Relazione sul Percorso della Memoria tenuto a scuola in occasione
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Relazione sul Percorso della Memoria tenuto a scuola in occasione
Relazione sul Percorso della Memoria tenuto a scuola in occasione del Giorno della Memoria e sviluppato nelle tre tappe di ascolto della canzone, incontro con i testimoni e riflessione sulla poesia. La presente relazione tratta il Percorso della Memoria iniziato dalle classi terze della scuola secondaria di primo grado di Pozzuolo del Friuli il 20 gennaio 2010 e che si è portato avanti Questo giorno è stato istituito dal fino al giorno della Memoria celebrato il 27 gennaio. Governo italiano con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 che commemora le vittime del nazismo e del fascismo, dell'Olocausto e di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati. La data è stata scelta in ricordo dell’apertura dei cancelli del campo di Auschwitz che ha messo in luce i crimini nazisti. Gli obbiettivi di questa attività erano ricordare i dolorosi episodi che hanno portato alla morte di migliaia di persone, ragionare e riflettere sull'accaduto, individuare un messaggio da trasmettere alle nuove generazioni, ascoltare le testimonianze dei parenti dei deportati, analizzare poesie e canzoni sull’argomento. Gli alunni hanno lavorato talvolta in piccoli gruppi, talvolta a classi intere. Per iniziare questo percorso gli studenti hanno ascoltato "Auschwitz - La Canzone Del Bambino Nel Vento" di Francesco Guccini correlata a fotografie scattate nei campi di concentramento. Le fotografie hanno suscitato negli alunni molta compassione e hanno trasmesso la crudeltà dei nazisti tedeschi nei confronti degli ebrei. Le immagini ritraggono delle persone solo ossa, senza vestiti, le lapidi dei deportati uccisi, edifici di Auschwitz ed il cancello d’ingresso da cui entrarono migliaia di persone, ma ne uscirono pochissimi superstiti. In particolare, ha suscitato un senso di orrore l'immagine di un nazista che puntava il fucile contro una madre e il figlio piccolino. La canzone è una poesia in musica, divisa in sette strofe, terzine, in cui sono presenti molte rime e ripetizioni e molte parole sono state usate come simboli di una realtà più ampia e complessa. Il nome del campo Auschwitz non si riferisce solo a quel campo di concentramento, ma a tutti i lager in cui si commisero efferatezze. Il termine vento viene utilizzato per indicare la forza distruttiva dell’uomo, ma anche il desiderio di un vento di pace che dia riposo alle anime di quanti sono morti. La canzone parla di un bambino che è stato ucciso nei campi di concentramento ad Auschwitz e che si è dissolto in polvere e attraverso il camino del forno crematorio si è disperso nel vento. Dice che ad Auschwitz c'erano tante persone, ma ovunque un solo grande silenzio e si chiede come può un uomo uccidere un suo simile. Dice che nel mondo c'è ancora la guerra e solo quando cesserà, e l'uomo imparerà a vivere nella pace, quel vento di morte si poserà. La canzone è sembrata molto coinvolgente e realistica, sono piaciute le parole usate come simboli che hanno efficacemente evocato la realtà dello sterminio. La canzone insegna che, quando finalmente l'uomo imparerà a vivere senza fare la guerra e ammazzare, allora le anime delle persone sterminate ad Auschwitz si calmeranno e troveranno la pace che non hanno conosciuto. La seconda tappa del percorso è stata l'incontro con testimoni indiretti dei campi di sterminio. Questa è stata la tappa che ha più coinvolto. Sono venuti a scuola due fratelli, Romano e Paolo Piccoli, di Cividale che hanno raccontato ai ragazzi la loro esperienza personale relativa ai campi di concentramento. Quando avevano circa 8 anni, nell'aprile 1944, frequentavano la scuola elementare dalle Suore Orsoline di Cividale, alla fine delle lezioni, erano soliti andare a trovare il padre Alfredo Piccoli nel suo negozio. Ma, il giorno 22 aprile, un conoscente andò a prenderli a scuola e per mano e li portò direttamente a casa, per non farli passare dal negozio. Di sfuggita mentre passavano davanti al negozio del padre, videro parcheggiato un mezzo militare tedesco. Più tardi vennero a sapere che i soldati avevano preso loro nonna, Elvira Schoenfeld, allora settantenne, per portarla a Udine ed interrogarla, solo poi l'avrebbero riportata a casa. La figlia Amalia, di 24 anni, volle accompagnare l’anziana madre. Dopo un po’ di tempo, dato che non tornavano a casa, la madre dei due ragazzi insieme a loro andò a Udine, al comando delle SS a cercarle, ma gli ufficiali dissero loro che l'interrogatorio non era ancora finito. Dopo alcuni giorni ad Alfredo, padre dei ragazzi, venne recapitato un bigliettino scritto dalla madrina di Amalia, che viveva a Udine, il quale annunciava che Elvira e la figlia erano state purtroppo tradotte in Germania. La giovane, alla stazione di Udine, era riuscita, probabilmente, a chiedere ad un ferroviere di informare la madrina di quanto accadeva. Passarono mesi in cui Alfredo chiese notizie a Udine di sua madre e sua sorella, ma nessuno sapeva dirgli niente. Andò persino sul Lago di Garda per incontrare Mussolini a cui chiedere notizie delle parenti, ma senza ottenerle. In realtà, in quel momento, come Romano e Paolo appresero in seguito, Elvira e Amalia erano già morte ad Auschwitz. Non appena la guerra fu terminata Alfredo, ancora all’oscuro sulla sorte delle familiari, iniziò le ricerche. Al confine italiano, dopo il 27 gennaio, mise dei volantini con la foto della madre e della giovane sorella, scrisse a vari giornali, scrisse persino al Comando Americano, alla Croce rossa in Svizzera e allo Stato del Vaticano, come testimoniano le molte cartoline che i fratelli Piccoli hanno mostrato ai ragazzi quali documenti della loro storia. Agli annunci rispose un giorno Sandro Crau, un internato triestino sfuggito al lager, che contattò un familiare e raccontò di aver fatto il viaggio insieme alle due donne. Sandro raccontò che queste da Udine furono portate a Trieste e internate a San Sabba. Il 27 aprile alle 02:00, su un camion con altre 152 persone, furono trasportate alla stazione e caricate su un vagone bestiame in cui per cinque giorni viaggiarono senza acqua né cibo. L’unica salvezza per loro fu l’acqua piovana che, dato il maltempo, penetrava all’interno del vagone e gli permise di dissetarsi. Dell’intero vagone, in cui erano anche state rinchiuse le donne, solo i dieci più giovani passeggeri rimasero vivi e videro i loro compagni addentrarsi a Birkenau verso degli edifici, spacciati per “bagni pubblici”: solo più tardi scoprirono che erano camere a gas. Il signor Crau, unico superstite di tutta la sua famiglia, ricordò che la giovane Amalia, durante il viaggio, rincuorò continuamente e si prese molta cura della mamma. Quando Alfredo venne a sapere la terribile fine delle sue amate non ne fece più parola con nessuno e si chiuse in un profondo silenzio. Il giornale “LA VOCE DEL NATISONE” fu il primo quotidiano locale che annunciò la vicenda delle due donne. Questa storia è molto ricca di particolari perché i parenti hanno conservato tutta la documentazione delle ricerche e hanno tenuto viva la memoria per non dimenticare la triste e dolorosa vicenda della zia e della nonna. La cosa che ha colpito di più è che, mentre nelle anagrafi di alcuni Comuni i fogli riguardanti gli ebrei vennero fatti sparire, buttati o nascosti per metterli in salvo, nell'anagrafe del Comune di Cividale, un solerte funzionario, sul foglio di Elvira, scrisse che era ebrea e, al posto di casalinga, che era benestante. I due fratelli hanno anche riferito agli alunni che ora i nomi delle due donne sono presenti nel Museo Yad Vashem di Gerusalemme, che raccoglie tutti i nomi degli ebrei morti durante lo sterminio nazista. Anche la scuola media di Cividale è stata recentemente intitolata alle due donne morte ad Auschwitz. L'ultima tappa del percorso è stata la riflessione sulla poesia "Se questo è un uomo" di Primo Levi, uno scrittore che ha vissuto nei campi di sterminio. La poesia è composta di cinque strofe tra cui sono presenti terzine, quartine, quintine e sestine. Inoltre sono presenti ripetizioni di uno stesso termine o espressione, come le parole "voi che", "considerate se questo è", e "senza". L'autore ne fa uso perchè sta parlando a persone fortunate che non hanno vissuto l'esperienza del lager, vuole fare capire e far penetrare in essi il senso della poesia. La poesia inizia ricordando che l'uomo è fortunato e poi descrive l'uomo e la donna all'interno dei campi di concentramento. Dice che gli uomini lavoravano nel fango, non conoscevano pace, lottavano per mezzo pane e morivano per un sì o un no. Le donne erano senza capelli e senza nome, poiché come tutti i prigionieri venivano identificate con un numero sul braccio, senza più forza di ricordare, avevano gli occhi vuoti e il grembo incapace di dare nuova vita. Negli ultimi versi il poeta scrive le parole "Ripetetele ai vostri figli" per essere sicuro che ciascun uomo diverrà testimone di questi eventi per non far ripetere lo stesso errore ai propri figli, futuro del mondo. Gli ultimi tre versi sono una specie di avvertimento: se l'uomo non fa questo, cioè non fa memoria, e se non ricorderà quanto accaduto, potrebbero capitare fatti anche più gravi, potrebbe sfasciarsi la casa, potrebbe, venire la malattia sull'uomo e i figli potrebbero non dare più retta ai propri genitori. Dal percorso sulla memoria, agli alunni sono rimasti in mente degli avvenimenti molto violenti e vergognosi che non si devono mai più ripetere per nessun motivo, perchè sono stati disastrosi, hanno seminato morte e dolore e distrutto la vita di tantissimi uomini. La storia ha insegnato ai ragazzi che le razze non esistono e che gli uomini sono tutti uguali e devono comportarsi come dei fratelli. Anche se gli alunni conoscevano già la vicenda dei campi di concentramento, questo percorso ha impresso ancor di più i fatti e i messaggi di questa tragica pagina di storia in modo che non si cancelleranno mai più dal loro cuore. Elisa ed Elia 3A