Leggi il primo capitolo

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Leggi il primo capitolo
CARTA: Creamy - PROFILO DI STAMPA: Nessuna conv. colore - DIMENSIONE: 140x215 mm - cartonato fresato
M A R ISSA M EYER
CRONACHE LUNA R I
traduzione di Alessandra Sogne
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© 2013 Marissa Meyer
© 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, per l’edizione italiana
First published by Feiwel and Friends, an imprint of Macmillan Children’s
Publishing Group
Translation rights arranged by Jill Grinberg Literary Management LLC
and Marco Vigevani Agenzia Letteraria. All rights reserved
Titolo dell’opera originale The Lunar Chronicles – Scarlet
Prima edizione aprile 2013
Stampato presso ELCOGRAF S.p.A.
Stabilimento di Cles (TN)
Printed in Italy
ISBN 978-88-04-62742-5
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LIBRO UNO
Lei non sapeva che il lupo
era un animale cattivo
e non ne aveva paura.
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ca p i t olo 1
S
carlet stava scendendo verso il vicolo sul retro della
Taverna Rieux quando il suo schermo portatile squillò sul sedile del passeggero, seguito dall’annuncio della
voce automatica: “Mess per Mademoiselle Scarlet Benoit
inviato dal Dipartimento Persone Scomparse delle Forze dell’Ordine di Tolosa.”
Con il cuore che martellava, sterzò giusto in tempo per
evitare che il lato destro della navicella andasse a schiantarsi contro un muro, poi rilasciò il freno prima di fermarsi completamente.
Scarlet spense il motore, già allungando la mano per
afferrare lo schermo abbandonato. La sua pallida luce azzurra illuminò l’abitacolo.
Avevano trovato qualcosa.
La polizia di Tolosa doveva aver trovato qualcosa.
— Accetta! — urlò, stringendo spasmodicamente lo
schermo tra le dita.
Si aspettava un videomessaggio dal detective assegnato al caso di sua nonna, ma tutto ciò che ricevette furono poche righe formali.
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28 ago 126 T.E.
Re: Caso N. #aig00155819, aperto 11 ago 126 T.E.
Comunicazione per informare SCARLET BENOIT
di Rieux, Francia, FE1, che alle 15:42 del 28 ago 126
il caso della persona scomparsa MICHELLE BENOIT
di Rieux, Francia, FE, è stato archiviato a causa della mancanza di prove che attestino avvenuto crimine o violenza.
Ipotesi: il soggetto è scomparso di sua iniziativa e/o
ha commesso suicidio.
CASO CHIUSO.
La ringraziamo per aver scelto di avvalersi dei nostri servizi investigativi.
Il mess era seguito da un video pubblicitario della polizia che ricordava a tutti i piloti di navicelle da consegna di guidare con prudenza e allacciare sempre l’imbracatura quando i motori erano in funzione.
Scarlet fissò lo schermo finché le parole si confusero in
una macchia bianca e nera e il pavimento della navicella sembrò sprofondare. Il guscio di plastica sul retro dello schermo scricchiolò nella sua presa ferrea.
— Idioti — sibilò nella navicella vuota.
Le parole “caso chiuso” sembrarono fissarla con scherno.
Emise un urlo gutturale e sbatté lo schermo portatile
contro il pannello di comando della navicella, sperando
che esplodesse in mille frammenti di plastica, metallo e
fili. Dopo tre colpi netti, lo schermo si limitò a sfarfallare
con vaga irritazione. — Idioti! — Lanciò lo schermo portatile sul pavimento davanti al sedile del passeggero e si
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Federazione Europea.
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lasciò cadere contro lo schienale, tormentandosi i capelli ricci con le dita.
L’imbracatura le segava il petto, improvvisamente soffocante, così sganciò la fibbia e nello stesso momento aprì
il portellone con un calcio, quasi cadendo nel vicolo in
penombra. L’odore di grasso e whisky che proveniva dalla taverna le riempì i polmoni mentre respirava a fondo,
cercando di placare la rabbia.
Sarebbe andata alla stazione di polizia. Era troppo tardi, ormai – domani, allora: di mattina, come prima cosa.
Sarebbe stata calma e logica e avrebbe spiegato perché le
loro supposizioni erano sbagliate. Avrebbe fatto riaprire il caso.
Scarlet passò il polso sotto lo scanner posto accanto al
portellone della navicella e lo spalancò con più foga di
quanta gli stantuffi potessero sopportare.
Avrebbe detto al detective che doveva continuare a cercare. Si sarebbe fatta ascoltare. Gli avrebbe fatto capire
che la nonna non se n’era andata di sua spontanea volontà, e che sicuramente non si era uccisa.
Nel retro della navicella erano stipate una mezza dozzina di cassette di plastica piene di verdure dell’orto, ma
Scarlet a malapena le vide. Era a chilometri di distanza,
a Tolosa, pianificando la conversazione nella sua testa,
richiamando ogni briciolo di ragionevolezza e di potere
di persuasione in suo possesso.
A sua nonna era successo qualcosa. C’era qualcosa che
non andava e se la polizia non avesse continuato a cercare, Scarlet li avrebbe trascinati tutti in tribunale e fatto
in modo che ognuno di quei detective testa di rapa fosse
radiato dall’albo e non potesse più lavorare e…
Prese due pomodori rosso brillante, ruotò sui talloni e,
stringendoli nei pugni, li lanciò contro il muro di pietra.
I pomodori si spappolarono, schizzando succo e semi sui
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mucchi di spazzatura che aspettavano di essere rimossi.
La fece sentire bene. Scarlet ne agguantò un altro, immaginando l’espressione dubbiosa del detective quando
avrebbe cercato di spiegargli che sparire all’improvviso non era un comportamento abituale per sua nonna.
Immaginò i pomodori ricoprire il suo sorrisino compiaciuto…
Una porta si spalancò proprio mentre il quarto pomodoro veniva sacrificato. Scarlet si bloccò, con la mano già
allungata a prenderne un altro, mentre il proprietario della taverna compariva sulla soglia. Il viso di Gilles splendeva mentre lui osservava il disastro viscido e rossastro
che Scarlet aveva lasciato sul muro del suo edificio.
— È meglio che quelli non siano i miei pomodori.
Lei ritirò la mano dalla cassetta e se la sfregò contro i
jeans già macchiati. Poteva sentire il calore emanato dal
suo viso e il pulsare frenetico del polso.
Gilles si asciugò il sudore dalla testa quasi pelata e la
fissò con la sua espressione abituale. — Allora?
— Non erano i tuoi — borbottò lei. Il che era vero: tecnicamente erano ancora suoi finché lui non glieli avesse pagati.
Lui grugnì. — Allora ti scalo solo tre univ per dover
ripulire questo casino. Adesso, se hai finito con il tiro a
segno, magari puoi degnarti di portare dentro qualcosa.
Sono due giorni che servo lattuga appassita.
Rientrò nel ristorante, lasciando la porta spalancata. Il
rumore dei piatti e delle risate si riversò nel vicolo, straniante nella sua normalità.
Il mondo stava crollando intorno a Scarlet e nessuno
sembrava notarlo. Sua nonna era scomparsa e a nessuno
importava.
Tornò a voltarsi verso il portellone e afferrò una cassetta di pomodori, aspettando che il suo cuore smettesse
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di martellare contro lo sterno. Le parole del mess continuavano a invadere i suoi pensieri, che però iniziavano a
farsi più chiari. La prima ondata di aggressività restò lì a
marcire con i pomodori spiaccicati.
Quando riuscì a fare un respiro senza che le si rivoltassero i polmoni, appoggiò la cassetta su quella delle patate rosse e le scaricò entrambe dalla navicella.
I cuochi ignorarono Scarlet mentre lei evitava le padelle sfrigolanti, facendosi strada verso la cella frigorifera. Sistemò le cassette sulle mensole che erano state etichettate a pennarello, cancellate e rietichettate dozzine
di volte negli anni.
— Bonjour, Scarling!
Scarlet si voltò, scostandosi i capelli dal collo sudato.
Émilie sorrideva sulla soglia, gli occhi splendenti per
qualche segreto, ma arretrò quando notò l’espressione di
Scarlet. — Cosa…
— Non mi va di parlarne. — Passando oltre la cameriera, si diresse verso la cucina, ma Émilie fece un verso
sprezzante e le trottò dietro.
— Allora non farlo. Sono solo contenta che tu sia qui
— disse, aggrappandosi al gomito di Scarlet mentre imboccavano nuovamente il vicolo. — Perché è tornato.
— A dispetto degli angelici riccioli biondi che incorniciavano il viso di Émilie, il suo sorriso suggeriva i pensieri più diabolici.
Scarlet si allontanò e afferrò una cassa di pastinache e
ravanelli, passandola alla cameriera. Non rispose, incapace di interessarsi a chi fosse lui e al perché era importante che fosse tornato. — Grande — disse, riempiendo
un cestino di cipolle rosse.
— Non ti ricordi, vero? Dai, Scar, il lottatore di cui ti
parlavo l’altro… oh, forse era Sophia.
— Il lottatore? — Scarlet strizzò gli occhi mentre un
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mal di testa cominciava a pulsarle dietro la fronte. — Sul
serio, Ém?
— Non fare così. È dolce! Ed è venuto quasi tutti i
giorni questa settimana, si siede sempre nel mio settore, il che sicuramente significa qualcosa, non pensi? — Visto che Scarlet non commentava, la cameriera
posò le casse e recuperò un pacchetto di gomme dalla
tasca del grembiule. — È sempre molto tranquillo, non
come Roland e il suo gruppetto. Penso che sia timido…
e solo. — Si infilò una stecca in bocca e ne offrì un’altra
a Scarlet.
— Un lottatore timido? — Scarlet rifiutò la gomma con
un gesto. — Ma ti senti?
— Devi vederlo per capire. Ha questi occhi che… —
Émilie si sventolò la fronte con le dita, fingendo un attacco di cuore.
— Émilie! — Gilles apparve nuovamente alla porta.
— Smettila di far prendere aria alla bocca e torna dentro. Ti vogliono al tavolo quattro. — Lanciò un’occhiata
a Scarlet, l’avvertimento silenzioso che le avrebbe scalato altri univ dalla paga se non avesse smesso di distrarre
il personale, quindi tornò dentro senza aspettare una risposta. Émilie fece una linguaccia alle sue spalle.
Sistemandosi il cesto di cipolle contro il fianco, Scarlet
chiuse il portellone e superò la cameriera. — Il tavolo
quattro è lui?
— No, lui è al nove — brontolò Émilie, sollevando il
carico di verdure fresche. Mentre attraversavano le cucine
fumanti, Émilie trasalì. — Oh, sono così stupida! È tutta
la settimana che voglio mandarti un mess per chiederti
della tua grand-mère. Hai saputo niente di nuovo?
Scarlet serrò la mascella, le parole del mess che risuonavano come trombe nella sua testa. Caso chiuso.
— Niente di nuovo — rispose, lasciando che la conver12
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sazione sfumasse nel caos dei cuochi che urlavano uno
con l’altro lungo i fornelli.
Émilie la seguì fino alla cella frigorifera e mise a terra il proprio carico. Scarlet si tenne occupata riordinando le cassette prima che la cameriera potesse dire qualcosa di ottimista. Émilie pronunciò lo stesso le frasi di
circostanza: — Cerca di non preoccuparti, Scar. Tornerà
— prima di tornare nella taverna.
La mandibola di Scarlet stava iniziando a dolerle a forza di digrignare i denti. Tutti parlavano della scomparsa
di sua nonna come se si fosse trattato di un gatto randagio che avrebbe ritrovato la via di casa non appena avesse avuto fame. Non preoccuparti. Tornerà.
Ma era scomparsa da più di due settimane. Scomparsa e basta, senza mandare un mess, senza un arrivederci,
senza un avvertimento. Si era anche persa il diciottesimo compleanno di Scarlet, nonostante la settimana prima avesse comprato gli ingredienti per farle la sua torta
di limone preferita.
Nessuno dei braccianti l’aveva vista andarsene. Nessuno degli androidi aveva registrato niente di sospetto.
Aveva lasciato il suo schermo portatile, che tuttavia non
offriva nessun indizio tra i mess in archivio, il calendario o la cronologia di rete. Il fatto di essere partita senza
portarselo dietro era di per sé abbastanza sospetto. Nessuno andava da nessuna parte senza schermo portatile.
Ma non era quella la cosa peggiore. Non lo schermo
abbandonato, né la torta non fatta.
Scarlet aveva anche trovato il chip identificativo della nonna.
Il suo chip identificativo. Avvolto in una garza macchiata di rosso del suo sangue e lasciato come un pacchettino sul bancone della cucina.
Il detective aveva detto che era ciò che le persone face13
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vano quando scappavano e non volevano essere trovate:
si strappavano il chip identificativo. L’aveva detto con il
tono di chi ha appena risolto il mistero, ma Scarlet immaginò che probabilmente anche molti rapitori fossero
a conoscenza di quel trucco.
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CAPITOLO 2
S
carlet individuò Gilles dietro il banco di lavoro, che
faceva colare della besciamella su un sandwich al prosciutto. Gli girò intorno, urlando per attirare la sua attenzione e ottenendo uno sguardo infastidito.
— Ho finito — disse, ricambiando la smorfia. — Vieni
a firmare la consegna.
Gilles dispose una porzione di frites intorno al sandwich
e fece scivolare il piatto sul bancone d’acciaio, verso di
lei. — Portalo al primo tavolo e te la faccio trovare pronta quando torni.
Scarlet si innervosì. — Io non lavoro per te, Gilles.
— Sii grata che non ti mando fuori nel vicolo con uno
spazzolone. — Le diede le spalle, la maglietta bianca ingiallita da anni di sudore.
Le dita di Scarlet prudevano dalla voglia di lanciargli il
sandwich sulla testa per vedere che effetto faceva in confronto ai pomodori, ma il volto severo della nonna si infiltrò rapidamente nelle sue fantasie. Quanto sarebbe stata
delusa se, tornando, avesse scoperto che Scarlet aveva perso uno dei loro clienti più fedeli per un attacco di rabbia?
Afferrando il piatto, Scarlet uscì dalla cucina e fu quasi
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stesa da un cameriere non appena la porta a vento sbatté dietro di lei. La Taverna Rieux non era un posto piacevole: il pavimento era appiccicoso, l’arredamento un’accozzaglia di tavoli e sedie a buon mercato, l’aria satura
di grasso. Ma in una cittadina in cui le attività preferite
erano bere e spettegolare, era sempre piena, specialmente la domenica, quando i braccianti locali si dimenticavano dei raccolti per ben ventiquattr’ore.
Mentre aspettava che si creasse un varco tra la gente, Scarlet posò lo sguardo sui tre mediaschermi dietro il
bancone. Stavano trasmettendo la stessa notizia che rimbalzava sulla rete dalla notte precedente. Tutti parlavano
del ballo annuale del Commonwealth Orientale, di cui
la Regina Lunare era ospite d’onore e dove una ragazza
cyborg si era imbucata, aveva fatto esplodere alcuni lampadari e cercato di assassinare la regina in visita… o forse
aveva cercato di assassinare il neoincoronato imperatore. Ognuno sembrava avere una teoria differente. Il fermo immagine sullo schermo mostrava un ingrandimento della ragazza con macchie di sporco sul viso e ciocche
di capelli umidi che sfuggivano da una coda disordinata.
Era innanzitutto un mistero come fosse riuscita a farsi
ammettere a un ballo reale.
— Avrebbero dovuto mettere fine alle sue sofferenze
quando è caduta da quelle scale — disse Roland, un cliente abituale della taverna, con l’aria di chi stazionava al
bancone da mezzogiorno. Allungò un dito verso lo schermo e mimò l’atto di sparare con una pistola. — Le avrei
piazzato una pallottola dritta in testa. Che liberazione.
Quando un brusio di approvazione serpeggiò tra gli avventori, Scarlet distolse gli occhi con disgusto e si spostò
verso il tavolo più vicino.
Riconobbe immediatamente l’affascinante lottatore di
Émilie, in parte grazie all’assortimento di cicatrici e livi16
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di sulla pelle olivastra, ma più che altro perché era l’unico straniero nella taverna. Era più trasandato di quanto
avesse immaginato dal deliquio di Émilie, con una massa
di capelli sparati in tutte le direzioni e un livido recente
che andava gonfiandosi intorno a un occhio. Sotto il tavolo, le sue gambe scattavano irrequiete come quelle di
un giocattolo a molla.
Tre piatti erano già sparsi intorno a lui, vuoti a parte
le macchie di unto, i pezzi di uova e alcune fette intonse
di pomodoro e lattuga.
Non aveva realizzato che lo stava fissando finché lui
non sollevò lo sguardo, incontrando il suo. I suoi occhi
erano di un verde innaturale, come uva acerba ancora sulla vite. La stretta di Scarlet sul piatto si intensificò e improvvisamente lei comprese l’estasi di Émilie. Ha questi
occhi che…
Facendosi strada tra la gente, depositò il sandwich sul
tavolo. — Hai ordinato il croque, monsieur?
— Grazie. — La sua voce la sorprese, perché non era
stentorea o roca come si sarebbe aspettata, ma piuttosto
bassa ed esitante.
Forse Émilie aveva ragione. Forse era davvero timido.
— Sei sicuro che non vuoi che ti portiamo il maiale
intero? — gli chiese, impilando i tre piatti vuoti. — Risparmierebbe ai camerieri la fatica di andare avanti e indietro dalla cucina.
I suoi occhi si allargarono e per un attimo Scarlet si
aspettò che le chiedesse se era possibile, ma poi la sua
attenzione tornò a rivolgersi al sandwich. — Avete del
buon cibo, qui.
Lei trattenne un’espressione di scherno. “Buon cibo”
e “Taverna Rieux” erano due concetti che non era solita
associare. — La lotta deve farti venire un certo appetito.
Lui non rispose. Le sue dita giocherellarono con la can17
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nuccia della sua bevanda e Scarlet notò che il tavolo iniziava a tremare a causa delle sue gambe irrequiete.
— Bene. Buon appetito — disse, sollevando i piatti. Ma
poi si fermò, inclinandoli verso di lui. — Sei sicuro di non
volere i pomodori? Sono la parte migliore, sono cresciuti
nel mio orto. Anche la lattuga, a dire il vero, ma non era
così appassita quando l’ho raccolta. Lascia perdere, non
vuoi la lattuga. Ma i pomodori?
L’espressione del lottatore perse un po’ d’intensità. —
Non li ho mai provati.
Scarlet sollevò un sopracciglio. — Mai?
Dopo un momento di esitazione, lui appoggiò il bicchiere e sollevò le due fette di pomodoro, gettandosele
in bocca.
La sua espressione si bloccò a metà di un morso. Sembrò pensarci per un momento, gli occhi vacui, prima di
deglutire. — Non è quello che mi aspettavo — disse, alzando nuovamente lo sguardo verso di lei. — Ma non è
orribile. Ne ordinerò altri, se posso.
Scarlet aggiustò la presa sui piatti, afferrando un coltello
che stava per scivolarle. — Sai, io veramente non lavoro…
— Eccola! — esclamò qualcuno vicino al bancone, dando il via a un mormorio eccitato che si propagò per tutta
la taverna. Scarlet alzò lo sguardo verso i mediaschermi.
Mostravano un giardino rigoglioso, colmo di bambù e gigli, che riluceva dopo un recente temporale. La luce calda
della sala da ballo si riversava lungo un’ampia scalinata.
La telecamera di sicurezza si trovava sopra la porta, puntata verso le ombre che si allungavano sul sentiero. Era
una bella scena. Tranquilla.
— Dieci univ che una certa ragazza sta per perdere il
suo piede su quelle scale! — urlò una voce, seguita da
un’ondata di risate. — Qualcuno vuole scommettere?
Forza, quante sono le probabilità, davvero?
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Un attimo dopo, la ragazza cyborg comparve sullo
schermo. Fuggì dalla porta e giù lungo le scale, rompendo la serenità del giardino con le ondate del suo vestito
argenteo. Scarlet trattenne il fiato, sapendo cosa stava per
succedere, ma trasalì ugualmente quando la ragazza inciampò e cadde. Crollò sui gradini e atterrò goffamente
alla base della scala, sdraiata scompostamente sul sentiero. Sebbene non ci fosse l’audio, Scarlet immaginò la
ragazza respirare affannata mentre si girava sulla schiena
e fissava impaurita la porta. Delle ombre si delinearono
lungo le scale e una serie di figure irriconoscibili apparvero sopra di lei.
Avendo sentito la storia già una dozzina di volte, Scarlet
cercò il piede mancante che era rimasto sulle scale, il metallo splendente alla luce della sala da ballo. Il piede da
cyborg della ragazza.
— Dicono che quella a sinistra sia la regina — disse
Émilie. Scarlet sobbalzò, non avendo sentito la cameriera avvicinarsi.
Il principe – no, l’imperatore adesso – corse lungo le
scale e si fermò per raccogliere il piede. La ragazza afferrò
l’orlo del vestito, abbassandoselo sul polpaccio, ma non
poté nascondere i tentacoli di fili morti che pendevano
dal suo moncone.
Scarlet sapeva cosa dicevano i pettegolezzi. Non solo
la ragazza era stata confermata come Lunare – una fuggiasca fuorilegge, pericolosa per la società terrestre – ma
era anche riuscita a fare il lavaggio del cervello all’Imperatore Kai. Alcuni pensavano che fosse alla ricerca del
potere, altri di ricchezza. E c’era chi pensava che avesse
provato a far scoppiare quella guerra così a lungo minacciata. Ma non importava quali fossero le intenzioni della ragazza, Scarlet non poteva fare a meno di provare una
punta di pietà. Dopotutto era solo un’adolescente, anco19
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ra più giovane di lei, e aveva un’aria decisamente patetica mentre giaceva ai piedi di quella scalinata.
— Cosa dicevi a proposito di porre fine alle sue sofferenze? — disse uno degli uomini al bancone.
Roland agitò il dito verso lo schermo. — Proprio quello. Non ho mai visto niente di così disgustoso in vita mia.
Un tizio verso la fine del bancone si chinò in avanti così
da poter vedere Roland oltre gli altri avventori. — Non
sono sicuro di essere d’accordo. Penso che sia quasi carina, mentre finge di essere così inerme e innocente. Forse invece di rimandarla sulla Luna possono darla a me?
La sua frase fu accolta da una grassa risata. Roland sbatté la mano sul bancone, facendo tremare un piattino di
senape. — Senza dubbio quella gamba di metallo sarebbe una compagna di letto interessante!
— Porco — borbottò Scarlet, ma il suo commento si
perse tra le risa sguaiate.
— Non mi dispiacerebbe avere la possibilità di scaldarla un po’! — aggiunse una voce nuova, e i tavoli tremarono per i brindisi e le risate.
La rabbia risalì lungo la gola di Scarlet che mezzo sbatté
e mezzo lasciò cadere i piatti sul tavolo. Ignorò le espressioni sbalordite delle persone intorno e si fece largo tra la
folla, spostandosi dietro al bancone.
Il barista, sconcertato, la fissò mentre liberava la strada
da alcune bottiglie di liquore e si arrampicava sul mobile
che si estendeva lungo la parete. Allungando il braccio,
aprì un pannello sulla parete dietro uno scaffale pieno di
bicchieri da cognac e staccò il cavo di collegamento alla
rete. I tre schermi divennero improvvisamente neri, il
giardino del palazzo e la ragazza cyborg svanirono.
Un ruggito di protesta si sollevò intorno a Scarlet.
Lei si voltò per affrontarli, scalciando accidentalmente una bottiglia di vino giù dal mobile. Il vetro si infranse
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sul pavimento, ma Scarlet a malapena lo udì mentre agitava il cavo verso la folla inferocita. — Dovreste avere tutti un minimo di rispetto! Quella ragazza sarà giustiziata!
— Quella ragazza è una Lunare! — urlò una donna. —
Dev’essere giustiziata!
Il sentimento comune fu espresso da una serie di cenni di assenso e qualcuno lanciò una crosta di pane contro la spalla di Scarlet. Lei si piazzò le mani sui fianchi.
— Ha solo sedici anni.
Si sollevò un’ondata di obiezioni, mentre uomini e donne indistintamente si alzavano in piedi e urlavano contro i Lunari e i cattivi e quella ragazza che aveva cercato di uccidere un leader dell’Unione!
— Ehi, ehi, calmatevi tutti! Date un po’ di tregua a
Scarlet! — urlò Roland con tono sicuro, sostenuto dal
whisky nel suo fiato. Alzò le mani verso la folla che premeva. — Sappiamo tutti che nella sua famiglia c’è una
vena di pazzia. Prima la vecchia oca scappa, e adesso Scar
difende i diritti dei Lunari!
Una serie di risate e fischi trafisse le orecchie di Scarlet,
ma lei la sentì a malapena oltre il rombo del sangue. Senza sapere come avesse fatto a scendere dal mobile, si ritrovò improvvisamente sporta a metà oltre il bancone,
tra bottiglie e bicchieri che si infrangevano, mentre il suo
pugno incontrava l’orecchio di Roland.
Lui gemette e si voltò per affrontarla. — Ma cosa…
— Mia nonna non è pazza! — Gli afferrò un lembo della camicia. — È questo che hai detto al detective quando
ti ha interrogato? Gli hai detto che era pazza?
— Certo che gli ho detto che era pazza! — urlò lui di
rimando, mentre il tanfo dell’alcol la investiva. Scarlet
strinse la stoffa finché il pugno non le fece male. — E
scommetto che non sono stato l’unico. Col suo modo di
starsene rintanata in quella casa, parlando agli animali e
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agli androidi come se fossero persone, e tenendo invece
le persone alla larga con il fucile…
— Una volta sola, ed era un venditore di escort!
— Non sono minimamente sorpreso che Nonna Benoit
abbia perso l’ultima rotella. Per me sarebbe dovuto succedere un bel po’ di tempo fa.
Scarlet spinse forte Roland con entrambe le mani. Lui
inciampò contro Émilie, che aveva cercato di separarli.
Émilie urlò e cadde contro un tavolo nello sforzo di evitare che Roland la schiacciasse.
Roland recuperò l’equilibrio con l’espressione di chi era
indeciso se ridere o ringhiare. — Ti conviene stare attenta, Scar, o finirai proprio come quella vecchia…
Le gambe del tavolo stridettero contro le mattonelle del
pavimento e un attimo dopo il lottatore aveva una mano
intorno al collo di Roland, sollevandolo dal pavimento.
La taverna piombò nel silenzio. Il lottatore, impassibile, teneva sollevato Roland come se non fosse stato altro
che una bambola, ignorando i suoi spasmi.
Scarlet restò a bocca aperta, mentre lo spigolo del bancone le si conficcava nello stomaco.
— Credo che tu le debba delle scuse — disse il lottatore nel suo tranquillo tono monocorde.
Un gorgoglio sfuggì dalla bocca di Roland. I suoi piedi
si dimenarono alla ricerca del pavimento.
— Ehi, lascialo andare! — urlò un uomo, balzando dallo sgabello. — Lo ucciderai! — Afferrò il polso del lottatore, ma avrebbe potuto anche essere una sbarra di ferro per
quanto si mosse. Avvampando, l’uomo lasciò la presa e
tirò indietro il braccio per dare un pugno, ma non appena
si mosse, la mano libera del lottatore scattò e lo bloccò.
Scarlet barcollò lontano dal bancone, notando vagamente un tatuaggio composto da lettere e numeri privi
di senso sull’avambraccio del lottatore. opsl962.
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Il lottatore sembrava ancora arrabbiato, ma ora c’era
anche un vago cenno di divertimento nella sua espressione, come se avesse appena ricordato le regole di un
gioco. Riappoggiò Roland sul pavimento, lasciando simultaneamente il pugno dell’altro uomo.
Roland si appoggiò a uno sgabello per riprendere l’equilibrio. — Che problema hai? — sputò, massaggiandosi il
collo. — Sei un pazzo venuto dalla città o cosa?
— Eri irrispettoso.
— Irrispettoso? — ringhiò Roland. — Hai appena cercato di uccidermi!
Gilles irruppe dalla cucina, spalancando la porta a vento. — Cosa sta succedendo, qui?
— Questo tizio sta cercando di scatenare una rissa —
rispose qualcuno dalla folla.
— E Scarlet ha rotto gli schermi!
— Non li ho rotti, idiota! — urlò Scarlet, anche se non
era sicura di chi avesse parlato.
Gilles osservò gli schermi spenti, Roland che si stava
ancora sfregando il collo, le bottiglie e i bicchieri rotti
che ricoprivano il pavimento bagnato. Lanciò uno sguardo torvo al lottatore. — Tu — disse, indicandolo. — Fuori
dalla mia taverna.
Lo stomaco di Scarlet si strinse. — Non ha fatto…
— Non cominciare, Scarlet. Quanti disastri vuoi combinarmi oggi? Stai cercando di far sì che chiuda il mio conto?
Scarlet si adirò, la faccia ancora in fiamme. — Magari mi
riprendo la consegna e vediamo se ai tuoi clienti piacerà
mangiare verdura che non sa di niente, d’ora in poi.
Girando intorno al bancone, Gilles strappò il cavo dalla mano di Scarlet. — Pensi davvero di gestire l’unica fattoria della Francia? Sinceramente, Scar, mi rifornisco da
voi solo perché tua nonna mi farebbe passare l’inferno se
non lo facessi!
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MARISSA MEYER
Scarlet serrò le labbra, trattenendo per sé il frustrante ricordo che sua nonna non era più lì e che quindi lui
avrebbe dovuto semplicemente ordinare da qualcun altro se era ciò che voleva.
Gilles rivolse di nuovo la sua attenzione al lottatore.
— Ti ho detto di andartene!
Ignorandolo, il lottatore allungò la mano verso Émilie,
che era ancora raggomitolata contro il tavolo. Il suo volto era arrossato e la sua gonna inzuppata di birra, ma lo
sguardo le brillava per l’infatuazione mentre si lasciava
aiutare a rimettersi in piedi.
— Grazie — disse, mentre il suo sussurro rompeva l’inquietante silenzio.
Finalmente, il lottatore incrociò lo sguardo torvo di
Gilles. — Me ne vado, ma non ho pagato per il mio pasto. — Esitò. — Posso pagare anche per i bicchieri rotti.
Scarlet strizzò gli occhi. — Cosa?
— Non voglio i tuoi soldi! — replicò Gilles, offeso, il
che fu uno shock ancora maggiore per Scarlet che lo aveva sempre sentito lamentarsi per il denaro e per come i
suoi fornitori lo stessero prosciugando. — Ti voglio fuori
dalla mia taverna!
Gli occhi chiari del lottatore saettarono verso Scarlet e
per un attimo lei avvertì una sorta di connessione tra loro.
Eccoli lì, entrambi emarginati. Indesiderati. Pazzi.
Con il polso accelerato, lei seppellì quel pensiero.
Quell’uomo era un problema. Combatteva con le persone per vivere – o forse addirittura per divertimento. Non
sapeva cosa fosse peggio.
Voltandosi, il lottatore chinò la testa in quello che sembrava un gesto di scuse e si diresse verso l’uscita. Mentre la superava, Scarlet non poté fare a meno di pensare
che, nonostante l’aspetto brutale, non sembrava più minaccioso di un cane bastonato.
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