La-liquidazione-Torino-20-11-2011

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La-liquidazione-Torino-20-11-2011
Francesco D. Busnelli
La liquidazione del danno alla persona nella R.C.A. tra legge, giurisprudenza e
tabelle valutative
1.
L‟avvicinarsi della ricorrenza di San Martino non sembra evocare,
quest‟anno, la stagione dell‟estate, almeno per quanto concerne il tema della
liquidazione del danno alla persona.
Ai “chiaroscuri d‟estate”, che avevo ritenuto di intravedere nelle “sentenze gemelle”
del 31 maggio 2003 n. 8827 e n. 88281 – mosse dall‟obiettivo della (terza Sezione
della) Corte di Cassazione
di rispondere alla “sempre più avvertita esigenza di
garantire l‟integrale riparazione del danno ingiustamente subito … nei valori propri
della persona (art. 2 Cost.)” -, e alla “estate di San Martino, con le sue proverbiali – e
rasserenanti - „schiarite‟ “, che avevo ravvisato, proseguendo nella metafora
meteorologica, nelle quattro pronunzie emanate dalle Sezioni Unite l‟11 novembre
20082 - categoriche nell‟affermare, in risposta al quesito posto dalla terza Sezione
della Suprema Corte, che “in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata,
di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere” - ,
non sembrano aggiungersi, nel convulso susseguirsi di sentenze in questi ultimi mesi,
ulteriori “schiarite” idonee a scacciare quelle “nubi” che mi erano parse foriere di
addensarsi “nel cielo del danno (non patrimoniale) alla persona” proprio a seguito delle
sentenze (ormai comunemente chiamate) di San Martino.
2.
E‟, questo, il tempo del disorientamento.
Disorientante è, in primo luogo, la vistosa e difforme libertà interpretativa dei principi
enucleati dalle Sezioni unite, talvolta sconfinante in un criptico travisamento3 o in un
esplicito superamento4, da parte sia della giurisprudenza di merito sia di quella di
legittimità: quanto alla prima, a fronte di sentenze che tendono a
costringere la
liquidazione del danno entro tabelle restrittive rispetto a quelle generalmente applicate5
si riscontrano pronunzie che si mostrano insofferenti dei limiti
1
legislativi
F.D. Busnelli, Chiaroscuri d’estate: La Corte di cassazione e il danno alla persona, in Danno e resp., 2003, p. 826 ss.
F.D. Busnelli, … e venne l’estate di San Martino, in AA. VV., Il danno non patrimoniale. Guida commentata alle
decisioni delle S.U.,11 novembre 2008, nn. 26972/3/4/5, Giuffré, Milano, 2009, p. 91 ss.
3
Di “linee guida sovente travisate”, con conseguenti “nuovi equivoci e contrapposizioni interpretative”, parla in termini
critici M. Hazan, Danno morale e danno biologico:regole di convivenza e RC auto (Commento a Cass. 17 settembre
2010, n. 19816, ord.), in Danno e resp., 2011, p. 148.
4
Di “controtendenza con le pronunce delle Sezioni Unite” parla in termini adesivi D. Chindemi, Danno morale: alla
morte segue la resurrezione (Commento a Cass., 12 dicembre 2008, n. 29191), in Resp. civ. prev., 2009, p. 815.
5
Paradigmatica può dirsi la sentenza della Corte d‟appello barese (n. 944 del 2005) cassata dalla pronunzia (n.
12408/2011) con la quale la Corte di cassazione ha stabilito il principio della “vocazione nazionale” delle tabelle
adottate dal Tribunale di Milano (v., infra, n. 5).
2
contestandone la legittimità costituzionale6 o andando alla ricerca di nuovi principi
liberalizzanti7; quanto alla seconda, la Suprema Corte – o, più precisamente, la terza
Sezione della stessa -
sembra diventata una palestra di sentenze che veicolano
dottrine agevolmente ricollegabili alla diversa personalità scientifica dei relatori8: per
così dire, tot capita, tot sententiae, là dove per sententia deve intendersi sentenza).
Vero è che il legislatore latita da troppo tempo contribuendo, con i silenzi delle sue
ultime (ma non recenti) norme in materia e con l‟inerzia nell‟attuazione delle stesse, al
complessivo disorientamento. Ambiguo è il silenzio del Codice delle assicurazioni
che, nel dedicare due norme al danno biologico (gli artt. 138 e 139) avocando al
legislatore il compito di dettare tabelle di determinazione del valore del punto, non ha
riprodotto l‟ incipit posto all‟art. 5 della legge 57/2001 che, come del resto il Decreto
legislativo 38/2000 in materia di infortuni sul lavoro, rinviava a una futura disciplina
organica del danno biologico (al di là della circolazione stradale e degli infortuni sul
lavoro). Semplicemente deplorevole è l‟inerzia nell‟attuazione dell‟art. 138 Cod. ass.,
che ha in certo qual modo “costretto” la Corte di Cassazione
a fare opera di
supplenza con la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 (v., infra, nn. 4 e 5); né il
brusco risveglio agostano, con
9
regolamento”
un
Decreto
contenente uno “Schema di
– che, secondo i primi commenti (“Tagliati i risarcimenti delle
assicurazioni, dal 40% alla metà in meno rispetto alla prassi”: così titola il Sole24Ore
del 4 agosto u.s.), ridurrebbe drasticamente i valori di riferimento per la liquidazione
del danno; e che, da ultimo, ha suscitato motivate riserve da parte del Consiglio di
Stato, chiamato a esprimere il proprio parere10 -, sembra contribuire alla soluzione
6
Si pensi alle reiterate ordinanze con le quali il Giudice di pace di Torino ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale dell‟art. 139 del Codice delle assicurazioni: la prima di esse (del 30 novembre 2009, in Foro it., 2010, I,
c. 701 ss., con Nota di A. Palmieri) è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza del 28
aprile 2011, n.157 (in Foro it., 2011, I, c. 1969 ss.), in ragione di “omissioni che impediscono di verificare la rilevanza
della questione proposta”; con la seconda, del 21 ottobre 2011, lo stesso Giudice di pace ha nuovamente sollevato la
questione dandosi carico di ovviare, nella descrizione della nuova fattispecie concreta, alle omissioni lamentate dalla
Corte nel precedente giudizio.
7
Cfr. App. Torino, 5 ottobre 2009 (consultabile in www.dirittoegiustizia.it, 2009, 12) , che ravvisa nel DPR 37/2009, in
quanto contenente “l‟espressa considerazione normativa di una ipotesi specifica in cui il danno morale si sovrappone
al danno biologico”, una “ragionevole riconferma di un principio generale”, quello della differenza tra danno biologico
e sofferenza soggettiva con la conseguente piena cumulabilità delle due voci di danno risarcibile. Il DPR n. 37 del 3
marzo 2009 detta norme sul risarcimento dei danni patiti, per cause di servizio, dal personale impiegato nelle missioni
militari all‟estero.
8
Le “sentenze del 2011” qui specificamente considerate sono: Cass., 13 maggio 2011, n. 10527 (relatore Scarano):
Cass., 7 giugno 2011, n. 12418 (relatore Amatucci); Cass., 30 giugno 2011, n. 14402 (relatore Scarano); Cass., 12
settembre 2011, n. 18641 (relatore Travaglino).
9
Si tratta dello “Schema di regolamento recante tabella delle menomazioni all‟integrità psicofisica comprese tra 10 e
100 punti di invalidità”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 agosto 2011.
10
Cons. di Stato, Sez. consultiva, Adunanza dell‟8 novembre 2011. In particolare, il Consiglio di Stato chiede che si
“valuti se sia utile promuovere una modifica legislativa che consenta di ampliare lo spettro applicativo delle tabelle
parametriche” al fine di ovviare a “una possibile conseguenza distorsiva derivante dall‟applicazione ai soli sinistri
stradali degli indici parametrici”, posto che “analoghe conseguenze sul piano lesivo verrebbero ad ottenere differenti
trattamenti risarcitori, a seconda del solo fatto che la lesione sia avvenuta nell‟ambito della circolazione stradale o
meno”.
2
delle questioni aperte, ma potrebbe piuttosto rendere inevitabile un intervento della
Corte costituzionale: la quale finora, pur essendo stata ripetutamente interpellata in
materia di legittimità costituzionale dei criteri di risarcimento predeterminati dal
legislatore , non è mai andata al di là di una decisione di inammissibilità della
questione (v. retro, nota 4), assumendo – come è stato puntualmente osservato11 –
una “posizione astensionista” che certo non giova a diradare l‟atmosfera di generale
disorientamento.
In questa atmosfera, la dottrina ci ha messo del suo, tornando ad esasperare i termini
di una radicale contrapposizione tra i cosiddetti esistenzialisti (“il danno esistenziale
riappare”12) e quanti rispondono che “non c‟è bisogno di appellarsi nuovamente alla
figura del c.d. danno esistenziale”13.
Una cosa è certa: la categorica affermazione delle sentenze di San Martino sulla non
configurabilità del danno esistenziale come categoria autonoma sembra essere stata
disinvoltamente smentita perfino
al livello dei media – “Risarcibile il danno
esistenziale”, declama il titolo di un commento in prima pagina sul Sole24Ore del 1°
luglio 2011 - sulla base di una quanto meno opinabile interpretazione di una sentenza
della terza Sezione (la sentenza n. 14402/2011 del 30 giugno di quest‟anno) che detta
un principio di necessario “ristoro anche dei c.d. aspetti relazionali propri del danno da
perdita del rapporto parentale o del c.d. danno esistenziale”, precisando peraltro che
“è necessario verificare se i parametri recati dalle tabelle tengano conto (anche)
dell‟alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno
sconvolgimento dell‟esistenza” e concludendo che in caso contrario dovrebbe
“procedersi alla c.d. personalizzazione riconsiderando i parametri recati dalle tabelle
in ragione (anche) di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l‟integralità del
ristoro spettante al danneggiato”. Ma sul significato da attribuire a tale principio si avrà
modo di tornare in seguito (v. infra, n.3).
3 La ricerca di alcuni punti di snodo che condizionano il tentativo di avviare un
processo di riorientamento inizia proprio da una messa a fuoco del principio
dell‟integralità del risarcimento del danno alla persona, che le Sezioni unite hanno
specificato “nel senso che [esso] deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non
oltre”, demandando al giudice “il compito di accertare l‟effettivo pregiudizio”.
“Trattandosi di pregiudizio … a bene immateriale – tiene a precisare la sentenza n.
10527 del 17 maggio 2011, sempre della terza Sezione, e contraddistinta dallo stesso
11
Cfr. G. Ponzanelli, Le tabelle milanesi, l’inerzia del legislatore e la supplenza giurisprudenziale, in Dano e resp.,
2011, p. 957, nota 1.
12
Così P. Cendon, in Persona e danno, on-line, 30 giugno 2011.
13
Così G. Ponzanelli, Lo sconvolgimento della vita nelle macrolesioni: rapporto tra tabelle e potere equitativo del
giudice, in Foro it., 2011, I, c. 2723.
3
relatore della sentenza n. 14402/2011 appena menzionata – particolare rilievo assume
invero al riguardo la prova presuntiva”, che impone al giudice, nel dedurre dal fatto
noto quello ignoto, il solo limite di operare “alla stregua di un canone di ragionevole
probabilità”. L‟esempio all‟uopo prospettato è quello dello “sconvolgimento della vita
familiare provocato dalla perdita del congiunto: ipotesi in cui vengono in
considerazione pregiudizi che, attenendo all‟esistenza della persona, per comodità di
sintesi – inciso, questo, significativamente mutuato dalle sentenze di San Martino possono essere descritti e definiti come esistenziali”; e viene espressamente fatto
rinvio alle Sezioni unite, a conferma che non vi è stata - né qui né nella sentenza n.
14402/2011 – una reale intenzione di disattenderne i relativi principi .
Vero è, piuttosto, che il principio dell‟integralità del risarcimento del danno alla persona
non riflette un dato oggettivo di per sé suscettibile di diretto riscontro economico –
come avviene normalmente
per il danno al patrimonio - , ma si pone come un
obiettivo ragionevolmente perseguibile in termini di effettività del pregiudizio; e ciò alla
stregua di parametri elastici di valutazione enucleati dalle stesse Sezioni unite e
fondati sulla “coscienza sociale in un determinato momento storico”14: il superamento
della soglia della normale tollerabilità, in ragione della gravità della lesione; la non
futilità del pregiudizio; l‟accertata lesione di un diritto inviolabile della persona
riconosciuto dalla Costituzione (pur con tutte le incertezze che questa definizione
comporta15).
Obiettivo strettamente correlato è quello di non andare oltre, dando luogo a quelle
duplicazioni risarcitorie che le Sezioni unite individuano come fattore di inquinamento
dell‟effettività del risarcimento, che sarebbe favorito dalla ricorrente configurazione
pluralistica dei danni non patrimoniali .
Labile è, peraltro, il crinale che separa, in termini di effettività del risarcimento, la
costruzione, che sa di artificio16, di una categoria unitaria di danno non patrimoniale,
14
Così inteso (e ridimensionato), il principio della integralità del risarcimento finisce, in ultima analisi, per tradursi in
una estensione all‟intera categoria dei danni non patrimoniali del presupposto della suscettibilità di valutazione
economica del danno che mi era sembrato possibile riscontrare trent‟anni fa con riferimento al danno biologico,
muovendo dalla constatazione che “la propensione a misurare in denaro le conseguenze dannose di un fatto illecito
lesivo del diritto alla salute del danneggiato corrisponde – al di là delle affermazioni di principio apparentemente
discordanti – ad una regola di esperienza concretamente acquisita e consolidata, oggi, in tutta la giurisprudenza”: cfr.
F.D. Busnelli, Diritto alla salute e tutela risarcitoria, in F.D. Busnelli e U. Breccia (curr.), Tutela della salute e diritto
privato, Giuffré, Milano, 1978, p. 541. Ma v. già R. Scognamiglio, Il danno morale, in Riv. dir. civ., 1957, p. 294, il
quale non esitava ad affermare che la giurisprudenza è la “fonte” più attendibile, in una materia, come quella della
valutazione economica del danno, in cui “decisivo rimane il punto di vista della mentalità corrente, della valutazione
sociale”, fermo restando che “alla radice di ogni valutazione in termini pecuniari sussiste sempre, per così dire,
l‟arbitrio della convenzione e che si tratta, per questo riguardo, di valutazioni sempre relative”.
15
Sul punto, sia consentito rinviare a F.D. Busnelli, L’“estate di San Martino” del danno non patrimoniale, un anno
dopo, in A. D‟Angelo, G. Comandé, D. Amram (a cura di), La liquidazione del danno alla persona. Riflessioni e
prospettive ad un anno dalle SS.UU. nn. 26972-75 del 2008, Il Sole 24 Ore, Milano, 2010, p. 9 s.
16
“Postulare una qualunque funzione del danno non patrimoniale vuole innanzitutto dire che questa categoria ha un
contenuto ben determinato e non già dei contorni incerti e discussi, come invece di fatto è”: G. Cricenti, Persona e
risarcimento, CEDAM, Padova, 2005, p. 188.
4
“non suscettiva di suddivisione in sottocategorie” ( come quella introdotta dalle
“sentenze gemelle del 2003 e perfezionata dalla sentenze di san Martino del 2008)
dalla insopprimibile diversità naturale che vale a caratterizzare
i diversi “tipi di
pregiudizio” (locuzione, questa, usata dalle stesse Sezioni unite per tradurre “la
formula „danno morale‟ e descrivere la sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé
considerata”) in ragione della diversa funzione – compensativa, solidaristicosatisfattiva, sanzionatoria - che ne caratterizza il risarcimento17.
“Il problema reale e basilare – questa è l‟impostazione preferibile – è di identificare i
criteri di liquidazione che riflettono non solo il contenuto descrittivo del danno ma
anche le funzioni del risarcimento e soprattutto rendere trasparente la corrispondenza
tra tali criteri e le somme che vengono liquidate”18.
Orbene, il richiamo all‟unitarietà della categoria è perfettamente funzionale all‟obiettivo
perseguito quando serve a non duplicare il risarcimento del danno alla persona
caratterizzato da una lesione della salute a cui si affianchi un danno morale
inscindibile dalla base patologica19: si rientra, qui, “nell‟area del danno biologico, del
quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce
componente”; sì che il giudice, anziché risarcire congiuntamente il danno biologico e il
danno morale (eventualmente liquidato in percentuale), dovrà “procedere ad una
adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico , valutando nella
loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso,
onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”, avvalendosi “delle note
tabelle”. Ma a ben vedere l‟unitarietà della categoria, qui, lungi dal rappresentare un
quid novi, è modellata sulla “figura” (così la definiscono le Sezioni unite, attribuendole
fini meramente “descrittivi”) del danno biologico, tornato a inglobare al suo interno
sia l‟aspetto statico sia quello dinamico secondo la pionieristica definizione del danno
alla salute (intesa come “ben(-)essere”) adottata dal Tribunale di Pisa nella “storica”
17
Né la riconosciuta diversità di funzioni può trovare un utile punto di aggregazione nel dato comune per cui “una
quantificazione e monetizzazione della sofferenza, della perdita di affetti, della perdita di salute, ha il significato,
innanzitutto, di individuare e fissare una forma simbolica di composizione del conflitto” (G. Cricenti, Persona e
risarcimento, cit., p. 190). Il riferimento a un criterio di “regolazione simbolica del conflitto”, utile per descrivere “il
problema aquiliano come problema di rapporti sociali, prima che economici”, non serve, anche perché non estraneo ai
danni patrimoniali, ad aggregare, o comunque a qualificare positivamente l‟insieme dei danni comunemente ricondotti
a una categoria – quella dei danni non patrimoniali – “appartenente alla tradizione, alla quale non è attribuibile un
preciso valore euristico” (G. Cricenti, Persona e risarcimento, cit., p.187).
18
Cfr. E. Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, in Resp.
civ. prev., 2009, p. 71.
19
“Termina in tal modo la forza centrifuga del danno esistenziale, che aveva tentato di disaggregare dal danno
biologico la sua componente relazionale”: così, con lucida sintesi, D. Poletti, La dualità del sistema risarcitorio e
l’unicità della categoria dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2009, p. 88.
5
sentenza del 16 gennaio 1985 che muoveva, appunto, da rudimentali tabelle e
“correttivi equitativi”, predeterminati nella misura (massima) del 50 %20.
Il richiamo all‟unità categoriale non funziona più – per esplicita ammissione delle
Sezioni unite - quando venga in considerazione la “sofferenza soggettiva in sé
considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale” ma
come “il turbamento dell‟animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona
diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche
della sofferenza”. Qui viene in considerazione un “tipo di pregiudizio” distinto; diversa è
la funzione del relativo risarcimento, che assume un connotato spiccatamente
solidaristico-satisfattivo; e il criterio liquidativo, in mancanza
di strumenti tabellari
(come quelli, per la verità piuttosto rudimentali, stabiliti dalle tabelle milanesi sui c.d.
“danni da lutto”) è puramente equitativo.
4. L‟obiettivo della integralità del risarcimento è affidato, dunque, al principio
dell‟equità: il quale, in conformità alla norma generale dell‟art. 1226 cod. civ., può
tradursi a seconda dei “tipi di pregiudizio” in un criterio equitativo “puro” o in specifiche
tabelle di valutazione, riconosciute come utilizzabili a seguito di una svolta
giurisprudenziale avviata dalla Corte di cassazione nei primi anni 90 (è del 1993 una
sentenza – la n. 357 del 13 gennaio – che fa specifico riferimento a “pertinenti criteri
metodologici
suggeriti
dalla
dottrina
specialistica
o
di
diffusa
applicazione
giurisprudenziale”) e culminata in una definitiva “consacrazione” con una sentenza del
1999 (la n. 4852 del 18 maggio) che ha avuto modo di precisare come la “utilizzabilità
della „tabella‟ da parte del giudice trova fondamento pur sempre nel suo potere-dovere
di procedere alla liquidazione con criterio equitativo ai sensi degli artt. 2056 e 1226
cod. civ., a cui è insita, anche lì dove si pongano come punti di partenza criteri
predeterminati e standardizzati, la valutazione del caso concreto”.
Niente di nuovo sotto il sole, verrebbe fatto di dire.
Una recente “rilettura dei Digesti in materia di responsabilità extracontrattuale” ci
informa che “fra i delitti privati vi era l‟offesa ingiusta alla persona (iniuria), che
prevedeva una serie assai articolata di atti lesivi della persona libera sia nel suo
onore, sia nella sua libertà, sia nella sua integrità fisica”, sanzionati a seconda dei casi
“dall‟obbligazione di pagare una pena privata fissa o per quanto sembrerà buono e
equo”, così da “cogliere le esigenze più diverse di tutela della persona nel suo essere
20
La motivazione della sentenza è riportata nella rassegna curata da E. Navarretta e E. Bargelli, Le sentenze “storiche”
sul danno alla salute, in M. Bargagna e F.D. Busnelli (a cura di), La valutazione del danno alla salute: Profili giuridici,
medico-legali ed assicurativi, quarta edizione, CEDAM, Padova, 2001, p. 547 ss., e ivi, p.551 ss.
6
e nel suo agire”21. Fa riflettere, semmai, perché non priva di suggestioni di viva
attualità (v., infra, n. 9), l‟attenzione a un profilo afflittivo per l‟autore dell‟illecito - oggi
pressoché abbandonata – che nei Digesti si inseriva “nel quadro di una permanente e
attenuata idea di „pena‟, [ove] si combina un momento di „risarcimento del danno‟ con
un momento
„riparatorio dell‟offesa‟ ”22 dando vita a un sistema votato alla
“complessità” in cui “è già potenzialmente presente una prospettiva che cancelli del
tutto il carattere penale”23 .
Nuove sono, tuttavia, due diverse finalizzazioni delle tabelle che vanno oltre l‟obiettivo
di una liquidazione del danno alla persona secondo il tradizionale modo di intendere
il criterio codicistico di “valutazione equitativa”.
La prima finalizzazione innovativa è stata propugnata dalla terza Sezione della Corte
di cassazione con la sentenza n. 12408: è un‟innovazione che è stata definita
“generalista”24 (nel senso che sembrerebbe in partenza indirizzarsi indistintamente alla
liquidazione di qualsiasi danno alla persona, anche se finisce poi per riferirsi
precipuamente alla liquidazione dei danni biologici); si cimenta in un approfondimento
della nozione di equità per sottolinearne la consustanzialità “non solo all‟idea di
adeguatezza, ma anche a quella di proporzione”, così da privilegiarne il profilo della
“parità di trattamento”; e per tale via propone (rectius, impone) “una sorta di equità
collettiva”, in funzione della quale “non è più il singolo
giudice, ma il sistema
giudiziario che si attrezza come una sorta di legislatore decentrato”25.
La
seconda finalizzazione innovativa - precedente nell‟ideazione, ma non ancora
interamente perfezionata nell‟attuazione – è stata introdotta da un legislatore
(speciale) che ha avocato a sé la predeterminazione dei criteri di valutazione del
danno alla persona: è un‟innovazione dichiaratamente “settoriale” (nel senso che si
indirizza istituzionalmente alla liquidazione dei soli danni biologici
stradale); non
da circolazione
si pone l‟obiettivo della integralità del risarcimento, ma persegue
dichiaratamente il fine di un “adeguato ristoro”;
al parametro del “buono e equo”
sostituisce quello del “risarcimento giusto e certo”, così da permettere alle imprese di
assicurazione di “gestire il mercato r.c. auto in una situazione di maggiore sostenibilità”
consentendo loro di “meglio controllare e/o calmierare il livello dei premi assicurativi
21
S. Schipani, Leggere i Digesti di Giustiniano, fondare il diritto: esempi di contributi al diritto odierno che possono
derivare da una rilettura dei Digesti in materia di responsabilità extracontrattuale, in Scritti di diritto romano
pubblicati in cinese, Pechino, 2010, p.646 ss.
22
S. Schipani, loc. ult. cit.
23
S. Schipani, Contributi romanistici al sistema della responsabilità extracontrattuale, Giappichelli, Torino, 2009, p.
155 s. “Mi permetto di porre la questione - prosegue l‟illustre romanista - se, in caso di offese e lesioni alla persona, la
prospettiva che il nostro sistema offre di una obbligazione a favore della vittima per una somma di denaro a titolo di
pena privata non costituisca la base per un‟impostazione più corretta che quella imperniata sulla prospettiva del
semplice risarcimento del danno”.
24
G. Ponzanelli, Le tabelle milanesi, cit., p. 957.
25
G. Ponzanelli, Risarcimento giusto e certo tra giudici e legislatore, in Riv. dir. civ., 2010, II, p. 556.
7
che, invero, sarebbero destinati, potenzialmente, a divenire fortemente incerti nella
vigenza di un regime equitativo puro”26.
Val la pena di soffermarsi partitamente sulle questioni sollevate dall‟adozione dell‟una
e dell‟altra innovazione per poi analizzare i problemi posti dalla loro applicazione
concorrente.
5.
La sentenza n. 12408, apprezzabile – e apprezzata – per la coraggiosa
determinazione con cui ha affrontato una situazione di indubbia emergenza
concernente il settore r.c.auto. e per l‟esemplare chiarezza e stringatezza del principio
dettato per farvi fronte (“in difetto di previsioni normative”) solleva già a prima vista tre
questioni di fondo.
Vi è
anzitutto un‟ambiguità, probabilmente consapevole. La sentenza dice
“liquidazione equitativa dei danni alla persona” (ove “l‟interesse leso [è] ad esempio la
salute o l’integrità morale”), ma intende
biologico”, e forse più precisamente
essenzialmente “liquidazione del danno
“danno biologico per lesione di non lieve entità
derivante dalla circolazione stradale” e “danno da lutto”: non a caso, nel riconoscere
alle tabelle milanesi “una sorta di vocazione nazionale” , la sentenza ha modo di
evidenziare - come è stato prontamente rilevato27- “il fil rouge che lega
inscindibilmente le sorti del regime della responsabilità a quelle dell‟assicurazione
(obbligatoria) che la garantisce”. Affiora allora il dubbio circa la idoneità di dette tabelle
ad assumere una fisionomia autenticamente “generalista”, idonea ad andare oltre il
settore della circolazione stradale, oltre i confini del danno biologico e del “danno da
lutto”, fino a risolvere unitariamente il problema della valutazione equitativa del danno
non patrimoniale, inteso come categoria unitaria: una conclusione, questa, che sfiora
l‟utopia, e che pertanto non sembra ragionevolmente ascrivibile all‟intento sotteso al
dictum della sentenza.
Strettamente connessa è una seconda questione, sintetizzata da un interrogativo già
posto in dottrina: “Tabelle nazionali per sentenza?”28. Viene a galla, qui, l‟ambiguità
consapevole appena rilevata. La sentenza in esame, chiamata in via di emergenza a
un compito di supplenza prendendo le mosse dalla decisione di un caso di danno
biologico da circolazione stradale, era consapevole di non potersi sostituire al
legislatore nel dettare tabelle per la r.c. auto con vocazione nazionale. Per non
invadere la competenza legislativa, ha adottato una soluzione “generalista”, andando
incontro a problemi di altro genere. Accanto a quello, appena rilevato, della difficoltà di
tracciare i confini di una tale soluzione a fronte della complessità di funzioni che il
26
G. Ponzanelli, Le tabelle milanesi, cit., p. 956.
M. Hazan, L’equa riparazione del danno (tra r.c. auto e diritto comune), in Danno e resp., 2011, p.953.
28
M. Franzoni, Tabelle nazionali per sentenza, o no?, in Corr. giur., 2011, p. 1085.
27
8
risarcimento del danno non patrimoniale può assumere se inteso come categoria
unitaria che va oltre il danno biologico, sussiste la questione
– tuttora
drammaticamente aperta nella giurisprudenza di legittimità – della possibilità di
“espropriare” il giudice di merito di un potere di valutazione equitativa mediante
strumenti (anche) tabellari che “tengano conto della realtà socio-economica in cui vive
il danneggiato”29. La soluzione dettata dalla sentenza n. 12408 – secondo cui
“costituirebbe una contradictio in adiecto l‟affermare che l‟equità in linea di principio
esige (anche) parità di trattamento e l‟accettare poi che tale parità possa appagarsi di
un‟uniformità solo locale” – si scontra contro l‟orientamento seguito da sentenze,
anche successive, che sottolineano il potere “ampiamente discrezionale del giudice”
che si ponga alla ricerca di “elementi di tendenziale certezza attraverso il sistema delle
c.d. tabelle … che provano a realizzare in varie zone del paese un pressoché
adeguato punto di riferimento per la soluzione delle controversie”30 . Orbene, la
soluzione dettata dalla sentenza n. 12408, ineccepibile per i danni biologici da r.c.
auto, va incontro a non trascurabili riserve quando venga estesa indiscriminatamente
alla complessa categoria unitaria del danno non patrimoniale, e in particolare a quei
“tipi di pregiudizio”
che reclamano un risarcimento funzionale a un‟esigenza
spiccatamente solidaristico-satisfattiva.
La terza questione è di ordine processuale. La condivisibile affermazione
dell‟assunzione dei parametri di valutazione delle tabelle milanesi come risultato di
una semplice “operazione di natura sostanzialmente ricognitiva” sembra porsi in
contrasto con l‟affermazione - altrettanto categorica ma meno persuasiva – della
ricorribilità per “violazione di legge” (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) avverso
sentenze che non abbiano applicato tali tabelle; né ha pregio il singolare correttivo
volto
a
condizionare
detta
ricorribilità
all‟adempimento
dell‟onere
di
porre
specificamente la questione (producendo le tabelle stesse al fine di invocarne
l‟applicazione) nel giudizio di merito. Le tabelle milanesi finirebbero, in tal modo, per
esorbitare dalla loro natura cognitiva per rivendicare un ruolo (para)legislativo, tale da
porle sullo stesso piano delle tabelle di fonte normativa. E‟ senz‟altro preferibile, allora,
la correzione di rotta avanzata dalla (immediatamente successiva) sentenza n. 14402,
che ha ridimensionato la mancata applicazione delle tabelle milanesi come potenziale
“vizio di motivazione” (ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) “quando non si dia conto delle
ragioni di preferenza assegnata a una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze
29
Tenerne conto “nella determinazione equitativa della somma volta al risarcimento del danno morale subiettivo …
non è errato”: così si pronunziava Cass., 14 febbraio 2000, n. 1637, in Mass. Giust. Civ., 2000, p. 333.
30
Cass., Sez. lavoro, 2 agosto 2011, n. 16866.
9
del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella a cui si perviene mediante
l‟adozione dei parametri esibiti dalle tabelle di Milano”31.
6.
L‟art. 138 del Codice delle assicurazioni è chiaro nel determinare ambito e limiti
della “tabella” di cui delinea “principi e criteri”: si tratta di una tabella “unica” su tutto il
territorio della Repubblica; “specifica”, in quanto riferibile ai soli danni biologici –
quelli per “lesioni di non lieve entità”, regolati dallo stesso art. 138, e quelli per “lesioni
di lieve entità”, regolati dall‟art. 139; settoriale, in quanto inserita nella disciplina del
“risarcimento del danno” dettata dal Capo III del Titolo X del Codice, dedicato alla
“Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motori e i natanti”.
L‟unicità territoriale della tabella è, qui, ineccepibile in ragione della sua specificità:
non a caso la sentenza n. 12408, nell‟indicare ai giudici di merito “un unico valore
medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona”, fa leva
sul precedente di “un legislatore che ha comunque espresso, quanto meno per le
lesioni da sinistri stradali, la chiara opzione per una tabella unica da applicare su tutto
il territorio nazionale”.
La dimensione settoriale della tabella solleva, invece, tre questioni di fondo.
Ci si può chiedere anzitutto – e ci si è chiesto – se il collegamento della liquidazione
del danno alla persona con la disciplina dell‟assicurazione obbligatoria automobilistica
giustifichi l‟adozione di appositi criteri legislativi e se detti criteri siano suscettibili di
applicazione analogica. La risposta alla prima domanda è senz‟altro affermativa: la
responsabilità civile, se e in quanto affiancata dall‟assicurazione obbligatoria, assume
una fisionomia del tutto peculiare, non sempre sufficientemente approfondita in
dottrina ; essa comporta che “il costo del danno viene sopportato in maniera tutt‟affatto
diversa , e diventa possibile garantire il ristoro delle vittime della strada senza imporre
al responsabile tale costo, che è limitato preventivamente al premio assicurativo” 32.
Altrettanto sicura è la risposta negativa alla seconda domanda: se ne fa interprete la
sentenza n. 12408, evidenziando la ratio legis della tabella legislativa, “volta a dare
una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del
contenimento dei premi assicurativi”.
Strettamente
connessa
è
la
seconda
questione,
sintetizzata
nel
seguente
interrogativo: quale senso ha una tabella legislativa settoriale quando il principio
generale è quello della integralità del risarcimento del danno?
Sulla legittimità
costituzionale di limitazioni legali al risarcimento del danno è intervenuta ripetutamente
la Corte costituzionale: fa ancora testo la c.d. “sentenza La Pergola” del 1985 che, con
31
Argomenta afavore di questa soluzione M. Hazan, L’equa riparazione del danno, cit., p. 952.
C. Castronovo, Responsabilità civile e assicurazione, in La nuova responsabilità civile, terza edizione, Giuffré,
Milano, 2006, p. 432.
32
10
riferimento alla disciplina del contratto di trasporto aereo di persone scaturente dalla
Convenzione di Varsavia, ebbe a condizionare la risposta affermativa all‟osservanza di
un principio di “predisposizione di adeguate garanzie di certezza o adeguatezza per il
ristoro del danno”33; è poi seguita nel 1996 una sentenza che, in materia di
occupazione appropriativa, ha avuto modo di precisare che “la ragionevolezza di un
intervento
normativo
sulla
misura
della
riparazione
dovuta
dalla
pubblica
amministrazione viene a dipendere dall‟equilibrato componimento, che la norma di
conformazione del risarcimento del danno deve assicurare, degli opposti interessi in
gioco”34; e, da ultimo, la citata ordinanza n. 157/2011, che si riferisce proprio alla r.c.
auto, afferma categoricamente in un considerando della sua motivazione che “non
esiste un diritto costituzionale all‟integrale risarcimento del danno, come sarebbe
dimostrato dalla sentenza n. 132 del 1985”. Così, almeno a prima vista, il cerchio si
chiude: la tabella legislativa settoriale si giustifica nella misura in cui è giustificato per
quel settore un limite al risarcimento. Ma le perplessità si spostano, per così dire, a
valle: data per assodata la giustificazione della tabella settoriale, resta da verificare se
il ristoro del danno è ragionevolmente adeguato.
La verifica, finora condotta con esiti discordanti (donde i ricorsi inconcludenti alla
Corte costituzionale) in relazione ai “danni di lieve entità” (c.d. micropermanenti), già
regolati dalla “tabella”, deve essere ora proiettata sul versante del risarcimento dei
“danni di non lieve entità”, con particolare riferimento alle c.d. macropermanenti; ed è
una verifica, per così dire, in prospettiva, perché poggia su una prima, e provvisoria,
valutazione del ricordato Decreto del 3 agosto u.s.(v., retro, n.2), di cui è incerta - non
solo sul quando ma addirittura sull‟an35 - l‟entrata in vigore.
La “Relazione introduttiva”, che lo accompagna, prospetta a una prima lettura segnali
rassicuranti . “Superando il 10% del danno – tiene a precisare la Relazione –
l‟esigenza primaria dell‟Assicurazione RC auto obbligatoria non è tanto quella di
tutelare il cittadino dalla ricaduta dei costi, ma piuttosto di tutelare la salute del
danneggiato e dargli un adeguato ristoro”; è, al riguardo, apprezzabile la segnalazione
del criterio adottato di consentire adeguati ambiti di personalizzazione del danno
predisponendo, per ogni singolo danno, “non un valore unico, ma un range ampio”; è,
infine, confortante l‟estensione
del range oltre il 10% (e fino al 20%) per “forme
33
Corte cost., 6 maggio 1985, n. 132, in Foro it., 1985, I, c. 1585 ss.
Corte cost., 2 novembre 1996, n. 369, in Foro it., 1997, I, c. 2400 ss.
35
Induce a dubitare di una ravvicinata operatività del Decreto il ricordato Parere del Consiglio di Stato: il quale, mentre
per un verso suggerisce di valutare l‟eventuale esigenza di una” modifica legislativa” (v., retro, nota 10), per altro verso
“ritiene che, proprio al fine di eliminare ogni dubbio interpretativo in sede applicativa, sia opportuno specificare nel
testo [dello “Schema di regolamento”] che esso si applica ai soli sinistri della circolazione dei veicoli”. Infatti – tiene a
precisare il Parere – la formulazione attuale non appare perspicua al riguardo, non facendo espresso richiamo di tale
limitazione ratione materiae prevista invece (implicitamente per l‟art. 138 ed esplicitamente per l‟art. 139) dalla norma
di legge autorizzativa all‟esercizio del potere regolamentare in esame”.
34
11
psichiatriche vere e proprie” – quale “il disturbo post-traumatico da stress” – già
catalogate come micropermanenti: segnale incoraggiante, quest‟ultimo, di
una
strategia di possibile superamento dello “steccato” che divide artificialmente l‟ambito di
incidenza dell‟art. 138 da quello dell‟art. 139 del Codice delle assicurazioni. Questi
timidi segnali sembrano peraltro drammaticamente contraddetti dal tendenziale
dimezzamento del livello risarcitorio rispetto ai criteri valutativi delle tabella milanesi:
non è, forse, estranea a tale esito la decisione di affidare esclusivamente al Ministero
dello sviluppo economico “la definizione dei valori pecuniari da assegnare ai vari punti
di invalidità”, sulla base – oltremodo opinabile – di una “ritenuta estraneità
dell‟Amministrazione della salute su tale specifico aspetto”.
7. Queste, e non altre, sono le nubi che si addensano nel cielo di questi giorni che
preannunciano una ricorrenza di San Martino senza la proverbiale estate.
L‟applicazione concorrente delle tabelle milanesi, investita di una funzione
“generalista” dalla sentenza n. 12408, e della “specifica tabella unica” ex art. 138 Cod.
ass. , così come verrà introdotta dal ricordato DPR, rischia di far deflagrare un nuovo
scontro di posizioni giurisprudenziali e dottrinali: che non ha, né deve avere, come
oggetto un problema di ammissibilità
di un doppio regime risarcitorio, “perché la
compresenza di una pluralità di statuti risarcitori non pare un‟anomalia del sistema ed
è in grado di permettere alle diverse fattispecie produttive di danno alla persona di
essere sempre più coerenti rispetto alle funzioni generali della responsabilità civile” 36;
né deve prestarsi a un‟ennesima, e stucchevole, tenzone tra esistenzialisti ed
antiesistenzialisti37.
Contribuire al riorientamento, anziché spingere verso l‟anarchia, impone di privilegiare
un‟interpretazione “consonante”, anziché dissonante, delle sentenze che, come si è
accennato, sono state frettolosamente catalogate come “eversive” per aver voluto
reintrodurre la categoria del c.d. danno esistenziale (il riferimento è alle sentenze n.
10527 e n. 14402) e/o per avere riproposto la distinzione categoriale tra danno
biologico e danno morale in presenza di un unico atto lesivo (il riferimento è alla
sentenza n. 18641).
Va, anzitutto, rilevato che tali sentenze hanno l‟indubbio pregio di spostare l‟attenzione
generale dalle micropermanenti alle
macropermanenti (o, comunque, a danni di
particolare gravità), rispondendo implicitamente a una sollecitazione che molti (quorum
36
G. Ponzanelli, Verso l’attuazione dell’art. 138 Codice delle Assicurazioni, in Assicurazioni, 2011, fasc. n. 4.
G.M.D. Arnone, Umanità e tecnica nel risarcimento del danno alla persona (Commento a Cass. Nn. 10107, 10108,
12273/2011), in Danno e resp., 2011, p.968.
37
12
ego) avevano da tempo espresso in dottrina38, e il merito di contribuire decisamente
“all‟affermazione della centralità del valore uomo”, vero “gioiello” contenuto – come
finisce con l‟ammettere un giudice relatore nella sua veste di relatore a un recente
convegno
39
– nelle sentenze di San Martino, sia pure “tra le molte confusioni e
sovrapposizioni concettuali”.
Così inquadrato, l‟autentico messaggio desumibile dalle sentenze in esame - sfrondato
da non determinanti sovrastrutture concettuali (come lo specifico riferimento ai “profili
peculiarmente connotanti il c.d. danno esistenziale”: sentenza n. 14402) o da non
pertinenti richiami normativi (come l‟attribuzione di una valenza modificativa dello
status quo al già menzionato DPR n. 37/2009 nonché al DPR n. 181 del 30 ottobre
dello stesso anno, che all‟art. 5 prevede il ristoro “del danno biologico e morale a
carico delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”: sentenza n. 18641)40 –
consiste nell‟affermare che
“il principio di
integralità del risarcimento del danno
impone che nessuno degli aspetti di cui si compendia la categoria generale del danno
non patrimoniale , la cui sussistenza risulti nel caso concreto accertata, rimanga priva
di ristoro” (sentenza n. 10527) e che la relativa “quantificazione ha da essere tanto più
elevata quanto più gravi risultino le lesioni sofferte dal danneggiato”, e ciò in modo
“tanto più considerevole quanto più [la lesione] comporti un conseguente , totale,
irredimibile sconvolgimento della qualità e della quotidianità della vita (sentenza n.
18641), fermo restando peraltro che
“il pregiudizio esistenziale o da rottura del
rapporto parentale non consiste invero nella mera perdita delle abitudini e dei riti
propri della quotidianità della vita, ma in fondamentali e radicali cambiamenti dello stile
di vita” (sentenza n. 10527).
Sulla base di queste premesse interpretative, riterrei di poter concludere nel senso che
il vero scontro di posizioni finisce con l‟incentrarsi intorno al cruciale interrogativo del
“se, nella valutazione delle macrolesioni e in particolare dello sconvolgimento della
vita, il giudice possa o meno superare i limiti massimi delle tabelle”41.
Qui, a mio avviso, si manifesta appieno la differente matrice dei due sistemi tabellari
chiamati a un‟applicazione concorrente.
38
F.D. Busnelli, Una ricerca sulle macropermanenti: perché?, in G. Comandé e R. Domenici (a cura di), La
valutazione delle macropermanenti. Profili pratici e di comparazione, Edizioni ETS, Pisa, p. 3 ss.
39
G. Travaglino, Il danno non patrimoniale, relazione presentata al Colloquio conclusivo, su “Profili della
responsabilità extracontrattuale”, del “Secondo corso di Alta formazione per Professori di diritto romano e civile della
RPC”, svoltosi all‟Università “La Sapienza” di Roma l‟8 ottobre 2011, i cui Atti sono in corso di pubblicazione.
Questo apprezzamento (letto a p. 3 del dattiloscritto) non compariva nel saggio, pressoché identico, su Il futuro del
danno alla persona previamente pubblicato su Danno e resp., 2011, p. 113 ss.
40
Artificioso, e comunque non dirimente, appare il tentativo, svolto in dottrina (L. Viola, Il danno morale è diverso
dal danno biologico: ora lo dice la legge (nota al DPR n.37 del 3 marzo 2009, consultabile in www.altalex.it, 25
maggio 2009), di trarre conferma normativa della distinzione ontologica tra danno morale e danno biologico, in quanto
“quest‟ultimo riguarderebbe la salute (nel senso di malattia del corpo e/o della mente) ex art. 32 Cost., mentre il primo
la dignità umana, ex artt. 2-3 Cost.”.
41
Questo è l‟interrogativo posto da G. Ponzanelli, Lo sconvolgimento della vita nelle macrolesioni, cit., c. 2723.
13
La matrice giurisprudenziale, pur se accompagnata dalla funzione nomofilattica, delle
tabelle milanesi sembra consentire, in ragione della natura
dichiaratamente
ricognitiva attribuita alle stesse dalla sentenza n. 12408 e compatibilmente con “il
potere della corte [di Cassazione] di dettare valori medi di riferimento per la stima del
danno alla persona a seguito dell‟operata interpretazione dell‟art.1226 cod. civ.”, un
legittimo spazio al giudice del caso concreto per un superamento del limite massimo
previsto dalle tabelle per la personalizzazione del danno quando emerga la prova di
aspetti relazionali insuscettibili di essere ricondotti entro detti limiti e in grado di
vulnerare significativamente l‟obiettivo della integralità del risarcimento42.
Osta, invece, alla stessa soluzione la matrice legislativa della “specifica tabella unica”
prevista dall‟art. 138 Cod. ass., stante l‟impossibilità – riconosciuta dalla stessa
sentenza n. 18641, sia pure con riferimento a un asserito mutamento di indirizzo
legislativo ad opera del ricordato DPR 181/2009 – di prescindere da “una disciplina (e
un‟armonia) di sistema che, nella gerarchia delle fonti del diritto, privilegia ancora la
disposizione normativa rispetto alla produzione giurisprudenziale”; e, a giustificare la
differenza, vale comunque il diverso obiettivo – non di integralità del risarcimento, ma
di adeguato ristoro – a cui risponde detta tabella.
Resta, beninteso, aperta una
possibile questione di legittimità costituzionale, che potrebbe trovare nuovi motivi di
non manifesta infondatezza in una eventuale disparità di trattamento, per così dire,
grossly excessive tra due identiche lesioni dell‟integrità fisica, derivanti l‟una da un
incidente stradale, l‟altra – per esempio – da un errato intervento chirurgico43.
8. Mi siano consentite, per concludere, una (piccola) reminiscenza e una (grande)
provocazione.
La mitologia ci tramanda la storia di Crono che, aduso a inghiottire i propri figli man
mano che Rea li partoriva - per scongiurare il presagio che egli sarebbe stato privato
del regno da un figlio -, intendeva riservare la stessa sorte a Zeus; ma Zeus
sopravvisse grazie a uno stratagemma ideato dalla madre, e cresciuto vinse il padre.
Il danno biologico, novello Crono, “assurto a dignità di primo motore immobile del
sistema” grazie alle sentenze di San Martino che “riconducono a fallace unità la
categoria del danno non patrimoniale”44, è accusato di voler fare un unico boccone del
42
L‟Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Milano ammette esplicitamente un tale superamento soltanto “in
relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto ala casistica comune degli illeciti”. Secondo P. Ziviz, Danno non
patrimoniale da lesione alla salute: la Cassazione impone una valutazione (in duplice senso) unitaria, in Resp. civ.
prev., 2011, p. 2038, il superamento dovrebbe essere “sempre praticabile ove il giudice individui una motivata
giustificazione sulla quale fondare lo scostamento”.
43
Il problema è posto da G. Comandé , Danno biologico: arriva la tabella unica nazionale ma solo per i ristori
derivanti da incidenti stradali, in Guida al diritto, 10 settembre 2011, p. 16), il quale si chiede “se sia accettabile tale
sproporzionata differenza di trattamento”.
44
G. Travaglino, Il futuro del danno alla persona, cit., p. 113.
14
danno morale e del danno esistenziale paventando, altrimenti, di perdere la propria
supremazia.
Fuor di metafora, è in atto una singolare campagna contro la c.d.
somatizzazione del danno alla persona45 che induce a spodestare il danno biologico
dal ruolo asseritamente attribuitogli: “il danno morale e il danno esistenziale, queste e
soltanto queste – si sostiene -
sono le categorie che possono e devono venir
considerate, sul piano naturalistico, sul piano dell‟essere , le due vere categorie del
danno alla persona”46.
Non è il caso, in questa sede, di ricordare il lungo cammino del danno biologico dal
diritto vivente al diritto vigente, che – come raramente avviene – ha suscitato grande
interesse, e qualche preoccupazione (non certo di riduzionismo risarcitorio), al di là
delle Alpi.
Intendo soltanto rilevare che Crono-danno biologico non sembra mosso dalla
tentazione di inghiottire Zeus-danno morale; il pericolo che si profila, e che andrebbe
evitato, è semmai quello opposto. Quanto al danno esistenziale, mi rimetto alle
sentenze di San Martino.
9. La provocazione è presto detta: se la vecchia pretesa di sottrarre il danno biologico
alla disciplina dell‟art. 2059 è apparsa, a distanza di tempo, “un astruso arzigogolo
creato dalla giurisprudenza per sostenere l‟insostenibile, e cioè che il danno biologico
non avesse natura „non patrimoniale‟ ”47, non meno arzigogolata appare a mio avviso
la ricostruzione di un art. 2059 spogliato della sua ratio chiaramente sanzionatoria48
sull‟altare di una irrispettosa “rilettura costituzionalmente orientata”49.
Ecco, allora, la provocazione50: se una rilettura costituzionalmente orientata della
disciplina della responsabilità civile deve essere compiuta, com‟è pacifico, perché non
“rileggere” direttamente l‟art. 2043, riconducendo in tale norma la disciplina generale
45
Cfr. G. Buffone, Liquidazione del danno biologico e del danno morale da sinistro stradale: progressiva erosione
della tesi della somatizzazione (SS.UU. 26972/2008), in Arch. giur. circ. sin., 2009, p. 10.
46
G. Travaglino, Il futuro del danno alla persona, cit., p. 117.
47
Così M. Rossetti, Post nubila Phoebus, ovvero gli effetti concreti della sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni unite in
tema di danno non patrimoniale, in AA. VV., Il danno non patrimoniale, cit., p.428.
48
Si tende troppo spesso a dimenticare che lo studioso moderno che più ha approfondito il tema del risarcimento
(rectius, a suo parere, della “riparazione”) del danno non patrimoniale ha fornito argomenti tuttora persuasivi a favore
della configurazione dell‟art. 2059 come norma contenente una “pena privata”: “la soluzione privatamente afflittiva
qui (ri)proposta – questa è la conclusione a cui giunge G. Bonilini, Il danno non patrimoniale, Giuffré, Milano, 1983, p.
300 – sembra imporsi quale frutto di un esame che è passato attraverso una serie di punti obbligati che ne hanno
mostrato, ci pare, la congruenza non solo logica, ma altresì storica e strettamente giuridica”.
49
Pesa come un macigno l‟autorevole rilievo di uno dei fondatori in Italia della moderna responsabilità civile, secondo
cui “l‟indirizzo del Supremo Collegio – che propone la rilettura costituzionale dell‟art. 2059 – si espone a gravi e
probabilmente insuperabili obiezioni”: cfr. R. Scognamiglio, Danni alla persona e danno morale, in Responsabilità
civile e danno, Torino, 2010, p. 368.
50
E‟ una provocazione, in certo qual modo, incoraggiata dalla autorevole “domanda provocatoria” nella stessa
direzione – “invertire il metodo e proporre la semplificazione della costruzione giuridica” - con la quale R.
Scognamiglio conclude l‟ampio saggio su Il danno ai beni-interessi della persona e il danno morale mezzo secolo
dopo, posto a sua volta a conclusione del volume Responsabilità civile e danno, cit., p. 490.
15
di tutti i danni suscettibili di valutazione economica51, derivanti tanto dalla lesione di
diritti patrimoniali quanto dalla lesione di diritti non patrimoniali - rectius, personali52 lasciando che l‟art. 2059 torni a fornire la disciplina speciale, e tipizzante, dei soli danni
istituzionalmente non patrimoniali, ossia a priori sottratti a una diretta valutazione
economica in quanto (e perché) rigorosamente caratterizzati dalla funzione
sanzionatoria?53.
Non è il caso di vagliare qui, ex professo, l‟attendibilità di questa provocazione. Vorrei
soltanto evidenziare il processo di semplificazione-razionalizzazione che potrebbe
scaturirne.
Una rilettura costituzionalmente orientata dell‟art. 204354, che valesse a superare il
limite - ormai difficilmente conciliabile con il carattere generale della norma di apertura
della disciplina dei fatti illeciti - della risarcibilità dei soli danni (lesivi di diritti)
patrimoniali prendendo atto della ormai sedimentata “coscienza sociale” in ordine alla
suscettibilità di valutazione economica dei danni conseguenti alla lesione dei diritti
inviolabili della persona (v., retro, n. 3 e ivi nota 10), potrebbe consentire di superare
l‟artificiosa doppia soglia di ingiustizia del danno, che le Sezioni unite sono state
indotte a introdurre per giustificare la risarcibilità dei danni non patrimoniali da reato
anche quando faccia difetto una lesione così qualificata.
A questo specifico fine, che chiama in causa la funzione sanzionatoria del
risarcimento55, potrebbe tornare a sopperire l‟art. 2059, perfettamente in grado di
svolgere, a seconda delle ipotesi, un ruolo ancillare o trainante.
51
Sulle ragioni della “dilatazione dell‟area della suscettibilità di valutazione economica” e del conseguente “radicale
capovolgimento che ha condotto alla pressoché integrale equiparazione del danno personale al danno patrimoniale” v.
M- Barcellona, Il danno non patrimoniale, Giuffré, Milano, pp. 16 ss., 130.
52
Quanto mai attuale è la risalente intuizione di R. Scognamiglio (Il danno morale, cit., p. 279 ss.), volta a individuare
una positiva nozione di “danni personali” (conseguenti a “lesioni dell‟integrità fisica, di quella morale, dell‟onore, della
libertà sessuale, ecc.”) stralciandola dalla tradizionale “definizione negativa” del danno non patrimoniale, avente “lo
scopo di raggruppare, per ragioni di completezza, in una sola categoria fenomeni alquanto diversi secondo un criterio
che è possibile tacciare di arbitrario”.
53
Un prezioso spunto in tal senso viene offerto, ancora una volta, da R. Scognamiglio: il quale, tornando
sull‟argomento, lancia un monito: “il dibattito, che è divenuto così complicato, può essere semplificato, e si dovrebbe
trattare di un compito essenziale della dottrina, mediante l‟equilibrato assetto delle norme che regolano la materia dei
danni da risarcire: gli artt. 2043 e 2059”, fermo restando che “il legislatore, nel dettare l‟art. 2043, come pure gli artt.
2044 a 2057, abbia voluto fare riferimento al „danno‟ nella lata accezione del termine … così da far rientrare nel suo
ambito sia il danno patrimoniale che il danno personale” (R. Scognamiglio, Il danno non patrimoniale innanzi alle
Sezioni unite, in Responsabilità civile e danno, cit., p. 397.
54
Si cimenta in questa rilettura G. Cricenti, Persona e risarcimento, cit., p. 116, il quale osserva che “nessuna regola
costituzionale impone di risarcire ad ogni costo e per ogni causa il patema d‟animo subito; mentre per ogni altra
conseguenza non patrimoniale della lesione della persona è sufficiente il criterio contenuto nell‟art. 2043, che consente
peraltro la risarcibilità dei „danni non patrimoniali‟ che siano conseguenza di interessi costituzionalmente protetti, ove
si abbandoni l‟idea infondata di riferire quella norma al solo danno di tipo patrimoniale”.
55
Per una distinzione tra “funzione deterrente-sanzionatoria” e “funzione simbolica” della condanna risarcitoria v. C.
Scognamiglio, Danno morale e funzione deterrente della responsabilità civile, cit. alla nota 53. Al di là della
condivisibilità o meno della distinzione - che prende le mosse dalla opinabile premessa secondo cui una funzione
sanzionatoria “presa sul serio” postulerebbe in ogni caso “la certezza della pena”: il riferimento è alla tesi sostenuta da
G. Cricenti (v., retro, nota 17), sulla quale non è dato, qui, soffermarsi - è senz‟altro vero che (a mio avviso, ovunque il
risarcimento svolga il proprio ruolo lato sensu sanzionatorio) “il denaro non può assumere … il ruolo, che gli è
16
Ancillare è stato felicemente definito56 il ruolo che giustifica un‟incidenza (solo) sul
quantum della liquidazione del danno derivante da un reato lesivo di un diritto
inviolabile della persona al fine di tener conto, nel quantificare la pecunia, (anche)
delle ripercussioni sul dolor del grado di riprovevolezza
della condotta del reo.
Trainante potrebbe definirsi il ruolo che giustifica l‟incidenza sullo stesso an della
risarcibilità di un danno individuabile come diretto riscontro sanzionatorio del carattere
riprovevole della condotta dell‟offensore: la risarcibilità è giustificata, qui, pur
mancando la lesione di un diritto inviolabile della persona, dalla sussistenza di un
reato (art. 185 cod. pen.), o – val la pena di aggiungere – dalla presenza di norme
che prevedono il risarcimento di un danno morale soggettivo in ipotesi – come quelle
descritte dai nn. 2 e 3 dell‟art. 709 ter c.p.c. - in cui manchi la lesione di un diritto
inviolabile e il danno si ricolleghi a semplici, ma frustranti, vessazioni e/o abusi.
E‟ comunque al legislatore, e non al giudice, che compete il potere di prevedere
l‟innesto di questa funzione sanzionatoria, e la giustificazione di una limitata sfera di
risarcibilità di danni aventi un connotato lato sensu punitivo.
In questi limiti, può dirsi che, in un sistema dominato dalla compensation, sopravvive
(se ci si riferisce all‟art. 2059 nel suo raccordo privilegiato con l‟art. 185 cod. pen.) o
nasce (se ci si riferisce all‟art. 709 ter cod. proc. civ. o alle recenti norme che
prevedono misure risarcitorie in sede di tutela giurisdizionale contro la discriminazione)
una prospettiva di deterrence57.
Dilatarne la portata, fino a suggerire frettolose equazioni con i punitive damages del
sistema nordamericano, è atteggiamento culturalmente sconsiderato oltre che
operativamente improvvido.
Valorizzarne gli effetti appare senz‟altro opportuno, anche perché “una responsabilità
civile che non accarezzi la deterrenza non è una vera responsabilità civile”58.
Il solerte ideatore del Convegno senese del 2007 su “La funzione deterrente della
responsabilità civile” si è detto convinto che “una delle novità più evidenti nel nuovo
diritto della responsabilità civile consiste nella valorizzazione di tale istituto come
strumento di prevenzione dell‟illecito”59.
normalmente proprio, di unità di misura dei valori del mercato, bensì, ed appunto, quello di ripristino dell‟assetto di
valori recepito dall‟ordinamento” (C. Scognamiglio, Danno morale, cit., p. 2500).
56
Da E. Navarretta, Funzioni del risarcimento e quantificazione dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2008,
p. 505.
57
Per uno sviluppo di questa impostazione, mi permetto di rinviare a F.D. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile,
danni punitivi, in Europa e dir. priv., 2009, p.934 ss.
58
G. Ponzanelli, L’attualità del pensiero di Guido Calabresi. Un ritorno alla deterrenza, in Nuova giur. civ. comm.,
2006, II, p. 293 ss.
59
Così P. Sirena nella Nota introduttiva ai lavori del Convegno (Siena, 19-21 settembre 2007), i cui Atti sono in corso
di pubblicazione. Ma v., già, Il risarcimento dei c.d. danni punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa, in
Riv. dir. civ.,Atti per il Convegno per il cinquantenario della Rivista. Il diritto delle obbligazioni e dei contratti:verso
una riforma? Le prospettive di una novellazione del Libro IV del Codice Civile nel momento storico attuale, p. 531 s. E
v. anche la Relazione allo stesso Convegno di C. Scognamiglio, Danno morale e funzione deterrente della
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Per la verità, l‟indirizzo giurisprudenziale nettamente prevalente in Europa (e in Italia),
che continua a considerare in contrasto con l‟ordine pubblico il risarcimento di danni
punitivi, sembrerebbe smentire tale convincimento.
Ma le cose potrebbero cambiare. Di “dommages-intérêts punitifs” parla l‟Avant-projet
francese “de réforme du droit des obligations”60 in una norma (l‟art. 1371), inserita
nella Sezione dedicata al risarcimento dei danni, che tiene a distinguerli nettamente
dai “dommages-intérêts compensatoires” in virtù di profili peculiari, tra i quali,
segnatamente, la non assicurabilità. Del resto, il Regolamento europeo n. 864/2007
“sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II), nel riferirsi
(considerando n. 32) ai “danni non risarcitori aventi carattere esemplare o punitivo”,
giustifica decisioni dei giudici degli stati membri invocanti la contrarietà all‟ordine
pubblico della legge designata dal regolamento stesso soltanto quando il relativo
quantum abbia “natura eccessiva”.
10. Aulo Gellio narra l‟episodio di un cavaliere romano che andava per la strada
percuotendo le persone che incontrava; lo seguiva un servo con il denaro e subito
veniva pagata una somma a titolo di riparazione, il cui importo era, in relazione alla
sua ricchezza, assai poco rilevante61.
L‟episodio, mutatis mutandis e con l‟aiuto dell‟assicurazione, potrebbe ripresentarsi,
oggi.
Non bisogna, dunque, aver paura delle pene private; e a questo può ancora servire il
vecchio art. 2059, tornato a rispecchiare la sua funzione originaria.
Così (re)interpretata, la norma potrebbe consentire, in particolare, di dare una
soluzione eticamente appagante, anche se forse economicamente non del tutto
esaustiva, al problema della “indecente” disparità di trattamento che di recente è stata
esemplarmente ravvisata tra l‟automobile completamente distrutta in un incidente
stradale, che “viene sostituita con una nuova”, e la giovinetta stuprata “che avrà un
danno morale risarcito „da un terzo alla metà‟ ”62.
responsabilità civile, pubblicata in versione rielaborata in Resp. civ. prev., 2007, p. 2485 ss., ove si condivide l‟idea che
“la proposta di recupero di un concetto, quale quello di oggettiva antigiuridicità del comportamento tenuto contro un
divieto, che sembrava ormai consegnato alla storia della responsabilità civile, esprime … la consapevolezza delle aporie
sistematiche ed applicative che la concezione puramente riparatoria della responsabilità civile traeva con sé” (p. 2488).
60
Rapport à Monsieur Pascal Clément, Garde des Sceaux, Ministre de la Justice, 22 septembre 1805.
61
L‟episodio è citato da S. Schipani, Orfani dell’actio iniuriarum. Rileggere i Digesti: contributi romanistici per una
riflessione sulla tutela giuridica della persona (relazione svolta al Congresso internazionale organizzato dalla
Università del Popolo e dalla ECUPL su “Legal Protection of Personality Rights : Roman Foundation, Contemporary
Ddevelopment and Challenges” , Shanghai, 14-16 ottobre 2010), in corso di pubblicazione su Roma e America. Diritto
romano comune, 30/2010. La citazione è tratta da p. 10 del dattiloscritto.
62
G. Travaglino, Il futuro del danno alla persona, cit., p. 117.
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