Il mistero della bottiglia blu
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Il mistero della bottiglia blu
Indice Presentazione 9 Capitolo primo La signorina Browning-Lever 11 Capitolo secondo Nel cortile della scuola 17 Capitolo terzo La bottiglia blu 25 Capitolo quarto Venerdì sera 31 Capitolo quinto Cosa comprare? 37 Capitolo sesto Più alto 43 Capitolo settimo Il filo di fumo 47 Capitolo ottavo Quali desideri? 53 Capitolo nono La sindrome di Asperger 59 Capitolo decimo Susan 65 Capitolo undicesimo La nuova casa 71 Capitolo dodicesimo La festa d’inaugurazione della nuova casa 77 Epilogo Un anno dopo 85 Presentazione Il terzo dei testi della collana di «Io sento diverso» è una fiaba, scritta da un’autrice australiana, insegnante di scuola primaria e madre di un bambino Asperger. Il merito maggiore di questa storia è quello di farci capire come il disturbo di Asperger resti «cosa ignota» anche altrove, e come sia indispensabile diffonderne la conoscenza. Ho chiesto a un pediatra con lunga esperienza professionale, se ne abbia mai sentito parlare. Mi ha risposto: «Forse, ma non ho mai conosciuto genitori o insegnanti che me ne abbiano parlato. Né mi ricordo di nessun bambino...». È inverosimile che un anziano pediatra, che deve aver visto migliaia di bambini, non si sia mai trovato davanti a un bambino colpito dal «disturbo invisibile» (così ancora lo chiama qualcuno). Quello che diventa allora plausibile è che un disturbo della modulazione della comunicazione interpersonale, delle emozioni, della capacità di capire gli altri (teoria della mente), sia ancora sottostimato e scambiato per caratterialità, iperattività, maleducazione. Questo piccolo racconto vi spiega perché, invitandovi a cogliere le caratteristiche del disturbo di Asperger, per evitare di interpretarle come un capriccio o una questione di carattere. Il mistero della bottiglia blu è la storia di Ben e di Andy, due ragazzi che trovano a scuola, sotto terra, in un angolo del cortile, una vecchia bottiglia. C’è qualcosa di magico in quella bottiglia, ma la vera magia consisterà nell’osservare il mondo 9 attraverso i diversi occhi dei due ragazzi: uno di loro, Ben, è affetto dal disturbo di Asperger, l’altro, Andy è un ragazzo «normale». Una bella storia da leggere al proprio bambino, soprattutto se nella sua classe vive un compagno «un po’ strano», ma tenero, affettuoso e ingenuo. Da leggere al proprio figlio Asperger, che può rispecchiarsi in qualcuna delle avventure di Ben e Andy. Da raccontare in classe, per educare i bimbi al fatto che la diversità è una ricchezza e non preludio all’esclusione sociale. Uno strumento in più per i lettori, che capiranno meglio in cosa consista la «diversità» del mondo Asperger e come essa possa arricchire la vita delle persone «normali», una volta diventate capaci di rispettarne e apprezzarne le peculiarità. Paolo Cornaglia Ferraris 10 CAPITOLO PRIMO La signorina Browning-Lever «Smettila, Ben!» Ben si sentì raggelare. Smettere di fare cosa? Stava appoggiato allo schienale, le gambe anteriori della sedia sollevate da terra. Venne lentamente in avanti, fino a riportarle sul pavimento. Dall’altra parte dell’aula, la signorina BrowningLever era ancora accigliata, quindi non era quello il motivo per cui lo aveva sgridato. Si raddrizzò sulla sedia e smise di dondolare le gambe. Sbagliato ancora. La signorina Browning-Lever venne verso di lui, arrabbiata, lo sguardo minaccioso. Perché non riusciva mai a capirla? Perché finiva sempre nei guai? Ben odiava la scuola! «Togliti la penna dalla bocca» sibilò Andy, il miglior amico di Ben. Si conoscevano dalla scuola materna; cinque anni nella stessa classe non sono pochi. 11 Ben si tolse la penna dalla bocca appena qualche attimo prima che la signorina Browning-Lever arrivasse accanto a lui. Cominciò a scuotere nervosamente le mani sotto il banco, dove nessuno poteva vederle; lo faceva sempre quando era nervoso, ma alla signorina Browning-Lever non piaceva. «Ti ho detto centinaia di volte di non mettere la penna in bocca, Ben. Se t’ingoi il cappuccio potresti soffocare» l’ammonì aspramente. «Non è una penna, è un evidenziatore» puntualizzò Ben. «Adesso fai il saputello con me, giovanotto?» gli disse a voce alta, china sul suo volto. Ben esitò. Lui sapeva tante cose; di aritmetica e scienze ne sapeva tanto di più rispetto ai compagni, che aiutava i bambini di sette anni a fare i compiti. Le maestre lo chiamavano in aiuto per usare i computer ed era il campione di scacchi della scuola. Poi però Ben si ricordò che «fare il saputello» vuol dire essere presuntuoso. «No!» rispose, tenendo lo sguardo basso. «No, che cosa, e guardami quando mi parli» gridò la signorina Browning-Lever. Qualche spruzzo di saliva gli finì sul volto e Ben si tirò indietro; saliva significa germi. 12 Che cosa voleva che dicesse? Ben provò a indovinare: «No, ehm, non sto facendo il saputello», disse, tenendo sempre gli occhi bassi, per non incontrare quelli della maestra. «No, non sto facendo il saputello, che cosa! Signor Jones.» Nessuno fiatava. Era tutto il giorno che la maestra era di cattivo umore, anche più del solito. Secondo Andy aveva litigato con il suo fidanzato, ma gli altri non lo credevano possibile, la signorina Browning-Lever era troppo scontrosa per avere un fidanzato. Così tutti avevano cercato di starle alla larga, ma Ben sembrava darle sempre fastidio. «Senti, ragazzo,» disse la maestra con voce aspra, «sono stanca del tuo comportamento. Quando mi parli, rivolgiti a me come alla signorina Browning-Lever, hai capito?» Ben si sentiva male. Che cosa voleva dire «rivolgersi a lei»? Non aveva capito nulla di tutta la discussione e non sapeva perché si trovava nei guai. Come odiava la scuola! «No!» riuscì a dire, senza scoppiare a piangere. La signorina Browning-Lever lo guardò come se fosse impazzito. 13 «No.» ripeté stupita, «No? No cosa, Ben. Che cosa vuoi dire con “no”? No, non hai intenzione di dire il mio cognome, quando parli con me?» «Ah.» sussurrò Ben, che finalmente aveva capito. Ecco che cosa intendeva dire, voleva che dicesse il suo cognome. Ben odiava comunque il cognome della maestra e non riusciva mai a pronunciarlo correttamente. Il signor Bell, il preside della scuola, le aveva proposto di farsi chiamare semplicemente signorina Lever, ma lei aveva ribattuto: «Il mio cognome è BrowningLever ed è così che gli alunni mi chiameranno». Da allora in poi Ben aveva evitato di dire il cognome della maestra. Dimenandosi sulla sedia, vedeva la punta della propria scarpa sbucare da un lato del banco e si sentiva come quel laccio: attorcigliato e annodato stretto. Improvvisamente la signorina BrowningLever si tirò su. «Questa è l’ultima goccia, Ben, esci fuori,» ringhiò, «sono troppo stanca del tuo comportamento. Fuori. Subito!» e indicò la porta. Ben si alzò, trascinandosi da dietro il banco a testa bassa, guardando il pavimento. Dove sarà mai quell’ultima goccia di cui parlava la maestra? Che cosa c’entrava con tutta questa 14 storia? Si diresse verso i lavabi a un’estremità dell’aula e aprì il rubinetto. La classe rimase senza fiato, che cosa stava facendo? La signorina Browning-Lever non ci vide più dalla rabbia. «Che diavolo credi di fare, Ben?» gridò. Il resto della classe restò a bocca aperta per lo stupore. La maestra ha detto «diavolo», non è una bestemmia? Ben si sentì di nuovo raggelare. Alla fine ebbe il coraggio di rispondere: «Mi sto lavando, lei mi ha sputato in faccia». La signorina Browning-Lever divenne paonazza. Sbatté la mano con tanta forza sul banco di Ben che gli ruppe il righello. «Fuori!» gridò. Ben fissò il righello con l’orrore dipinto sul volto. «Ha rotto il mio righello» disse, cominciando a piangere. Inghiottì con fatica, il viso sconvolto, contratto in una smorfia di disperazione. Tornò verso il suo banco e, senza preoccuparsi di quanto fosse vicino alla maestra infuriata, raccolse il righello, ancora lindo e pulito come il giorno in cui gli era stato comprato, sei mesi prima. Il suo nome, accuratamente scritto su un lato, era diviso all’altezza della JO di Jones. In un improvviso attacco di rabbia diede un calcio al banco, 15 facendo volare il suo raccoglitore; le bambine tirarono un urlo e i bambini gridarono, mentre la signorina Browning-Lever afferrò il telefono con ira malcelata e chiamò il preside. Ben non sentì quello che disse, era troppo intento a fare a pezzi il righello, saltandoci sopra con i piedi, mentre le sue mani si agitavano furiosamente, come due eliche impazzite. 16