I colleghi del Corriere al funerale: così ricordiamo Maria Grazia

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I colleghi del Corriere al funerale: così ricordiamo Maria Grazia
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LA SICILIA
domenica, 25 novembre 2001
Inviati al fronte
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M
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«Si stupirebbe di essere lei la notizia»
I colleghi del Corriere al funerale: così ricordiamo Maria Grazia
Pinella Leocata
CATANIA – Della morte non
parlava. La raccontava, le passava
accanto nei tanti fronti di guerra
di cui aveva voluto essere testimone, ma nessuno dei colleghi del
«Corriere» ricorda di avergliene
sentito parlare. Maria Grazia Cutuli era piena di vita ed era la vita,
crudele e generosa, terribile e magnifica, che amava raccontare.
Ed ora eccoli le compagne e i
compagni di tanti giorni, di tante
fatiche, di tanti ideali. eccoli i giornalisti e le giornaliste del «Corriere della Sera» e di «Io Donna», qui
a Catania per starle vicino ancora.
Ancora una volta.
No della morte non parlava, era
della vita e della sua verità che voleva parlare. Antonio Ferrari - con
Ettore Mo, presente anch’egli, decano tra gli inviati di guerra - ne
conserva «l’immagine di una donna appassionata, di una donna che
crede nella verità, anche se amara, anche se scomoda. Una persona che non aveva preconcetti e che
sapeva riconoscere le ragioni degli altri. Un dovere fondamentale
per chi fa il nostro mestiere, anche
se così non si fa carriera. Non le
piacevano alcuni modi modi di fare il giornalista oggi, il culto dell’effetto, la corsa a schierarsi, a
compiacere. No. Lei ha fatto la giornalista da testimone, senza protagonismi».
Chissà, forse si sarebbe arrabbiata per alcuni degli articoli scritti su di lei e magari ne avrebbe zittito gli autori. Forse avrebbe sorriso della solenne magniloquenza
del saluto che la sua città ha voluto tributarle, fiera e orgogliosa di
lei. Oggi. Forse. Di lei i suoi colleghi ricordano soprattutto «la capacità di non andare sopra le righe, di alleggerire anche le situazioni più pesanti, di essere estremamente seria senza darlo a vedere». Paolo Valentino di Maria
A sinistra, l’amministratore
delgato della Rcs edizioni,
Cesare Romiti, ieri davanti
al feretro; qui sopra, una
delle corone di fiori dei
colleghi del Corriere (foto
Anastasi-Zappalà)
Grazia, collega e cugina, ha cara
soprattutto «la sua risata fanciullesca. Si sarebbe sorpresa di essere lei la notizia, dopo averne cercate tante, per anni, e bene».
«Una giornalista appassionata e
meticolosa, una delle più esperte
perché si era formata sul campo, e
insieme una ragazza spensierata».
Con lei, Alessandro Cannavò, ca-
tanese, riscopriva di tanto in tanto il piacere degli stessi modi di dire e delle battute in dialetto. Con
lei rideva «dell’aspetto surreale di
alcune delle sue avventure, “Le incredibili storie di Maria Grazia”,
le chiamavamo. Situazioni rocambolesche raccontate con ironica spensieratezza». Ora sarà più
solo. E più sola si sente Manuela
N
Pelati, grafica del Corriere, «perché Maria Grazia era un’amica vera, sincera, leale. Teneva all’amicizia con la stessa curiosità con la
quale faceva la giornalista. Ha lottato molto per tutto quello che ha
fatto. Per me è un grande vuoto nella vita di ogni giorno». Sì, era battagliera Maria Grazia, «con questa
sua capacità di inseguire quello
che voleva senza imporsi. Era passata dalla porta stretta e ne ne era
uscita più forte - dice Barbara Stefanelli -. Mi mancheranno le nostre
serate a Milano, i parrucchieri, i
negozi che saccheggiavamo, una
specie di gioco alla ricerca di uno
stile da fare nostro. Qualcuno ha
raccontato la sua vicenda nel modo più semplice, quello dell’invia-
to sul fronte disposto a rischiare la
vita per uno scoop. Ma Maria Grazia non era così. Aveva scelto di interessarsi dell’Africa e dell’Afghanistan, li studiava e li conosceva
bene. Era consapevole del codice e
del galateo da rispettare in determinate aree. No, non voleva essere in prima linea solo per esserci».
«Andava sul campo per raccontare agli altri la verità, fino in fondo. Questa è una caratteristica del
Corriere - chiosa con orgoglio Rodolfo Grassi, del comitato di redazione - per questo oggi sentiamo
che è venuto a mancare uno della
nostra famiglia. In questi giorni mi
sono chiesto più volte se è giusto
correre tanti rischi e mettere a repentaglio la propria vita e mi sono
risposto che sì, è giusto. Non vedo
un modo diverso per fare questo
mestiere, non vedo una risposta
migliore». Per questo Isabella Bossi Fedrigotti ha voluto esserci, «per
renderle omaggio. Ho sempre pensato che se morissi sul lavoro mi
piacerebbe che i miei colleghi mi
fossero vicini». Ha avvertito qualche nota stonata nel racconto di
questa vita e di questa morte?
«L’abbiamo raccontata enfatizzando i rischi, ma anche con la consapevolezza di essere poco amati
perché noi giornalisti raccontiamo realtà terribili di cui, però, non
siamo responsabili. Poi, abbiamo
tutti i limiti degli altri uomini, ma
essendo più in vista degli altri, si
notano di più».
E’ l’ora. Il gruppo si avvia in cattedrale. Un attimo fermi davanti
all’amica confusa tra i fiori, poi siedono l’uno vicino all’altro, in silenzio, composti, le braccia incrociate sul petto quasi a controllare
il tumulto del cuore. Solo alla fine,
quando la bara portata a spalla s’allontana tra lo scrosciare forte degli applausi, solo allora, infine,
piangono.
«La vita con te non è stata leggera». Pochi minuti prima, dall’alto dell’ambone, Mara - corrispondente londinese di «Io Donna»
- le aveva dedicato parole delicate
e struggenti. «Hai cercato l’eccezionale in ogni giorno. Eri ambiziosa, arrabbiata, provocatoria,
hai detto sempre quello che pensavi. Difendevi i poveri della terra, tu che non riuscivi a difendere
i tuoi sentimenti». Poi, con le parole di Adriano, l’imperatore, alza
un canto, una preghiera laica. «Animula vagula, blandula...». «Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più
gli svaghi consueti».
«Animula vagula, blandula...».
Addio. Sei entrata nella morte ad
occhi aperti.
NEW YORK TIMES
«TRASFORMATA
IN UNA NUOVA
LADY DIANA»
NEW YORK – Maria Grazia
Cutuli è stata trasformata in
questi giorni dagli organi di
informazione italiani «in una
sorta di Principessa Diana
della donna lavoratrice». Lo
scrive il New York Times, che
dedica un ampio servizio al
caso Cutuli. Il quotidiano
americano, riportando
valutazioni di amici della
giornalista, sostiene che Maria
Grazia Cutuli in Italia è stata
trasformata in un mito «non
solo per vendere quotidiani,
ma per vendere una guerra». Il
dolore degli italiani per una
vittima che rende più vicina
una guerra sentita come
lontana - secondo il «Nyt» rappresenta anche
un’occasione per il paese per
riflettere su un conflitto verso
il quale l’Italia ha sentimenti
contrastanti. Intanto
un’inviata americana, Pamela
Constable, del Washington
Post, è tornata nel campo di
addestramento di Hadda,
vicino a Jalalabad, sul quale la
Cutuli e il reporter spagnolo
Julio Fuentes, realizzarono il
loro ultimo servizio,
scoprendo fiale di gas Sarin di
produzione russa. L’inviata
del «Post» non ha trovato
tracce del Sarin. C’erano però
documenti su un agente
chimico di fabbricazione
coreana e tracce del passaggio
in tempi recenti di guerriglieri
arabi. Il campo è da giorni
nelle mani degli anti-talebani,
ma nei dintorni restano attivi
seguaci di Al Qaida.
Y
NERO GIALLO CIANO MAGENTA