La-liquidazione-Torino-20-11-2011
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La-liquidazione-Torino-20-11-2011
Francesco D. Busnelli La liquidazione del danno alla persona nella R.C.A. tra legge, giurisprudenza e tabelle valutative 1. L‟avvicinarsi della ricorrenza di San Martino non sembra evocare, quest‟anno, la stagione dell‟estate, almeno per quanto concerne il tema della liquidazione del danno alla persona. Ai “chiaroscuri d‟estate”, che avevo ritenuto di intravedere nelle “sentenze gemelle” del 31 maggio 2003 n. 8827 e n. 88281 – mosse dall‟obiettivo della (terza Sezione della) Corte di Cassazione di rispondere alla “sempre più avvertita esigenza di garantire l‟integrale riparazione del danno ingiustamente subito … nei valori propri della persona (art. 2 Cost.)” -, e alla “estate di San Martino, con le sue proverbiali – e rasserenanti - „schiarite‟ “, che avevo ravvisato, proseguendo nella metafora meteorologica, nelle quattro pronunzie emanate dalle Sezioni Unite l‟11 novembre 20082 - categoriche nell‟affermare, in risposta al quesito posto dalla terza Sezione della Suprema Corte, che “in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere” - , non sembrano aggiungersi, nel convulso susseguirsi di sentenze in questi ultimi mesi, ulteriori “schiarite” idonee a scacciare quelle “nubi” che mi erano parse foriere di addensarsi “nel cielo del danno (non patrimoniale) alla persona” proprio a seguito delle sentenze (ormai comunemente chiamate) di San Martino. 2. E‟, questo, il tempo del disorientamento. Disorientante è, in primo luogo, la vistosa e difforme libertà interpretativa dei principi enucleati dalle Sezioni unite, talvolta sconfinante in un criptico travisamento3 o in un esplicito superamento4, da parte sia della giurisprudenza di merito sia di quella di legittimità: quanto alla prima, a fronte di sentenze che tendono a costringere la liquidazione del danno entro tabelle restrittive rispetto a quelle generalmente applicate5 si riscontrano pronunzie che si mostrano insofferenti dei limiti 1 legislativi F.D. Busnelli, Chiaroscuri d’estate: La Corte di cassazione e il danno alla persona, in Danno e resp., 2003, p. 826 ss. F.D. Busnelli, … e venne l’estate di San Martino, in AA. VV., Il danno non patrimoniale. Guida commentata alle decisioni delle S.U.,11 novembre 2008, nn. 26972/3/4/5, Giuffré, Milano, 2009, p. 91 ss. 3 Di “linee guida sovente travisate”, con conseguenti “nuovi equivoci e contrapposizioni interpretative”, parla in termini critici M. Hazan, Danno morale e danno biologico:regole di convivenza e RC auto (Commento a Cass. 17 settembre 2010, n. 19816, ord.), in Danno e resp., 2011, p. 148. 4 Di “controtendenza con le pronunce delle Sezioni Unite” parla in termini adesivi D. Chindemi, Danno morale: alla morte segue la resurrezione (Commento a Cass., 12 dicembre 2008, n. 29191), in Resp. civ. prev., 2009, p. 815. 5 Paradigmatica può dirsi la sentenza della Corte d‟appello barese (n. 944 del 2005) cassata dalla pronunzia (n. 12408/2011) con la quale la Corte di cassazione ha stabilito il principio della “vocazione nazionale” delle tabelle adottate dal Tribunale di Milano (v., infra, n. 5). 2 contestandone la legittimità costituzionale6 o andando alla ricerca di nuovi principi liberalizzanti7; quanto alla seconda, la Suprema Corte – o, più precisamente, la terza Sezione della stessa - sembra diventata una palestra di sentenze che veicolano dottrine agevolmente ricollegabili alla diversa personalità scientifica dei relatori8: per così dire, tot capita, tot sententiae, là dove per sententia deve intendersi sentenza). Vero è che il legislatore latita da troppo tempo contribuendo, con i silenzi delle sue ultime (ma non recenti) norme in materia e con l‟inerzia nell‟attuazione delle stesse, al complessivo disorientamento. Ambiguo è il silenzio del Codice delle assicurazioni che, nel dedicare due norme al danno biologico (gli artt. 138 e 139) avocando al legislatore il compito di dettare tabelle di determinazione del valore del punto, non ha riprodotto l‟ incipit posto all‟art. 5 della legge 57/2001 che, come del resto il Decreto legislativo 38/2000 in materia di infortuni sul lavoro, rinviava a una futura disciplina organica del danno biologico (al di là della circolazione stradale e degli infortuni sul lavoro). Semplicemente deplorevole è l‟inerzia nell‟attuazione dell‟art. 138 Cod. ass., che ha in certo qual modo “costretto” la Corte di Cassazione a fare opera di supplenza con la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 (v., infra, nn. 4 e 5); né il brusco risveglio agostano, con 9 regolamento” un Decreto contenente uno “Schema di – che, secondo i primi commenti (“Tagliati i risarcimenti delle assicurazioni, dal 40% alla metà in meno rispetto alla prassi”: così titola il Sole24Ore del 4 agosto u.s.), ridurrebbe drasticamente i valori di riferimento per la liquidazione del danno; e che, da ultimo, ha suscitato motivate riserve da parte del Consiglio di Stato, chiamato a esprimere il proprio parere10 -, sembra contribuire alla soluzione 6 Si pensi alle reiterate ordinanze con le quali il Giudice di pace di Torino ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell‟art. 139 del Codice delle assicurazioni: la prima di esse (del 30 novembre 2009, in Foro it., 2010, I, c. 701 ss., con Nota di A. Palmieri) è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza del 28 aprile 2011, n.157 (in Foro it., 2011, I, c. 1969 ss.), in ragione di “omissioni che impediscono di verificare la rilevanza della questione proposta”; con la seconda, del 21 ottobre 2011, lo stesso Giudice di pace ha nuovamente sollevato la questione dandosi carico di ovviare, nella descrizione della nuova fattispecie concreta, alle omissioni lamentate dalla Corte nel precedente giudizio. 7 Cfr. App. Torino, 5 ottobre 2009 (consultabile in www.dirittoegiustizia.it, 2009, 12) , che ravvisa nel DPR 37/2009, in quanto contenente “l‟espressa considerazione normativa di una ipotesi specifica in cui il danno morale si sovrappone al danno biologico”, una “ragionevole riconferma di un principio generale”, quello della differenza tra danno biologico e sofferenza soggettiva con la conseguente piena cumulabilità delle due voci di danno risarcibile. Il DPR n. 37 del 3 marzo 2009 detta norme sul risarcimento dei danni patiti, per cause di servizio, dal personale impiegato nelle missioni militari all‟estero. 8 Le “sentenze del 2011” qui specificamente considerate sono: Cass., 13 maggio 2011, n. 10527 (relatore Scarano): Cass., 7 giugno 2011, n. 12418 (relatore Amatucci); Cass., 30 giugno 2011, n. 14402 (relatore Scarano); Cass., 12 settembre 2011, n. 18641 (relatore Travaglino). 9 Si tratta dello “Schema di regolamento recante tabella delle menomazioni all‟integrità psicofisica comprese tra 10 e 100 punti di invalidità”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 agosto 2011. 10 Cons. di Stato, Sez. consultiva, Adunanza dell‟8 novembre 2011. In particolare, il Consiglio di Stato chiede che si “valuti se sia utile promuovere una modifica legislativa che consenta di ampliare lo spettro applicativo delle tabelle parametriche” al fine di ovviare a “una possibile conseguenza distorsiva derivante dall‟applicazione ai soli sinistri stradali degli indici parametrici”, posto che “analoghe conseguenze sul piano lesivo verrebbero ad ottenere differenti trattamenti risarcitori, a seconda del solo fatto che la lesione sia avvenuta nell‟ambito della circolazione stradale o meno”. 2 delle questioni aperte, ma potrebbe piuttosto rendere inevitabile un intervento della Corte costituzionale: la quale finora, pur essendo stata ripetutamente interpellata in materia di legittimità costituzionale dei criteri di risarcimento predeterminati dal legislatore , non è mai andata al di là di una decisione di inammissibilità della questione (v. retro, nota 4), assumendo – come è stato puntualmente osservato11 – una “posizione astensionista” che certo non giova a diradare l‟atmosfera di generale disorientamento. In questa atmosfera, la dottrina ci ha messo del suo, tornando ad esasperare i termini di una radicale contrapposizione tra i cosiddetti esistenzialisti (“il danno esistenziale riappare”12) e quanti rispondono che “non c‟è bisogno di appellarsi nuovamente alla figura del c.d. danno esistenziale”13. Una cosa è certa: la categorica affermazione delle sentenze di San Martino sulla non configurabilità del danno esistenziale come categoria autonoma sembra essere stata disinvoltamente smentita perfino al livello dei media – “Risarcibile il danno esistenziale”, declama il titolo di un commento in prima pagina sul Sole24Ore del 1° luglio 2011 - sulla base di una quanto meno opinabile interpretazione di una sentenza della terza Sezione (la sentenza n. 14402/2011 del 30 giugno di quest‟anno) che detta un principio di necessario “ristoro anche dei c.d. aspetti relazionali propri del danno da perdita del rapporto parentale o del c.d. danno esistenziale”, precisando peraltro che “è necessario verificare se i parametri recati dalle tabelle tengano conto (anche) dell‟alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell‟esistenza” e concludendo che in caso contrario dovrebbe “procedersi alla c.d. personalizzazione riconsiderando i parametri recati dalle tabelle in ragione (anche) di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l‟integralità del ristoro spettante al danneggiato”. Ma sul significato da attribuire a tale principio si avrà modo di tornare in seguito (v. infra, n.3). 3 La ricerca di alcuni punti di snodo che condizionano il tentativo di avviare un processo di riorientamento inizia proprio da una messa a fuoco del principio dell‟integralità del risarcimento del danno alla persona, che le Sezioni unite hanno specificato “nel senso che [esso] deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre”, demandando al giudice “il compito di accertare l‟effettivo pregiudizio”. “Trattandosi di pregiudizio … a bene immateriale – tiene a precisare la sentenza n. 10527 del 17 maggio 2011, sempre della terza Sezione, e contraddistinta dallo stesso 11 Cfr. G. Ponzanelli, Le tabelle milanesi, l’inerzia del legislatore e la supplenza giurisprudenziale, in Dano e resp., 2011, p. 957, nota 1. 12 Così P. Cendon, in Persona e danno, on-line, 30 giugno 2011. 13 Così G. Ponzanelli, Lo sconvolgimento della vita nelle macrolesioni: rapporto tra tabelle e potere equitativo del giudice, in Foro it., 2011, I, c. 2723. 3 relatore della sentenza n. 14402/2011 appena menzionata – particolare rilievo assume invero al riguardo la prova presuntiva”, che impone al giudice, nel dedurre dal fatto noto quello ignoto, il solo limite di operare “alla stregua di un canone di ragionevole probabilità”. L‟esempio all‟uopo prospettato è quello dello “sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita del congiunto: ipotesi in cui vengono in considerazione pregiudizi che, attenendo all‟esistenza della persona, per comodità di sintesi – inciso, questo, significativamente mutuato dalle sentenze di San Martino possono essere descritti e definiti come esistenziali”; e viene espressamente fatto rinvio alle Sezioni unite, a conferma che non vi è stata - né qui né nella sentenza n. 14402/2011 – una reale intenzione di disattenderne i relativi principi . Vero è, piuttosto, che il principio dell‟integralità del risarcimento del danno alla persona non riflette un dato oggettivo di per sé suscettibile di diretto riscontro economico – come avviene normalmente per il danno al patrimonio - , ma si pone come un obiettivo ragionevolmente perseguibile in termini di effettività del pregiudizio; e ciò alla stregua di parametri elastici di valutazione enucleati dalle stesse Sezioni unite e fondati sulla “coscienza sociale in un determinato momento storico”14: il superamento della soglia della normale tollerabilità, in ragione della gravità della lesione; la non futilità del pregiudizio; l‟accertata lesione di un diritto inviolabile della persona riconosciuto dalla Costituzione (pur con tutte le incertezze che questa definizione comporta15). Obiettivo strettamente correlato è quello di non andare oltre, dando luogo a quelle duplicazioni risarcitorie che le Sezioni unite individuano come fattore di inquinamento dell‟effettività del risarcimento, che sarebbe favorito dalla ricorrente configurazione pluralistica dei danni non patrimoniali . Labile è, peraltro, il crinale che separa, in termini di effettività del risarcimento, la costruzione, che sa di artificio16, di una categoria unitaria di danno non patrimoniale, 14 Così inteso (e ridimensionato), il principio della integralità del risarcimento finisce, in ultima analisi, per tradursi in una estensione all‟intera categoria dei danni non patrimoniali del presupposto della suscettibilità di valutazione economica del danno che mi era sembrato possibile riscontrare trent‟anni fa con riferimento al danno biologico, muovendo dalla constatazione che “la propensione a misurare in denaro le conseguenze dannose di un fatto illecito lesivo del diritto alla salute del danneggiato corrisponde – al di là delle affermazioni di principio apparentemente discordanti – ad una regola di esperienza concretamente acquisita e consolidata, oggi, in tutta la giurisprudenza”: cfr. F.D. Busnelli, Diritto alla salute e tutela risarcitoria, in F.D. Busnelli e U. Breccia (curr.), Tutela della salute e diritto privato, Giuffré, Milano, 1978, p. 541. Ma v. già R. Scognamiglio, Il danno morale, in Riv. dir. civ., 1957, p. 294, il quale non esitava ad affermare che la giurisprudenza è la “fonte” più attendibile, in una materia, come quella della valutazione economica del danno, in cui “decisivo rimane il punto di vista della mentalità corrente, della valutazione sociale”, fermo restando che “alla radice di ogni valutazione in termini pecuniari sussiste sempre, per così dire, l‟arbitrio della convenzione e che si tratta, per questo riguardo, di valutazioni sempre relative”. 15 Sul punto, sia consentito rinviare a F.D. Busnelli, L’“estate di San Martino” del danno non patrimoniale, un anno dopo, in A. D‟Angelo, G. Comandé, D. Amram (a cura di), La liquidazione del danno alla persona. Riflessioni e prospettive ad un anno dalle SS.UU. nn. 26972-75 del 2008, Il Sole 24 Ore, Milano, 2010, p. 9 s. 16 “Postulare una qualunque funzione del danno non patrimoniale vuole innanzitutto dire che questa categoria ha un contenuto ben determinato e non già dei contorni incerti e discussi, come invece di fatto è”: G. Cricenti, Persona e risarcimento, CEDAM, Padova, 2005, p. 188. 4 “non suscettiva di suddivisione in sottocategorie” ( come quella introdotta dalle “sentenze gemelle del 2003 e perfezionata dalla sentenze di san Martino del 2008) dalla insopprimibile diversità naturale che vale a caratterizzare i diversi “tipi di pregiudizio” (locuzione, questa, usata dalle stesse Sezioni unite per tradurre “la formula „danno morale‟ e descrivere la sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata”) in ragione della diversa funzione – compensativa, solidaristicosatisfattiva, sanzionatoria - che ne caratterizza il risarcimento17. “Il problema reale e basilare – questa è l‟impostazione preferibile – è di identificare i criteri di liquidazione che riflettono non solo il contenuto descrittivo del danno ma anche le funzioni del risarcimento e soprattutto rendere trasparente la corrispondenza tra tali criteri e le somme che vengono liquidate”18. Orbene, il richiamo all‟unitarietà della categoria è perfettamente funzionale all‟obiettivo perseguito quando serve a non duplicare il risarcimento del danno alla persona caratterizzato da una lesione della salute a cui si affianchi un danno morale inscindibile dalla base patologica19: si rientra, qui, “nell‟area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”; sì che il giudice, anziché risarcire congiuntamente il danno biologico e il danno morale (eventualmente liquidato in percentuale), dovrà “procedere ad una adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico , valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”, avvalendosi “delle note tabelle”. Ma a ben vedere l‟unitarietà della categoria, qui, lungi dal rappresentare un quid novi, è modellata sulla “figura” (così la definiscono le Sezioni unite, attribuendole fini meramente “descrittivi”) del danno biologico, tornato a inglobare al suo interno sia l‟aspetto statico sia quello dinamico secondo la pionieristica definizione del danno alla salute (intesa come “ben(-)essere”) adottata dal Tribunale di Pisa nella “storica” 17 Né la riconosciuta diversità di funzioni può trovare un utile punto di aggregazione nel dato comune per cui “una quantificazione e monetizzazione della sofferenza, della perdita di affetti, della perdita di salute, ha il significato, innanzitutto, di individuare e fissare una forma simbolica di composizione del conflitto” (G. Cricenti, Persona e risarcimento, cit., p. 190). Il riferimento a un criterio di “regolazione simbolica del conflitto”, utile per descrivere “il problema aquiliano come problema di rapporti sociali, prima che economici”, non serve, anche perché non estraneo ai danni patrimoniali, ad aggregare, o comunque a qualificare positivamente l‟insieme dei danni comunemente ricondotti a una categoria – quella dei danni non patrimoniali – “appartenente alla tradizione, alla quale non è attribuibile un preciso valore euristico” (G. Cricenti, Persona e risarcimento, cit., p.187). 18 Cfr. E. Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2009, p. 71. 19 “Termina in tal modo la forza centrifuga del danno esistenziale, che aveva tentato di disaggregare dal danno biologico la sua componente relazionale”: così, con lucida sintesi, D. Poletti, La dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2009, p. 88. 5 sentenza del 16 gennaio 1985 che muoveva, appunto, da rudimentali tabelle e “correttivi equitativi”, predeterminati nella misura (massima) del 50 %20. Il richiamo all‟unità categoriale non funziona più – per esplicita ammissione delle Sezioni unite - quando venga in considerazione la “sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale” ma come “il turbamento dell‟animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza”. Qui viene in considerazione un “tipo di pregiudizio” distinto; diversa è la funzione del relativo risarcimento, che assume un connotato spiccatamente solidaristico-satisfattivo; e il criterio liquidativo, in mancanza di strumenti tabellari (come quelli, per la verità piuttosto rudimentali, stabiliti dalle tabelle milanesi sui c.d. “danni da lutto”) è puramente equitativo. 4. L‟obiettivo della integralità del risarcimento è affidato, dunque, al principio dell‟equità: il quale, in conformità alla norma generale dell‟art. 1226 cod. civ., può tradursi a seconda dei “tipi di pregiudizio” in un criterio equitativo “puro” o in specifiche tabelle di valutazione, riconosciute come utilizzabili a seguito di una svolta giurisprudenziale avviata dalla Corte di cassazione nei primi anni 90 (è del 1993 una sentenza – la n. 357 del 13 gennaio – che fa specifico riferimento a “pertinenti criteri metodologici suggeriti dalla dottrina specialistica o di diffusa applicazione giurisprudenziale”) e culminata in una definitiva “consacrazione” con una sentenza del 1999 (la n. 4852 del 18 maggio) che ha avuto modo di precisare come la “utilizzabilità della „tabella‟ da parte del giudice trova fondamento pur sempre nel suo potere-dovere di procedere alla liquidazione con criterio equitativo ai sensi degli artt. 2056 e 1226 cod. civ., a cui è insita, anche lì dove si pongano come punti di partenza criteri predeterminati e standardizzati, la valutazione del caso concreto”. Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe fatto di dire. Una recente “rilettura dei Digesti in materia di responsabilità extracontrattuale” ci informa che “fra i delitti privati vi era l‟offesa ingiusta alla persona (iniuria), che prevedeva una serie assai articolata di atti lesivi della persona libera sia nel suo onore, sia nella sua libertà, sia nella sua integrità fisica”, sanzionati a seconda dei casi “dall‟obbligazione di pagare una pena privata fissa o per quanto sembrerà buono e equo”, così da “cogliere le esigenze più diverse di tutela della persona nel suo essere 20 La motivazione della sentenza è riportata nella rassegna curata da E. Navarretta e E. Bargelli, Le sentenze “storiche” sul danno alla salute, in M. Bargagna e F.D. Busnelli (a cura di), La valutazione del danno alla salute: Profili giuridici, medico-legali ed assicurativi, quarta edizione, CEDAM, Padova, 2001, p. 547 ss., e ivi, p.551 ss. 6 e nel suo agire”21. Fa riflettere, semmai, perché non priva di suggestioni di viva attualità (v., infra, n. 9), l‟attenzione a un profilo afflittivo per l‟autore dell‟illecito - oggi pressoché abbandonata – che nei Digesti si inseriva “nel quadro di una permanente e attenuata idea di „pena‟, [ove] si combina un momento di „risarcimento del danno‟ con un momento „riparatorio dell‟offesa‟ ”22 dando vita a un sistema votato alla “complessità” in cui “è già potenzialmente presente una prospettiva che cancelli del tutto il carattere penale”23 . Nuove sono, tuttavia, due diverse finalizzazioni delle tabelle che vanno oltre l‟obiettivo di una liquidazione del danno alla persona secondo il tradizionale modo di intendere il criterio codicistico di “valutazione equitativa”. La prima finalizzazione innovativa è stata propugnata dalla terza Sezione della Corte di cassazione con la sentenza n. 12408: è un‟innovazione che è stata definita “generalista”24 (nel senso che sembrerebbe in partenza indirizzarsi indistintamente alla liquidazione di qualsiasi danno alla persona, anche se finisce poi per riferirsi precipuamente alla liquidazione dei danni biologici); si cimenta in un approfondimento della nozione di equità per sottolinearne la consustanzialità “non solo all‟idea di adeguatezza, ma anche a quella di proporzione”, così da privilegiarne il profilo della “parità di trattamento”; e per tale via propone (rectius, impone) “una sorta di equità collettiva”, in funzione della quale “non è più il singolo giudice, ma il sistema giudiziario che si attrezza come una sorta di legislatore decentrato”25. La seconda finalizzazione innovativa - precedente nell‟ideazione, ma non ancora interamente perfezionata nell‟attuazione – è stata introdotta da un legislatore (speciale) che ha avocato a sé la predeterminazione dei criteri di valutazione del danno alla persona: è un‟innovazione dichiaratamente “settoriale” (nel senso che si indirizza istituzionalmente alla liquidazione dei soli danni biologici stradale); non da circolazione si pone l‟obiettivo della integralità del risarcimento, ma persegue dichiaratamente il fine di un “adeguato ristoro”; al parametro del “buono e equo” sostituisce quello del “risarcimento giusto e certo”, così da permettere alle imprese di assicurazione di “gestire il mercato r.c. auto in una situazione di maggiore sostenibilità” consentendo loro di “meglio controllare e/o calmierare il livello dei premi assicurativi 21 S. Schipani, Leggere i Digesti di Giustiniano, fondare il diritto: esempi di contributi al diritto odierno che possono derivare da una rilettura dei Digesti in materia di responsabilità extracontrattuale, in Scritti di diritto romano pubblicati in cinese, Pechino, 2010, p.646 ss. 22 S. Schipani, loc. ult. cit. 23 S. Schipani, Contributi romanistici al sistema della responsabilità extracontrattuale, Giappichelli, Torino, 2009, p. 155 s. “Mi permetto di porre la questione - prosegue l‟illustre romanista - se, in caso di offese e lesioni alla persona, la prospettiva che il nostro sistema offre di una obbligazione a favore della vittima per una somma di denaro a titolo di pena privata non costituisca la base per un‟impostazione più corretta che quella imperniata sulla prospettiva del semplice risarcimento del danno”. 24 G. Ponzanelli, Le tabelle milanesi, cit., p. 957. 25 G. Ponzanelli, Risarcimento giusto e certo tra giudici e legislatore, in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 556. 7 che, invero, sarebbero destinati, potenzialmente, a divenire fortemente incerti nella vigenza di un regime equitativo puro”26. Val la pena di soffermarsi partitamente sulle questioni sollevate dall‟adozione dell‟una e dell‟altra innovazione per poi analizzare i problemi posti dalla loro applicazione concorrente. 5. La sentenza n. 12408, apprezzabile – e apprezzata – per la coraggiosa determinazione con cui ha affrontato una situazione di indubbia emergenza concernente il settore r.c.auto. e per l‟esemplare chiarezza e stringatezza del principio dettato per farvi fronte (“in difetto di previsioni normative”) solleva già a prima vista tre questioni di fondo. Vi è anzitutto un‟ambiguità, probabilmente consapevole. La sentenza dice “liquidazione equitativa dei danni alla persona” (ove “l‟interesse leso [è] ad esempio la salute o l’integrità morale”), ma intende biologico”, e forse più precisamente essenzialmente “liquidazione del danno “danno biologico per lesione di non lieve entità derivante dalla circolazione stradale” e “danno da lutto”: non a caso, nel riconoscere alle tabelle milanesi “una sorta di vocazione nazionale” , la sentenza ha modo di evidenziare - come è stato prontamente rilevato27- “il fil rouge che lega inscindibilmente le sorti del regime della responsabilità a quelle dell‟assicurazione (obbligatoria) che la garantisce”. Affiora allora il dubbio circa la idoneità di dette tabelle ad assumere una fisionomia autenticamente “generalista”, idonea ad andare oltre il settore della circolazione stradale, oltre i confini del danno biologico e del “danno da lutto”, fino a risolvere unitariamente il problema della valutazione equitativa del danno non patrimoniale, inteso come categoria unitaria: una conclusione, questa, che sfiora l‟utopia, e che pertanto non sembra ragionevolmente ascrivibile all‟intento sotteso al dictum della sentenza. Strettamente connessa è una seconda questione, sintetizzata da un interrogativo già posto in dottrina: “Tabelle nazionali per sentenza?”28. Viene a galla, qui, l‟ambiguità consapevole appena rilevata. La sentenza in esame, chiamata in via di emergenza a un compito di supplenza prendendo le mosse dalla decisione di un caso di danno biologico da circolazione stradale, era consapevole di non potersi sostituire al legislatore nel dettare tabelle per la r.c. auto con vocazione nazionale. Per non invadere la competenza legislativa, ha adottato una soluzione “generalista”, andando incontro a problemi di altro genere. Accanto a quello, appena rilevato, della difficoltà di tracciare i confini di una tale soluzione a fronte della complessità di funzioni che il 26 G. Ponzanelli, Le tabelle milanesi, cit., p. 956. M. Hazan, L’equa riparazione del danno (tra r.c. auto e diritto comune), in Danno e resp., 2011, p.953. 28 M. Franzoni, Tabelle nazionali per sentenza, o no?, in Corr. giur., 2011, p. 1085. 27 8 risarcimento del danno non patrimoniale può assumere se inteso come categoria unitaria che va oltre il danno biologico, sussiste la questione – tuttora drammaticamente aperta nella giurisprudenza di legittimità – della possibilità di “espropriare” il giudice di merito di un potere di valutazione equitativa mediante strumenti (anche) tabellari che “tengano conto della realtà socio-economica in cui vive il danneggiato”29. La soluzione dettata dalla sentenza n. 12408 – secondo cui “costituirebbe una contradictio in adiecto l‟affermare che l‟equità in linea di principio esige (anche) parità di trattamento e l‟accettare poi che tale parità possa appagarsi di un‟uniformità solo locale” – si scontra contro l‟orientamento seguito da sentenze, anche successive, che sottolineano il potere “ampiamente discrezionale del giudice” che si ponga alla ricerca di “elementi di tendenziale certezza attraverso il sistema delle c.d. tabelle … che provano a realizzare in varie zone del paese un pressoché adeguato punto di riferimento per la soluzione delle controversie”30 . Orbene, la soluzione dettata dalla sentenza n. 12408, ineccepibile per i danni biologici da r.c. auto, va incontro a non trascurabili riserve quando venga estesa indiscriminatamente alla complessa categoria unitaria del danno non patrimoniale, e in particolare a quei “tipi di pregiudizio” che reclamano un risarcimento funzionale a un‟esigenza spiccatamente solidaristico-satisfattiva. La terza questione è di ordine processuale. La condivisibile affermazione dell‟assunzione dei parametri di valutazione delle tabelle milanesi come risultato di una semplice “operazione di natura sostanzialmente ricognitiva” sembra porsi in contrasto con l‟affermazione - altrettanto categorica ma meno persuasiva – della ricorribilità per “violazione di legge” (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) avverso sentenze che non abbiano applicato tali tabelle; né ha pregio il singolare correttivo volto a condizionare detta ricorribilità all‟adempimento dell‟onere di porre specificamente la questione (producendo le tabelle stesse al fine di invocarne l‟applicazione) nel giudizio di merito. Le tabelle milanesi finirebbero, in tal modo, per esorbitare dalla loro natura cognitiva per rivendicare un ruolo (para)legislativo, tale da porle sullo stesso piano delle tabelle di fonte normativa. E‟ senz‟altro preferibile, allora, la correzione di rotta avanzata dalla (immediatamente successiva) sentenza n. 14402, che ha ridimensionato la mancata applicazione delle tabelle milanesi come potenziale “vizio di motivazione” (ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) “quando non si dia conto delle ragioni di preferenza assegnata a una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze 29 Tenerne conto “nella determinazione equitativa della somma volta al risarcimento del danno morale subiettivo … non è errato”: così si pronunziava Cass., 14 febbraio 2000, n. 1637, in Mass. Giust. Civ., 2000, p. 333. 30 Cass., Sez. lavoro, 2 agosto 2011, n. 16866. 9 del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella a cui si perviene mediante l‟adozione dei parametri esibiti dalle tabelle di Milano”31. 6. L‟art. 138 del Codice delle assicurazioni è chiaro nel determinare ambito e limiti della “tabella” di cui delinea “principi e criteri”: si tratta di una tabella “unica” su tutto il territorio della Repubblica; “specifica”, in quanto riferibile ai soli danni biologici – quelli per “lesioni di non lieve entità”, regolati dallo stesso art. 138, e quelli per “lesioni di lieve entità”, regolati dall‟art. 139; settoriale, in quanto inserita nella disciplina del “risarcimento del danno” dettata dal Capo III del Titolo X del Codice, dedicato alla “Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motori e i natanti”. L‟unicità territoriale della tabella è, qui, ineccepibile in ragione della sua specificità: non a caso la sentenza n. 12408, nell‟indicare ai giudici di merito “un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona”, fa leva sul precedente di “un legislatore che ha comunque espresso, quanto meno per le lesioni da sinistri stradali, la chiara opzione per una tabella unica da applicare su tutto il territorio nazionale”. La dimensione settoriale della tabella solleva, invece, tre questioni di fondo. Ci si può chiedere anzitutto – e ci si è chiesto – se il collegamento della liquidazione del danno alla persona con la disciplina dell‟assicurazione obbligatoria automobilistica giustifichi l‟adozione di appositi criteri legislativi e se detti criteri siano suscettibili di applicazione analogica. La risposta alla prima domanda è senz‟altro affermativa: la responsabilità civile, se e in quanto affiancata dall‟assicurazione obbligatoria, assume una fisionomia del tutto peculiare, non sempre sufficientemente approfondita in dottrina ; essa comporta che “il costo del danno viene sopportato in maniera tutt‟affatto diversa , e diventa possibile garantire il ristoro delle vittime della strada senza imporre al responsabile tale costo, che è limitato preventivamente al premio assicurativo” 32. Altrettanto sicura è la risposta negativa alla seconda domanda: se ne fa interprete la sentenza n. 12408, evidenziando la ratio legis della tabella legislativa, “volta a dare una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del contenimento dei premi assicurativi”. Strettamente connessa è la seconda questione, sintetizzata nel seguente interrogativo: quale senso ha una tabella legislativa settoriale quando il principio generale è quello della integralità del risarcimento del danno? Sulla legittimità costituzionale di limitazioni legali al risarcimento del danno è intervenuta ripetutamente la Corte costituzionale: fa ancora testo la c.d. “sentenza La Pergola” del 1985 che, con 31 Argomenta afavore di questa soluzione M. Hazan, L’equa riparazione del danno, cit., p. 952. C. Castronovo, Responsabilità civile e assicurazione, in La nuova responsabilità civile, terza edizione, Giuffré, Milano, 2006, p. 432. 32 10 riferimento alla disciplina del contratto di trasporto aereo di persone scaturente dalla Convenzione di Varsavia, ebbe a condizionare la risposta affermativa all‟osservanza di un principio di “predisposizione di adeguate garanzie di certezza o adeguatezza per il ristoro del danno”33; è poi seguita nel 1996 una sentenza che, in materia di occupazione appropriativa, ha avuto modo di precisare che “la ragionevolezza di un intervento normativo sulla misura della riparazione dovuta dalla pubblica amministrazione viene a dipendere dall‟equilibrato componimento, che la norma di conformazione del risarcimento del danno deve assicurare, degli opposti interessi in gioco”34; e, da ultimo, la citata ordinanza n. 157/2011, che si riferisce proprio alla r.c. auto, afferma categoricamente in un considerando della sua motivazione che “non esiste un diritto costituzionale all‟integrale risarcimento del danno, come sarebbe dimostrato dalla sentenza n. 132 del 1985”. Così, almeno a prima vista, il cerchio si chiude: la tabella legislativa settoriale si giustifica nella misura in cui è giustificato per quel settore un limite al risarcimento. Ma le perplessità si spostano, per così dire, a valle: data per assodata la giustificazione della tabella settoriale, resta da verificare se il ristoro del danno è ragionevolmente adeguato. La verifica, finora condotta con esiti discordanti (donde i ricorsi inconcludenti alla Corte costituzionale) in relazione ai “danni di lieve entità” (c.d. micropermanenti), già regolati dalla “tabella”, deve essere ora proiettata sul versante del risarcimento dei “danni di non lieve entità”, con particolare riferimento alle c.d. macropermanenti; ed è una verifica, per così dire, in prospettiva, perché poggia su una prima, e provvisoria, valutazione del ricordato Decreto del 3 agosto u.s.(v., retro, n.2), di cui è incerta - non solo sul quando ma addirittura sull‟an35 - l‟entrata in vigore. La “Relazione introduttiva”, che lo accompagna, prospetta a una prima lettura segnali rassicuranti . “Superando il 10% del danno – tiene a precisare la Relazione – l‟esigenza primaria dell‟Assicurazione RC auto obbligatoria non è tanto quella di tutelare il cittadino dalla ricaduta dei costi, ma piuttosto di tutelare la salute del danneggiato e dargli un adeguato ristoro”; è, al riguardo, apprezzabile la segnalazione del criterio adottato di consentire adeguati ambiti di personalizzazione del danno predisponendo, per ogni singolo danno, “non un valore unico, ma un range ampio”; è, infine, confortante l‟estensione del range oltre il 10% (e fino al 20%) per “forme 33 Corte cost., 6 maggio 1985, n. 132, in Foro it., 1985, I, c. 1585 ss. Corte cost., 2 novembre 1996, n. 369, in Foro it., 1997, I, c. 2400 ss. 35 Induce a dubitare di una ravvicinata operatività del Decreto il ricordato Parere del Consiglio di Stato: il quale, mentre per un verso suggerisce di valutare l‟eventuale esigenza di una” modifica legislativa” (v., retro, nota 10), per altro verso “ritiene che, proprio al fine di eliminare ogni dubbio interpretativo in sede applicativa, sia opportuno specificare nel testo [dello “Schema di regolamento”] che esso si applica ai soli sinistri della circolazione dei veicoli”. Infatti – tiene a precisare il Parere – la formulazione attuale non appare perspicua al riguardo, non facendo espresso richiamo di tale limitazione ratione materiae prevista invece (implicitamente per l‟art. 138 ed esplicitamente per l‟art. 139) dalla norma di legge autorizzativa all‟esercizio del potere regolamentare in esame”. 34 11 psichiatriche vere e proprie” – quale “il disturbo post-traumatico da stress” – già catalogate come micropermanenti: segnale incoraggiante, quest‟ultimo, di una strategia di possibile superamento dello “steccato” che divide artificialmente l‟ambito di incidenza dell‟art. 138 da quello dell‟art. 139 del Codice delle assicurazioni. Questi timidi segnali sembrano peraltro drammaticamente contraddetti dal tendenziale dimezzamento del livello risarcitorio rispetto ai criteri valutativi delle tabella milanesi: non è, forse, estranea a tale esito la decisione di affidare esclusivamente al Ministero dello sviluppo economico “la definizione dei valori pecuniari da assegnare ai vari punti di invalidità”, sulla base – oltremodo opinabile – di una “ritenuta estraneità dell‟Amministrazione della salute su tale specifico aspetto”. 7. Queste, e non altre, sono le nubi che si addensano nel cielo di questi giorni che preannunciano una ricorrenza di San Martino senza la proverbiale estate. L‟applicazione concorrente delle tabelle milanesi, investita di una funzione “generalista” dalla sentenza n. 12408, e della “specifica tabella unica” ex art. 138 Cod. ass. , così come verrà introdotta dal ricordato DPR, rischia di far deflagrare un nuovo scontro di posizioni giurisprudenziali e dottrinali: che non ha, né deve avere, come oggetto un problema di ammissibilità di un doppio regime risarcitorio, “perché la compresenza di una pluralità di statuti risarcitori non pare un‟anomalia del sistema ed è in grado di permettere alle diverse fattispecie produttive di danno alla persona di essere sempre più coerenti rispetto alle funzioni generali della responsabilità civile” 36; né deve prestarsi a un‟ennesima, e stucchevole, tenzone tra esistenzialisti ed antiesistenzialisti37. Contribuire al riorientamento, anziché spingere verso l‟anarchia, impone di privilegiare un‟interpretazione “consonante”, anziché dissonante, delle sentenze che, come si è accennato, sono state frettolosamente catalogate come “eversive” per aver voluto reintrodurre la categoria del c.d. danno esistenziale (il riferimento è alle sentenze n. 10527 e n. 14402) e/o per avere riproposto la distinzione categoriale tra danno biologico e danno morale in presenza di un unico atto lesivo (il riferimento è alla sentenza n. 18641). Va, anzitutto, rilevato che tali sentenze hanno l‟indubbio pregio di spostare l‟attenzione generale dalle micropermanenti alle macropermanenti (o, comunque, a danni di particolare gravità), rispondendo implicitamente a una sollecitazione che molti (quorum 36 G. Ponzanelli, Verso l’attuazione dell’art. 138 Codice delle Assicurazioni, in Assicurazioni, 2011, fasc. n. 4. G.M.D. Arnone, Umanità e tecnica nel risarcimento del danno alla persona (Commento a Cass. Nn. 10107, 10108, 12273/2011), in Danno e resp., 2011, p.968. 37 12 ego) avevano da tempo espresso in dottrina38, e il merito di contribuire decisamente “all‟affermazione della centralità del valore uomo”, vero “gioiello” contenuto – come finisce con l‟ammettere un giudice relatore nella sua veste di relatore a un recente convegno 39 – nelle sentenze di San Martino, sia pure “tra le molte confusioni e sovrapposizioni concettuali”. Così inquadrato, l‟autentico messaggio desumibile dalle sentenze in esame - sfrondato da non determinanti sovrastrutture concettuali (come lo specifico riferimento ai “profili peculiarmente connotanti il c.d. danno esistenziale”: sentenza n. 14402) o da non pertinenti richiami normativi (come l‟attribuzione di una valenza modificativa dello status quo al già menzionato DPR n. 37/2009 nonché al DPR n. 181 del 30 ottobre dello stesso anno, che all‟art. 5 prevede il ristoro “del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”: sentenza n. 18641)40 – consiste nell‟affermare che “il principio di integralità del risarcimento del danno impone che nessuno degli aspetti di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale , la cui sussistenza risulti nel caso concreto accertata, rimanga priva di ristoro” (sentenza n. 10527) e che la relativa “quantificazione ha da essere tanto più elevata quanto più gravi risultino le lesioni sofferte dal danneggiato”, e ciò in modo “tanto più considerevole quanto più [la lesione] comporti un conseguente , totale, irredimibile sconvolgimento della qualità e della quotidianità della vita (sentenza n. 18641), fermo restando peraltro che “il pregiudizio esistenziale o da rottura del rapporto parentale non consiste invero nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita, ma in fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita” (sentenza n. 10527). Sulla base di queste premesse interpretative, riterrei di poter concludere nel senso che il vero scontro di posizioni finisce con l‟incentrarsi intorno al cruciale interrogativo del “se, nella valutazione delle macrolesioni e in particolare dello sconvolgimento della vita, il giudice possa o meno superare i limiti massimi delle tabelle”41. Qui, a mio avviso, si manifesta appieno la differente matrice dei due sistemi tabellari chiamati a un‟applicazione concorrente. 38 F.D. Busnelli, Una ricerca sulle macropermanenti: perché?, in G. Comandé e R. Domenici (a cura di), La valutazione delle macropermanenti. Profili pratici e di comparazione, Edizioni ETS, Pisa, p. 3 ss. 39 G. Travaglino, Il danno non patrimoniale, relazione presentata al Colloquio conclusivo, su “Profili della responsabilità extracontrattuale”, del “Secondo corso di Alta formazione per Professori di diritto romano e civile della RPC”, svoltosi all‟Università “La Sapienza” di Roma l‟8 ottobre 2011, i cui Atti sono in corso di pubblicazione. Questo apprezzamento (letto a p. 3 del dattiloscritto) non compariva nel saggio, pressoché identico, su Il futuro del danno alla persona previamente pubblicato su Danno e resp., 2011, p. 113 ss. 40 Artificioso, e comunque non dirimente, appare il tentativo, svolto in dottrina (L. Viola, Il danno morale è diverso dal danno biologico: ora lo dice la legge (nota al DPR n.37 del 3 marzo 2009, consultabile in www.altalex.it, 25 maggio 2009), di trarre conferma normativa della distinzione ontologica tra danno morale e danno biologico, in quanto “quest‟ultimo riguarderebbe la salute (nel senso di malattia del corpo e/o della mente) ex art. 32 Cost., mentre il primo la dignità umana, ex artt. 2-3 Cost.”. 41 Questo è l‟interrogativo posto da G. Ponzanelli, Lo sconvolgimento della vita nelle macrolesioni, cit., c. 2723. 13 La matrice giurisprudenziale, pur se accompagnata dalla funzione nomofilattica, delle tabelle milanesi sembra consentire, in ragione della natura dichiaratamente ricognitiva attribuita alle stesse dalla sentenza n. 12408 e compatibilmente con “il potere della corte [di Cassazione] di dettare valori medi di riferimento per la stima del danno alla persona a seguito dell‟operata interpretazione dell‟art.1226 cod. civ.”, un legittimo spazio al giudice del caso concreto per un superamento del limite massimo previsto dalle tabelle per la personalizzazione del danno quando emerga la prova di aspetti relazionali insuscettibili di essere ricondotti entro detti limiti e in grado di vulnerare significativamente l‟obiettivo della integralità del risarcimento42. Osta, invece, alla stessa soluzione la matrice legislativa della “specifica tabella unica” prevista dall‟art. 138 Cod. ass., stante l‟impossibilità – riconosciuta dalla stessa sentenza n. 18641, sia pure con riferimento a un asserito mutamento di indirizzo legislativo ad opera del ricordato DPR 181/2009 – di prescindere da “una disciplina (e un‟armonia) di sistema che, nella gerarchia delle fonti del diritto, privilegia ancora la disposizione normativa rispetto alla produzione giurisprudenziale”; e, a giustificare la differenza, vale comunque il diverso obiettivo – non di integralità del risarcimento, ma di adeguato ristoro – a cui risponde detta tabella. Resta, beninteso, aperta una possibile questione di legittimità costituzionale, che potrebbe trovare nuovi motivi di non manifesta infondatezza in una eventuale disparità di trattamento, per così dire, grossly excessive tra due identiche lesioni dell‟integrità fisica, derivanti l‟una da un incidente stradale, l‟altra – per esempio – da un errato intervento chirurgico43. 8. Mi siano consentite, per concludere, una (piccola) reminiscenza e una (grande) provocazione. La mitologia ci tramanda la storia di Crono che, aduso a inghiottire i propri figli man mano che Rea li partoriva - per scongiurare il presagio che egli sarebbe stato privato del regno da un figlio -, intendeva riservare la stessa sorte a Zeus; ma Zeus sopravvisse grazie a uno stratagemma ideato dalla madre, e cresciuto vinse il padre. Il danno biologico, novello Crono, “assurto a dignità di primo motore immobile del sistema” grazie alle sentenze di San Martino che “riconducono a fallace unità la categoria del danno non patrimoniale”44, è accusato di voler fare un unico boccone del 42 L‟Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Milano ammette esplicitamente un tale superamento soltanto “in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto ala casistica comune degli illeciti”. Secondo P. Ziviz, Danno non patrimoniale da lesione alla salute: la Cassazione impone una valutazione (in duplice senso) unitaria, in Resp. civ. prev., 2011, p. 2038, il superamento dovrebbe essere “sempre praticabile ove il giudice individui una motivata giustificazione sulla quale fondare lo scostamento”. 43 Il problema è posto da G. Comandé , Danno biologico: arriva la tabella unica nazionale ma solo per i ristori derivanti da incidenti stradali, in Guida al diritto, 10 settembre 2011, p. 16), il quale si chiede “se sia accettabile tale sproporzionata differenza di trattamento”. 44 G. Travaglino, Il futuro del danno alla persona, cit., p. 113. 14 danno morale e del danno esistenziale paventando, altrimenti, di perdere la propria supremazia. Fuor di metafora, è in atto una singolare campagna contro la c.d. somatizzazione del danno alla persona45 che induce a spodestare il danno biologico dal ruolo asseritamente attribuitogli: “il danno morale e il danno esistenziale, queste e soltanto queste – si sostiene - sono le categorie che possono e devono venir considerate, sul piano naturalistico, sul piano dell‟essere , le due vere categorie del danno alla persona”46. Non è il caso, in questa sede, di ricordare il lungo cammino del danno biologico dal diritto vivente al diritto vigente, che – come raramente avviene – ha suscitato grande interesse, e qualche preoccupazione (non certo di riduzionismo risarcitorio), al di là delle Alpi. Intendo soltanto rilevare che Crono-danno biologico non sembra mosso dalla tentazione di inghiottire Zeus-danno morale; il pericolo che si profila, e che andrebbe evitato, è semmai quello opposto. Quanto al danno esistenziale, mi rimetto alle sentenze di San Martino. 9. La provocazione è presto detta: se la vecchia pretesa di sottrarre il danno biologico alla disciplina dell‟art. 2059 è apparsa, a distanza di tempo, “un astruso arzigogolo creato dalla giurisprudenza per sostenere l‟insostenibile, e cioè che il danno biologico non avesse natura „non patrimoniale‟ ”47, non meno arzigogolata appare a mio avviso la ricostruzione di un art. 2059 spogliato della sua ratio chiaramente sanzionatoria48 sull‟altare di una irrispettosa “rilettura costituzionalmente orientata”49. Ecco, allora, la provocazione50: se una rilettura costituzionalmente orientata della disciplina della responsabilità civile deve essere compiuta, com‟è pacifico, perché non “rileggere” direttamente l‟art. 2043, riconducendo in tale norma la disciplina generale 45 Cfr. G. Buffone, Liquidazione del danno biologico e del danno morale da sinistro stradale: progressiva erosione della tesi della somatizzazione (SS.UU. 26972/2008), in Arch. giur. circ. sin., 2009, p. 10. 46 G. Travaglino, Il futuro del danno alla persona, cit., p. 117. 47 Così M. Rossetti, Post nubila Phoebus, ovvero gli effetti concreti della sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni unite in tema di danno non patrimoniale, in AA. VV., Il danno non patrimoniale, cit., p.428. 48 Si tende troppo spesso a dimenticare che lo studioso moderno che più ha approfondito il tema del risarcimento (rectius, a suo parere, della “riparazione”) del danno non patrimoniale ha fornito argomenti tuttora persuasivi a favore della configurazione dell‟art. 2059 come norma contenente una “pena privata”: “la soluzione privatamente afflittiva qui (ri)proposta – questa è la conclusione a cui giunge G. Bonilini, Il danno non patrimoniale, Giuffré, Milano, 1983, p. 300 – sembra imporsi quale frutto di un esame che è passato attraverso una serie di punti obbligati che ne hanno mostrato, ci pare, la congruenza non solo logica, ma altresì storica e strettamente giuridica”. 49 Pesa come un macigno l‟autorevole rilievo di uno dei fondatori in Italia della moderna responsabilità civile, secondo cui “l‟indirizzo del Supremo Collegio – che propone la rilettura costituzionale dell‟art. 2059 – si espone a gravi e probabilmente insuperabili obiezioni”: cfr. R. Scognamiglio, Danni alla persona e danno morale, in Responsabilità civile e danno, Torino, 2010, p. 368. 50 E‟ una provocazione, in certo qual modo, incoraggiata dalla autorevole “domanda provocatoria” nella stessa direzione – “invertire il metodo e proporre la semplificazione della costruzione giuridica” - con la quale R. Scognamiglio conclude l‟ampio saggio su Il danno ai beni-interessi della persona e il danno morale mezzo secolo dopo, posto a sua volta a conclusione del volume Responsabilità civile e danno, cit., p. 490. 15 di tutti i danni suscettibili di valutazione economica51, derivanti tanto dalla lesione di diritti patrimoniali quanto dalla lesione di diritti non patrimoniali - rectius, personali52 lasciando che l‟art. 2059 torni a fornire la disciplina speciale, e tipizzante, dei soli danni istituzionalmente non patrimoniali, ossia a priori sottratti a una diretta valutazione economica in quanto (e perché) rigorosamente caratterizzati dalla funzione sanzionatoria?53. Non è il caso di vagliare qui, ex professo, l‟attendibilità di questa provocazione. Vorrei soltanto evidenziare il processo di semplificazione-razionalizzazione che potrebbe scaturirne. Una rilettura costituzionalmente orientata dell‟art. 204354, che valesse a superare il limite - ormai difficilmente conciliabile con il carattere generale della norma di apertura della disciplina dei fatti illeciti - della risarcibilità dei soli danni (lesivi di diritti) patrimoniali prendendo atto della ormai sedimentata “coscienza sociale” in ordine alla suscettibilità di valutazione economica dei danni conseguenti alla lesione dei diritti inviolabili della persona (v., retro, n. 3 e ivi nota 10), potrebbe consentire di superare l‟artificiosa doppia soglia di ingiustizia del danno, che le Sezioni unite sono state indotte a introdurre per giustificare la risarcibilità dei danni non patrimoniali da reato anche quando faccia difetto una lesione così qualificata. A questo specifico fine, che chiama in causa la funzione sanzionatoria del risarcimento55, potrebbe tornare a sopperire l‟art. 2059, perfettamente in grado di svolgere, a seconda delle ipotesi, un ruolo ancillare o trainante. 51 Sulle ragioni della “dilatazione dell‟area della suscettibilità di valutazione economica” e del conseguente “radicale capovolgimento che ha condotto alla pressoché integrale equiparazione del danno personale al danno patrimoniale” v. M- Barcellona, Il danno non patrimoniale, Giuffré, Milano, pp. 16 ss., 130. 52 Quanto mai attuale è la risalente intuizione di R. Scognamiglio (Il danno morale, cit., p. 279 ss.), volta a individuare una positiva nozione di “danni personali” (conseguenti a “lesioni dell‟integrità fisica, di quella morale, dell‟onore, della libertà sessuale, ecc.”) stralciandola dalla tradizionale “definizione negativa” del danno non patrimoniale, avente “lo scopo di raggruppare, per ragioni di completezza, in una sola categoria fenomeni alquanto diversi secondo un criterio che è possibile tacciare di arbitrario”. 53 Un prezioso spunto in tal senso viene offerto, ancora una volta, da R. Scognamiglio: il quale, tornando sull‟argomento, lancia un monito: “il dibattito, che è divenuto così complicato, può essere semplificato, e si dovrebbe trattare di un compito essenziale della dottrina, mediante l‟equilibrato assetto delle norme che regolano la materia dei danni da risarcire: gli artt. 2043 e 2059”, fermo restando che “il legislatore, nel dettare l‟art. 2043, come pure gli artt. 2044 a 2057, abbia voluto fare riferimento al „danno‟ nella lata accezione del termine … così da far rientrare nel suo ambito sia il danno patrimoniale che il danno personale” (R. Scognamiglio, Il danno non patrimoniale innanzi alle Sezioni unite, in Responsabilità civile e danno, cit., p. 397. 54 Si cimenta in questa rilettura G. Cricenti, Persona e risarcimento, cit., p. 116, il quale osserva che “nessuna regola costituzionale impone di risarcire ad ogni costo e per ogni causa il patema d‟animo subito; mentre per ogni altra conseguenza non patrimoniale della lesione della persona è sufficiente il criterio contenuto nell‟art. 2043, che consente peraltro la risarcibilità dei „danni non patrimoniali‟ che siano conseguenza di interessi costituzionalmente protetti, ove si abbandoni l‟idea infondata di riferire quella norma al solo danno di tipo patrimoniale”. 55 Per una distinzione tra “funzione deterrente-sanzionatoria” e “funzione simbolica” della condanna risarcitoria v. C. Scognamiglio, Danno morale e funzione deterrente della responsabilità civile, cit. alla nota 53. Al di là della condivisibilità o meno della distinzione - che prende le mosse dalla opinabile premessa secondo cui una funzione sanzionatoria “presa sul serio” postulerebbe in ogni caso “la certezza della pena”: il riferimento è alla tesi sostenuta da G. Cricenti (v., retro, nota 17), sulla quale non è dato, qui, soffermarsi - è senz‟altro vero che (a mio avviso, ovunque il risarcimento svolga il proprio ruolo lato sensu sanzionatorio) “il denaro non può assumere … il ruolo, che gli è 16 Ancillare è stato felicemente definito56 il ruolo che giustifica un‟incidenza (solo) sul quantum della liquidazione del danno derivante da un reato lesivo di un diritto inviolabile della persona al fine di tener conto, nel quantificare la pecunia, (anche) delle ripercussioni sul dolor del grado di riprovevolezza della condotta del reo. Trainante potrebbe definirsi il ruolo che giustifica l‟incidenza sullo stesso an della risarcibilità di un danno individuabile come diretto riscontro sanzionatorio del carattere riprovevole della condotta dell‟offensore: la risarcibilità è giustificata, qui, pur mancando la lesione di un diritto inviolabile della persona, dalla sussistenza di un reato (art. 185 cod. pen.), o – val la pena di aggiungere – dalla presenza di norme che prevedono il risarcimento di un danno morale soggettivo in ipotesi – come quelle descritte dai nn. 2 e 3 dell‟art. 709 ter c.p.c. - in cui manchi la lesione di un diritto inviolabile e il danno si ricolleghi a semplici, ma frustranti, vessazioni e/o abusi. E‟ comunque al legislatore, e non al giudice, che compete il potere di prevedere l‟innesto di questa funzione sanzionatoria, e la giustificazione di una limitata sfera di risarcibilità di danni aventi un connotato lato sensu punitivo. In questi limiti, può dirsi che, in un sistema dominato dalla compensation, sopravvive (se ci si riferisce all‟art. 2059 nel suo raccordo privilegiato con l‟art. 185 cod. pen.) o nasce (se ci si riferisce all‟art. 709 ter cod. proc. civ. o alle recenti norme che prevedono misure risarcitorie in sede di tutela giurisdizionale contro la discriminazione) una prospettiva di deterrence57. Dilatarne la portata, fino a suggerire frettolose equazioni con i punitive damages del sistema nordamericano, è atteggiamento culturalmente sconsiderato oltre che operativamente improvvido. Valorizzarne gli effetti appare senz‟altro opportuno, anche perché “una responsabilità civile che non accarezzi la deterrenza non è una vera responsabilità civile”58. Il solerte ideatore del Convegno senese del 2007 su “La funzione deterrente della responsabilità civile” si è detto convinto che “una delle novità più evidenti nel nuovo diritto della responsabilità civile consiste nella valorizzazione di tale istituto come strumento di prevenzione dell‟illecito”59. normalmente proprio, di unità di misura dei valori del mercato, bensì, ed appunto, quello di ripristino dell‟assetto di valori recepito dall‟ordinamento” (C. Scognamiglio, Danno morale, cit., p. 2500). 56 Da E. Navarretta, Funzioni del risarcimento e quantificazione dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2008, p. 505. 57 Per uno sviluppo di questa impostazione, mi permetto di rinviare a F.D. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, danni punitivi, in Europa e dir. priv., 2009, p.934 ss. 58 G. Ponzanelli, L’attualità del pensiero di Guido Calabresi. Un ritorno alla deterrenza, in Nuova giur. civ. comm., 2006, II, p. 293 ss. 59 Così P. Sirena nella Nota introduttiva ai lavori del Convegno (Siena, 19-21 settembre 2007), i cui Atti sono in corso di pubblicazione. Ma v., già, Il risarcimento dei c.d. danni punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa, in Riv. dir. civ.,Atti per il Convegno per il cinquantenario della Rivista. Il diritto delle obbligazioni e dei contratti:verso una riforma? Le prospettive di una novellazione del Libro IV del Codice Civile nel momento storico attuale, p. 531 s. E v. anche la Relazione allo stesso Convegno di C. Scognamiglio, Danno morale e funzione deterrente della 17 Per la verità, l‟indirizzo giurisprudenziale nettamente prevalente in Europa (e in Italia), che continua a considerare in contrasto con l‟ordine pubblico il risarcimento di danni punitivi, sembrerebbe smentire tale convincimento. Ma le cose potrebbero cambiare. Di “dommages-intérêts punitifs” parla l‟Avant-projet francese “de réforme du droit des obligations”60 in una norma (l‟art. 1371), inserita nella Sezione dedicata al risarcimento dei danni, che tiene a distinguerli nettamente dai “dommages-intérêts compensatoires” in virtù di profili peculiari, tra i quali, segnatamente, la non assicurabilità. Del resto, il Regolamento europeo n. 864/2007 “sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II), nel riferirsi (considerando n. 32) ai “danni non risarcitori aventi carattere esemplare o punitivo”, giustifica decisioni dei giudici degli stati membri invocanti la contrarietà all‟ordine pubblico della legge designata dal regolamento stesso soltanto quando il relativo quantum abbia “natura eccessiva”. 10. Aulo Gellio narra l‟episodio di un cavaliere romano che andava per la strada percuotendo le persone che incontrava; lo seguiva un servo con il denaro e subito veniva pagata una somma a titolo di riparazione, il cui importo era, in relazione alla sua ricchezza, assai poco rilevante61. L‟episodio, mutatis mutandis e con l‟aiuto dell‟assicurazione, potrebbe ripresentarsi, oggi. Non bisogna, dunque, aver paura delle pene private; e a questo può ancora servire il vecchio art. 2059, tornato a rispecchiare la sua funzione originaria. Così (re)interpretata, la norma potrebbe consentire, in particolare, di dare una soluzione eticamente appagante, anche se forse economicamente non del tutto esaustiva, al problema della “indecente” disparità di trattamento che di recente è stata esemplarmente ravvisata tra l‟automobile completamente distrutta in un incidente stradale, che “viene sostituita con una nuova”, e la giovinetta stuprata “che avrà un danno morale risarcito „da un terzo alla metà‟ ”62. responsabilità civile, pubblicata in versione rielaborata in Resp. civ. prev., 2007, p. 2485 ss., ove si condivide l‟idea che “la proposta di recupero di un concetto, quale quello di oggettiva antigiuridicità del comportamento tenuto contro un divieto, che sembrava ormai consegnato alla storia della responsabilità civile, esprime … la consapevolezza delle aporie sistematiche ed applicative che la concezione puramente riparatoria della responsabilità civile traeva con sé” (p. 2488). 60 Rapport à Monsieur Pascal Clément, Garde des Sceaux, Ministre de la Justice, 22 septembre 1805. 61 L‟episodio è citato da S. Schipani, Orfani dell’actio iniuriarum. Rileggere i Digesti: contributi romanistici per una riflessione sulla tutela giuridica della persona (relazione svolta al Congresso internazionale organizzato dalla Università del Popolo e dalla ECUPL su “Legal Protection of Personality Rights : Roman Foundation, Contemporary Ddevelopment and Challenges” , Shanghai, 14-16 ottobre 2010), in corso di pubblicazione su Roma e America. Diritto romano comune, 30/2010. La citazione è tratta da p. 10 del dattiloscritto. 62 G. Travaglino, Il futuro del danno alla persona, cit., p. 117. 18