione si è posta l’obiettivo di creare un mercato unico dei servizi (cfr. Bruzzone, 2006; Centro Studi Confindustria, 2005) attraverso la cd. direttiva Bolkestein, la cui approvazione ha incontrato forti resistenze da parte degli Stati membri e delle lobby di categoria. Essa rappresenta, invece, un primo e necessario passo nella direzione di una riforma complessiva del mercato dei servizi nei paesi europei, in particolare per quelli – come l’Italia - a più rigida regolazione. Come dimostrato dalle analisi prese in rassegna, sono i paesi come l’Italia, caratterizzati da sistemi di regolazione più rigidi e restrittivi, che potranno avvantaggiarsi degli effetti benefici dell’apertura al mercato delle attività di servizi in termini di crescita economica, produttività, scambi commerciali e di miglioramenti nella dimensione ed efficienza del settore medesimo. Bibliografia Aghion P., Harris C., Howitt P., Vickers J. (2001), “Competition, Imitation and Growth with Step-by-Step Innovation”, Review of Economic Studies, n. 68. Aghion P., Bloom R., Blundell R., Griffith R., Howitt P. (2002), “Competition and Innovation : an Inverted U Relationship”, NBER Working Paper Series, n.9269. 21 Una contemporanea de-regolamentazione del mercato del lavoro e un aumento della concorrenzialità nel mercato dei prodotti produrrebbe effetti cumulati negativi sull’occupazione, sulla produzione,etc.; mentre un intervento di riforma mercato per mercato eviterebbe la contemporaneità di tali effetti e li diluirebbe nel tempo. 19 Concorrenza, bene pubblico Aghion P., Bloom N., Blundell R., Griffith R. e Howitt P. (2005), “Competition and innovation: An Inverted-U Relationship”, Quarterly Journal of Economics, vol. 120, n.2. Autorità garante per la concorrenza e per il mercato (2003), Relazione annuale sull’attività svolta, Aprile. Bassanini A., Ernst E. (2002), “Labour Market Institutions, Product Market Regulations and Innovation: Cross-Country Evidence”, OECD Economics Department Working Papers, n.316. Basu S., Kimball M. (2004), “Are Technology Improvements Contractionary?”, NBER Working Paper Series, n. 10592. Blanchard O., Giavazzi F. (2001), “Macroeconomic Effects of Regulation and Deregulation in Goods and Labour Markets”, NBER Working Paper Series, n. 8120. Blanchard O., Giavazzi F., (2002) “Macroeconomics Effects of Regulation and Deregulation in Goods and Labour Markets”, Quarterly Journal of Economics, vol. 118, n.3. Boylaud O. (2000), Regulatory reform in road freight and retail distribution, OECD Economics Department Working Paper, n. 255. Boylaud O., Nicoletti G. (2001), Regulatory reform in retail distribution, OECD Economic Studies, vol. 1, n.32. Bruzzone G. (2006), “Le restrizioni normative e amministrative alla concorrenza nei servizi privati: una prospettiva orizzontale”, in Concorrenza bene pubblico, a cura di I. Cipolletta, S. Micossi e G. Nardozzi, SIPI – Roma. Centro Studi Confindustria (2002), “Regole per il mercato”, in La competitività dell’Italia, a cura di M. Baldassarri, G.Galli, G. Piga, Il Sole 24 Ore, Milano. Centro Studi Confindustria (2005), “La liberalizzazione dei servizi: la rilevanza della direttiva Bolkestein”, Previsioni Macroeconomiche –Le politiche europee per il rilancio della strategia di Lisbona, n.2, Dicembre. Commissione europea (2004), “Extended Impact Assessment of a Poposal for a Directive on Services in the Internal Market”, European Commission Staff Working Paper. Commissione europea (2004), The Impact of Regulation on Economic Performance, Bruxelles. Commissione europea (2005), Azioni comuni per la crescita e l’occupazione. Il programma comunitario di Lisbona, SEC (2005) 981. Conway P., Janod V., Nicoletti G. (2005), “Product Market Regulation in OECD Countries: 1998 to 2003”, OECD Economics Department Working Paper, n. 419. Copenhagen Economics (2005), Economic Assessment of the Barriers to the Internal Market for Services, January. Etro (2004), “Innovation by Leaders”, Economic Journal, n.114. 20 Concorrenza, bene pubblico Faini R., Haskel J., Barba Navaretti G., Scarpa C., Wey C. (2005), “Contrasting Europe's decline: do product market reforms help?”, in T. Boeri et al. (eds), Oltre il declino, Il Mulino. Feldstein M., (2003) “Why is Productivity Growing Faster?”, NBER Working Paper Series, n. 9530. Gjersem C. (2004), “Policies Bearing on Product Market Competition and Growth in Europe”, OECD Economics Department Working Papers, n.378. Gordon R. J. (2002), Two Centuries of Economic Growth: Europe Chasing the American Frontier, Paper presented at the Economic History Workshop, Northwestern University, October. Gordon R.J. (2004), “Five Puzzles in the Behaviour of Productivity, Investment and Innovation”, CEPR Discussion Paper Series, n. 4414. Griffith R., Harrison R. (2004), “The Link between Product Market Reform and Macroeconomic Performance”, European Commission Economic Papers, n.209, August. Haskel J. (1991) “Imperfect Competition, Work Practices and Productivity Growth”, Oxford Bullettin of Economics and Statistics, vol.53, n.3. ISAE (2000), “Ambiente normativo e competitività”, Rapporto trimestrale Priorità nazionali: regolamentazione, competitività, cittadinanza, Aprile. ISAE (2002), “La liberalizzazione del commercio al dettaglio: una prima verifica”, Rapporto trimestrale Priorità nazionali: Trasparenza, Flessibilità, Opportunità, Aprile. Jorgenson D. W., Stiroh K. J. (2000), « Raising the Speed Limit : U.S.Economic Growth in the Information Age », Brooking Papers on Economic Activity, May. Karsenty G., (2000), “Assessing Trade in Services by Mode of Supply”, in P. Sauvé e R.M. Stern (editori), GATS 2000. New Directions in Services Trade Liberalization, Brooking Institution Press, Washington DC. Kox A., Lejour A., Montizaan R. (2005), “The Free Movement of Services Within the EU”, CPB Netherlands Bureau for Economic Policy Analysis, n. 69. Loayza N. V., Oviedo A.M., Servén L. (2005), “Regulation and Macroeconomic Performance”, The World Bank Working Paper Series, n.3469. McGuire G., (2002), “Trade in Services- Market Access Opportunities and the Benefits of Liberalization for Devoloping Economies”, UNCTAD Policy Issues in International Trade and Commodities Study Series, n.19. Nickell S. (1996), “Competition and Corporate Performance”, Journal of Political Economy, n. 104. Nicodème G., Sauner-Leroy J-B. (2004), Product Market Reforms and Productivity: a Review of the Theoretical and Empirical Literature on the Transmission Channels, December, European Commission Economic Papers, n.218 21 Concorrenza, bene pubblico Nicoletti G. (2002), “Institutions, Economic Structure and Performance: is Italy Doomed?”, ISAE Annual Report on Monitoring Italy, Jenuary. Nicoletti G., Scarpetta S. (2000), “Regulation and labour market performance”, Regulatory Reform and Competitiveness in Europe, Edward Elgar, UK Nicoletti G., Scarpetta S. (2003), “ Regulation, Productivity and Growth: OECD Evidence”, OECD Economics Department Working Paper, n.347. Nicoletti G., Scarpetta S. (2003), “Regulation, Productivity and Growth”, Economic Policy, Vol. 36. Nicoletti G., Scarpetta S. (2005), “ Regulation and Economic Performance: Product Market reforms and productivity in OECD”, OECD Economics Department Working Paper, n.460. Nicoletti G., Scarpetta S., Boylaud O. (1999), “Summary Indicators of Product Market Regulation with an Extension to Employment Protection Legislation”, OECD Economics Department Working Paper, n.312. North D.C. (1990), Institutions, Institutional Change and Economic Performance, Cambridge University Press, Cambridge. OECD (1997), OECD Report on Regulatory Reform, Paris; OECD (2003), The Sources of Economic Growth in OECD Countries, Paris. Oliner S. D., Sichel D.E. (2000), "The Resurgence of Growth in the Late 1990s: Is Information Technology the Story?", FRG Finance and Economic Discussion Paper, n.20 Phelps E. (2003), Economic Underperformance in Continental Europe: A Prospering Economy Runs on the Dynamism from its Economic Institutions, Lecture at Royal Institute for International Affairs, March. Phelps E., Zoega G. (2004), “The Search for Routes to Better Economic Performance in Continental Europe”, The European Labour Markets, CESifo Forum, n.1. Pryor F. L., (2002), “Quantitative Notes on the Extent of governmental Regulations in Various OECD Nations”, International Journal of Industrial Organization, n.20. Rapacciuolo C., Sgarra G., (2003), “Differenziale di inflazione con l’Europa e regolamentazione del commercio al dettaglio”, Nota dal CSC, n. 03-11. Roe M. J. (2002), “Corporate Law’s Limits”, Journal of Legal Studies, n.31, July. Scarpetta S., P. Hemmings, T. Tressel e Woo J. (2002), “The Role of Policy and Institutions for Productivity and Firm Dynamics: Evidence from Micro and Industry Data”, OECD Economics Department Working Paper, n. 329; Scarpetta S., Tressel T. (2002), “Productivity and Convergence in a Panel of OECD industries: Do Regulations and Institutions Matter?”, OECD Economics Department Working Papers, n.342. 22 Concorrenza, bene pubblico Schiantarelli F. (2005), “Product Market Regulation and Macroeconomic Performance: a Review of Cross Country Evidence”, IZA Discussion Paper Series, n. 1791, October. Solow R. (1956), “A Contribution to the Theory of Economic Growth”, in Quarterly Journal of Economics, vol.70, n.1. Stiglitz J.E. (1992), Il ruolo economico dello Stato, Il Mulino, Bologna. Suppanaz H., Wise M., Kiley M. (2004), “Product Market Competition and Economic Performance in the United States”, Economics Department Working Papers, n.398, July. Swan T. (1956), “Economic growth and Capital Accumulation”, in Economic Record, vol.32, n.63. Vogt L., (2005), “The EU’s Single Market: At Your Service?”, Economics Department Working Paper, n.499, October. World Bank (2003), Doing Business in 2004 – Understanding Regulation, Washington D.C. World Bank (2004), Doing Business in 2005 – Understanding Regulation, Washington D.C. World Bank (2005), Doing Business in 2006 – Understanding Regulation, Washington D.C. 23