La Riforma Cistercense - Abbazia della Novalesa

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La Riforma Cistercense - Abbazia della Novalesa
La Riforma Cistercense
Relatore : Renato Gianolio
Il 20 agosto 1153 le campane del monastero di Clairvaux suonavano a lutto. Rendeva infatti
l’anima a Dio il suo illustre Padre fondatore, Bernardo di Fontaine, più comunemente conosciuto
come San Bernardo abate di Clairvaux o Chiaravalle, che per ben 38 anni ne rimase al governo
(dalla sua fondazione avvenuta nel 1115, voluta dall’abate di Cîteaux Stefano Harding che inviò il
giovane Bernardo a capo della nuova Comunità monastica, al 1153 anno della sua morte).
Per ricordare l’850° Anniversario del Transito di San Bernardo abate, nato nel 1090 a Fontainelès-Dijon, presso Digione, terzogenito di sette figli, della nobile famiglia dei signori di Châtillonsur-Seine, figura carismatica del suo tempo, desideriamo esporre brevemente quel fervore religioso,
nello specifico monastico, che caratterizzò il periodo storico posto tra il secolo X° ed il secolo XII°.
Il contesto storico
Il quadro presentato dalla società del tempo risulta assai variegato: assistiamo ad un risveglio
religioso e sociale mentre, per effetto della politica ecclesiastica degli imperatori della casa di
Sassonia, continua un inserimento sempre più profondo dei monasteri nel sistema feudale. Nei
rapporti sociali, in particolare con la nobiltà, si stabilisce una compenetrazione sempre più stretta tra
vita monastica e società. Tale compenetrazione sembra inevitabile, pur con tutti gli inconvenienti
che essa arreca. Tutto ciò comporta infatti delle conseguenze negative sul piano morale e
disciplinare con l’accumulo di beni eccessivi, interessi materiali e impegni amministrativi che ben
poco hanno a che fare con il farsi estranei all’agire del mondo (RSB. Cap. IV). E’ il fenomeno noto
sotto il nome di “crisi del cenobitismo” a cui si cercherà di reagire mediante lo sviluppo di nuove
correnti eremitiche e di movimenti monastici rigoristi. Il monachesimo nonostante la “crisi” sopra
citata risulta comunque un fenomeno diffusissimo, come dimostra il continuo proliferare di nuovi
Ordines (Istituti monastici che seguono determinate Osservanze e sono retti da una propria
legislazione). Non sorprende quindi che in tale epoca si sia accesa una così viva polemica sul
rapporto tra le varie forme di vita religiosa.
La Riforma monastica dell’XI° secolo si trova alle prese con un problema specifico: l’ovvia
contrapposizione tra gli esempi lasciati dai Padri del deserto e la Regola di San Benedetto diffusa
ormai in tutto l’Occidente, a tutta la christianitas. Autorità influenti quali San Pier Damiani non
esitavano a risolvere il problema dichiarandosi favorevoli alla vita eremitica, dimostrando che la
Regola era stata scritta solo per i principianti, mentre l’imitazione dei Padri del deserto conduceva
alla perfezione. La “crisi del cenobitismo” dei secoli XI-XII si rivelò quindi con il sorgere dei nuovi
Ordini una crisi benefica per tutto l’universo monastico occidentale ricca di sviluppi imprevedibili.
Cluny
Il monastero di Cluny fu fondato nel settembre 910, presso Mâcon, in Borgogna, grazie ad una
donazione fatta da Guglielmo III duca d’Aquitania all’abate Bernone, in quel tempo superiore dei
due monasteri di Beaume e Gigny. L’abate Bernone fondò in questo modo un monastero, dedicato
ai SS. Pietro e Paolo, abitato da dodici monaci che condussero vita cenobitica sotto l’osservanza
della Regola di San Benedetto. Gia alla sua fondazione l’Istituto presenta le due caratteristiche che
continueranno a distinguerlo: è una Congregazione di monasteri, i quali sono totalmente
indipendenti da ogni tipo di ingerenza laica ed ecclesiastica (esenzione) eccetto all’autorità della
Santa Sede.
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Il compito principale della Comunità monastica cluniacense, inoltre, doveva essere quello della
preghiera continua a suffragio dei donatori defunti, caratteristica altamente spirituale, che lasciava
però alquanto in secondo piano il lavoro, come invece la Regola benedettina prescriveva ai propri
monaci: saranno veri monaci solo quando vivranno del lavoro delle loro mani (RSB. Cap. XLVIII).
Il periodo di massimo splendore cluniacense va dal 910 al 1156. La prima data corrisponde
all’anno della fondazione dell’abbazia, mentre la seconda indica l’anno della morte di Pietro
Venerabile ultimo dei grandi abati che governeranno Cluny.
Il suo primo abate, Bernone, rimane in carica fino al 927. Gli succede Oddone (927-942):
quale concezione egli avesse della stessa vita monastica risulta nel suo scritto di ispirazione biblica,
Occupatio. La Chiesa è vista come un vasto monastero, il monastero è un riassunto della Chiesa.
Egli auspica un ritorno alla Chiesa primitiva attraverso la povertà, la vita comunitaria, l’assidua
preghiera, anticipazione su questa terra della Gerusalemme celeste nei limiti delle proprie forze.
Dopo Oddone sarà la volta dell’abate Aimardo che lasciò il suo breve ufficio nel 948.
Viene seguito dall’abate Maiolo (948-994). Durante il suo governo fu incaricato dai Re di
Francia e dagli Imperatori germanici della riforma di molti monasteri per cui si trovò spesso in
viaggio. Nel 974 l’Imperatore Ottone II di Sassonia e sua madre Adelaide gli offrirono di diventare
Papa, ma egli rifiutò preferendo rimanere al governo del suo cenobio.
Sarà poi la volta dell’abate Odilone (994-1049) che grazie alla “politica” dei suoi predecessori,
diverrà il promotore, con buoni risultati, di un periodo di pace tra i vari signori feudali, troppo
spesso il lotta fra loro.
Suo successore sarà l’abate Ugo (1049-1109) il quale saprà allargare la funzione “politica” di
Cluny a tutta la cristianità. L’Istituto, infatti, possiede ora monasteri sia in Spagna che in Inghilterra.
Le Consuetudines cluniacenses ormai circolano in tutta Europa; esse vengono adottate da centinaia
di monasteri; è questo il momento di massimo splendore di Cluny.
(Ugo fece costruire la chiesa a cinque navate distrutta durante la Rivoluzione Francese)
Ultimo, per ordine cronologico, dei grandi abati cluniacensi, Pietro Venerabile (1109-25
dicembre 1156). Durante il suo governo amministrò il celebre monastero con grande saggezza e
prudenza. Seppe affrontare anche gravi problemi di natura economica, già presenti ai tempi di Ugo,
per adattare la conduzione del vasto patrimonio monastico ad una situazione di più intensa
circolazione monetaria. Più impegnativo, in rapporto a tutte le problematiche finora esposte, fu però
il confronto, di natura spirituale, sostenuto con la nuova Osservanza cistercense e soprattutto con il
suo massimo esponente Bernardo di Chiaravalle.
Motivo del dissenso con Bernardo fu l’interpretazione, data da Cluny, della Regola benedettina.
All’interno dell’Ordine cluniacense che, durante il suo abbaziato, conobbe ancora un’epoca di
grande vitalità, egli promosse una attenta riorganizzazione degli usi liturgici e disciplinari e che
culminò con la stesura degli Statuta. Nella premessa a questi decreti Pietro spiega come si debba
attentamente discernere tra quanto, con legge immutabile, ci comanda il Signore e, quanto invece è
stato stabilito dagli uomini e che pertanto può rendersi mutabile, perché quanto fu utile un tempo
può, con il mutare delle circostanze, divenire nocivo. Durante il suo governo Cluny contava circa
quattrocento monaci residenti nel solo monastero borgognone e duemila case dipendenti sparse in
tutto il territorio europeo. Ricordiamo che nell’Ufficio monastico la Memoria dei SS. Abati
cluniacensi è celebrata il giorno 11 maggio.
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Le correnti eremitiche: Camaldolesi e Certosini
Una risposta alla “crisi” di tante istituzioni monastiche fu la rinascita del movimento eremitico,
peraltro sempre esistito in tutto l’Alto Medioevo, ma che ora tendeva ad organizzarsi in veri e
propri Ordines. La fondazione dell’Istituto di Camaldoli, nel 980, si deve a San Romualdo entrato
ventenne nel monastero di Sant’Apollinare in Classe di Ravenna.
La Congregazione dei monaci eremiti benedettini depositaria dell’ideale del suo santo
fondatore, vita monastica ed eremitica, ha come suoi fondamentali Maestri oltre allo stesso San
Romualdo, San Rodolfo, primo Priore del monastero di Camaldoli e San Pier Damiani, Priore di
Fonte Avellana. L’approvazione definitiva, in Congregazione benedettina, risale a Papa Gregorio
VII nel 1074. San Romualdo, consegnò ai suoi discepoli la Regola di San Benedetto, che fu il primo
e più importante codice per la Congregazione; a questo sono unite le Consuetudini, che contengono
l’interpretazione pratica della Regola con le norme per la vita eremitica ( Dichiarazioni) e gli
elementi giuridici che costituiscono la Congregazione (Costituzioni).
Un altro importante movimento eremitico, quello dei Certosini, trae origine da San Bruno di
Colonia, il quale nel 1084 fondava l’eremo della Grande-Chartreuse presso Grenoble. Chiamato in
Italia da Papa Urbano II che fu suo discepolo a Reims, si trasferì in Calabria dove fondò due
eremitaggi. Il movimento della Certosa ha per programma un’osservanza strettamente eremitica,
mitigata da alcuni momenti di vita cenobitica. Se i monaci camaldolesi possono essere definiti dei
cenobiti indirizzati all’eremo, i certosini sono degli eremiti raccolti in un cenobio. Il monaco
certosino vive in una casetta, fornita di un locale per il lavoro e di un piccolo giardino, da cui esce
tre volte al giorno: per il lungo Ufficio notturno, per la Messa conventuale e per i Vespri. Anche
l’unico pasto giornaliero è consumato in cella; solo alla domenica ci si reca al refettorio comune.
L’autorità suprema dell’Ordine certosino appartiene al Capitolo generale, che si riunisce ogni due
anni presso la Gran Certosa. L’Istituto è governato dal Priore della Grande-Chartreuse. Il Superiore
è chiamato Priore dai confratelli perché considerato primus inter pares e non dominus.
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Nessuno dei movimenti monastici sorti nei secoli XI° e XII° eguagliò l’importanza dell’Ordine
di Cîteaux. La sua origine non fu dovuta ad interventi di sovrani, come nel periodo carolingio, o a
signori feudali, come per Cluny, ma bensì all’unica e decisa presa di coscienza di un gruppo di
monaci che esprimevano un desiderio generale e diffuso di rinnovamento e di riforma.
Svanisce il primo tentativo di ristabilire pace, unificazione e ordine civile sulle rovine
dell’Impero Romano effettuato dalla cosiddetta Rinascita Carolingia. Il glorioso Impero voluto da
Carlo Magno (+814) e perseguito da suo figlio, Ludovico di Aquitania detto il Pio (+840) cade
frantumandosi sotto gli antagonismi dei nipoti, permettendo così una nuova ondata di invasioni
barbariche provenienti dal Nord con i Vichinghi, dal Sud con i Saraceni e da Est con gli Ungheresi.
(Benedetto d’Aniane, 750-821, abate del monastero di San Cornelio “ad Indam” presso
Aquisgrana. L’Imperatore condivideva con l’abate di Aquisgrana l’idea che la decadenza in atto si
doveva soprattutto a due motivi: alla infinita varietà delle osservanze e all’ignoranza della Regola
benedettina. Ludovico il Pio incaricò l’abate di introdurre la riforma in tutti i monasteri presenti nel
regno franco. Per questo egli convocò nell’estate 817 un sinodo presso Aix-la-Chapelle radunando
tutti gli abati dell’impero. Sarà una tappa fondamentale nel cammino del monachesimo occidentale.
Benedetto d’Aniane spiegò integralmente la RSB sottoponendo all’approvazione dell’assemblea le
idee che aveva esposte.
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Fu redatto un documento che passò alla storia come il Capitulare monasticum in cui si
prescriveva l’introduzione della RSB in tutti i monasteri maschili e femminili dell’impero. E’
considerato dagli studiosi, per questa sua opera, il vero ideatore dell’ Ordine benedettino o meglio
Unità di disciplina o di Regola. Deve anche essere ricordato per lo sviluppo assegnato alla liturgia,
che verrà successivamente ripreso dal monastero di Cluny).
Solo verso la metà del X° secolo l’impeto delle invasioni barbariche diminuì e con esso si
raggiunse nuovamente un livello elementare di sicurezza ed ordine interno di fronte alle invasioni.
Il modesto successo raggiunto poneva le basi per una rinascita e successivo sviluppo di energie
creative su cui si basò la nuova civiltà dell’Alto Medioevo. Nel secolo XI° le istituzioni feudali
raggiungevano il pieno sviluppo. Tuttavia, la ragione per cui gli storici considerano il secolo XI°
come epoca di rivoluzione, comparabile nel suo impatto alla Rivoluzione Francese, consiste
nell’improvviso rovesciamento delle relazioni Chiesa-Stato, comunemente noto come Riforma
Gregoriana. Non si trattava però, soltanto di uno sforzo per estirpare gli abusi e per ritornare ad una
forma più antica della vita della Chiesa: il conflitto ideologico rivolto a sradicare quelle tradizioni
ormai superate esigevano ed imponevano un cambiamento drastico. Queste fasi del conflitto
raggiungevano il culmine sotto il Pontificato di Papa Gregorio VII (1073-1085): egli si prefiggeva
la ristrutturazione della cristianità, per arrivare ad una assoluta libertà della Chiesa nei confronti
dello Stato e pertanto dal potere temporale. Un programma così rivoluzionario non ebbe pienamente
successo né con Gregorio VII né con i suoi successori, ma tutti gli aspetti della vita cristiana furono
rivisitati e sottoposti ad una revisione critica.
Il grande impulso spirituale promosso dalla Riforma Gregoriana stimolò il desiderio generale
di far ritorno alle fonti del cristianesimo per infondere nuova vita e migliorare il mondo secondo i
nobili ideali della Chiesa primitiva. Tale movimento generava un interesse crescente per la
cristianità orientale e soprattutto per la Terra Santa. L’entusiasmo di tutto l’Occidente cristiano
raggiunse il vertice al tempo della Prima Crociata, predicata al grido di “Dio lo vuole” da Papa
Urbano II nel 1095.
La Riforma Cistercense era soprattutto un movimento di rinnovamento spirituale. La prima
tappa di questo sviluppo di idee ebbe luogo a Molesme, abbazia fondata dall’abate Roberto nel
1075 che, dopo circa un ventennio, decise di lasciare questa prima fondazione per accentuare
ulteriormente l’allontanamento dal mondo, la povertà, il lavoro manuale e l’ascetismo rigoroso,
messi in pratica sotto la stretta osservanza della Regola benedettina. Durante prolungati e animati
dibattiti, i futuri fondatori di Cîteaux ebbero la possibilità di chiarire le loro intenzioni e di ridurle
ad una forma molto semplice e pratica: il ritorno all’Osservanza letterale della Regola di San
Benedetto (Cfr. L. J. LEKAI, I Cistercensi. Ideali e realtà. Certosa di Pavia, 1989).
Fu probabilmente durante l’autunno del 1097 che l’abate Roberto si recò accompagnato da
alcuni suoi monaci, tra cui Alberico Priore di Molesme a Stefano Harding segretario di lingua
inglese dell’abate, dall’Arcivescovo Ugo de Die di Lione, Legato pontificio in terra di Francia e uno
tra i più attivi sostenitori della Riforma Gregoriana per ottenere l’approvazione ecclesiastica alla
nuova fondazione. Roberto presentava il suo piano al prelato dando come ragione principale
l’osservanza tiepida e negligente della Regola, così come era vissuta a Molesme, mentre egli
prometteva di seguirla da allora in poi più strettamente e con maggiore perfezione.
Ottenuta l’approvazione l’abate Roberto fondò nella Borgogna francese il giorno 21 marzo
1098, festa di San Benedetto e Domenica della Palme, il Nuovo Monastero che dal nome della
località Cistercio, in latino Cistercium, prese il nome di Cîteaux.
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Le loro origini furono umili e difficili, con i poverissimi mezzi, messi a loro disposizione e con
un terreno impervio ricevuto in dono dal visconte di Beaume, Rainaldo, parente e benefattore
dell’abate Roberto. La ricerca di una più grande solitudine, povertà ed austerità costituirono
certamente l’ideale monastico a cui Roberto ed i suoi venti monaci tendevano, così come si
auspicava nelle numerose abbazie sul finire dell’XI° secolo.
Le caratteristiche tipiche di Cîteaux sono messe in risalto dall’immediato confronto con Cluny.
La comparazione dello “stile di vita” tra i monaci neri cluniacensi ed i monaci bianchi
cistercensi fa capire immediatamente le differenze sul fondamentale problema all’interpretazione
della Regola benedettina. Mentre per i primi il compito principale della Comunità monastica doveva
essere quello della preghiera continua (ricordiamo che la commemorazione dei defunti, il 2
novembre, fu istituita dall’abate Odilone) caratteristica squisitamente spirituale che lasciava però in
secondo piano il lavoro manuale come invece la Regola benedettina prescriveva, per i Cistercensi
l’ideale monastico tendeva ad una vita solitaria quasi eremitica sostenuta dagli esempi ascetici dei
Padri del deserto attualizzati e vissuti all’interno del cenobio, dedicando il loro tempo oltre che
all’Ufficio Divino anche al lavoro manuale nella bonifica dei territori posti intorno ai loro monasteri
che per scelta erano edificati in luoghi impervi e paludosi di pianura per sottolineare il
nascondimento al mondo, contrariamente ai monasteri cluniacensi che spesso si trovavano posti su
luoghi elevati in cima alle colline.
Roberto ed i suoi monaci insistevano nell’affermare che essi non avevano altro desiderio se non
quello del ritorno ad una vera autentica Osservanza della Regola di San Benedetto, codice venerato
e venerabile da tutti i monaci. Facendo questo i primi Cistercensi istintivamente sottolineavano
quegli elementi della Regola che meglio si adattavano con il loro stile di vita eremitica, soprattutto
nel capitolo 73, dove il legislatore Benedetto, afferma con molta modestia che la sua regola era stata
composta per dei principianti; coloro che intendevano aspirare ad una più alta perfezione di vita
monastica dovevano rivolgersi agli insegnamenti dei Santi Padri del deserto, in particolare alle
opere di San Basilio (+379) e di Giovanni Cassiano (+435) oltre naturalmente alla Sacra Scrittura.
Successore di Roberto (+1111) alla guida di Cîteaux, che suo malgrado dovette rientrare a
Molesme per ordine del Papa Urbano II nel 1099, sarà Alberico. Durante il suo governo abbaziale
egli si premurò di chiedere a Papa Pasquale II, la protezione apostolica conosciuta come il
Privilegio Romano, che gli fu concessa con la bolla Desiderium quod in data 19 ottobre 1100,
sottraendo così il Nuovo Monastero ad ogni ingerenza della nobiltà locale ed ecclesiastica. Dopo
questa approvazione, Alberico, redasse con l’aiuto della Comunità monastica i primi Statuti
dell’Ordine, contenuti nel Piccolo Esordio o Exordium Parvum documento più tardivo sulle origini
di Cîteaux in 18 capitoli, che pare dai più recenti studi sia stato redatto da un monaco della
generazione di San Bernardo, il quale lo aveva pubblicato dopo la morte di Stefano Harding.
Terzo abate di Cîteaux sarà appunto Stefano Harding (+1134), nominato alla morte di
Alberico (+1109). Inglese di nascita giunse già monaco nell’abbazia di Molesme deve decise di
stabilirsi. Sostenitore dell’ideale del suo abate Roberto per una vita più autentica secondo la Regola
di San Benedetto, Stefano condivise con il suo abate la fondazione di Cîteaux divenendone Priore
sotto il governo di Alberico, al rientro di Roberto a Molesme. E’ durante il suo governo abbaziale
che inizia la stesura della Costituzione cistercense meglio conosciuta come Carta di Carità o Carta
Caritatis opera composta tra il 1114 ed il 1119. Di lui ci rimane anche una Prefazione all’Innario
Cistercense, composto tra il 1108 ed il 1113. In esso Stefano spiega che Cîteaux adottò gli Inni
Ambrosiani di Milano per meglio conformarsi alla Regola benedettina.
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(Ingresso di Bernardo a Cîteaux nella primavera del 1112)
(Prime fondazioni di Cîteaux: La Fertè 1113, Pontigny 1114, Clairvaux e Morimond 1115)
(Prima Comunità cistercense fuori Francia: La Fertè fonda nel 1120 il monastero di Tiglieto)
Figura di grande rilievo non soltanto per l’Ordine Cistercense di cui fu l’autentico
organizzatore, Stefano, personaggio straordinariamente dotato e creativo, fu grande amante della
Regola, della povertà per farsi poveri col Cristo povero e della verità o autenticità, termine che sarà
spesso usato da San Bernardo. Uomo profondamente contemplativo, fu nello stesso tempo, presente
ai bisogni della società del suo tempo. Inoltre tutti i documenti a noi pervenuti sottolineano la
sapienza con cui Stefano seppe prendere importanti decisioni sempre in comunione con i suoi
confratelli. Negli anni seguenti al 1120, egli svolse un importante ruolo nella fondazione della
prima abbazia cistercense femminile di Tart, non lontano da Cîteaux, la quale ne adottò le
Consuetudini e che in seguito si sviluppò come abbazia madre di molte altre fondazioni. Dal 1966,
la Memoria dei primi SS. Abati di Cîteaux, Roberto, Alberico e Stefano, nell’Ufficio monastico,
viene celebrata il 26 gennaio.
Roberto, Alberico e Stefano Harding sono i veri Padri fondatori dell’Ordine di Cîteaux.
La disputa verbale riguardante l’Osservanza della vita monastica scoppiò con maggiore forza
dopo il 1124, quando San Bernardo, lanciò un duro attacco contro Cluny, che sfocerà nella sua
celebre Apologia. In quel periodo i Cistercensi avevano guadagnato una grande popolarità. Con il
suo stile magistrale San Bernardo metteva in netta contrapposizione i “monaci neri” ricchi,
pomposi, dalla vita agiata con i “monaci bianchi” i Cistercensi, araldi di una nuova forma di vita
monastica che vivevano con il frutto del proprio lavoro esattamente come gli Apostoli; separati dal
mondo e senza alcun interesse per esso; austeri nel proprio abbigliamento ed anche nelle loro
abitazioni; parchi nel cibo e nelle bevande; semplici perfino nel loro servizio liturgico.
La sintesi è che i Padri fondatori di Cîteaux decisero, come afferma il cronista inglese
Guglielmo di Malmesbury (1090-1143), di “osservare la Regola di San Benedetto alla lettera, allo
stesso modo in cui i Giudei osservano la Legge di Mosè” (Cfr. L. J. LEKAI, I Cistercensi. Ideali e
realtà. Certosa di Pavia, 1989).
Generalmente i monaci consideravano precetti divini, oltre ai comandamenti in senso stretto,
anche le varie disposizioni dettate dai Padri “i quali hanno seguito le orme degli Apostoli”. A tutti
senza eccezione si deve uguale obbedienza e venerazione, perché come scriveva Pietro Venerabile
in tutti si riconosce il soffio dello stesso Spirito (Cfr. PIETRO VENERABILE, Epistola 28, in:
GIOVANNI LUNARDI, L’ideale monastico, Noci 1970, pag. 95).
Secondo San Bernardo, applicando i principi esposti in precedenza alla Regola, accanto alle
prescrizioni immutabili vi sono altre norme esterne e pertanto mutabili, contenute nella Regola
benedettina che il santo Legislatore prevede per meglio realizzare la legge della carità. Il potere di
agire sulla Regola compete unicamente agli Abati. Essi soltanto, continua San Bernardo, sono i
dispensatori autentici, in forza del loro ufficio di rappresentanti di Dio all’interno del cenobio. Essi
però non possono agire a capriccio: hanno dei limiti che non possono oltrepassare. Loro norma
dovrà essere quella di salvare la carità, di fomentare la carità che è “la grande Regola di Dio” (Cfr.
San BERNARDO, I Precetti, in: GIOVANNI LUNARDI, L’ideale monastico, Noci 1970, pag. 99).
L’indirizzo delle varie correnti difendono quindi la supremazia della carità e ne fanno il
principio motore di ogni evoluzione della disciplina monastica. Ma, su questo punto, dove si deve
ricercare la diversità di opinioni tra la mentalità tradizionale di Cluny e quella dei Cistercensi ?
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Come abbiamo visto San Bernardo insegna che “i precetti della Regola, finchè favoriscono la
carità, restano immutabili e non possono venir cambiati senza colpa”. Pertanto egli, ed in genere i
Cistercensi, limitavano al massimo le eccezioni della Regola, la quale veniva osservata “ad
litteram”. Anche nel monachesimo tradizionale come a Cluny si parlava di eccezioni di necessità,
ma in modo molto più allargato. Nella Epistola 28 ad esempio, Pietro Venerabile giustifica l’uso
della carne ai confratelli sani con il desiderio di togliere ai monaci il disgusto per la monotonia del
cibo in quanto “essi non vanno sognando altro che un pezzo di carne”. Ma in questa maniera,
evidentemente, i monaci tradizionali allargano sempre di più il concetto di necessità moltiplicando a
dismisura le eccezioni alla Regola benedettina.
Appare, pertanto, quanto sia difficile il discernimento del Superiore all’interno del cenobio.
Monaci tradizionali e Cistercensi rappresentavano due concezioni diverse della vita claustrale:
due ideali paralleli; l’uno in una forma più larga, l’altro in una espressione più austera. Ma nessuna
delle due aveva il diritto di condannare l’altra e ciò è dimostrato anche dalla grande amicizia che
legava l’abate di Cluny all’abate di Clairvaux.
Un altro paragrafo presente nella Costituzione cistercense la Carta di Carità alludeva alle
circostanze delle nuove fondazioni. Il sistema cluniacense prevedeva una struttura per cui a capo di
tutte le fondazioni vi era l’abbazia madre di Cluny, mentre i Cistercensi istituirono un nuovo
ordinamento giuridico conosciuto con il nome di filiazione. Questo principio trasforma rispetto a
Cluny l’organizzazione del sistema, rendendo sui iuris tutte le case fondate e cioè indipendenti
dall’abbazia madre, stabilendo diritti e doveri reciproci.
L’abate del monastero fondatore si chiamerà Padre immediato ed avrà l’obbligo di visita
annuale presso tutte le filiazioni. Cîteaux, che non aveva una casa madre doveva essere “visitata”
simultaneamente dagli abati delle sue prime quattro case figlie e cioè dagli abati di La Fertè,
Pontigny, Clairvaux e Morimond.
Ogni filiazione dovrà avere, oltre ad alcuni fratelli conversi, almeno dodici monaci, guidati da
un abate. Tutte le chiese conventuali dovranno essere dedicate alla Beata Vergine Maria e collocate
in luoghi ameni, lontani dai villaggi e dalle città. I mezzi di sussistenza dei monaci, come abbiamo
visto dovevano derivare dal lavoro manuale, dalla coltivazione della terra e dall’allevamento del
bestiame.
Per questo e per il disbrigo degli affari economici delle fondazioni cistercensi varrà istituita una
nuova categoria di religiosi sotto la stretta disciplina del monastero: i fratelli conversi. Con questo
termine si indica un religioso laico, vincolato da tutti gli obblighi fondamentali della vita religiosa
eccetto l’Ufficio Divino. Questi ultimi data l’esenzione all’Ufficio Divino potevano vivere anche
lontano dal monastero di appartenenza, sulle sue proprietà, in costruzioni chiuse, dove si conservava
il raccolto e gli attrezzi agricoli, denominate grange.
Il successo dell’economia agraria dei Cistercensi e la sua superiorità nei confronti delle grandi
proprietà terriere, ormai superate e decadenti, trova spiegazione soprattutto nell’organizzazione e
nella pianificazione dello sfruttamento delle proprietà dell’Ordine. Lo strumento di maggior
successo per raggiungere tale scopo fu l’organizzazione in grange, una specie di stanziamenti
monastici agrari, del tutto paragonabili alle moderne fattorie, le quali univano i vantaggi della
pianificazione centrale data dal monastero di appartenenza con l’autonomia locale. Secondo le
norme più antiche, le grange non dovevano distare dall’abbazia più di una giornata di cammino:
esse potevano restare così sotto stretto controllo ed i fratelli conversi potevano fare ritorno ogni
domenica al monastero per gli uffici religiosi.
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I monaci di coro non avevano il permesso di pernottare nelle grange: il lavoro quotidiano, nelle
grange, divenne perciò responsabilità dei fratelli conversi, sotto la direzione del maestro della
grangia, o grangiario, uno dei fratelli più esperti. Quest’ultimo riceveva istruzioni dal cellerario e
dal procuratore dell’abbazia, ed a sua volta era responsabile di fronte all’abate.
I primi monasteri medioevali, compreso Cluny, accettarono come soluzione, il modello feudale
assegnando il lavoro agricolo alle popolazioni rurali. Più tardi, dopo il 1012, San Romualdo a
Camaldoli organizzò servi laici; fu seguito poi da San Giovanni Gualberto, fondatore di
Vallombrosa nel 1036, che chiamò i suoi aiutanti laici conversi, nome dato dai Cistercensi ai fratelli
laici. Anche la riforma della Congregazione di Hirsau, in Germania, diede ai propri servi laici una
precisa configurazione religiosa e ne diffuse l’idea con tale successo che tutti gli altri Ordini o
Congregazioni riformate, fondate a ridosso del periodo Cistercense, adottarono tale istituzione. I
fratelli conversi cistercensi non rappresentano quindi una innovazione del tutto rivoluzionaria, ma
nessun Ordine seppe impiegarli in maniera così efficace.
Nei monasteri cistercensi non si accettarono più, diversamente dalla Regola di San Benedetto e
dalla precedente tradizione monastica, i fanciulli offerti al monastero (oblati) dai loro genitori. Il
fenomeno, di grande importanza nella storia della vita religiosa, si può interpretare come
rivalutazione della coscienza personale o “scoperta dell’individuo” che è propria del secolo XII°.
L’Ordine Cistercense, come abbiamo visto, nasce e si sviluppa dal ceppo benedettino. Perciò
sia la spiritualità che la struttura urbanistica delle abbazie hanno come punto di riferimento l’ ordine,
inteso come disposizione e sistemazione nello spazio, tipicamente benedettino. Nel Cap. 66 della
Regola tra l’altro si afferma: Possibilmente il monastero deve essere costruito in modo di potervi
trovare quanto è necessario, cioè, l’acqua, un mulino, un orto e reparti per le varie necessità, così
che i monaci non debbano girovagare fuori: ciò infatti non reca alcun vantaggio alle loro anime.
Anche nell’architettura cistercense è possibile decodificare quel bisogno di ritorno alla
semplicità, all’ autenticità, osservando lo spogliamento tipico che lascia intatti e visibili i muri delle
loro costruzioni, mettendo così in risalto la bellezza e l’armonia delle forme. Nonostante la
grandiosa fioritura dell’arte sacra che si ebbe dopo il Mille i Cistercensi eliminarono radicalmente
ogni forma di decorazione che aveva il solo scopo di attirare folle di pellegrini e devoti. La
planimetria delle primitive chiese cistercensi presenta tre navate e un transetto affiancato da
cappelle. Lo spazio centrale della chiesa era praticamente riservato solo al coro dei monaci e a
quello dei conversi presenti in monastero.
Nonostante il rifiuto di ogni ornamentazione e di ogni ricercatezza, dalle primitive chiese
cistercensi emana uno spirito di essenzialità che conquista l’animo dell’osservatore e lo eleva a
considerazioni di realtà superiori. Non dobbiamo cercare lontano l’origine di questa estetica:
l’ideale della riforma di Cîteaux, era appunto, come già accennato, il ritorno alla Regola di San
Benedetto nella sua integrale purezza. E il monastero è l’officina (RSB. Cap. IV) in cui si esercita
tale pratica; e nel monastero la chiesa, costruita su pianta a croce latina, è il luogo dove più alta e
pura si esercita tale arte.
Ci piace pensare, infine, così come afferma lo studioso Lekai e ribadisce Gregorio Penco, al
centro del complesso monastico il chiostro su quattro lati, quadrato come viene immaginata dai
Cistercensi la Città di Dio, con i suoi quattro lati che simboleggiano i quattro evangelisti, i quattro
venti, le quattro stagioni, le quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza).
Questo spazio è ad un tempo protetto dal mondo e dà vita ad un mondo nuovo. Così anche i muri
parlano, come il Grande Silenzio che li circonda: spogliamento e rinunce per elevarsi a Dio Padre,
frutto della schola caritatis, titolo che a buon diritto i Cistercensi attribuirono ai loro monasteri.
20/07/2003
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La Riforma Cistercense