LINGUA E LETTERATURA INGLESE I (MONOGRAFICO II

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LINGUA E LETTERATURA INGLESE I (MONOGRAFICO II
LINGUA E LETTERATURA INGLESE I
(MONOGRAFICO II SEMESTRE A.A. 2011-12)
PROF. CRISTINA VALLARO
A.A. 2011-12
Università Cattolica del Sacro Cuore - Facoltà di Scienze linguistiche e Letterature
straniere, Lettere e Filosofia
Introduzione
Il corso di Lingua e letteratura inglese I, appartenente alla facoltà di Lingue e letterature straniere, ma
mutuato, per il secondo semestre, dalla facoltà di Lettere e Filosofia, consiste in due semestri, uno di
carattere istituzionale, tenuto nel primo semestre, ed uno di carattere monografico, tenuto nel secondo.
Accanto a ciò si pongono le esercitazioni di lingua e di lettura dei testi letterari, che non vengono
esauriti in questa sede. Il corso monografico del secondo semestre, contenuto in questa dispensa, per
l’anno accademico 2011-12 ha trattato l’età elisabettiana, fornendo un inquadramento storico,
letterario e culturale sul teatro e su Shakespeare, poi ha analizzato un’opera shakespeariana, cioè “The
Tempest”, e due progresses per la regina Elisabetta I, ossia quello di Kenilworth e quello di Elvetham.
Si tenga presente che la professoressa Vallaro, negli anni accademici a venire, per il secondo semestre,
monografico, ripete sempre l’inquadramento sul teatro e su Shakespeare, che quindi rimane valido (il
quale è tratto dal libro di Giorgio Melchiori, Shakespeare), e ripete sempre l’analisi ed il commento dei
due progresses, Kenilworth ed Elvetham, che quindi rimangono validi anche per gli anni successivi (i
quali sono tratti dal suo libro Cristina Vallaro, Queen Elizabeth I on Progress), mentre cambia soltanto
l’opera di Shakespeare analizzata. La bibliografia per l’esame prevede dunque: 1) gli appunti delle
lezioni, che restando fondamentali e non sono altrove reperibili; 2) i libri G. Melchiori, Shakespeare, in
particolare i capitoli indicati a lezione di volta in volta, e C. Vallaro, Queen Elizabeth I on Progress; 3)
l’opera di Shakespeare di turno, che nell’a.a. 2011-12 è stata The Tempest, da adottare nell’edizione
Oxford World’s Classics, a cura di Stephen Orgel.
La presente dispensa contiene gli appunti di tutte le 40 ore di lezione della professoressa, presi in modo
chiaro e completo, i quali constano di ampie introduzioni su mondo elisabettiano e di commenti dei
testi di Shakespeare e dei progresses (ma non traduzioni, che vanno reperite altrove, in quanto la
professoressa a lezione non traduce), già perfettamente integrati con i libri “Shakespeare” di Melchiori,
“Queen Elizabeth I on Progress” di Vallaro e “The Tempest” a cura di Orgel. Non rimane però che
acquisire i libri di Orgel e della Vallaro per poter avere i testi di Shakespeare e dei progresses che gli
appunti commentano.
L’esame consiste solitamente in una domanda di tipo teorico, sull’inquadramento del periodo
elisabettiano, di Shakespeare, del teatro o dei progresses, ed in un paio di domande di tipo pratico, in
cui si aprono i testi di Shakespeare o dei progresses e viene chiesto di leggere bene, tradurre in
scioltezza e commentare, in accordo agli appunti, tali testi. La professoressa è abbastanza precisa ed
esigente, mentre gli assistenti sono più tranquilli e meno puntigliosi.
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Pagina 1
Teatro e teatri in Inghilterra ed a Londra, dal Medioevo al Rinascimento
- Il teatro inglese nasce nel medioevo, come sacre rappresentazioni praticate durante le messe nelle
festività sacre (natale, pasqua, pentecoste, ascensione). Essendo la messa festiva solenne, richiede
molti lettori, dunque nascono diverse parti appositamente riservate per più lettori. Lo scopo è
didascalico e didattico, e serve a mettere in contatto i fedeli con le sacre scritture, dato che i testi
liturgici sono in latino (ed infatti sono celebri i movimenti favorevoli alla liturgia nella lingua
nazionale, come i lollardi di John Wyclif per l’Inghilterra). Tuttavia le scene divengono molto
coinvolgenti tra letture, vetrate filtranti la luce divina e cori, così le rappresentazioni sono spostate
all’esterno, nella piazza della chiesa (sagrato), per evitare distrazioni, ma in questo modo i drammi
sono svincolati dal controllo ecclesiastico, e cominciano ad assumere caratteri propri. Arrivano così
costumi, effetti scenici, scenografie, dunque servono dei finanziatori: intervengono allora le guilds,
cioè le corporazioni (insieme giuridico di persone che svolgono lo stesso mestiere). Per essere più
praticabili le rappresentazioni vengono allora divise in scene e raccolte in cicli, che il teatro, divenuto
teatro itinerante (la costituzione dello stage è o su costruzioni smontabili, o su carri, detti pageants),
rappresenta viaggiando di città in città (ciclo di York, ecc...). Ne esistono di due tipi. Miracle plays, di
contenuto scritturale diretto (storie di passi celebri della “Bibbia”). Morality plays, di contenuto etico
indiretto (storie di vizi e virtù, personificate tramite allegorie, in cui il bene di dio trionfa sempre e
dove ogni uomo possa sentirsi coinvolto). Celebri moralità sono “Mankind” e “Everyman”.
- Accanto ad esso v’è un teatro culturalmente privo di messaggi morali, molto popolare, cioè quello dei
mimi, con un semplice canovaccio; infine vi è il teatro colto di stampo classico, che mette in scena la
mitologia greco-latina, diffuso presso le università o le inns of court (scuole di legge universitarie),
molto colto, elitario e dunque poco praticato.
- “Gorboduc” di Thomas Sackville e di Thomas Norton è un’opera di teatro che segna il distacco con
la tradizione teatrale medievale. Esso è il primo testo della letteratura teatrale inglese ad usare il blank
verse (inventato dall’Earl of Surrey nella sua traduzione dell’“Eneide” attorno alla metà del
Cinquecento: è lo iambic pentameter non rimato, caratteristico della poesia inglese, perché vicino alla
lingua parlata e dunque molto scorrevole), inoltre presenta l’influenza delle tragedie senecane (c’è
gusto dell’orrido, della violenza e del sangue; ci sono dei brevi dialoghi con botte e risposte
immediate; c’è un apparato mitologico, di stampo classicistico, molto marcato) e riflessi delle
“Metamorfosi” di Ovidio.
[...]
William Shakespeare
- Shakespeare è inglese, non come alcuni sostengono criticamente sia italiano (Gugliemo
Scrollalanza), in particolare siciliano, per giustificare l’alto tasso di italianità, nei canoni e nei
contenuti, delle sue opere. In effetti però, all’epoca di Shakespeare e nella cultura rinascimentale,
l’Italia è il punto di riferimento di ogni ambito culturale, dalla moda alla musica, dalla letteratura
all’arte; infatti, nella corte di Londra in età elisabettiana ci sono stati molti potenti Italiani, che possono
aver raccontato molto della cultura italiana. Shakespeare però non sceglie mai Roma ed il Lazio coevi
perché è in critica con il cattolicesimo, il papa e lo stato pontificio (a parte la Roma antica dei drammi
storici, quella di “Giulio Cesare” e “Tito Andronico” ecc...), tuttavia Shakespeare in prevalenza sceglie
Lombardia e Veneto, le più potenti dell’epoca e in contrasto collo stato pontificio, ed al massimo la
Sicilia (“The Winter Tale”). Eppure i contorni dell’atmosfera italiana sono indefiniti e vaghi, quasi non
ci fosse mai stato, quasi descrivesse l’Italia ma faccesse valere il significato per qualsiasi città,
personaggio ecc..., anche inglese.
- Ritratto di Shakespeare dal first-folio del 1623. Sembra un uomo qualunque sui quarant’anni, con
grandi calvizie ed occhiaie, nonostante il disegno sia fatto male per l’incoincidenza tra la rotazione del
busto e la testa. Un altro celebre ritratto, dal nome del collezionista che l’ha posseduto, è il Chandos
portrait, più realistico ed a colori.
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Pagina 2
- La cittadina di Stradford-Upon-Avon si trova nella contea del Warwickshire [worwikʃər]. A Nord
presenta la foresta di Arden (fattorie, campi, selve, pieno di coltivazioni, luogo di nascondiglio dei
briganti), a Sud presenta invece il Fielden. Il clima è mite, e la zona è al limite tra un Nord, più
cattolico, ed un Sud, più protestante. Le sue opere ci fanno capire che non è nato e cresciuto in tale
città, ma appunto in campagna. Stradford è una città il cui etimo si rifà ad una straet (antica strada
pavimentata romana), sul fiume Avon (celtico “afon” per fiume), che quindi nasce come un guado sul
fiume. È molto legata alla cultura cattolica, radicatasi nella sua essenza, che dunque faticherà a
convertirsi. Inizia a prosperare nel XIII secolo perché dal 1216 si svolge una fiera di tre giorni, il che
permette transiti economici e soste sulla via per la Scozia.
- Shakespeare nasce a Stratford-Upon-Avon il 23 aprile del 1564, da John Shakespeare e Mary Arden.
John già dal 1552 si trasferisce a Stradford, ha una buona ascesa economica perché è guantaio; infatti
lavora per il padre di Mary, Robert Arden, il quale è molto ricco perché ha una fattoria, dunque la
donna è benestante. Si sposano probabilmente nel 1557, e presto hanno otto figli, vivendo in una casa
molto ricca a Henley Street (piena di finestre, molto costose, e che fanno entrare aria, dunque possono
permettersi il riscaldamento), nota come Birthplace. Shakespeare è il terzogenito, e nonostante
l’assenza dell’atto di nascita, è battezzato poco dopo, dunque si riesce presumibilmente a risalire al
giorno del parto, che cade anche in concomitanza con la festa nazionale di san Giorgio (forse evento
un po’ forzato, in parallelo ciclico anche colla data di morte). Il padre fa carriera in città e diviene noto
e conosciuto, addirittura è assaggiatore di birra (titolo molto alto ai tempi), è così ricco che richiede un
coat of arms (stemma araldico), ma gli è negato: evidentemente ci sono dei controlli e da ciò risulta
che John non si reca al Sunday morning service, così cade in isolamento e man mano in disgrazia
finanziaria. Shakespeare nel frattempo ha però un’educazione degna della sua condizione: possiede i
tre livelli d’istruzione base, poi frequenta la king’s new school (è una grammar school, cioè di stampo
umanistico, che studia i classici latini, greci, europei, in lingua e letteratura, ed anche la storia e la
filosofia). Poi va a lavorare come segretario di qualche nobile (lettere e scritti diplomatici o giuridici
necessitano del latino), ma si dubita sia andato all’università ed infatti non se ne hanno prove. Fa
l’apprendistato alla bottega paterna quando questi è in fallimento. Nel 1582 si sposa con Anne
Hathaway ed ha molti figli immediatamente.
[...]
The Tempest. Act I, Scene I
- Si intuisce una gerarchia (capitano>nostromo>marinai). Entra in scena l’equipaggio nobiliare.
Alonso è il re di Napoli, e da politico è quello che cerca di assumere il controllo. Platone nella
“Repubblica” paragona il regno ad una nave, un tòpos che rimonta ad Alceo e viene usato da Orazio,
da Dante e quanti altri, quindi l’idea che la nave sia in tempesta segna uno squilibrio a livello politico,
che verrà chiarito nel corso dell’opera. Il nostromo dà un ordine ad un suo superiore, dicendogli di
tornare nelle cabine, ma in realtà è corretto, perché deve essere il nostromo ad occuparsi della
tempesta, non un nobile. La tempesta ha dunque sovvertito le gerarchie: l’uomo non è in grado di
controllare la natura, e le gerarchie umane sono nulla di fronte ad essa. Gonzalo però gli ricorda le
gerarchie terrene, dicendogli di aver rispetto. Ma il nostromo sa di essere l’unico a poter salvare la
situazione, e lo satireggia (nessuno che io ami più di me stesso), cioè vuol salvare se stesso e non il re:
essi hanno lo stesso valore in mare. Lo invita ad usare la sua autorità cancelleresca col mare in
tempesta (presa in giro), altrimenti di pregare dio nella propria cabina per salvarsi. Gonzalo si sente
offeso perché fraintende che nel mondo marinaresco, non nel mondo di Napoli, non è lui a comandare.
Infatti Gonzalo promette la forca al nostromo: non adegua il suo comportamento al contesto, e non
rinuncia alla gerarchia. Sebastian è il fratello di Alonso, ed è un personaggio più basso, che si esprime
con paura e panico (lessico più basso), infatti insulta il nostromo. Antonio spiega invece che proprio
loro, gente di mondo perché nobili, sono abituati a ciò. Gonzalo instaura un paragone tra la fragilità
della nave e quella della donna (dalla Genesi: è colpa di Eva se l’uomo è condannato; il topos della
misoginia risale poi a Giovenale, san Girolamo, Boccaccio ecc...). I màriners dicono che è tutto
perduto, e rimane solo la preghiera.
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- Cesare Vecellio elabora un manuale di moda dell’epoca, e ben si pensa che i personaggi elisabettiani,
essendo stratificati, rispecchiano bene la moda in voga in base alla loro classe sociale: i ceti più bassi
hanno colori tenui ed insignificanti, come grigio e beige, e tessuti grezzi, invece i ceti più alti hanno
colori difficili da ottenere e da non sporcare, come bianco, rosso e blu, e tessuti pregiati come la seta. I
personaggi de “La Tempesta” sono tutti italiani e vestiti alla moda italiana, che è molto in voga
nell’Inghilterra del Cinquecento.
[...]
Progresses. Kenilworth
- Celebrato nell’omonimo romanzo storico di Walter Scott, Kenilworth è il luogo dell’amante preferito
di Elisabetta, Robert Dudley, Earl of Leicester, che però si è sposato con un’altra donna, Amy Robsart,
ed ha perso il favore della regina, ma, nonostante ciò, Elisabetta lo va a trovare perché prova dei
sentimenti verso di lui, pur non volendosi mai sposare. In quegli anni, mentre il duca è alla corte di
Londra da Elisabeth, la sposa di Leicester, la Robsart, muore cadendo dalle scale, ma il gossip vuole
che ella sia morta avvelenata nella cena da qualche scagnozzo di Elisabetta per invidia o di Leicester
per poter essere di nuovo libero al matrimonio, ma solo delle indagini successive hanno chiarito che
era ammalata di tumore ed è morta svenendo per le scale e spaccandosi qualche cosa. In questo modo
però Leicester si trova vedovo e di nuovo sposabile, cercando di attirare di nuovo la sovrana per
entrare nelle sue grazie e provare addirittura a richiederla in matrimonio, nonostante lei rifiuti sempre,
pur amandolo, poiché il conte di Leicester sarebbe voluto divenire sovrano d’Inghilterra. Il castello di
Kenilworth è nella contea del Warwickshire, costruito nel 1125 da Geoffrey de Clinton, diventa una
fortezza sotto Enrico II ed una roccaforte sotto Simon de Mòntfort, un bellissimo palazzo residenziale
sotto i duchi di Làncaster e nel 1553 è dato ai Dudleys, poi sottratto dalla corona inglese, finché negli
anni ’60 del XVI secolo Elisabetta I lo ridà a Robert Dudley. Oggigiorno, la residenza è andata
distrutta, e ne rimangono solo i ruderi. Tutto l’orchestrale soggiorno a Kenilworth è fatto per divertire
ed elogiare la sovrana, ma è pieno di allusioni, allegorie e messaggi subliminari perché Elisabetta I
possa decidere di sposare il conte di Leicester.
- Al 1° giorno, sabato 9 luglio 1575, Dudley incontra Elisabeth a Long Inchington, ed arrivano al
castello verso le 20:00. Il primo incontro avviene alla prima porta, con la Sibilla, che le predice un
regno prospero e di pace (il 1572 è l’anno del trattato di Blois, tra Inghilterra e Francia, che però è
violato nello stesso anno alla notte di san Bartolomeo, quando in Francia sono massacrati gli Ugonotti,
i quali iniziano a guardare ad Elisabetta, fervente protestante, come risolutrice della diatriba religiosa,
ecco perché Elisabetta è incarnazione della pace ed iconograficamente è spesso rappresentata in senso
di pace, come in “The Allegory Of Tudor Succession”, 1572, Lucas De Heere, dove pesta una spada
ed ha in mano un ulivo), e le augura un soggiorno piacevole alla corte (è allusione al duca di
Leicester). Prima di compiere il secondo incontro, la sovrana incontra sei enormi statue di trombettieri,
sotto cui ci sono veri trombettieri che suonano, così alti da ricordare la statura fisica e morale degli
uomini ai tempi di re Artù; ma arrivati alla seconda porta, c’è il porter, il portiere, vestito in abito di
seta, che dona le chiavi di casa in mano ad Elisabetta (è sovrana d’Inghilterra, è merito suo se i nobili
sono tali, dunque tutto ciò che è sul territorio è suo; ma è anche un’allusione a divenire la padrona di
casa, dunque sposare il duca di Leicester), e la definisce “pearless Pearle”, tipico del petrarchismo (su
di Elisabetta, è simbolo di preziosismo e verginità, come già nei suoi ritratti, come l’“Armada
Portrait”, pieno di perle), ed è inoltre una creatura ultraterrena (semidivina, tra maschio e femmina). Il
terzo incontro è alla terza porta: si trova un laghetto da cui esce la celeberrima lady of the lake con due
ninfe (l’acqua ha un ruolo fondamentale nei giochi d’acqua delle fontane del giardino e del parco dove
si caccia e c’è un fiumiciattolo, ed il duca di Leicester usa molto ciò per intrattenere Elisabetta: l’acqua
è controllata dalla luna, e la simbologia lunare in Elisabetta è palese, tanto che si fa chiamare “Diana”),
ma il significato retrostante non è l’acqua, bensì c’è un’allusione a re Artù ed ai cavalieri della tavola
rotonda, nella cui leggenda appare la dama del lago: si vuol far credere che il castello di Kenilworth sia
ancora retto dagli eredi di re Artù, ed essendo Artù di origini gallesi, si vuole indirettamente lodare le
origini gallesi dei Tudor (vedi Owen Tudor, gentiluomo del Galles) e di Elisabetta.
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