Grano estero nella pasta italiana
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Grano estero nella pasta italiana
La ricercatrice del CREA, Gabriella Aureli, intervistata su Kataweb, illustra i rischi di contaminazione da aflatossine nelle partite di grano provenienti dall’estero. A cura dell’Ufficio Stampa Grano estero nella pasta italiana: c'è davvero un problema di sicurezza alimentare? di Federico Formica Il grano duro coltivato in Italia non basta a soddisfare il nostro fabbisogno, è necessario acquistarlo da fuori. Ma un recente caso di cronaca ha fatto alzare, su questa materia prima non italiana, una cortina di sospetto La pasta che mangiamo ogni giorno, prodotta da pastifici italiani famosi in tutto il mondo, è fatta anche con grano duro canadese, americano, ucraino e turco. Non è una novità, ma è un fatto di cui si torna a parlare ciclicamente, soprattutto dopo che le autorità sanitarie scoprono qualche sostanza sgradita nelle partite in arrivo dall'estero. Ma perché il nostro Paese, che la pasta l'ha inventata, ha bisogno di comprare materia prima da fuori? E ci sono rischi per la nostra salute? Cerchiamo di fare chiarezza. Grano sospetto a Bari. L'ultimo capitolo della saga è stato scritto alcuni giorni fa quando il Corpo forestale ha svolto dei controlli di routine nel porto di Bari. In una partita – su otto – di grano duro sono state trovate tracce di aflatossine. Il prodotto, anziché prendere la strada del mulino, è finito in laboratorio dove verrà analizzato più a fondo. In caso di conferma, scatterà il sequestro. Cosa sono le aflatossine. Sono micotossine, cioè sostanze tossiche prodotte dai funghi. “Sono prodotte principalmente da ceppi fungini di Aspergillus flavus eAspergillus parasiticus che si sviluppano su diversi substrati vegetali, compresi i cereali, fra i quali il mais è la coltura più esposta” spiega Gabriella Aureli, ricercatrice del Crea nell'unità di ricerca per la valorizzazione qualitativa dei cereali. Aureli spiega che le aflatossine sono molto resistenti alla degradazione, ciò significa che, dal campo, possono arrivare fino al prodotto finito. Quindi sulle nostre tavole. Pessima notizia, questa, perché si tratta di sostanze cancerogene. Soprattutto l'aflatossina B1 (Afb1). Tuttavia il frumento duro, spiega la ricercatrice, “non risulta essere, al momento, fra i cereali più esposti al rischio di contaminazione”. Interessi contrapposti. Sulla scorta di questa notizia, l'associazione di categoria Coldiretti ha denunciato come nel 2015 siano “più che quadruplicati gli arrivi di grano dall’Ucraina per un totale di oltre 600 milioni di chili e praticamente raddoppiati quelli dalla Turchia per un totale di circa 50 milioni di chili”. Secondo Coldiretti questo sarebbe il risultato di “scelte poco lungimiranti fatte nel tempo da chi ha preferito fare acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da "spacciare" come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato”. Coldiretti difende gli interessi – legittimi – degli agricoltori italiani e del made in Italy. Ma proprio per questo è parte in causa, non osservatore neutrale. Dall'altra parte si trova Aidepi, l'associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane aderente a Confindustria che dopo i fatti di Bari ha pubblicato un decalogo di risposta. Tra i dati snocciolati ce n'è uno che mette tutti d'accordo: per soddisfare il proprio fabbisogno l'Italia deve acquistare dall'estero tra il 30% e il 40% del grano duro. Insomma, il grano italiano non basta. E se rinunciassimo a quello estero dovremmo accettare il fatto di non avere spaghetti, mezze maniche e rigatoni per tutti. Senza contare il fatto che senza grano estero non potremmo esportare la nostra pasta in tutto il mondo. Secondo Aidepi, infatti, il made in Italy non riguarda solo la materia prima ma anche il mix di conoscenze ed esperienza dei pastai italiani “e di una tradizione trasmessa da secoli”. Il nostro grano è più sicuro? A presidiare l'attività del Corpo Forestale nel porto di Bari c'erano alcuni agricoltori della Coldiretti che, come recita il comunicato, “chiedono trasparenza sulla provenienza e sulla qualità del prodotto”. I controlli alle frontiere e nei porti restano fondamentali per garantire la sicurezza del cibo che portiamo in tavola. L'Europa – e in particolare l'Italia – può vantare un sistema di allerta e di controllo all'avanguardia. “Il grano trasportato via nave è più soggetto a funghi e muffe. Il trasporto e lo stoccaggio infatti incidono molto sulla qualità del prodotto finale” spiega Giuliano Palomba, commissario del Corpo Forestale di Bari che ha presieduto i controlli della settimana scorsa. Lo stesso Palomba spiega a Consumi come il grano estero non sia insicuro a priori. Anzi: “Per il Don, una micotossina del grano, le autorità sanitarie del Canada hanno stabilito limiti molto più stringenti di quelli europei. Grano che in Canada non può essere dato in pasto neppure agli animali, in Europa può tranquillamente essere venduto e consumato dagli esseri umani”. Non significa che mangiamo un prodotto pericoloso, ma – almeno in questo caso – un po' meno sicuro di quello che consumano i canadesi. Perché in Europa la soglia di tolleranza è più alta. Tornando alle aflatossine è la stessa ricercatrice del Crea Gabriella Aureli a fare chiarezza: “Non si può affermare che il grano importato sia più a rischio di quello italiano. Molto dipende dall'adozione o meno di corrette azioni di prevenzione in tutte le fasi della filiera, a cominciare dal campo ma soprattutto in quelle relative alla conservazione e al trasporto”. Ma non è solo questione di sicurezza alimentare. Secondo Aidepi “la selezione dei migliori grani dipende dalla stagione e dalla qualità dei raccolti. Oggi il migliore grano non italiano arriva soprattutto da Canada, Usa, Australia, Russia e Francia” e, anche per questo “spesso costa anche di più” di quello italiano. Almeno su questo, Aidepi e Coldiretti la pensano allo stesso modo: l'associazione di agricoltori infatti denuncia come “i prezzi del grano duro in Italia siano crollati del 31% rispetto allo scorso anno. Valori al di sotto dei costi di produzione che mettono a rischio il futuro del granaio Italia”. Sappiamo cosa compriamo? Ciò non significa che la pasta 100% italiana non esista. Anzi: diversi produttori lavorano esclusivamente con materia prima coltivata nei campi della nostra Penisola. Il Fatto Alimentare ha pubblicato una lista di marchi che lo fanno. Per molti consumatori questo è un valore aggiunto, e proprio per questo i produttori sono ben contenti di scriverlo in etichetta. Quando il pacco di pasta è prodotto con un mix di grano italiano ed estero, però, questa trasparenza scompare. Le normative Ue infatti non obbligano i pastai a indicare in etichetta l'origine della materia prima. Ma neanche lo vietano. Nessuno lo fa. Aggiornamento del 2/3/2016: il grano fermato al porto di Bari per sospetta presenza di aflatossine è in regola con i limiti di sicurezza stabiliti dall'Unione Europea. L'Arpa ha infatti rilevato che le aflatossine sono assenti, mentre i valori dei contaminanti non superano la metà del valore massimo stabilito a livello europeo. Quel grano, insomma, è sicuro al 100%, come ha confermato a Consumi il comandante del Corpo Forestale di Bari Giuliano Palomba.