La nozione di disposizione testamentaria, in Rass. dir. civ., 2013

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La nozione di disposizione testamentaria, in Rass. dir. civ., 2013
Saggi
La nozione di disposizione testamentaria
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Disposizioni testamentarie e testamento. – 3. Natura delle disposizioni testamentarie. – 4. Pluralità di scopi e unità di funzione delle
disposizioni testamentarie. – 5. Disposizioni a titolo universale. – 6. Segue: carattere
necessariamente per relationem delle disposizioni a titolo universale. – 7. Disposizioni
a titolo particolare. – 8. Disposizioni testamentarie e vicende di rapporti giuridici.
1. Per poco che si sfogli il Libro secondo del Codice civile, è facile avvertire come l’espressione «disposizione testamentaria», declinata, talvolta,
al singolare, talvolta, al plurale, talaltra, privata dell’aggettivo suo proprio,
di quando in quando, accompagnata ad altre parole che evocano il titolo
dell’acquisto che essa consente, risulta, disordinatamente, utilizzata per descrivere ora le proposizioni linguistiche rispondenti, in linea teleologica,
alla tutela di un singolo interesse1, ora il loro contenuto di significato.
Nell’uno e nell’altro è facile scorgere quella contrapposizione che, scolasticamente, si suole svolgere tra disposizione di legge e norma giuridica,
oppure tra clausola contrattuale e precetto negoziale. Antitesi che, almeno
in via stipulativa, è possibile conservare anche in materia testamentaria,
contrapponendo all’espressione «disposizione testamentaria»2 quella di «previsione, o precetto testamentario».
La prima per descrivere la proposizione linguistica; la seconda, invece,
per descrivere il contenuto di significato tolto della prima, facendo devota
applicazione dei criterî legali sull’interpretazione del testamento e delle
norme d’interpretazione del testamento3.
Con gli ovvî corollarî che, posta questa dicotomia, non v’è precetto
L’espressione, mutatis mutandis, è tolta da N. Irti, La ripetizione del negozio giuridico,
Milano, 1970, p. 157.
2
Osserva M. Allara, Principî di diritto testamentario, Torino, 1957, p. 75 s., che la dichiarazione testamentaria è un atto personale del testatore e un atto a sé stante.
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M. Allara, o.c., p. 172 ss., precisa che il testamento, essendo un atto negoziale, ossia un
atto, la cui efficacia «corrisponde al contenuto dell’oggetto, in senso ristretto, del negozio stesso»,
pone, inevitabilmente, il problema sulla interpretazione. Dacché soltanto l’interpretazione della
disposizione testamentaria, consente di cogliere la latitudine e l’estensione di efficacia della medesima.
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senza disposizione; che il precetto è una variabile dipendente dall’interpretazione della disposizione; che da una disposizione è possibile trarre
tanti precetti quante sono le sue possibili e plausibili interpretazioni4.
Va da sé, che, al pari di come la disposizione legislativa non coincida
necessariamente con l’articolo del Codice o della legge e, al pari di come
la clausola non coincida necessariamente con l’articolo del contratto, anche la disposizione testamentaria non coincide necessariamente con una
singola proposizione linguistica. Come possono darsi casi in cui singoli
articoli di legge o di contratto esprimano una norma giuridica, o un precetto negoziale, casi in cui esprimano piú norme giuridiche, o piú precetti
negoziali e casi in cui esprimano solo un frammento di norma giuridica,
o di precetto negoziale, cosí si daranno casi in cui una singola proposizione linguistica contenuta nel testamento esprima un precetto, o piú precetti, oppure soltanto una parte di precetto.
Il che affaccia il tema al problema dell’ars stipulatoria. Rispetto alla
quale, difficile, se non impossibile, indicare la migliore soluzione da adottare, valendo soltanto la considerazione che l’interesse, che il testatore intende conseguire, è sovente realizzabile attraverso strumenti tecnici diversi5
e difficilmente omogenizzabili.
2. Non sempre facile è cogliere il rapporto tra disposizioni testamentarie e testamento, il quale è, spesso, piú intuito che ragionato.
Non v’ha dubbio, infatti, che la parola «testamento», quando essa non
serva a identificare la sua forma ordinaria o speciale e, all’interno di esse,
i tassativi tipi ammessi, connotati dai requisiti di forma e dalle formalità
stabilite per ciascuno, è piuttosto una espressione descrittiva capace di sintetizzare il complesso di tutte le disposizioni testamentarie, patrimoniali e
no, alle quali il suo autore affida la regolamentazione dei proprî interessi
post mortem.
Benché questa approssimativa identificazione, che, in larga parte, ne im4
Cosí, M. Confortini, La norma giuridica, in Dieci lezioni introduttive a un corso di diritto privato, Torino, 2006, p. 14 s.
5
Per tutti, le considerazioni di M. Allara, Principî, cit., p. 179 ss., il quale, movendo dall’osservazione che l’intento del testatore è talora «semplice, grossolano o empirico, indeterminato in taluni elementi», mentre l’efficacia, che la legge ricollega all’attività negoziale, ha i caratteri antitetici della «pluralità e complessità di fenomeni, della determinazione, precisione tecnica dei medesimi», coglie l’esigenza di una funzione integrativa, in senso lato, dell’efficacia della
disposizione testamentaria. La quale può e deve svolgersi secondo tre direzioni: in relazione alla
sola mancanza dell’elemento dichiarativo; in relazione alla mancanza, in linea attuale e ipotetica,
dell’elemento dichiarativo e dell’elemento volitivo; in relazione alla mancanza, in linea soltanto
attuale, dell’elemento volitivo e dell’elemento dichiarativo.
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plica anche una compenetrazione, serva a cogliere e sciogliere tale rapporto, qualche ulteriore precisazione risulta, senz’altro, necessaria.
Intanto deve considerarsi che il testamento non reclama alcuna completezza. Alla sua manchevolezza supplice, infatti, la legge, la quale prevede, all’art. 457 c.c., che si fa luogo alla successione legittima, quando
manchi, in tutto o in parte, quella testamentaria.
Il testatore, dunque, è libero di disporre con il testamento soltanto di
parte della propria successione (a titolo di esempio, istituendo erede Tizio in certa quota del patrimonio inferiore all’unità e non prevedendo altre istituzioni), al pari di come è libero di non istituire nel testamento alcun erede, limitandosi a beneficare solo i legatarî. Con l’ulteriore precisazione che, attraverso i legati, ben potrebbe anche disporre di tutti i suoi
beni, con la conseguenza che l’erede, individuato secondo le norme sulla
successione legittima, assumerebbe la mera funzione di liquidatore dell’eredità6.
Deve, altresí, considerarsi che il testatore non è tenuto a regolare interamente la sua successione con un unico atto, ben potendo affidarla a una
pluralità di schede testamentarie, coeve o successive, purché, nel primo
caso, le schede testamentarie non contengano disposizioni che contrastino
l’una con l’altra7 e purché, nel secondo caso, ognuna delle successive non
revochi espressamente, o implicitamente, per incompatibilità contenutistica,
la precedente, o le precedenti, per intero.
Ancóra, deve osservarsi che, benché il testamento, nella sua normale
configurazione, sia l’atto idoneo a dare assetto a interessi patrimoniali, mediante la disposizione dei beni proprî e, a talune condizioni, anche di quelli
altrui, non può sottacersi che esso serva anche a dare assetto a interessi
privi del carattere patrimoniale8, come è a dirsi, a titolo di esempio, per
Per tutti, G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, 5ª ed., Torino, 2010,
p. 251 s.
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In caso di testamenti coevi che contengano disposizioni contrastanti, poiché non è possibile stabilire quale sia il successivo che possa revocare il precedente, si considerano espressione
di un’unica volontà testamentaria, con la conseguenza che deve riconoscersi efficacia a tutte
quelle disposizioni che non siano in contrasto con altre, mentre si considerano inefficaci le disposizioni, tra loro, incompatibili.
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Numerose sono le disposizioni testamentarie non patrimoniali espressamente disciplinate:
il riconoscimento di figlio naturale (art. 254, comma 1, c.c.); la designazione del tutore di un
minore di età (art. 348, comma 1, c.c.), la cui nomina, però, compete al giudice tutelare, che,
per gravi motivi, può non attenersi alla designazione testamentaria (art. 348, cpv., c.c.); la designazione del curatore speciale per l’amministrazione dei beni disposti per testamento a favore
di un minore di età (art. 356, comma 1, c.c.); la designazione, da parte del genitore superstite,
dell’amministratore di sostegno (art. 408, comma 1, c.c.); la designazione del tutore dell’interdetto e del curatore dell’inabilitato (art. 424, comma 3, c.c.); la designazione dell’esecutore te6
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quelli di tipo familiare, per quelli inerenti la sepoltura, le esequie e il sepolcro, per quelli sui diritti morale d’autore, e per le cosí dette raccomandazioni, ossia disposizioni testamentarie, prive del carattere vincolante
e affidate alla spontanea attuazione dei destinatarî, sovente utili anche nell’attività di interpretazione del testamento9.
Con la ulteriore e fondamentale precisazione che, secondo l’indirizzo
dottrinale prevalente, il quale merita, almeno a me pare, di essere pienamente condiviso, tanto le disposizioni testamentarie del primo tipo, quanto
quelle del secondo10 non debbono di necessità essere rispondenti a quelle
specificamente disciplinate11, sicché, di là dei limiti posti dalle norme imstamentario (art. 700 c.c.); la confessione stragiudiziale (art. 2735 c.c.); la designazione del notaio deputato a eseguire l’inventario (art. art. 769 c.c.); disposizioni in materia di cremazione e
dispersione delle ceneri (l. 30 marzo 2001, n. 130); la scelta della legge applicabile alla successione a causa di morte, nei limiti in cui essa è consentita ((art. 46, l. 31 maggio 1995, n. 218);
il divieto di pubblicazione delle opere inedite o postume (art. 24, l. 22 aprile 1941, n. 633); le
disposizioni aventi a oggetto i trapianti di organi (art. 4, l. 1 aprile 1999, n. 91).
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Ma si consideri che secondo M. Allara, Principî, cit., p. 103 s., le disposizioni di cui al
secondo comma dell’art. 587 c.c., non sono disposizioni testamentarie. Secondo l’A. la norma
in parola è servita per risolvere un problema affacciatosi con il codice previgente: se un atto
che contenesse soltanto disposizioni non patrimoniali potesse effettivamente considerarsi un testamento. Il che dimostra, secondo l’A., che quelle non patrimoniali non possono considerarsi
disposizioni testamentarie; “diversamente non si sarebbe potuto porre la questione della loro
efficacia nel caso che le medesime non fossero accompagnate da disposizioni di carattere patrimoniale; un testamento può contenere sia una sola disposizione, sia una pluralità, piú o meno
notevole, di disposizioni. Esclusa invece la qualifica di disposizioni testamentarie nei riguardi
delle disposizioni ricordate nel secondo comma dell’art. 587 c.c., potevano sorgere dei dubbi
sulla formula per cui dette disposizioni «possono essere contenute in un testamento».
10
In senso contrario, però, F.S. Azzariti, G. Martinez, Giu. Azzariti, Successioni per
causa di morte e donazione, Padova, 1973, 6ª ed., p. 399, secondo i quali le disposizioni testamentarie di contenuto non patrimoniale sarebbero efficaci soltanto nella misura in cui la legge
espressamente consenta che siano compiute nella forma testamentaria. La dottrina dominante
sostiene, invece, che le disposizioni non patrimoniali possano anche non essere espressamente
previste dalla legge. In questa prospettiva, la norma contenuta al secondo comma dell’art. 587
e invocata da Azzariti a conferma della tesi sostenuta nel testo, andrebbe letta nel senso che
essa avrebbe il solo scopo di chiarire che le disposizioni testamentarie non patrimoniali possono stare, anche da sole, ossia «se manchino disposizioni di carattere patrimoniale». Oltre alle
disposizioni non patrimoniali tipiche, debbono, dunque, considerarsi ammesse anche quelle atipiche, cosí dette disposizioni post mortem. Per tutti, anche in considerazione della datazione
dello scritto, L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, p. 255 s. A riprova
della penetrazione dell’idea anche nella migliore manualistica, per tutti, G. Bonilini, Manuale
di diritto ereditario, cit., pp. 231-233.
11
Sul contenuto non patrimoniale del testamento, almeno, G. Giampiccolo, Il contenuto
atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, il
quale ha individuato alcune disposizioni testamentarie non patrimoniali non previste, ma, ammesse e ammissibili: disposizioni sulle opere dell’ingegno; disposizioni sulla corrispondenza e i
ricordi di famiglia; la revoca dell’atto costitutivo di una fondazione (purché non sia intervenuto
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perative e dai principî di ordine pubblico e buon costume, l’ordinamento
attribuisce al testatore un’ampia autonomia.
Gli interessi post mortem di contenuto patrimoniale e non patrimoniale
possono, infatti, essere regolati non soltanto attraverso la pluralità di disposizioni testamentarie espressamente tipizzate dalle norme di legge, bensí
anche attraverso le cosí dette disposizioni testamentarie atipiche o, meglio
sarebbe dire, non espressamente disciplinate. Dacché esse debbono considerarsi, nei limiti posti all’autonomia privata del testatore, liberamente fruibili nel testamento.
Infine, non sarà inutile considerare che il testamento, benché, tendenzialmente, contenga disposizioni testamentarie istitutive di contenuto positivo, potrebbe anche contenere, nei limiti in cui ciò sia ammesso, disposizioni testamentarie aventi valore istitutivo, ma contenuto negativo. Il riferimento corre alla cosí detta diseredazione12, ossia quella disposizione,
con la quale il testatore, in luogo di indicare il soggetto che istituisce erede,
si limita a escludere che taluno debba succedergli.
Dal quadro abbozzato, emerge che il legame tra testamento e disposizioni testamentarie è di tipo contenutistico13. Perché il primo è il contenitore delle seconde, le quali, nella loro complessità, costituiscono, esse
stesse, il testamento.
Questa spiegazione può essere conservata, purché si abbia a mente che
il testamento, cosí inteso, è l’atto, ma non il documento.
Considerazione, questa, che, inevitabilmente apre al problema del rapporto tra atto e documento; rapporto storicamente difficile14, complicato,
nella materia indagata, dal carattere rigorosamente formale del testamento.
il riconoscimento, o il fondatore non abbia iniziata l’attività); disposizione con cui il genitore
escluda una persona dall’ufficio di tutore o protutore del figlio.
12
Sul punto sia consentito rinviare al mio, La disposizione testamentaria di diseredazione,
in Fam. pers. succ., 2012, pp. 763-787.
13
Sul tema dell’unità formale di piú disposizioni, per tutti, M. Allara, Il testamento, Padova, 1934, p. 248.
14
Ma chiaro già in una esemplare pagina di F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale
civile, II, Padova, 1923, p. 549 s., il quale scrive: «Può anche essere che la formazione di un
documento della dichiarazione sia posta dalla legge come condizione della efficacia (validità)
della dichiarazione stessa, es. art. 1314 c.c.: ma neppure in questo caso è autorizzata la confusione tra documento e dichiarazione in quanto il requisito di forma di quest’ultimo è, in tal
caso, la formazione del documento, non il documento medesimo: in altri termini ciò che importa per la efficacia della dichiarazione è lo scrivere ciò che importa per la prova è lo scritto,
o ancora ciò che decide per l’efficacia della dichiarazione è l’esistenza del documento al momento della dichiarazione, mentre ciò che decide per la prova è l’esistenza del documento al
momento del processo. La scissione tra i due termini si presenta in piena luce nei casi in cui
la prova della dichiarazione venga data con mezzi diversi dal documento (es. articolo 1348 c.c.):
il requisito di forma sta nello scrivere il requisito di prova sta nello scritto; ora il fatto dell’a-
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Tra atto e documento esiste lo stesso iato che v’ha tra il faciendum e
il factum15, tra il produrre e il prodotto. Altro è la carta, sulla quale sono
impressi, nel rispetto della forma e delle formalità prescritte dal legislatore, i segni grafici, altro è l’emissione stessa della dichiarazione con l’osservanza di quelle formalità. La prima è il documento, la seconda l’atto.
Ciò spiega perché il testo, raccolto in una pluralità di fogli (rectius: documenti), potrebbe contenere un unico atto e perché i segni, raccolti in
un medesimo foglio (rectius: documento), potrebbero esprimere una pluralità di atti16.
ver scritto non è dimostrabile solo col documento, ma anche con prove diverse (per es. per testimoni)». Id., Distruzione o destinazione alla distruzione della scheda del testamento olografo,
in Foro it., 1937, IV, c. 98, precisa il proprio pensiero. Distingue tra scrittura eterografa e scrittura autografa. «Quando la dichiarazione si fa per documento eterografo la documentazione è
una condizione della dichiarazione quando, invece, si fa per documento autografo, ne è un presupposto». «Pertanto la dichiarazione per documento autografo risulta non solo dalla formazione, ma altresí dalla emissione del documento e il rapporto tra documentazione e dichiarazione si precisa in questi termini: la documentazione è un atto necessario ma non sufficiente a
costituire la dichiarazione». Traslando il ragionamento al testamento olografo alla c. 99 scrive:
«il suo presupposto è dunque la formazione del documento, non la sua esistenza; in altri termini la esistenza del documento al momento in cui la dichiarazione è sorta, non al momento
in cui deve valere». Nello stesso senso anche L. Carraro, Distruzione della scheda dell’olografo e revoca del testamento, in Foro it., 1938, IV, c. 259.
15
N. Irti, Il contratto tra faciendum e factum, in Rass. dir. civ., 1984, pp. 938-955, e in N.
Irti, Idola libertatis, Milano, 1985 e ora in Id., Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997,
da cui le citazioni, p. 97 ss., spec. p. 103.
16
Sul problema del rapporto tra atto e documento, sia consentito, rinviare al mio, Distruzione di un testamento olografo, in Fam. pers. succ., 2010, pp. 356-368. La riflessione muoveva
da questo caso: Tizia redige due esemplari di un medesimo testamento olografo, con i quali
istituisce erede universale l’estranea Caia. Una delle due schede testamentarie viene conservata
in casa di Tizia, mentre l’altra viene affidata a una legale di fiducia della testatrice. Prima della
sua morte, Tizia distrugge la scheda testamentaria conservata presso la propria abitazione. Apertasi la successione di Tizia, le sue tre figlie Sempronia, Mevia e Calpurnia, avviano, contro Caia,
un giudizio affinché venga accertata la revocazione del testamento olografo e aperta la successione legittima a loro favore. Caia contesta la pretesa delle figlie, assumendo che la distruzione
di uno dei due esemplari non può valere quale revocazione del testamento olografo. Il caso
viene deciso, con sentenza, dalla Cassazione, la quale, assumendo che la norma di cui all’art.
684 c.c. configura la distruzione del testamento olografo come un comportamento concludente
avente valore legale, conchiude che nell’ipotesi in cui esistano due esemplari dello stesso testamento, la distruzione di uno non comporta la revocazione del testamento, perché la presunzione non può operare, essendo il testatore ben consapevole dell’esistenza dell’altro originale.
In senso critico rispetto a questa decisione, mi sono stretto a osservare che se taluno redige due
esemplari di un medesimo testamento olografo, non fa due testamenti, bensí un unico testamento, il cui contenuto ha deciso, qualunque sia la ragione posta a fondamento di questa scelta,
di documentarlo per due volte. Unico è il testamento, molteplici sono le schede testamentarie.
Se è vero che il testamento è uno e che la revocazione del testamento è un effetto che incide
sull’atto, ma non anche sulla scheda testamentaria, soltanto oggetto del comportamento di re-
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L’unità dell’atto prescinde, allora, dall’unità del documento17. Essa non
è frutto di un’indagine empirica condotta sul prodotto, bensí di una valutazione strettamente giuridica condotta sul produrre, in quanto soltanto
l’interpretazione normativa del testo, alla stregua dei criterî sull’interpretazione del testamento, consente di affermare, o negare, l’unità, o la pluralità, del testamento stesso.
Questa considerazione parrebbe, però, aprire l’indagine a un problema
ben piú grave.
La distinzione tra atto e documento e la considerazione meramente ermeneutica dell’unità del testamento, potrebbe, infatti, ingenerare il dubbio
che disposizioni testamentarie, redatte in tempi successivi, ove fossero compatibili l’una con l’altra, potrebbero costituire un unico testamento.
L’unità dell’atto parrebbe, cosí, dilatarsi sino al momento di rottura
concettuale tra le diverse disposizioni, espandendo nel tempo e sine die il
concetto di testamento stesso. Il quale parrebbe un concetto aperto nel
tempo e interrotto, soltanto, dalla frattura concettuale tra disposizioni totalmente, o parzialmente, incompatibili le une con le altre.
La preoccupazione, però, mi pare sia soltanto apparente, perché, quale
che sia il testamento, che il legislatore disciplina, impone sempre, tra le altre, una formalità di tipo cronologico: l’emissione della dichiarazione, avvenga essa tramite lo scrivere (come nel caso di testamento olografo e testamento segreto) o tramite il dichiarare al notaio, che provvede a scrivere
(come nel caso di testamento pubblico), deve sempre avvenire in un unitario contesto temporale18.
Ciò significa che disposizioni testamentarie rese in tempi diversi, ove
pure non siano incompatibili le une con le altre, non potrebbero essere
considerate disposizioni contenute in uno stesso testamento19, bensí disposizioni di diversi e successivi testamenti20.
vocazione, allora non si dovrebbe poter dubitare che la distruzione anche di una soltanto delle
schede testamentarie, ove risulti compiuta dal testatore con l’intenzione di revocare, determina
la revocazione del testamento.
17
L’unità del testamento non implica, come accadeva secondo la disciplina del previgente codice civile, l’unità della disposizione testamentaria. Si vedano F.S. Azzariti, G. Martinez e Giu.
Azzariti, Successioni per causa di morte, cit., p. 587 e M. Terzi, Accrescimento, in P. Rescigno
(a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1994, p. 1179, ad avviso del quale, «l’istituzione
nello stesso testamento […] non significa necessariamente chiamata con la stessa disposizione».
18
Cfr. artt. 602, comma 3; 603, comma 2; 604, c.c.
19
In tale senso F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Diritto delle successioni per causa di morte, 9ª ed., Milano, 1962, p. 110, il quale precisa che un olografo nel
quale siano contenute piú disposizioni espresse sotto date diverse, non può considerarsi un unico
testamento; si tratta di piú, e successivi, testamenti.
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Taluni Autori, nel riflettere sul tema dell’unicità del testamento, indagano il caso di te-
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L’unità del testamento impone la contestualità cronologica, l’assenza
della quale, frattura le disposizioni, legando ciascuna di esse all’atto collocato in un dato contesto temporale. Non mi parrebbe, infatti, possibile
di frangere il connotato temporale e di dilatare il contenuto del testamento.
Le discipline, soprattutto, in tema di capacità di testare, o in tema di
vizî del consenso suggeriscono e, quasi, impongono una soluzione di segno contrario. Qualora si ipotizzasse, infatti, che piú disposizioni testamentarie rese, nelle forme ammesse dalla legge, in diversi e successivi tempi,
costituissero un unico testamento, renderebbero difficilmente risolvibile il
caso in cui il testatore risulti incapace al tempo di confezione di una, ma
non anche al tempo di confezione dell’altra. Ciò, beninteso, non significa
che un soggetto non possa dare assetto ai proprî interessi post mortem
con una pluralità di atti, ma soltanto che la pluralità di atti vale, per l’ordinamento giuridico, una pluralità di schede testamentarie; una pluralità di
testamenti. E ciò, naturalmente, non significa che una pluralità di testamenti, di cui il successivo non revoca il precedente, e le cui disposizioni
non siano, tra loro, sostanzialmente incompatibili, regolano pluralità di
successioni. Esse continuano a regolare un’unica e unitaria successione e,
insieme, i testamenti servono per definire quale sia l’assetto, complessivo
e globale, degli interessi post mortem che il suo autore abbia inteso imprimere.
Ciò consente, dunque, un’ulteriore e importante riflessione. Se è pur
vero che il testamento è l’atto con il quale il soggetto dà assetto ai proprî interessi post mortem, come non è necessario che tale regolamentazione sia completa, non è neppure necessario che essa sia affidata a un
unico testamento, potendo ben essere distribuita in una pluralità di testamenti successivi nel tempo.
Ovvio, naturalmente, che il caso al quale mi riferisco ha poco o nulla
del testamento il cui contenuto sia determinato per relationem. L’ipotesi
in cui il testatore, in una scheda testamentaria, esplicitamente richiamasse
stamento successivo, che, non soltanto non revochi, per difetto di compatibilità contenutistica,
il precedente, ma che, addirittura, al contenuto di quello faccia espresso riferimento. Ci si domanda se, in questi casi, in presenza di chiamate in quote uguali, pur se contenute in diversi
testamenti, si possa dare, ricorrendone gli altri presupposti, accrescimento. Viene tendenzialmente offerta una risposta di segno affermativo. Credo, però, che la questione non possa considerarsi capace di aprire a un accrescimento tra coeredi chiamati con testamenti successivi. Perché il richiamo al contenuto di un precedente testamento finisce, inevitabilmente, per sciogliere
la dualità in unità. Il tema, quindi, meriterebbe di essere indagato nella prospettiva del testamento per relationem. Non credo, infatti, si possa dubitare che, in questi casi, vi sia unità del
testamento; il precedente testamento viene in rilievo non quale autonomo testamento, ma quale
mero contenitore di un contenuto, al quale l’unico, successivo, testamento rinvia.
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un precedente testamento, non mi pare che possa consentire l’affermazione
che si tratta di una successione mortis causa regolata da due diversi testamenti. Perché essa risulta regolata dall’unico e ultimo testamento. Il quale,
nel richiamo del precedente, rinvia al contenuto di quella, rendendo quel
contenuto, nei limiti di ammissibilità e con tutte le conseguenze che da
ciò derivano, contenuto dello stesso testamento richiamante21.
Emerge, dunque, tra disposizioni testamentarie e testamento una difficile e intricata relazione, la quale, pur retta da un rapporto di contenuto
a contenente, non consente di risolvere le une nell’altro e, soprattutto l’ultimo nella complessiva regolamentazione degli interessi post mortem del
testatore.
Nella consapevolezza che il testamento non reclama completezza, perché al difetto supplisce la disciplina della successione legittima, che una
successione può essere regolata da una pluralità di schede testamentarie
concorrenti, e che l’ordinamento attribuisce al soggetto una importante
autonomia testamentaria, che gli consente di regolare i proprî interessi post
mortem patrimoniali e non patrimoniali, nei limiti del lecito e giuridicamente possibile, anche attraverso il riscorso a disposizioni non espressamente prevedute, sembrerebbe potersi dire che il testamento, quando non
voglia descrivere uno dei tipi specificamente disciplinati, finisce con l’essere una espressione descrittiva capace di sintetizzare l’atto costituito dal
complesso di tutte le disposizioni testamentarie, patrimoniali e no, rese in
una medesima unità temporale, alle quali il suo autore affida la regolamentazione, totale o parziale, dei proprî interessi post mortem.
Emerge, dunque, anche una singolare relazione tra testamento e successione. Perché l’uno può non esaurire l’altra, la quale potrebbe essere
affidata a un solo testamento, ovvero a un testamento e alla legge, ovvero
a una pluralità di testamenti, ovvero a una pluralità di testamenti e alla
legge, in una complessa combinazione, la cui valutazione dipende dalla verifica di compatibilità di testamenti successivi l’uno all’altro e di completezza della regolamentazione successoria recata nel testamento esclusivo o
escludente, ovvero nei testamenti concorrenti.
Si tratta delle ipotesi in cui il testamento ha un contenuto determinato per relationem alla
disciplina di legge. Noto che occorre distinguere a seconda che si abbia un rinvio fisso o un
rinvio mobile. Occorre poi, distinguere se si tratta di un rinvio recettizio o non recettizio. Sul
tema del rinvio, v., almeno, M. Confortini, Problemi generali del contratto attraverso la locazione, Padova, 1988, p. 249. Ancora, bisogna interrogarsi per verificare se la relatio alla disciplina di legge sia formale o sostanziale. In tema, almeno, G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, cit., p. 87 ss.; G. Baralis, Il testamento per relationem, in P. Rescigno (a
cura di), Successioni e donazioni, I, cit., p. 983 ss.; V. Pescatore, Il testamento per relationem,
in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, p. 47 ss.
21
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3. Le considerazioni svolte spiegano perché sia discussa e opinabile la
natura giuridica della disposizione testamentaria. La quale è, senz’altro, un
atto giuridico unilaterale, mentre è opinabile se sia un frammento di negozio giuridico, o un negozio giuridico a sé stante22.
Dubbio, cioè, se ogni disposizione testamentaria sia un negozio giuridico autonomo e indipendente o se, invece, il negozio sia soltanto il complesso delle disposizioni testamentarie unitariamente raccolte in una scheda
testamentaria23 o, infine, e per l’ipotesi in cui una successione mortis causa
sia regolata da una pluralità di testamenti successivi, se il negozio non sia,
addirittura, il complesso di tutte le disposizioni testamentarie recate nella
pluralità di testamenti, regolanti l’unica successione del de cuius.
Si affaccia, nuovamente, indagando la natura delle disposizioni testamentarie, il problema del loro rapporto con il testamento.
Non giova nell’intelligenza del fenomeno il riferimento alla materia del
contratto24 perché quello, a differenza del testamento, è retto dalla unità
dell’atto, dall’unitarietà della sua causa e dalla riduzione in tipi, o schemi
legali, specificamente caratterizzati per il loro contenuto ed effetto programmatico.
Il giurista non è chiamato a conoscere un contratto, bensí a riconoscerlo.
Di là del problema del patto accessorio, della cui natura e sulla cui au-
In tema le interessanti considerazioni di V. Cuffaro, Il testamento in generale: caratteri
e contenuto, in P. Rescigno (a cura di), Successioni e donazioni, II, cit., pp. 731-734, il quale
dopo aver dato conto del dibattito, conclude: «nel momento in cui si conviene che, secondo
quanto risulta dal sistema positivo, il testamento è comunque espressione dell’autonomia dei
provati, la qualificazione dell’atto come negozio resta quindi affidata alla valutazione culturale
dell’interprete». Anche S. Delle Monache, Testamento. Disposizioni generali, in Cod. civ.
Comm. Schlesinger, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2005, p. 3 ss.
23
Si tratta della opinione largamente accreditata e sulla quale già B. Biondi, Autonomia
delle disposizioni testamentarie ed inquadramento del testamento nel sistema giuridico, in Foro
it., 1949, I, c. 567, scriveva, in senso critico e avversandola: «che il testamento sia un negozio
non si dubita, anzi è considerato come il prototipo di negozio unilaterale. le citazioni sono superflue, giacché basta aprire qualsiasi trattazione generale o monografica».
24
Scrive, occupandosi della diseredazione, A. Trabucchi, L’autonomia testamentaria e le
disposizioni negative, in Riv. dir. civ., 1970, I, p. 63, «Se, ora si riprende l’antica questione per
sapere se il negozio è il testamento in se stesso o se tanti negozi sono costituiti dalle disposizioni in esso contenute, la risposta non può essere categorica nell’uno o nell’altro senso perché
il rapporto tra la volontà, la sua direzione e l’efficacia dell’atto mortis causa non riproduce mai
lo schema normale dell’atto tra vivi. Semmai, piú vicino a detto schema, è l’atto di confezione
del testamento, come espressione della volontà di creare lo strumento giuridicamente efficace
per produrre le conseguenze previste nelle varie disposizioni. In questo senso il testamento può
essere concepito come negozio, ma con la funzione di un negozio-quadro».
22
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
973
tonomia si discute largamente25, non v’ha dubbio che la riconduzione di
un contratto in uno dei tipi espressamente previsti dal legislatore, o l’affermazione della sua a-tipicità, è frutto della interpretazione. La quale è
del contratto, ossia dell’accordo e, dunque, del regolamento interamente
considerato, al punto che le clausole si interpretano l’una per mezzo delle
altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.
L’interpretazione ha a oggetto l’accordo, retto in unità dalla funzione economico-sociale che esso intende attuare e realizzare, e nel quale si risolve
la sua unità concettuale. Il riferimento all’accordo, elemento di struttura
indefettibile, fattispecie stessa del contratto, orienta e governa la scelta esegetica dell’interprete; consente di escludere che una clausola, o una sua
parte possa considerarsi un autonomo negozio giuridico e impone di affermare l’unità del negozio26.
Il referente logico della disciplina è, sempre e comunque, il contratto,
inteso come l’accordo di due o piú parti avente la funzione di costituire,
regolare o estinguere, tra loro, un rapporto giuridico patrimoniale, ossia
l’accordo capace di dare unitario assetto agli interessi divisati dalle parti.
I requisiti essenziali sono del contratto e non delle clausole o parti, la
stessa patologia è del complesso regolamento. L’attenzione positiva si sposta dal contratto alla singola clausola, o alla singola parte del contratto soltanto in via di eccezione. Tale è, infatti, la disciplina della invalidità parziale, la quale, per altro, anche in ossequio al principio generale di con-
Si veda, a esempio, in tema di clausola compromissoria, M. Confortini, Clausola compromissoria: regole ‘per’ decidere e regole ‘del’ decidere, in Obbl. contr., 2011, pp. 565-569.
26
Sul problema della accessorietà o autonomia del patto, le considerazioni S. Orlando, La
formazione dei patti vessatori nella novella dei contratti sui consumatori, in Riv. dir. priv., 1997,
p. 730 ss. L’A., movendo l’indagine dalla disciplina sulle clausole abusive e dal rilievo che la
legge prevede, per la formazione di questi patti, un procedimento di formazione ulteriore e diverso da quello, altrimenti, necessario per la conclusione del contratto al quale accede, svolge il
rapporto tra contratto, patto e regolamento negoziale. Le premesse suggeriscono all’A. di domandarsi se la nuova disciplina sui patti abusivi importi conseguenze in tema di identificazione
del negozio. All’esito dell’indagine, l’A. esclude che la singolare disciplina sulla formazione del
patto abusivo possa togliere al negozio la sua unitarietà. «L’unitarietà attiene al regolamento,
una volta che esso sia stato posto dai privati secondo le prescrizioni imposte dalla legge. In
questo senso il negozio rimane “uno”: un regolamento che, come insegna la teoria degli elementi accidentali, “arricchendosi” di regole individue, non perde la sua unità» (p. 738). Secondo
l’A., dunque, il tratto di unitarietà del negozio sta nell’unitarietà del regolamento. Vale, però, la
pena di segnalare che, sempre secondo l’A., se i patti fossero stipulati successivamente alla conclusione del contratto principale, essi darebbero luogo «ad altrettanti contratti, variamente collegati a quelli costitutivo del rapporto regolato» (p. 733). Sicché sembrerebbe che l’unità del negozio e del contratto non dipenda soltanto dall’unità del regolamento, ma anche dal contesto
temporale in cui il patto viene concluso.
25
974
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
servazione, è destinata a espandersi all’intero contratto soltanto in precisi
e limitati casi.
Radicalmente diverso è, invece, l’atteggiamento del legislatore in materia testamentaria. L’attenzione, quando si ha riguardo all’atto e non anche
al documento, è sempre ferma sulla singola disposizione testamentaria27.
La quale sembra munita di una vita autonoma che, spesso, troppo spesso,
prescinde dalla vita delle altre.
Quelle che, apparentemente, potrebbero sembrare regole sull’intero testamento, inteso come un’unitaria complessità di disposizioni testamentarie, sono, piú semplicemente, regole del documento, o del testamento in
senso formale28. Le quali pervadono, certamente, tutte le disposizioni in
esso contenute, ma sol perché il documento che le raccoglie è, spesso, incapace di valere, per l’ordine giuridico, come testamento e, dunque, incapace di contenerle.
Per il resto la disciplina è tutta incentrata sulla singola disposizione testamentaria; non ci sono regole che si applicano al testamento, inteso come
complesso dei precetti. Ciò vale per la violenza, il dolo, l’errore, il motivo illecito, le condizioni impossibili o illecite, il termine, la revocazione.
Ciò vale nella distinzione tra disposizioni a titolo universale e disposizioni
a titolo particolare, ché la qualificazione di una, in un senso, esclude che
essa possa essere intesa nell’altro.
Non si prevede mai che la invalidità di una disposizione testamentaria
possa trasmettersi all’intero testamento, o agli altri precetti; essa rimane,
sempre, confinata al precetto singolo29. Al piú, se proprio una trasmissione
sia possibile intravedere, essa non è, mai, da un precetto testamentario a
un altro, bensí da un frammento di disposizione all’intera disposizione,
Il profilo è colto molto bene da F. Messineo, Manuale di diritto civile, cit., p. 109, il
quale avverte che un testamento può costare di un’unica disposizione o di una pluralità di disposizioni testamentarie e che, in tale ultimo caso, esse possono essere legate l’una all’altra o
indipendenti e attinenti a oggetti disparati. «La prima delle dette situazioni offre interesse dal
punto di vista dell’interpretazione della volontà testamentaria; la seconda situazione, ai fini della
validità, poiché l’eventuale invalidità di una tale disposizione indipendente non involge l’invalidità dell’altra o delle altre».
28
Discorre di testamento come documento, per indicare le discipline di forma e le formalità dei tipi, e di testamento come negozio, per indicare i problemi dell’atto di volontà, A. Cicu,
Le successioni. Parte generale. Successione legittima e dei legittimari. Testamento, Milano, 1947,
p. 304 ss.; Id., Il testamento, Milano, 1951, 2ª ed., p. 33. Si consideri in ogni caso che in entrambe le opere la struttura dell’indice sommario dà misura di questa scelta. Il capo III, della
parte III, pp. 304-357, del primo volume e il capo III, pp. 33-101, del secondo volume è dedicato al «testamento come documento»; il capo IV, della parte terza, pp. 358-389 del primo
volume e il capo IV, pp. 103-141, del secondo volume è dedicato al «testamento come negozio
giuridico».
29
B. Biondi, Autonomia delle disposizioni testamentarie, cit., c. 567.
27
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
975
come, a esempio, nel caso di onere illecito, o impossibile. Il quale, peraltro, non genera, sempre e automaticamente, invalidità; piuttosto si considera non apposto, importando la nullità dell’intera disposizione, soltanto
quando ne abbia costituito il solo motivo determinante.
Non meno rilevante la disciplina sulla revocazione, nella quale, a riprova della autonomia di ogni disposizione, può addursi tanto la norma
sulla revocazione espressa, la quale ha come referente la singola disposizione testamentaria e non il testamento; quanto quella recata all’art. 682
c.c. La quale prevede che il testamento posteriore, che non revochi espressamente i precedenti, «annulla in questi soltanto le disposizioni che sono
con esso incompatibili»30.
Sembrerebbe, allora, che la disposizione testamentaria ha, a differenza
della clausola contrattuale, un piú elevato grado di autonomia, tale da poter giustificare l’affermazione che essa non è, al pari dell’ultima, un frammento di negozio giuridico, ma, quasi, un autonomo negozio giuridico.
Se, infatti, si ha mente che il testamento non necessariamente regola,
per intero, la successione del suo autore, perché essa può essere affidata
in parte al testamento e in parte alla legge, ovvero a piú testamenti, o, infine, anche a piú testamenti e alla legge, sembra quasi che si rompa quella
presunta unità concettuale tra testamento e successione che, storicamente,
ha sempre consentito di affermare che il testamento è un singolo e autonomo negozio giuridico.
Tale è stato considerato, perché esso è sempre stato riguardato come
l’atto, idealmente, deputato a regolare la successione a causa di morte del
suo autore. Come il contratto è un unico negozio giuridico, che non si
fraziona in tanti negozî, quante solo le sue clausole, perché l’accordo, che
ne è fattispecie, serve per regolare, tra le parti, un certo e determinato rapporto giuridico, cosí, mi sembra di leggere tra le pagine dedicate al testamento e alla volontà testamentaria, che il testamento è un unitario negozio giuridico perché è l’atto di autoregolamentazione della propria successione.
Dire, però, che il testamento è un unitario negozio giuridico, sol perché regola la successione a causa di morte del suo autore è, però, una petizione di principio, o tale, almeno, a me pare31.
Efficace e utile anche la considerazione, in tema di revocazione, detta da B. Biondi, o.c.,
c. 568. «la sez. V del capo V tit. III del libro II c.c. è intitolata appunto «della revocazione
delle disposizioni testamentarie», e nel caso di revoca legale per sopravvenienza di figli, secondo
l’art. 687, cadono le disposizioni a titolo universale e particolare, ma tutto il resto rimane fermo».
31
Molto efficace il rilievo di B. Biondi, o.c., c. 567, il quale dice: «poiché ogni negozio tipico è individuato dalla causa, concepita come scopo pratico generale e costante; in guisa che
30
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Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
Non può certo negarsi che il testamento è lo strumento eletto dal nostro legislatore per consentire al privato di regolare i proprî interessi post
mortem; al pari di come, però, non può neppure trascurarsi di osservare
che il solo testamento, o un solo testamento non sempre è capace di regolare, per intero, la successione del soggetto.
Il che impone, allora, una considerazione ulteriore e diversa, nel compimento della quale è bene muovere dalla constatazione che il negozio
giuridico, pur avendo una straordinaria importanza pratica, è pur sempre,
nel nostro ordinamento giuridico, una categoria logica, la quale serve, massime, solo per chiamare a raccolta gli atti connotati dalla corrispondenza
degli effetti alla fattispecie32.
Se si muove da questa importante connotazione, non mi pare si possa
escludere che la singola disposizione testamentaria possa essere considerata un negozio giuridico33. Perché si tratta di un atto unilaterale, con il
si hanno tanti negozi tipici, quante sono le cause, dobbiamo concludere che il testamento, come
tale, non è un negozio tipico, giacché ad esso non corrisponde una causa tipica. Abbiamo piuttosto una varietà di cause, quante sono le singole disposizioni che la legge consente al testatore,
alle quali per ciascuna corrisponde una causa tipica».
32
M. Allara, Vicende del rapporto giuridico, fattispecie, fatti giuridici, rist. con prefazione
di N. Irti, Torino, 1999, pp. 119 s., distingue i fatti giuridici a efficacia corrispondente al contenuto del fatto stesso e a efficacia non corrispondente. Se c’è corrispondenza dell’elemento oggettivo e tale corrispondenza è cospicua si discorre di negozio.
33
Interessante la posizione di C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, Milano, 1964, rist. inalterata della 2ª ed., p. 35 s., il quale pur non negando che ogni
disposizione testamentaria possa essere un autonomo negozio giuridico, afferma che il testamento rimane, comunque, un unico negozio giuridico. Il testamento, scrive l’A., «è un negozio giuridico semplice, se consta di una sola dichiarazione di volontà, ossia di una sola dichiarazione; ovvero un negozio giuridico complesso, se consta di piú dichiarazioni di volontà, ossia di piú disposizioni. In questo secondo caso ciascuna disposizione (p.e. istituzione e di erede
o legato), presa a sé, siccome consiste in una dichiarazione di volontà, costituisce certamente un
negozio giuridico, ma ciò non vuol dire che l’insieme di esse, ossia il testamento, non sia un
unico negozio giuridico, ma come qualcuno ha detto, una somma di negozi giuridici riuniti in
un unico atto o documento; esso è un unico negozio giuridico, sebbene complesso in quanto
che è una dichiarazione di volontà che risulta dall’insieme delle varie disposizioni».
La tesi, con maggior forza è stata sostenuta da E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. Vassalli, Torino, 1960, 2ª ed., p. 319, «il testamento è atto che può contenere disposizioni svariate, ciascuna delle quali ha valore di negozio a sé stante […] piú che
come unico negozio, si configura come una forma atta ad accogliere una pluralità di negozi a
causa di morte». Ma già, prima, B. Biondi, Autonomia delle disposizioni testamentarie, cit., c.
567 s., il quale movendo dal rilievo che ogni disposizione testamentaria ha una sua precisa causa,
mentre il testamento non ha una precisa causa, giunge alla conclusione che ciascuna disposizione testamentaria è un autonomo negozio giuridico. «Queste considerazioni portano alla conclusione che il testamento non è un unico negozio giuridico, ma una somma di negozi mortis
causa, variabile ad arbitrio del disponente, negozi autonomi ed indipendenti, individuati da una
causa tipica, aventi ciascuno un proprio regime, una propria struttura, e che possono quindi
avere sorte giuridica distinta».
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
977
quale il soggetto regola un proprio specifico interesse, per il tempo in cui
avrà cessato di vivere. Perché si tratta di un atto unilaterale che ha una
propria causa, nel senso che ogni disposizione testamentaria ha una propria e unica precisa funzione.
Questo si badi non significa negare che il testamento sia un negozio
giuridico, ossia un atto di autoregolamentazione di privati interessi, ma,
meno semplicemente, affermare che nel testamento è possibile rintracciare,
strutturalmente e funzionalmente, tanti negozî giuridici quante sono le autonome disposizioni testamentarie che lo compongono.
Del resto, se immaginassimo due testamenti successivi, con i quali il de
cuius si limitasse, con il primo, a istituire erede, nella metà del proprio patrimonio Tizio e, con il secondo e successivo, a istituire erede, nella ulteriore restante metà del proprio patrimonio Caio, nessuno dubiterebbe che
si tratti di due negozî giuridici diversi. Nessuno dubiterebbe che ognuno
dei due testamenti consta di una sola disposizione testamentaria. Nessuno
dubiterebbe, cioè, che saremmo in presenza due negozî, ciascuno consistente in una disposizione testamentaria, regolanti, entrambi la medesima
successione. Viceversa, se entrambe le disposizioni testamentarie fossero
contenute in un medesimo testamento, si direbbe che il negozio è uno
solo34.
In ciò, però, è chiaro che la decisione nell’uno o nell’altro senso non
dipende dalla idoneità delle disposizioni testamentarie a regolare la medesima successione, bensí dal loro essere contenute in uno o in due, successivi e distinti, testamenti.
Se, però, si abbandona la logica del documento e della unità cronologica nel quale un testamento è confezionato, è facile avvedersi che con
ciascuna disposizione testamentaria il de cuius regola un proprio preciso
interesse post mortem. Che ciascuna disposizione testamentaria ha un’autonoma e, spesso, svincolata efficacia rispetto alle altre, e, soprattutto, che
ciascuna di esse viene riguardata dall’ordinamento giuridico nella sua unitaria solitudine e calata nella complessità, soltanto quando si tratti di intendere l’assetto complessivo e globale che il soggetto ha inteso dare, non
al testamento, bensí alla propria successione a causa di morte.
L’idea che la singola disposizione testamentaria possa essere riguardata,
nel significato indicato, quale individuo negozio giuridico, ha, dunque, una
valenza meramente positiva, perché serve a spiegare tutta la disciplina dettata in tema di disposizione testamentaria. L’autonomia delle singole disposizioni testamentarie, peraltro, non viola, né turba l’esigenza di inter-
34
B. Biondi, o.u.c., c. 568.
978
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
pretare l’una disposizione per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il
senso che risulta dal complesso dell’assetto che il suo autore abbia inteso
imprimere alla propria successione mortis causa. Anzi, all’esatto opposto,
finisce con l’esaltare questo aspetto, perché impone all’interprete, nell’individuare quale regolamento di interessi il de cuius abbia scelto, non soltanto di considerare le sole disposizioni testamentarie contenute in un testamento, bensí le disposizioni testamentarie contenute in tutti i testamenti
idonei a regolare quella successione, ed, eventualmente, alle disposizioni
regolanti la successione secondo la legge35.
Il criterio della complessità interpretativa, che Emilio Betti, già nella
prolusione romana del 1948, aveva raccolto nel celebre brocardo incivile
est, nisi tota lege perspecta, una aliqua particula eius proposita, vel iudicare vel respondere, trova in materia testamentaria il punto di riferimento
non già nel testamento, bensí nella successione, ossia nel complesso di tutte
le disposizioni testamentarie regolanti una determinata successione, indipendentemente dal fatto che esse siano contenute in uno stesso testamento,
o in piú testamenti successivi.
Se, come a me sembra, il punto di rilevanza e di emersione della disciplina ereditaria è sempre la successione, nel senso ampio e lato del termine, ossia come complessivo assetto di interessi post mortem, allora deve
aversi riguardo a tutte quelle disposizioni che, a diverso titolo, servono
per dare assetto a quella.
La circostanza che, statisticamente, una successione testata sia regolata
da un solo testamento, che ha il tratto della completezza, non mi pare
possa consentire l’affermazione che quello, poiché emersione della disciplina della successione, sia, per questo soltanto, o peggio ancora, per la
unità di contenente strutturale attribuitagli dalle norme sui tipi testamentarî, un negozio giuridico. Piuttosto è a dirsi, in ragione della autonomia
positiva che il legislatore attribuisce a ogni precetto testamentario, che ogni
disposizione testamentaria è un atto unilaterale caratterizzato dalla corrispondenza dei suoi effetti al contenuto della fattispecie, ossia un autonomo
negozio giuridico.
Mi sembra, dunque, che l’orizzonte del giurista positivo che indaghi i
problemi di diritto ereditario, debba essere la successione, ossia il complessivo assetto di interessi post mortem impresso da ciascuno, indipendentemente dal testamento, o dai testamenti che servano, o siano serviti,
al suo autore, a tal scopo; e che l’atto di riferimento, quale espressione
della autonomia privata, debba essere la disposizione testamentaria, singoSul tema del rapporto tra regole autonome e regole eteronome, seppur in materia di contratto, le considerazioni di M. Confortini, Problemi generali del contratto, cit., p. 201 ss.
35
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
979
larmente considerata, in ragione della sua capacità di esprimere un precetto testamentario, e nella complessità di tutte le altre disposizioni testamentarie, regolanti quella successione, a prescindere dalla loro appartenenza a uno o piú testamenti, al fine di rendere intelligente il complessivo assetto di interessi post mortem.
Questo, peraltro, non è un risultato meramente speculativo, perché ha
una ricaduta pratico-applicativa di non breve momento, non soltanto in
termini di comprensione della successione, non soltanto in termini di interpretazione del testamento e dei testamenti, ma soprattutto perché, restituendo il tratto di unitarietà alle singole disposizioni testamentarie consente di predicare rispetto a ciascuna quella valutazione che, sola, spiega
la autonomia e, insieme, la connessione che sovente si istituisce tra di loro.
Spiega, anche, perché il titolo gratuito delle disposizioni testamentarie
è comune, mentre il loro carattere liberale36 non necessario e imprescindibile, ma predicabile, talvolta, soltanto per talune. Benché, di regola, le
disposizioni testamentarie siano liberali, può darsi, anche, che non lo siano
affatto. Quanto all’istituzione di erede, basterà pensare all’ipotesi di una
eredità passiva, la quale non arricchisce affatto l’istituito. Quanto al legato
basterà osservare37 i casi in cui il testatore non ha inteso beneficare l’onorato, perché la disposizione è stata confezionata per ragioni diverse, perché l’attribuzione è appesantita da un modus, che ne assorbe in toto l’utilità, o perché il legato ha a oggetto beni privi di ogni possibilità di mercato38. Spiega il perché, rispetto a ogni disposizione testamentaria si ponga
un problema causale e un problema di controllo di meritevolezza da parte
dell’ordinamento. Il quale non è attento, né indaga la causa del testamento,
Liberalità non indica e descrive, soltanto, l’assenza di una costrizione giuridica a compiere l’atto, ma vale a esprimere, altresí, quel significato che, proprio la parola liberalità ha assunto e assume, nel linguaggio comune. Ossia la generosità e la munificenza. Occorre, cioè, perché si abbia una liberalità, non soltanto che l’autore compia l’atto spontaneamente, senza alcuna
costrizione, in piena libertà e consapevole del significato della sua decisione, ma, altresí, che vi
sia munificenza, ossia arricchimento disinteressato. Che esista, cioè, un’attribuzione, che determini un arricchimento a vantaggio dell’altra parte dell’atto, o del rapporto.
37
G. Bonilini, Dei legati, in Cod. civ. Comm. Schlesinger, 2ª ed., Milano, 2006, pp. 22 ss.;
A. Giordano-Mondello, Legato (dir. civ.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1973, p. 724; E. Perego, I legati, 2ª ed., in Tratt. dir. priv. Rescigno, VI, Successioni, Torino, 1997, p. 222; C. Romano, I legati, in R. Calvo e G. Perlingieri (a cura di), Diritto delle successioni, 2008, II, p.
986. In senso contrario, V. Simoncelli, Istituzioni di diritto privato italiano, Roma, 1917, p.
290 e anche F.S. Azzariti, G. Martinez e Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte, cit.,
p. 498.
38
A. Masi, Dei legati, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1979, p. 86, secondo
cui sarebbe indispensabile rintracciare un’acquisizione di carattere patrimoniale. G. Bonilini,
Legato, in Dig. disc. priv., Sez. civ., X, Torino, 1993, p. 511.
36
980
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
che sarebbe anche difficile da individuare e cogliere, bensí la causa e la
funzione di ciascuna disposizione testamentaria.
Mi sembra, quindi, che la specifica disciplina che il legislatore ha scelto
in tema di diritto ereditario, suggerisca l’idea che il carattere di negozio
giuridico debba essere predicato piú alla disposizione testamentaria, che
non al testamento, complessivamente considerato, e che la valutazione solitaria che l’ordinamento impone rispetto a ciascun precetto testamentario,
debba cedere e calarsi nella complessità, soltanto quando si tratti di intendere l’assetto complessivo della successione.
4. La varietà delle disposizioni testamentarie, la quale difficilmente è
costringibile in elencazioni o esemplificazioni esaustive, si spiega se soltanto si tenga conto della molteplicità di scopi, che le disposizioni testamentarie sono in grado di assolvere. E le une e le altre, ossia la pluralità
degli scopi, in uno con la numerosità delle disposizioni possibili, spiega e
giustifica perché il testamento non è soltanto l’atto, con il quale il testatore dispone delle proprie sostanze, ma, piuttosto, l’atto, con il quale quegli regola i proprî interessi post mortem39.
Tradizionalmente e, se vogliamo, anche statisticamente, le disposizioni
testamentarie, siano esse a titolo universale, o particolare, assolvono il primario scopo di devoluzione dei beni, di trasmissione dei beni dal testatore al beneficato.
Tale scopo, però, né assorbe, né esaurisce gli scopi possibili, né, soprattutto, può essere identificato con la funzione.
Anche a voler prescindere, per un momento, dalle disposizioni testamentarie di contenuto non patrimoniale, le quali, da sole considerate, sarebbero sufficienti ad aprire orizzonti funzionali assai lontani da quello
L’idea che il testamento serva alla regolamentazione post mortem degli interessi, anche
non patrimoniali, del de cuius è chiara in G. Bonilini, Autonomia testamentaria e legato. I legati cosí detti atipici, Milano, 1990, p. 11 s. e spec. p. 48 ss.; Id., Dei legati, cit., p. 14 ss.; Id.,
Testamento, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XVII, Torino, 1999, p. 338 ss. A conferma della penetrazione dell’idea anche a livello manualistico, Id., Manuale di diritto ereditario, cit., p. 205 ss.
In senso parzialmente differente, M. Allara, Princípi, cit., p. 28, secondo il quale il tratto della
patrimonialità, in uno con quello della capacità di regolare gli interessi post mortem, sarebbe
necessario ai fini della qualificazione del testamento. Secondo l’a. il nostro ordinamento conosce anche negozî a causa di morte non patrimoniali sicché, come precisa a p. 103 s., «le disposizioni di cui al secondo comma dell’art. 587 c.c. non sono disposizioni testamentarie anche se
il legislatore ha stabilito per esse un formalismo uguale a quello, che lo stesso legislatore ha stabilito nei riguardi del negozio testamentario». In definitiva per l’a., nella materia testamentaria,
il tratto della patrimonialità è essenziale, con la precisazione (p. 102) che esso, a differenza di
quanto non accada nella materia del contratto, rileva non già sul piano del rapporto giuridico,
bensí su quello dell’oggetto del negozio stesso.
39
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
981
propriamente devolutivo, e volendo rimanere nella cerchia di quelle a contenuto patrimoniale, non si avrà difficoltà ad avvertire che esse, spesso, assolvono ben altri uffici e risultano impiegate per realizzare molteplici risultati, divisi tra loro.
Ciò è possibile non tanto e non soltanto perché la varietà di disposizioni tipiche e l’apertura alle disposizioni, cosí dette, atipiche consente
spesso risultati che nulla hanno a che vedere con quello devolutivo (si
pensi, a titolo di esempio, alle disposizioni con cui il testatore riconosce
un proprio debito, con cui erige una fondazione, con cui soddisfa un proprio creditore, con cui detta norme sulla divisione dei proprî beni, o con
cui compromette in arbitri le controversie che dovessero sorgere dalla sua
successione), ma soprattutto perché la disposizione testamentaria è il luogo
dell’autonomia privata, in cui l’area dei motivi, ossia delle regioni individuali, che sorreggono le scelte compiute, è, massimamente, privilegiato.
Ciò si coglie considerando, per un verso, tutte le norme nelle quali al motivo è tributata una speciale efficacia giuridica esterna e, per altro verso,
considerando l’ampio spazio riservato ai cosí detti accidentalia negotii.
La migliore dottrina ammonisce, infatti, sullo stretto e indissolubile legame tra testamento e sentimenti dell’uomo, essendo la disposizione testamentaria, nelle sue varie e possibili declinazioni, lo strumento capace di
rendere tangibili i moti d’animo del de cuius40.
Sentimenti non soltanto di affetto, riconoscenza e stima, ma anche di
indifferenza, ingratitudine e riprovazione. Nell’un caso, quando la disposizione testamentaria sia dettata dal genuino intento di beneficare il destinatario; nel secondo, noto come disposizione infamante, quando sia esplicitato il disonorante motivo individuale che sorregge la disposizione stessa41.
L’indissolubile legame tra testamento e sentimenti dell’uomo, e la pluralità di scopi di cui le disposizioni testamentarie sono capaci, apre e impone di cogliere la differenza di prospettiva tra scopo e funzione della disposizione, tra concreta utilizzazione fatta dal soggetto e obiettiva tecnicità della medesima.
Autorevole dottrina, nel vibrante monito del ritorno ai classici, ha già
Cosí, G. Bonilini, Dei legati, cit., p. 4 s., § 1: «Legato, e sentimenti dell’uomo»; Id., Legato, cit., p. 509.
41
Altro e diverso il caso in cui la disposizione testamentaria, proprio a cagione, della menzione di un disonorante motivo individuale integri gli estremi di un illecito. L’illecito commesso
dal testamento non comporta la nullità della disposizione testamentaria, ma solo il diritto dell’offeso a ottenere il risarcimento del danno. Il quale grava, come è ovvio, sulla eredità. Il tema
dell’illecito testamentario non può essere neppure lambito, ma solo evocato, rinviando, per tutti,
e per i riferimenti di letteratura, a G. Bonilini, L’illecito posto in essere per mezzo del testamento, in Resp. civ., 2009, p. 101 ss.
40
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spiegata, sebbene con riferimento alla materia del contratto, la differenza
tra l’uno e l’altra42. Si tratta, qui e ora, soltanto, di raccoglierne i risultati.
Colui che confeziona un testamento, scegliendo una disposizione, piuttosto che un’altra, includendo taluni nella propria successione ed escludendo, anche esplicitamente, altri, riconoscendo un debito, o confessando
un fatto a sé sfavorevole, erigendo una fondazione, o disponendo a favore
della propria anima, o dei poveri, persegue, certamente, degli scopi; i proprî personali ed egoistici scopi43.
Essi, però, perché tali, perché relativi al modo in cui il testatore vuole
e persegue il risultato, appartengono solo ed esclusivamente all’autore dell’atto; possono essere raggiunti e realizzati, oppure mancati e falliti. Ciò,
poco o punto influisce sulla funzione di ogni singola disposizione testamentaria.
La quale è, altro dagli scopi; compito oggettivo della disposizione, essa
sta di fronte all’animo dell’agente e appartiene, perciò, non al singolo testatore, ma a qualunque testatore, perché «implica un quadro di organizzazione e di tipicità tecnica»44, perché consente la razionalità del succedere45, la razionalità della successione.
Lo scopo, personale del testatore, attiene al modo con il quale il de
cuius decide di dare assetto ai proprî interessi post mortem, scegliendo, riN. Irti, Del ritorno ai classici (e del negozio giuridico nel pensiero di Vittorio Scialoja),
in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 434, «Funzione – è il caso di avvertire – non è scopo: lo scopo è
scelto e voluto e perseguito da ciascuno di noi; la funzione appartiene all’oggettività di uno
strumento, di un congegno, di un meccanismo che sta dinanzi a noi, “esteriore – diceva Scialoja – di fronte all’animo dell’agente”. La funzione appartiene allo strumento, e dunque a tutti
coloro che lo utilizzano; lo scopo appartiene soltanto a me, ossia a chi lo sceglie e persegue.
Lo scopo, mirato dalla volontà del soggetto, può essere raggiunto o no; la funzione è un carattere tecnico dell’oggetto, qualcosa che ci sta di fronte, e attende soltanto di svolgersi e compiersi. La funzione esprime adeguatezza tecnica; e codesta adeguatezza si definisce, di tempo in
tempo, nei diversi regimi dell’economia, sicché le funzioni accolte e protette in un’economia
agricola non sono quelle di un’economia commerciale o industriale, né quelle odierne del capitalismo planetario. E questo dà altresí ragione dell’aggettivo “economica”, che, di tempo in
tempo, e con varietà di combinazioni, la dottrina assegnerà a “funzione”: economico-giuridica,
economico-sociale, economico-individuale; e via seguitando».
43
La filosofia teoretica insegna, da sempre, che ciò che è scopo di un’azione, determina il
modo in cui l’azione si costituisce, ossia la struttura dell’azione. Con l’ovvio corollario che modificandosi lo scopo, si modifica anche l’azione. Lo scopo del testatore è, dunque, ciò che determina il modo in cui la disposizione testamentaria deve essere confezionata; ciò che determina
la struttura della disposizione testamentaria.
44
N. Irti, Del ritorno ai classici, cit., p. 435.
45
Sul tema della razionalità del succedere mi ero già soffermato e, qui, il concetto è evocato, anche con maggiore convinzione, nel mio, Il legato di fideiussione, in Fam. pers. succ.,
2011, p. 416 ss., spec. § 1, intitolato «la razionalità del succedere» e ripreso in Disposizioni testamentarie costitutive, modificative ed estintive di rapporto obbligatorio, ivi, 2012, p. 15.
42
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
983
spetto alle sue esigenze, aspirazioni e sentimenti, se debba essere preferita
una soluzione, piuttosto che altra. La funzione, algida e obiettiva, estranea al testatore, impersonale, fa tutt’uno con lo strumento che la svolge
e compie e consente la razionalità del succedere.
Occorre, dunque, che il giurista, dinanzi a ogni disposizione testamentaria colga sempre la funzione che essa assolve46, evitando di centrare
l’attenzione soltanto sullo scopo che, spesso, proprio per la strutturale caratteristica dell’atto di ultima volontà, tende a prevaricare l’ultima.
Il testamento è, infatti, il luogo nel quale, lo si voglia o no, il de cuius
ferma le sue ultime volontà; consegnate a uno scritto, destinato a risuonare, negli orecchi dei nominati e dei dimenticati, quando il suo autore è
già tradotto in silenzioso ricordo. È il luogo nel quale il testatore riesce
a mondare colpe passate, a liberarsi di rimorsi, a celebrare i proprî rimpianti, a gratificare e beneficare coloro, che, a suo arbitrio, lo meritarono,
quale che ne fu il merito, l’affetto o il servigio reso47. Se, cosí, non fosse,
non si potrebbe, affatto, spiegare l’antico fiorire e, ancora ora, florido impiego di disposizioni infamanti, rimuneratorie, canzonatorie, meramente
benefiche e delle raccomandazioni48.
Tutto ciò esalta lo scopo della disposizione testamentaria, ma spesso
appanna la funzione. Epperò, ciò di cui il giurista deve, davvero, tener
conto è l’ultima.
Rileva, cioè, ai fini della razionalità del succedere, non il modo di raggiungimento del risultato, bensí il compito oggettivo della disposizione testamentaria, direi, la sua causa, quale che sia lo scopo per cui il testatore
la volle.
La diversità delle due prospettive e la loro importanza ai fini della determinazione del significato da attribuire alla disposizione testamentaria, si
46
Sulla pluralità di funzioni delle disposizioni testamentarie, ossia sul rilievo che ogni disposizione testamentaria ha una sua funzione, le considerazioni di B. Biondi, Autonomia delle
disposizioni testamentarie, cit., c. 567.
47
Un esempio è nella arguta e briosa, ma, spesso, amara e desolante, raccolta di schede testamentarie proposta da S. De Matteis, Essendo capace di intendere e volere, Palermo, 2011,
15ª ed.
48
G. Bonilini, Testamento, cit., p. 338 ss.; Id., Manuale di diritto ereditario, cit., p. 207,
«il legislatore, dunque, ha fuso in una nozione unitaria, i due concetti summenzionati, onde sia
approntato un mezzo che, consentendo di realizzare interessi patrimoniali e non patrimoniali,
la cui rilevanza è post mortem, sia capace di soddisfare quella molteplicità di bisogni, di cui ogni
individuo è portatore, e alla cui soddisfazione deve tendere l’ordinamento giuridico. Il testamento è certamente un atto di volontà, che, adeguatamente vestita, si dirige a effetti giuridici;
né va dimenticato, che tale volontà si rannoda al sentimento, vale a dire è la traduzione, anche
giuridica, della realtà degli affetti, delle emozioni, degli ideali, delle convinzioni».
984
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
coglie, almeno, cosí mi è parso in altra occasione, avendo riguardo alla disposizione di diseredazione49.
La decisione del testatore di escludere un successibile, in luogo di indicare, nominativamente, i soggetti chiamati a succedere, si lascia apprezzare, soltanto, in termini di scopo perseguito dal testatore. Non fa, però,
venir meno la funzione istitutiva della disposizione testamentaria50, la quale
resta ferma.
La scelta tra la istituzione esplicita di alcuni successibili o la esclusione
di alcuni sembra attendere, non già e non tanto alla volontà istitutiva, sebbene al motivo, che determina il testatore nella scelta. Non si tratta di
dare, surrettiziamente, cittadinanza alla finzione di impronta francese, per
cui exclure c’est instituer, bensí di cogliere la differenza di prospettiva tra
obiettiva tecnicità della disposizione testamentaria e concreta utilizzazione
fatta dal soggetto.
La volontà istitutiva, dunque, ove pure la disposizione testamentaria venisse esternata in forma negativa, non è presunta, né implicita; è nella disposizione testamentaria, perché essa assolve, in questo caso, detta funzione51.
49
Sul punto sia consentito rinviare al mio, La disposizione testamentaria di diseredazione,
cit., pp. 763-787. Nel quale ho commentato la sentenza resa da Cass., 25 maggio 212, n. 8352,
con la quale i Giudici, modificando il precedente, costante e consolidato orientamento, non
senza che si possa leggere, tra le righe della dotta decisione, l’adesione alla soluzione proposta,
sul medesimo caso, cinque anni prima, da autorevole dottrina (G. Bonilini, Disposizione di diseredazione accompagnata da disposizione modale, in Fam. pers. succ., 2007, p. 715 ss.), hanno
affermano il seguente principio di diritto: «è valida la clausola del testamento con la quale il testatore manifesti la propria volontà di escludere dalla propria successione alcuni dei successibili».
50
Interessante è l’osservazione di L. Bigliazzi Geri, Il testamento, in Tratt. dir. priv. Rescigno, VI, Torino, 1997, 2ª ed., p. 139, «seppur disposizione innominata (esaurisca o no il contenuto del testamento) la diseredazione […] costituisce infatti pur sempre espressione della funzione cui il testamento adempie e, benché in questo solo senso, potrebbe, semmai, dirsi tipica».
51
Ciò, ovviamente, non può significare validità indiscriminata della disposizione testamentaria istitutiva, bensí validità di quella disposizione che abbia il simulacro di disposizione istituiva. La volontà testamentaria, è vero, merita di essere conservata e non sciupata, ma occorre,
che il testo scritto, che reca traccia di essa, consenta di ravvisare in esso l’esistenza di una volontà istitutiva, indipendentemente dalla formulazione in chiave positiva o negativa. Se l’ambiguità del testo, lasci il medesimo, una volta che siano stati sperimentati tutti i canoni ermeneutici legali, nella oscurità, occorrerà negare valore giuridico a quelle parole; negare, cioè, che esse
esprimano una valida disposizione testamentaria. In tale processo è, però, irrilevante, se non
nella misura in cui ciò lo possa diventare nella sperimentazione, ovvia, dei canoni ermeneutici,
il carattere positivo o negativo della disposizione testamentaria. Vorrei, dunque, fosse chiaro che
codesto discorso non vale per la sola disposizione di diseredazione, ma per qualunque disposizione testamentaria. Esso assurge a rango di ragionamento generale. Ciò dico, per evitare che
si possa pensare che questo mio ragionamento voglia, alla fine, inclinare verso una risposta sovente data rispetto al tema della disposizione di diseredazione. Ossia che essa sia valida, soltanto allorché sia possibile, attraverso l’interpretazione della medesima, di ricavare quale fosse
stata l’intenzione istitutiva del testatore, ossia la intenzione di includere gli esclusi. Non si tratta,
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
985
Poiché la volontà istitutiva, non viene meno, ove pure la disposizione
testamentaria venisse esternata in forma negativa, ed essa non deve essere
supposta, immaginata o ricercata sulla base di percorsi tesi a ricostruire o
indagare una volontà presunta o implicita, non credo si possa dubitare
della idoneità della disposizione ad assolvere la sua funzione propria52.
La funzione di una disposizione negativa, sempre che sia possibile nelle
parole segnate nel testamento rintracciare il simulacro di una disposizione
testamentaria, esprimente, secondo i comuni canoni ermeneutici, una precisa scelta organizzativa e un assetto tecnico-giuridico dei proprî interessi
post mortem, consente e, direi, impone, di considerare quella disposizione
una vera e propria disposizione istituiva. Con la quale il testatore, escludendo taluno, sceglie, seppur rinviando, parzialmente, alla legge e spesso
derogandovi l’ordine, chi, e in che misura, debba succedergli.
5. «Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono
la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del
testatore».
Con queste parole, tolte dal primo comma dell’art. 588 c.c., le quali
seguono a quelle destinate a segnare i contorni generali del testamento, il
legislatore apre il titolo dedicato alle successioni testamentarie e impone
all’interprete, rispetto a ciascuna disposizione, d’indagare se essa sia, con
tutte le conseguenze che da tale qualificazione derivano, a titolo universale, o a titolo particolare.
Tale regola, la quale non mi pare abbia il rango di mera definizione, si
presta a essere considerata una vera e propria norma sull’interpretazione53,
cioè, per la disposizione di segno negativo, di svolgere un’analisi interpretativa, maggiore o diversa, qualitativamente o quantitativamente, rispetto a quella che non sia necessario di compiere
dinanzi a una disposizione testamentaria di segno positivo; non si tratta di togliere dalla disposizione testamentaria negativa una disposizione testamentaria positiva, implicita o per relazione, (è la tesi, brillante, ma fondata sul concetto di testamento, alla quale ho manifestato di
non aderire di L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima,
in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, continuato da L. Mengoni, 1, 5ª ed., Milano, 1993,
p. 24 s.); si tratta, soltanto, di verificare, secondo le consuete regole sulla interpretazione della
disposizione testamentaria, se quella disposizione, quale che sia lo scopo del testatore, assolva
la sua funzione. Funzione, ho già detto, che prescinde dallo scopo, perché vale a evocare, soltanto, la idoneità, siccome strumento tecnico di garantire la razionalità del succedere.
52
Certamente occorre che la diseredazione abbia il simulacro di una disposizione testamentaria, che non sia, cioè, una mera e semplice manifestazione di astio e riprovazione verso
qualcuno.
53
Sull’interpretazione del testamento, almeno, P. Rescigno, Interpretazione del testamento,
Napoli, 1952; L. Bigliazzi Geri, La volontà nel testamento e l’interpretazione, in Tratt. dir.
priv. Rescigno, VI, cit., p. 77 ss. Per una sintesi R. Carleo, L’interpretazione del testamento,
986
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
segnando i criterî, in base ai quali è possibile attribuire il significato e la
qualifica giuridica alle parole scritte o dette dal testatore54.
Non si tratta, almeno a me pare, di una norma speciale55 sull’interpretazione56, bensí di una vera e propria norma di carattere generale. La quale,
in N. Irti (a cura di), L’interpretazione del contratto nella dottrina italiana, Padova, 2000, p.
539 ss. e Id., L’interpretazione del testamento, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, II, cit., p. 1475 ss.
Anche G. Baralis, L’interpretazione del testamento, in P. Rescigno (a cura di), Successioni e
donazioni, I cit., p. 927 ss.
Non v’ha dubbio che oggetto dell’attività di interpretazione, anche avuto riguardo al rigoroso formalismo che vige in materia testamentaria (P. Trimarchi, Interpretazione del testamento
mediante elementi a esso estranei, in Giur. it., 1956, I, 1, c. 445 ss.; N. Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, Milano, 1967, p. 36 ss.), non può che essere il complesso
delle parole scritte dal testatore nella scheda testamentaria, indipendentemente da quale sia il
documento e indipendentemente dall’unità del documento in cui esse sono recate. Ciò che conta
è il complesso delle parole scritte che danno corpo all’atto. Altro, però, è l’oggetto dell’interpretazione, altro è il materiale interpretativo (Cosí, L. Mengoni, L’istituzione di erede «ex certa
re» secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., in Riv. trim., 1948, p. 759 e già C. Gangi, La successione
testamentaria nel vigente diritto italiano, II, 2ª ed., Milano, 1964, p. 503). L’uno è il testo, ossia le parole scritte nella scheda testamentaria; la forma rappresentativa in attesa di ricevere il
significato giuridico; l’altro è dato dal testo e dal contesto. Inteso, quest’ultimo, come ciò che
sta intorno al testo e, dunque, come il complesso degli atti, dei fatti e dei documenti circostanti
alla forma rappresentativa. La rilevanza ermeneutica del contesto non crediamo possa e debba
essere messa in discussione (Precisa G. Amadio, La divisione del testatore senza predeterminazione di quote, in Riv. dir. civ., 1986, I, p. 250, a conferma di questa lettura, che l’utilizzazione
di elementi extratestuali e la valutazione della loro rilevanza costituisce, esclusivamente, problema giudiziario, ma non sostanziale). Di là del problema dell’applicabilità diretta (Cosí, E.
Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. Vassalli, 2ª ed., Torino, 1960, p.
367 ss. e spec. p. 370), analogica (C. Grassetti, Interpretazione dei negozi giuridici mortis causa
(Diritto civile), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1957, p. 907 ss., ammette l’applicazione analogica delle sole norme sull’interpretazione soggettiva e di quella contenuta all’art. 1367 c.c. N.
Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano, 1970, p. 350, i quali, però, negano l’applicabilità del secondo comma dell’art. 1362 c.c.; L. Bigliazzi Geri, Delle successioni testamentarie,
in Comm. c.c. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Roma-Bologna, 1993, p. 118 ss.; o nei limiti di compatibilità (G. Oppo, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna, 1943, ora in Scritti giuridici, III, Obbligazioni e negozio giuridico, Padova, 1998, ammette
l’applicazione delle norme sull’interpretazione del contratto al testamento sulla base del criterio
di compatibilità di cui all’art. 1324 c.c. Il quale, però, per il suoi specifico riferimento ad atti
tra vivi, non ci pare possa valere o servire per estendere al testamento le norme sul contratto),
della norma contenuta all’art. 1362 c.c., la quale, nell’una come nelle altre prospettive condurrebbe a un tale risultato, anche altri argomenti logico-sistematici e letterali sospingono verso
questa direzione.
54
Piú ampliamente, il mio Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, in Riv. dir.
civ., 2012, II, pp. 53-103.
55
In senso contrario, F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, Milano, 1972, p. 98 ss.,
il quale, però, usa, come dichiara a p. 43, tale espressione, soltanto per designare le norme diverse dalle generali e prive della attitudine di espandere il proprio àmbito di applicazione oltre
gli istituti per la cui disciplina sono previste. La loro applicazione non può concorrere con le
norme generali, dipendendo esclusivamente dalla presenza degli elementi della fattispecie.
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
987
come tutte le norme sull’interpretazione della legge e degli atti giuridici,
finisce col dividere il significato della disposizione testamentaria tra il suo
senso letterale e quello funzionale, dimostrando che l’interpretazione giuridica resta, sempre, divisa tra un dato letterale, vincibile e superabile, e
un dato funzionale, capace di attribuire significati letteralmente non palesi.
Nel testamento, ciò che muta, rispetto all’interpretazione della legge,
del contratto e dell’atto unilaterale in senso stretto57, non è tanto e soltanto la dinamica del difficile rapporto tra testo e contesto, tra dato letterale e funzionale, quanto, piuttosto, la prospettiva, attraverso la quale si
deve svolgere l’indagine58, in uno con la consapevolezza che il testamento
ha, a differenza di altri atti, il fragile tratto della definitiva e assoluta irripetibilità.
È a dirsi, piuttosto, che nell’art. 588 c.c., la vincibilità del dato letterale
sembra ancóra piú forte che negli altri luoghi normativi. Non soltanto la
regola è antipodica rispetto a quella di cui all’art. 12 disp. prel., che impone l’ossequioso rispetto del senso fatto palese dal significato proprio
delle parole, ma è, anche, distante dall’art. 1362 c.c., che impone, soltanto,
di non limitarsi al senso letterale delle parole.
La fragilità del dato letterale sta in ciò: nell’interpretazione della disposizione testamentaria deve aversi riguardo, qualunque sia il linguaggio,
comune (espressione) o tecnico (denominazione), usato dal testatore59, al
loro comprendere l’universalità, o una quota dei beni ereditarî60.
Dubbio che trova fondamento non tanto in ragione del suo contenuto, non tanto in ragione della sua collocazione, quanto perché mi pare difficile recuperarne il tratto di specialità o,
piú esattamente, individuare la norma o il complesso di norme rispetto alle quali essa possa essere considerata tale. Non mi sembra, infatti, possibile istituire una relazione tra questa e le norme
sull’interpretazione del contratto, dal momento che non convince l’idea che volesse istituire tra
le due materie un qualunque rapporto di genus-species. In senso contrario, parrebbe orientato G.
Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, in P. Rescigno (a cura di), Successioni e donazioni, I, cit., p. 905, il quale, istituendo un rapporto con le norme sull’interpretazione del contratto, precisa che la norma in parola prescrive un modello d’interpretazione a scopo prefissato,
che si pone in antitesi con la libertà di fini posta nel canone di cui all’art. 1362.
57
Piú ampiamente, il mio La rinunzia all’eredità, cit., p. 287 ss. e anche il mio L’interpretazione della rinunzia all’eredità, in G. Bonilini, V. Barba e C. Coppola, La rinunzia all’eredità e al legato, Torino, 2012, pp. 405-437.
58
Sul punto di rilevanza ermeneutico, E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit.,
p. 370.
59
Si tratta di una formula nuova, la quale non compariva nel corrispondente art. 760 del
previgente codice civile. Al pari di come nuova è la formulazione del secondo comma dell’attuale art. 588 c.c. Per un’analisi sul raffronto dei testi, C. Gangi, La successione testamentaria
nel vigente diritto italiano, I, Milano, 1964, 2ª ed., p. 364 s.
60
A riprova che l’istituzione di erede non dipende, come nel diritto romano classico, dalla
formale attribuzione del titolo, bensí dalla sostanziale attribuzione dell’universalità o di una
56
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Non v’ha, cioè, concludenza del linguaggio61. Esso può essere il piú
vario e congeniale sia alle consuetudini linguistiche, che al modello socioculturale del testatore62, purché, però, quale che siano le parole, e quale
che sia la tecnica di formulazione del pensiero, la disposizione comprenda
l’universalità o la quota63 dei beni del testatore. L’universalità, ossia l’opaca e indistinta complessità dei beni; la quota, ovvero la, pur sempre,
opaca e indistinta complessità di beni, segnata, però, in una misura inferiore all’unità ed espressa, non essendovi limiti logici o matematici in tale
ufficio64, o attraverso il ricorso alla frazione o a quello della percentuale65.
Questa fragilità del testo, però, non può tradursi, almeno a me pare,
in totale irrilevanza di esso, bensí in mero smarrimento della sua precisa
e preventiva funzione selettiva, di guisa che denominazioni ed espressioni
usate dal testatore non hanno, mai, valore semantico concludente e, per-
quota dei beni, L. Mengoni, L’istituzione di erede «ex certa re», cit., p. 750, precisa: «la qualità di erede non acquista piú un’autonomia logico-funzionale, e si riduce a mera designazione
del soggetto che è successo in locum et ius»; si tratta, cioè, di fare applicazione del principio
falsa demonstratio non nocet relativamente, non all’oggetto, ma alla natura del negozio. Id., La
divisione testamentaria, Milano, 1950, p. 6.
61
Occorre precisare che la vincibilità del testo non significa sua irrilevanza assoluta, ma, piú
semplicemente, superabilità del significato primario. A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione testamentaria, in Scritti giuridici in onore di F. Carnelutti, III, Padova, 1950, p.
688 ss., ammette il ricorso al dato extratestuale, purché sia vòlto a interpretare un testo e non
a ricercare una volontà presunta. Anche P. Trimarchi, Interpretazione del testamento, cit., c.
445 ss. Sul primato del testo, N. Irti, Disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui, cit.,
p. 37. La conquista della monosemia è orientata dal dato funzionale, il quale non è fine, bensí
mezzo ermeneutico. Cosí, N. Irti, Testo e contesto, Padova, 1997; N. Irti, Principî e problemi
di interpretazione contrattuale, in Riv. trim., 1999, p. 1139 ss.
62
G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 912, esclude che possa essere risolutiva, per valutare la intenzione di cui all’art. 588 c.c., la consapevolezza del testatore
circa le conseguenze tipiche della chiamata.
63
Secondo S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini,
II, p. 224, conta soltanto l’attribuzione dell’intero patrimonio o di una quota di esso, «non la
precisazione della entità della quota». Aggiungo, però, che è necessaria, almeno, non essendo
diversamente neppure plausibile il riferimento al concetto di quota, se non la precisazione diretta e immediata dell’entità, almeno una precisazione indiretta e mediata o anche per relationem.
64
Su questo argomento anche la dottrina sul testo del codice previgente. Almeno, L. Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determinati, in Foro it., 1931, I, 1, c. 1157 ss.
e, ivi, riferimenti di dottrina e giurisprudenza del regno. In giurisprudenza, almeno, Cass., 14
luglio 1926, in Corte cass., 1927, p. 6 ss.; Cass., 9 Gennaio 1929, in Giur. it., 1929, I, 1, c. 386 ss.
e, in senso contrario, Cass., 11 marzo 1931, in ivi, 1931, I, 1, c. 691 ss. Adesso, per tutti, L.
Mengoni, L’istituzione di erede «ex certa re», cit., p. 756, la legge non richiede che la quota
sia indicata mediante un preciso linguaggio matematico, indi non v’è ragione per escludere la
compatibilità logica della institutio ex re certa.
65
C. Gangi, La successione testamentaria, cit., p. 371 ss.
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
989
ciò, rispetto alle prime, è possibile predicare un significato opposto o diverso da quello proprio; rispetto alle seconde, un qualunque significato secondario66.
Il superamento del testo, dunque, si compie e passa attraverso il contenuto della disposizione testamentaria, o, meglio, il suo comprendere67
l’universalità, o una quota dei beni del testatore68.
La regola ermeneutica appena indicata, che, da sola, reputo capace di
scogliere il dubbio interpretativo che una disposizione testamentaria possa
ingenerare nell’interprete quando vi sia distonia tra linguaggio usato dal
testatore e contenuto della disposizione stessa, è accompagnata, da un’ulteriore regola, che occupa il secondo comma della evocata disposizione di
legge: «l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non
esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio».
La lettura di tale regola, che a me pare in linea di continuità con la
precedente69, poco o punto aggiunge di nuovo a quella contenuta al primo
comma, nella parte in cui chiarisce che la tecnica logico-linguistica consistente nell’indicazione di un bene o un complesso di beni determinato70
non esclude che il testatore abbia inteso71 assegnare quel bene, o quel complesso di beni, come quota del proprio patrimonio72, ossia che anche tale
disposizione possa essere qualificata a titolo universale73. Assume, però,
G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 899, nella irrilevanza del
riconoscimento formale del nomen heredis v’è la differenza tra diritto moderno e diritto romano.
67
G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 246 ss., discorre di criterio oggettivo-contenutistico.
68
Ma, G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtú espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, II, p. 240 e Id. Bonilini, Institutio ex
re certa e acquisto, per virtú espansiva, dei beni non contemplati, in Fam. pers. succ., 2008, p.
535, scrive: «criterio sovrano, non può che essere la volontà reale del testatore, data l’ininfluenza
delle espressioni o denominazioni impiegate dallo stesso».
69
F.S. Azzariti, G. Martinez e Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte, cit., p. 494,
discorrono, invece, di criterio meramente suppletivo.
70
A. Burdese, «Institutio ex re certa» e divisione testamentaria (Sulla natura dell’atto divisorio), in Riv. dir. civ., 1986, II, p. 466, individua l’elemento oggettivo della fattispecie nella
considerazione di cose determinate e non di una data quota astratta.
71
S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 231, bene osserva che il dubbio
non sorge dalla scheda, ma dalla scelta del legislatore che con il secondo comma dell’art. 588
c.c. «lo ha introdotto, in astratto, per ogni disposizione testamentaria» che si atteggi a lascito
di bene determinato.
72
G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 249; Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 914, precisa che muta soltanto il linguaggio utilizzato dal testatore, il quale,
da aritmetico ed astratto, si fa concreto e immediato.
73
Anche ponendo rilievo all’uso della forma verbale “possa”, si sostiene, opportunamente,
66
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Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
una significativa importanza nella parte e per il modo in cui autorizza l’interprete a compiere tale valutazione74, aprendo l’indagine ermeneutica non
soltanto al materiale testuale75, bensí anche a quello extratestuale76.
Ne segue, come logico corollario, che non sarebbe possibile istituire
un rapporto di genere specie, o di regola eccezione77 tra primo e secondo
comma dell’art. 588 c.c.78, non tanto e non soltanto perché la regola conche se l’intenzione di assegnare i beni come quota non risulti in modo sicuro, permanendo l’ambiguità del testo, la disposizione deve essere considerata a titolo particolare. Cosí, G. Bonilini,
Dei legati, cit., p. 34; S. Delle Monache, Testamento, cit., p. 170; G.F. Basini, “Lasciti” di
beni determinati ed istituzione di erede ex re certa, in Fam. pers. succ., 2007, p. 245.
74
Si afferma, da piú parti, che l’indagine sull’intenzione del testatore di lasciare la certa res
come quota sia possibile soltanto in caso di disposizione dubbia. Cosí, S. Delle Monache,
o.c., p. 168; G.F. Basini, o.c., p. 244. Crediamo opportuno precisare che la chiarezza o il dubbio è l’esito dell’attività esegetica, ma non il presupposto per poter dar corso a essa. Il permanere del dubbio, nonostante siano stati sperimentati i criteri offerti dalla legge, costituisce, talvolta, il presupposto di una precisa scelta legislativa che, dovendo necessariamente rompere la
tregua dell’indecisione, preferisce l’una o l’altra soluzione.
75
L. Mengoni, La divisione testamentaria, cit., p. 18. Adesso, anche, S. D’Andrea, La heredis institutio ex re certa, cit., p. 226.
76
Il richiamo al materiale extratestuale, già consentito in materia di contratto (arg. ex art.
1362, comma 2, c.c.), trova, in diritto ereditario, una piú solida ragione, se soltanto si pensa alle
peculiarità che caratterizzano l’interpretazione del testamento e, dunque, per un verso, il singolare punto di rilevanza ermeneutico e, per altro verso, la irripetibilità dell’atto. Tra gli altri,
ammettono il ricorso ai criteri extratestuali, A. Cicu, Le successioni, cit., p. 371; A. Burdese,
«Institutio ex re certa», cit., p. 466; C. Gangi, La successione testamentaria, I, cit., p. 378; Id.,
La successione testamentaria, II, cit., p. 503; P. Rescigno, Interpretazione del testamento, cit.;
P. Trimarchi, Interpretazione del testamento, cit., c. 445 ss.; L. Mengoni, L’istituzione di erede
«ex certa re», cit., p. 759; Id., La divisione testamentaria, cit., p. 17 s.; F.S. Azzariti, G. Martinez e Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte, cit., p. 495 s.; G.F. Basini, “Lasciti” di
beni determinati, cit., p. 245; F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, cit., p. 100 s.; S.
D’Andrea, o.c., p. 226 ss.; L. Rossi Carleo, L’interpretazione del testamento, cit., pp. 15171525; G. Perlingieri, La rilevanza del testo nell’individuazione dell’incapacità naturale di testare, in Rass. dir. civ., 2005, p. 273 ss. In senso contrario, L. Salis, L’istituzione di erede in
una cosa determinata, in Dir. giur., 1946, p. 87 ss., il quale, negli esempi utilizzati, non sempre
resta coerente alla propria tesi.
77
Contrario, S. D’Andrea, o.c., p. 233, secondo cui non si tratterebbe di una norma sull’interpretazione.
78
Nel senso che si tratti di norma eccezionale, L. Mengoni, L’istituzione di erede «ex certa
re», cit., p. 758 e Id., La divisione testamentaria, cit., p. 16 s., per il quale solo nel caso di lascito di beni determinati sarebbe possibile un’indagine, altrimenti esclusa, della volontà del disponente. Il portato di questa idea è che, nel dubbio, prevalendo il precetto di cui al primo
comma, la disposizione testamentaria va intesa come legato. Anche G. Bombarda, Osservazioni
in tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione
dei conguagli, in Giur. it., 1975, IV, c. 120, la quale considera il comma 2 di carattere suppletivo e F. Messineo, Manuale di diritto civile, cit., p. 46. Esclude che si tratta di norma eccezionale, L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamento, in Tratt. dir. priv. Rescigno, VI, cit.,
p. 67.
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
991
tenuta nel secondo comma è, piuttosto, lo svolgimento79, in chiave esemplificativa, di quella posta al primo, quanto e soprattutto perché primo e
secondo comma non offrirebbero due norme giuridiche, rispetto alle quali
sarebbe possibile la verifica di un rapporto di relazione, ma un’unica e
sola regola capace di descrivere un unitario percorso esegetico80, differente
soltanto nella misura di rilevanza dell’intenzione, con la conseguenza che
il secondo comma avrebbe il medesimo tratto di generalità del primo81,
anch’esso, aperto, per effetto del secondo, al comune materiale interpretativo. In mancanza del quale, la comprensione del testo potrebbe essere
compromessa, mentre l’uso del quale, senza violare il formalismo testamentario, può consentire di ricostruire l’intenzione del testatore, anche al
fine di individuare la disciplina da applicare al caso.
Determinante è, dunque, l’intenzione del testatore82.
La quale, come pure la comune intenzione delle parti del contratto,
non è il fine dell’attività interpretativa, né può risolversi in una mera indagine psicologica83 o intimistico-soggettiva, da misurare su congetture e
calcoli personali. Essa è, piuttosto, un autentico e indispensabile strumento
d’interpretazione, che consente di selezionare tra i plausibili e possibili significati di cui il testo è capace, quello piú coerente con la mens testatoris, e la cui determinazione è offerta dalla valutazione del comportamento
del testatore. Nella consapevolezza che tra intenzione del testatore e contesto v’è un rapporto di derivazione logica tale per cui è possibile determinare la prima soltanto valutando il secondo. Il quale è, sempre, e soltanto, indice della seconda.
Testo e contesto si confermano, dunque, in rapporto di essenziale relazione.
Perché se non v’ha dubbio che molte volte il solo testo possa consenDiscorre di continuità tra le previsioni contenute al primo e al secondo comma, V. Cuffaro, Art. 588, in V. Cuffaro e F. Delfini (a cura di), Delle Successioni, Comm. c.c. Gabrielli,
2, Torino, 2010, p. 180 s.
80
In senso contrario, parrebbe orientato G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 246 ss.,
secondo il quale l’indagine volontaristica di cui al secondo comma sarebbe consentita soltanto
qualora il criterio oggettivo-contenutistico, indicato al primo non sciolga il dubbio interpretativo. Anche Id., L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 906. Cosí, anche F. Ziccardi,
Le norme interpretative speciali, cit., p. 99, considera ammissibile l’indagine sull’intenzione del
testatore, che l’A. intende in senso psicologico e volontaristico, soltanto in presenza di una disposizione costruita in termini di lascito di un ben determinato, rispetto al quale esista un indice idoneo a giustificare l’interesse “della speciale ricerca ermeneutica”.
81
In senso contrario, F. Ziccardi, o.c., p. 103.
82
Precisa L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamento, cit., p. 145, che il lascito di bene
determinato impone sempre di risalire alla volontà del testatore.
83
Cosí, G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 904 s.
79
992
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
tire di chiarire se vi fosse l’intenzione del testatore di lasciare un bene o
un complesso di beni determinato come quota del proprio patrimonio84,
spesso occorre volgere lo sguardo oltre il testo e valutare l’intero contesto85.
6. Le considerazioni svolte sulle disposizioni a titolo universale mi pare
segnino all’interprete una linea esegetica assai precisa: colui che indaghi
una disposizione testamentaria, al fine di coglierne l’appartenenza a quelle
a titolo universale, una volta che abbia conseguito tale risultato, si trova
costretto, per determinare quale sia l’estensione di quelle, o, meglio, il complesso dei beni o delle cose destinati a essere offerti all’erede, o agli eredi,
di guardare oltre la disposizione e il testamento.
La ragione di questa necessità si coglie, agevolmente, se solo si considera che la disposizione a titolo universale è tale, perché comprende l’universalità o una quota dei beni del testatore, ossia, perché comprende,
nella totalità, o in quota, l’eredità.
Ciò accade, soprattutto, nei casi in cui il testatore abbia dichiarato, a esempio, di aver
trattato i beneficati in modo eguale oppure di aver ricompensato l’uno in misura doppia dell’altro, oppure nei casi in cui abbia fatta una stima dei beni, o li abbia posti in relazione di proporzionalità, oppure quando abbia lasciato il danaro al soggetto che credeva di dover ricompensare per aver avuto un bene di valore inferiore agli altri.
85
Sulla circolarità e unitarietà del processo interpretativo, per tutti, la ricostruzione di P.
Perlingieri, Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa, in Dir. giur.,
1975, p. 826, ora in Id., Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto civile, Napoli, 1988, p.
27; Id., Scuole civilistiche e dibattito ideologico: introduzione allo studio del diritto privato in
Italia, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 405 ss.; Id., L’interpretazione della legge come sistematica ed
assiologica. Il brocardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova
scuola dell’esegesi, in Rass. dir. civ., 1985, p. 990 ss.; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, p. 238 ss.; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale nel sistema italocomunitario delle fonti, 3ª ed., Napoli, 2006. L’A. insegna che si tratta di due momenti, che
hanno due oggetti diversi, ma un unitario processo conoscitivo, volto ad individuare la disciplina del caso concreto. Questa importante riflessione non può scindersi o comprendersi se non
in adeguata coerenza con la importante riflessione di teoria generale proposta dall’A. Il quale,
da oltre un trentennio, ha proposta una nuova esegesi. Movendo dalla gerarchia delle fonti, istituita con la Carta costituzionale e il diritto europeo, avendo riguardo alla pluralità delle fonti
nel sistema italo comunitario, ponderando, nel complesso sistema gerarchico delle fonti, la rilevanza tributata al valore della persona umana, ha avvertito l’esigenza di un nuovo metodo ermeneutico volto a una rilettura dell’intero diritto civile secondo la legalità costituzionale. Già
in Id., «Depatrimonializzazione» del diritto civile, in Rass. dir. civ., 1983, p. 1 ss., dove si legge
«In questa prospettiva è facile cogliere un largo e convinto consenso sull’affermazione che “interessi e diritti di natura essenzialmente personale sovrastino interessi e diritti patrimoniali”; ne
consegue che nella gerarchia dei valori la persona umana prevale sull’interesse economico». Cosí
con il termine depatrimonializzazione, del quale l’A. non nega l’ineleganza, individua la tendenza normativo-culturale volta a superare l’individualismo, a vantaggio del personalismo e ad
affermare il patrimonialismo, non come fine, ma come mezzo per la realizzazione e attuazione
della persona.
84
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
993
Parola difficile e variamente utilizzata nel linguaggio oggetto, la quale,
di là della nota disputa sulla possibilità di affermare o negare la sua riconducibilità al genere delle universalità di diritto e, piú in generale, sulla
sua capacità di esprimere un bene altro e diverso da quelli di cui si compone ovvero, come mi sembra plausibile, di descrivere tutti i beni che intorno a essa sono chiamati a raccolta86, serve per sintetizzate un complesso
di situazioni giuridiche soggettive: tutte quelle, favorevoli o sfavorevoli,
nelle quali l’erede è chiamato a succedere. Con l’intesa che il verbo succedere vuole genericamente indicare il loro appuntarsi in capo all’erede,
atteso che l’espressione successione mortis causa non descrive, unicamente,
vicende di modificazione soggettiva, comprendendo, anche, vicende di costituzione, vicende di estinzione e, seppur con maggior difficoltà, vicende
di modificazione oggettiva.
Ma v’ha, pure di piú. Perché colui che assume la qualità di erede succede in tutti i rapporti giuridici che facevano capo al defunto, ove pure il
de cuius non ne conoscesse l’esistenza, ossia ignorasse di essere titolare di
certi beni, o di certi diritti87. Ciò che conta, dunque, non è mai l’indicazione dei diritti o dei beni fatta dal testatore, il loro essere enumerati o
elencati, bensí il loro appartenere all’eredità, ossia il loro essere costituenti
di quella.
Se si muove da queste considerazioni, si capisce che la disposizione testamentaria a titolo universale, ove pure rechi una dettagliata indicazione
dei beni offerti al beneficato, non può mai considerarsi autosufficiente.
La sola intelligenza del suo testo non consente, sempre, di individuare
tutti i beni destinati a ricevere la vicenda di rapporto giuridico. È necessario guardare oltre; è necessario rinviare a una vera e propria operazione
materiale: quella consistente nella individuazione e specificazione dei beni
compresi nella eredità. Perché soltanto attraverso questa operazione, anche disciplinata dal codice di rito, sotto il nome di inventario, è possibile
determinare ciò di cui consta l’eredità e, per conseguenza, ciò che è destinato a ricevere la vicenda di rapporto giuridico.
Per maggiori approfondimenti, sia consentito rinviare, al mio, Note per uno studio intorno al significato della parola eredità, in Rass. dir. civ., 2011, pp. 347-399.
87
Non dissimile è il caso della alienazione della eredità. L’avente causa acquista tutti i diritti o, per usare l’equivoca parola del codice, “gli oggetti” compresi nella eredità, ove pure,
salvo il caso della disciplina dell’errore, l’alienante non conoscesse l’esistenza di taluni di essi.
G. Perlingieri, L’acquisto dell’eredità, cit., p. 270, precisa che la vendita di eredità quale alienazione di una universitas «si traduce in una forza di espansione che attrae nell’orbita dell’acquisto tutti i beni e i rapporti attivi e passivi che comunque cadono nel compendio ereditario,
anche se non conosciuti dal venditore, salvo individuare (ex artt. 1544 e 1545 c.c.) il momento
nel quale tale relatio deve essere orientata».
86
994
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
Ne viene, dunque, che la disposizione testamentaria a titolo universale,
proprio perché, da sola considerata, non sempre consente di individuare
il complesso dei beni e diritti ai quali si riferisce, e poiché reclama e rinvia, per la determinazione di quelli, a un atto esterno e diverso, sembra
doversi considerare e ascrivere al genere dei negozî per relationem.
Affermare, però, che tutti i negozi relativi all’eredità, ivi compresa la
mera istituzione di erede88, sono negozî il cui contenuto è necessariamente
determinato per relationem, induce a escludere che si possa discorrere di
negozî relativi a eredità in tutti quei casi in cui la relatio alla operazione
materiale sia espressamente esclusa o preclusa.
Ove pure l’autore del testamento indicasse o elencasse i beni compresi
nell’eredità, questa indicazione o elencazione non dovrebbe considerarsi
determinante. Con l’ulteriore conseguenza che ove essa fosse tassativa, vale
a dire il negozio necessariamente autoreferenziale, non potrebbe piú discorrersi di disposizione testamentaria a titolo universale, bensí di legato,
perché sarebbe esclusa l’intenzione del testatore di lasciare quei beni come
quota del proprio patrimonio.
Ciò, per quanto paradossale possa apparire, vale anche e soprattutto
per il caso di istituzione ex re certa.
Se è vero, infatti, che in tale evenienza l’istituzione avviene proprio attraverso l’indicazione di un bene, o un complesso di beni determinato,
non è men vero che si tratta, pur sempre, di una disposizione a titolo universale. Per la quale opera, senz’altro, la cosí detta vis espansiva, con la
conseguenza che l’istituito, soprattutto se al tempo dell’apertura della successione esistano beni ulteriori rispetto a quelli esistenti al tempo di confezione del testamento, non necessariamente è destinato a subentrare o acquistare i soli diritti o beni indicati nella disposizione, ma, in forza della
virtú espansiva della istituzione di erede, viene chiamato ad acquistare, pro
quota, anche gli altri beni.
Peraltro, l’attribuzione del bene, che pure ha una funzione istitutiva, non
necessariamente svolge anche una funzione distributiva. Il che può occorrere, ma si tratta di un accadimento episodico e accidentale. Per quanto sia
ragionevole e condivisibile che, in questi casi, la istituzione ex re certa è lo
strumento attraverso il quale la divisione ereditaria viene realizzata89 o, da
Il ricorso a questo tipo di relatio sarebbe consentita anche nei casi di negozî formali. Sul
punto le conclusioni di G. Cian, Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, p.
169, «[…] anche nei negozi solenni una relatio in senso formale è sempre possibile, a meno che
ciò cui si fa riferimento non sia a sua volta costituito da un fatto espressivo, cioè da un fatto
di linguaggio».
89
È la tesi di G. Amadio, La divisione del testatore, cit., p. 243 ss., spec. p. 267 s., il quale
precisa che l’istituzione ex re certa è uno dei possibili mezzi tecnici della divisione del testatore.
88
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
995
una diversa prospettiva, che la divisione fatta dal testatore è un’estensione
del principio della istituzione ex re certa90, occorre, nondimeno, assumere
consapevolezza che, in un medesimo testo linguistico, concorrono, purché
tale possa essere il significato giuridico91, due disposizioni testamentarie diverse per funzione ed efficacia: l’istituzione ex re certa e la divisione disposta dal testatore. Diverse per funzione, in quanto la prima serve a istituire il beneficato nella quota che la certa res esprime in relazione al tutto,
mentre la seconda serve a impedire il sorgere della comunione ereditaria.
Diverse in punto di efficacia, in quanto la prima risulta necessariamente
stabile, avendo la funzione di determinare la misura astratta della quota,
mentre la seconda ha una stabilità precaria, dal momento che la concreta
attribuzione delle certae res dipende dalla attuabilità giuridica della divisione, avuto riguardo alle disposizioni istitutive e alla consistenza della massa
ereditaria.
Il corollario teorico di questa impostazione è evidente.
Ogni qual volta il testatore, in luogo di limitarsi all’uso della parola
eredità, provveda a indicare i singoli beni e diritti in essa compresi, all’interprete competerà, mercé le norme sull’interpretazione del testamento,
di indagare quale significato giuridico abbia l’elencazione, dovendosi accertare se essa sia esemplificativa o tassativa. Nel primo caso, saremo di
fronte a una disposizione testamentaria a titolo universale, mentre nel secondo a un legato. La prima, dunque, è necessariamente destinata a essere
un negozio il cui contenuto è determinato per relationem92.
7. Il legislatore, dopo aver descritto le disposizioni a titolo universale,
facendo leva su un criterio contenutistico, che ha tratto al loro mero comprendere l’universalità o una quota dei beni, da valutare avendo riguardo
È la tesi di L. Mengoni, L’istituzione di erede «ex certa re», cit., p. 762 e Id., La divisione testamentaria, cit., pp. 28, 70, il quale, nella seconda opera, mitiga la propria posizione,
precisando che l’heredes institutio ex re assume costantemente, ma non esclusivamente, il profilo di una divisione fatta dal testatore senza determinazione di quote. Il che, risulta chiaro anche all’A., il quale ivi, a p. 6, nota 16, precisa che alcuni punti del suo precedente lavoro sono
«da ripudiare».
91
A. Ciatti, La comunione ereditaria e la divisione, in R. Calvo e G. Perlingieri (a cura
di), Diritto delle successioni, cit., p. 1207, esclude che formule ambigue possano valere soltanto
per la funzione istitutiva o per quella divisoria.
92
La distinzione tra atto di disposizione avente a oggetto uno o piú diritti successorî, ossia uno o piú beni dell’eredità, e atto di disposizione avente a oggetto il complesso dei diritti
successorî, ossia l’eredità o la quota di eredità, ha una fondamentale ricaduta pratica anche in
tema di accettazione dell’eredità. Sul punto le considerazioni di G. Perlingieri, L’acquisto dell’eredità, cit., p. 266 ss. e spec. pp. 270 s., 70 s., G. Perlingieri, Atti dispositivi «nulli» e acquisto dell’eredità. Contributo allo studio della gestione conservativa, Napoli, 2002, p. 96 ss.
90
996
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
alla intenzione del testatore, dichiarando, espressamente, la non concludenza delle denominazioni ed espressioni, e la non concludenza della tecnica logico-linguistica consistente nell’indicazione un bene o un complesso
di beni determinato, stabilisce che «le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario».
Al legato93, dunque, parrebbe riservato soltanto lo spazio vuoto lasciato
dalle disposizioni a titolo universale94.
Gli è, però, che tale tecnica di costruzione della fattispecie, ben lungi
dallo svilire o asciugare quello spazio, finisce, in realtà, per esaltarlo e ampliarlo, comprimendo l’area delle disposizioni a titolo universale e attraendo
al suo interno non soltanto quelle che sicuramente non sono a titolo universale, ma anche quelle rispetto alle quali v’è un dubbio95 che lo possano
essere96. Confermando, cosí, che il legato è qualsivoglia attribuzione patrimoniale a causa di morte che sia priva del carattere dell’universalità97 e
che la nozione di legato deve essere determinata in contrapposto a quella
di erede98.
La disposizione testamentaria a titolo particolare è, dunque, atto gratuito, il quale, sebbene risulti sovente retto da un intento liberale, potrebbe
esserne anche privo99. Deve essere, necessariamente, contenuta in un atto
La polisemia della parola legato si coglie non appena si scorrano le numerose disposizioni del codice civile nelle quali essa compare [G. Bonilini, Legato, cit., p. 509 ss.; A. Giordano-Mondello, Legato (dir. civ.), cit., p. 721; E. Perego, I legati, cit., p. 221]. Alle volte
utilizzata per descrivere la disposizione testamentaria, altre volte per illustrare il rapporto giuridico che in quella trova fonte, di tanto in tanto per declinare il titolo di acquisto (A. Masi,
Dei legati, cit., p. 1) o la forma della successione, è divisa non soltanto tra fattispecie ed effetto,
ma anche tra autonomia ed eteronomia. Nel primo binomio qualora si abbia riguardo alle parole scritte nel testamento, o alla vicenda di rapporto giuridico che esse valgono a generare, nel
secondo qualora si faccia riferimento al legato quale atto di privata autonomia, o al c.d. legato
ex lege (il cui esempio piú importante è quello oggi fissato all’art. 540 c.c.) (G. Bonilini, Il legato, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, II, cit., p. 400).
94
C. Gangi, La successione testamentaria, I, cit., p. 363; G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., p. 903.
95
M. Allara, Principî, cit., p. 120, precisa che poiché le categorie della vocazione universale e della vocazione particolare sono contrarie non può dirsi esistente un terzo genere. È sufficiente, dunque, definirne una, per tracciare i confine dell’altra. La definizione residuale «ha anche, a nostro avviso, questo valore: che nei casi dubbi si dovrà qualificare la vocazione come
vocazione a titolo particolare».
96
In senso contrario, M.C. Tatarano, Il testamento, in Tratt. dir. civ. CNN, diretto da P.
Perlingieri, Napoli, 2003, p. 360 s.; G. Perlingieri, Heredis institutio ex re certa, acquisto di
beni non contemplati nel testamento e l’art. 686 c.c., in Riv. trim., 2011, p. 461 s.
97
Per tutti, G. Bonilini, Dei legati, cit., p. 34 s.
98
F.P. Lops, Il legato, in P. Rescigno (a cura di), Successioni e donazioni, I, Padova, 1984,
p. 992: il legato determina una successione suppletiva e parallela rispetto alla istituzione di erede.
99
G. Bonilini, Dei legati, cit., p. 22 ss.; A. Giordano-Mondello, Legato (dir. civ.), cit.,
93
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
997
che possa essere qualificato come testamento, e non reclama né l’uso di
forme particolari, né l’adozione di formule sacramentali, purché risulti l’intenzione di attribuire diritti particolari a causa di morte100.
Disposizione che, in quanto contenuta in un testamento, deve soggiacere a tutte le regole che sono dettate per l’atto di ultima volontà in genere101, salvi, naturalmente, quegli adattamenti, che la specificità di essa
possa, volta a volta, pretendere102.
La straordinaria importanza della disposizione a titolo particolare non
è soltanto nel suo carattere residuale, che consente di espandere, significativamente, i confini della figura, ma anche nella sua valenza di categoria generale, capace di realizzare qualsivoglia attribuzione patrimoniale a
causa di morte.
Deve, infatti, reputarsi largamente superata103 l’idea, che si possa discorrere, nel nostro ordinamento giuridico, di legati tipici. Idea, che recava con sé, quali invitabili corollarî, non soltanto che l’ammissibilità di
un legato non appartenente ai modelli aventi una disciplina particolare era
subordinata al controllo di meritevolezza degli interessi secondo l’ordinamento giuridico, ma, soprattutto, un’ostacolante chiusura all’autonomia testamentaria.
La migliore dottrina ha dimostrato che l’atipicità non si può riferire
alla struttura, bensí al contenuto del legato, il quale rimane un costante
modello tipologico104; un’astratta struttura, sempre eguale a se stessa, indipendentemente dal contenuto con il quale essa venga, volta a volta, riempita e in grado, perciò, di garantire la razionalità del succedere.
Una pura forma, la quale, proprio perché tale, è indifferente ai contenuti e, perciò, capace di tutti quelli che l’ordinamento giuridico consente
e tollera105: non soltanto quelli espressamente disciplinati, ma qualunque
effetto reale, o obbligatorio che l’ordinamento possa approvare.
p. 724; E. Perego, I legati, cit., p. 222; C. Romano, I legati, cit., p. 986. In senso contrario,
V. Simoncelli, Istituzioni di diritto privato italiano, cit., p. 290 e anche F.S. Azzariti, G. Martinez e Giu. Azzariti, Successioni per causa di morte, cit., p. 498.
100
G. Bonilini, o.u.c., p. 34 s.
101
Sull’interpretazione del legato, E. Perego, I legati, cit., pp. 247-250.
102
G. Bonilini, Dei legati, cit., p. 43.
103
L’idea è di G. Bonilini, Autonomia testamentaria e legato, cit., p. 44 ss.
104
Secondo G. Bonilini, o.u.c., p. 55, deve censurarsi l’idea che volesse considerare le norme,
previste agli artt. 651 ss., capaci di descrivere una varietà tipologica del legato: «È esso, invero,
un «tipo» delle tassative disposizioni testamentarie patrimoniali attributive, che può affiancarsi
al sub-ingresso, nella massa, di un erede; è costante il suo valore tipologico; trova nella legge
anche la disciplina spicciola di alcune delle sue specie».
105
G. Bonilini, o.u.c., p. 70, a proposito del legato, precisa che esso è «il solo schema legislativo approntato per l’attribuzione, ad un soggetto specificato in via testamentaria, di un
998
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
Non sono ammessi soltanto i legati aventi un contenuto corrispondente
a quello dei legati espressamente disciplinati, bensí qualunque legato, quale
che sia, nei limiti di approvazione e conformità all’ordinamento giuridico,
il suo contenuto, quale che sia l’attribuzione patrimoniale mortis causa in
esso contenuta. Cosí, l’ammissibilità di un legato a effetti reali, diverso da
quelli espressamente previsti dal legislatore, è consentita purché l’effetto
reale sia conforme all’ordine giuridico; l’ammissibilità di un legato a effetti obbligatorî non reclama una valutazione di meritevolezza106, bensí una
valutazione del concreto rapporto giuridico e della precisa vicenda che da
esso deriva, ciò avendo riguardo alle norme sulla patrimonialità della prestazione e a quelle sulla liceità, possibilità e determinatezza o determinabilità dell’oggetto107.
8. Non appena si legga la norma di cui all’art. 587, la quale, nel definire il testamento come l’atto, con il quale taluno dispone, per il tempo
in cui avrà cessato di vivere, di tutte o di parte delle proprie sostanze, ossia come l’atto destinato a trasferire la ricchezza ad altri, si coglie la difficoltà di attribuirgli la capacità di produrre vicende di rapporto giuridico
diverse dalla modificazione soggettiva e, in particolare, vicende di costituzione, modificazione oggettiva, o estinzione di rapporti giuridici obbligatorî e, o, reali.
La difficoltà, tuttavia, deve essere superata in una dimensione complessiva, la quale, rileggendo l’intera materia delle successioni testamentarie, consenta di avvertire che il testamento non è soltanto l’atto che consente la trasmissione della ricchezza, ma l’atto, con il quale il testatore regolamenta tutti i proprî interessi post mortem108.
Il che è facile cogliere, non soltanto avendo riguardo al contenuto cosí
detto atipico del testamento e, in specie, alle disposizioni di carattere non
patrimoniale, ma anche alla disciplina sul modo, a quella sulla ripartizione
dei debiti e, soprattutto, alla materia dei legati e all’idea che ammette l’ammissibilità di legati ulteriori e diversi da quelli espressamente disciplinati.
quid determinato avente carattere patrimoniale; ma detto schema non rappresenta che la traccia, che il testatore vivifica pel tramite di una prodigiosa varietà di contenuto».
106
Cosí, chiaramente, G. Bonilini, o.u.c., p. 61 ss., spec. §. 10, p. 64 ss. e p. 69, ad avviso
del quale, «il testamento, in quanto tipo negoziale legislativamente prefigurato, non tollera codesta valutazione di meritevolezza». In senso contrario, e per una immediata e diretta applicazione della norma di cui all’art. 1322 c.c., G. Capozzi, Successioni e donazioni, II, Milano, 1982,
p. 651.
107
G. Bonilini, o.u.c., p. 81 ss., spec. § 13 “Legati obbligatorii, patrimonialità della prestazione, e liberalità”, e § 14: “I requisiti della prestazione oggetto di legato”.
108
Cosí, chiaramente, G. Bonilini, o.u.c., pp. 1 ss. e spec. p. 96.
Vincenzo Barba / La nozione di disposizione testamentaria
999
Svolti questi chiarimenti, è facile capire che le disposizioni a titolo universale e a titolo particolare sono capaci di tutte le principali vicende del
rapporto giuridico relativo e assoluto e, in specie, quelle costitutive, quelle
modificative e quelle estintive. E sono capaci sia di realizzarle direttamente
e immediatamente, sia indirettamente, vincolando gli eredi, o i legatarî, a
compierle109.
Va da sé, però, che se la disposizione testamentaria, pur avendo quale
causa ultima, la produzione di una certa vicenda di rapporto giuridico, ne
affidi il compimento al successore, essa dovrà reputarsi meramente costitutiva di un rapporto giuridico obbligatorio. Il suo effetto immediato e
diretto sarà, per l’appunto, la costituzione di un obbligo in capo al successore, obbligo in forza del quale quest’ultimo sarà tenuto al compimento
del fatto, o dell’atto che, a sua volta, sarà la causa immediata e diretta della
vicenda di rapporto giuridico avuta in mente dall’ereditando.
Ciò potrà accadere o perché il de cuius abbia deliberatamente voluto
affidare al suo successore il compimento dell’atto o del fatto giuridico produttivo della vicenda, o perché quella vicenda, per sua struttura o natura,
non può, immediatamente e direttamente, dipendere dalla disposizione testamentaria.
Nei casi in cui il de cuius voglia realizzare una vicenda di rapporto giuridico assoluto o relativo che la disposizione testamentaria non possa, immediatamente e direttamente, produrre, l’onere e il legato sono gli unici
strumenti attraverso i quali, seppure indirettamente e per la mediazione
del comportamento, negoziale, o no, a seconda dei casi, dell’onerato, ciò
diventa possibile.
Occorrerà, soltanto, costituire in capo all’onerato l’obbligo di compire
quel certo atto, produttivo di quella vicenda, insomma di compiere quell’atto o quel fatto che il de cuius non ha avuto il coraggio, la forza, il potere o il tempo di compiere, ma il cui effetto gli è caro al punto da desiderare che esso rimanga, comunque, legato al suo silenzioso ricordo.
Vincenzo Barba
Disposizioni di questo tenore potrebbero solleticare il dubbio in ordine alla loro riconducibilità ad atti mortis causa o ad atti inter vivos con effetti post mortem. Condivisibile, seppur per argomenti diversi da quelli offerti, la posizione di N. Di Mauro, Le disposizioni modificative ed estintive del rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, II, cit., p. 805;
Id., Le disposizioni modificative ed estintive del rapporto obbligatorio, Milano, 2005, p. 238 s.,
il quale non dubita che si tratti sempre di disposizioni testamentarie patrimoniali, dal momento
che non soltanto perseguono la funzione di regolare post mortem gli interessi patrimoniali del
de cuius, ma che hanno tratto anche al patrimonio di costui.
109
1000
Rassegna di diritto civile 4/2013 / Saggi
Abstract
L’espressione “disposizione testamentaria” ricorre nel codice una pluralità di
volte ed è assunta nel significato di formula linguistica, o di precetto. È possibile,
quindi, istituire tra disposizione e precetto testamentario la stessa relazione che
corre tra clausola contrattuale e precetto negoziale, o tra disposizione di legge e
norma giuridica. Ancor piú difficile è la relazione tra disposizioni testamentarie
e testamento. Tra i due concetti è possibile istituire un generale rapporto di contenuto a contenente, il quale, però, non consente di risolvere le une nell’altro e,
soprattutto, l’ultimo nella complessiva regolamentazione degli interessi post mortem del testatore. Benché sia diffusa l’idea che il testamento sia un negozio negozio giuridico, la disciplina dettata sulle disposizione testamentarie lascia intuire
che ciascuna disposizione testamentaria ha una propria autonomia, di guisa che
potrebbe affermarsi che ogni disposizione testamentaria sia un singolo negozio
giuridico. Questo spiega perché rispetto a ciascuna disposizione testamentaria occorre sempre aver riguardo alla sua funzione e non al suo scopo. Rileva, cioè, ai
fini della razionalità del succedere, obiettivo del diritto ereditario, non il modo di
raggiungimento del risultato, bensí il compito oggettivo della disposizione testamentaria, indipendentemente dallo scopo che il testatore si è prefissato di raggiungere. Le disposizioni testamentarie, siano esse a titolo universale o a titolo
particolare, le prime necessariamente negozî per relationem, proprio in ragione
della singolare autonomia e connessione che le contraddistingue, sono capaci di
produrre non soltanto vicende di modificazioni soggettive, ma tutte le principali
vicende di rapporti giuridici reali, o obbligatorii.
Words «testamentary disposition» occurs in the code civil a number of times
and is taken in the sense of “complex of words” or of “rule testamentary”. You
can then set up between “words of will” and “rule testamentary” the same relationship that exists between “clausola” and “precetto” of the contract, or between
“disposizione di legge” and rule of law. Between testamentary dispositions and
will is possible to establish a general report containing a content, which, however, does not resolve each other and, above all, the last in the overall regulation
of interest post-mortem of the testator. Although it is widely thought that the
will is a “negozio giuridico”, the rules of the civile code suggest that each testamentary disposition has its own autonomy, with the result that each can establish testamentary disposition is a single “negozio giuridico”. This explains why
in respect of each testamentary disposition must always look to its function and
not its purpose. Detects, for the purposes of the rationality of succession mortis
causa, objective of inheritance’s right, not the way of achieving the result, but the
objective task of testamentary disposition, whatever the purpose that the testator
has set itself to achieve. The testamentary dispositions, whether a universal or
particular title, (the first former are always negozii per relationem), are capable
of producing not only the events of subjective changes, but all the legal effects,
that the law allows.