per un`ipotesi interpretativa - Società Italiana di Scienza Politica

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per un`ipotesi interpretativa - Società Italiana di Scienza Politica
Rendita fondiaria e sviluppo urbano nella riqualificazione urbana: per un'ipotesi interpretativa,
Società Italiana di Scienza Politica, XXIV Convegno, Università IUAV di Venezia, 16-18 sett. 2010
Marco Cremaschi*
Intorno alla riqualificazione urbana sono in corso dei cambiamenti rilevanti dei modi di sfruttare la rendita
fondiaria e, di conseguenza, dei modi di abitare come pure dei rapporti di produzione.
Come è noto, il meccanismo di sviluppo del paese ha premiato la rendita fondiaria sia nella fase di
espansione delle città (fino al '70) che nella successiva fase di diffusione insediativa. Una delle caratteristiche
del primo periodo è che i benefici di questo scambio tra produzione e rendita, questa è una delle
caratteristiche italiane, sono stati estesi a una platea vasta di piccolissimi proprietari, con crescenti costi
ambientali e scarsa qualità sociale e insediativa.
Nel secondo periodo, il modi del cambiamento urbano hanno spesso sostenuto direttamente o indirettamente
la riconversione e decentramento produttivo della medie e grandi industrie urbane del Nord e,
successivamente, sono entrati nel processo di autofinanziamento di ampi settori delle amministrazioni
pubbliche.
Si avanza l'ipotesi che sia possibile indicare elementi comuni a queste epoche e a paradigmi diversi, qui
rapidamente distinti come keynesiana e neoliberista. In questa rapida ripartizione, il momento attuale appare
come una riformulazione sia del paradigma razionalista e keynesiano dentro al quale sono stati forgiati
discorsi e pratiche dell'azione riformista; sia di quello neoliberista, che pure appare più complesso e
articolato della vulgata che lo schiaccia sul mercato.
Questa ricostruzione suggerisce che il governo di questi fenomeni affronti oggi alcuni nuovi problemi, e
anche qualche opportunità. Critiche e ipotesi sulla natura della pianificazione e gli strumenti della politica
andrebbero dunque aggiornati. La riconfigurazione del mercato fondiario recente intorno ai processi di
riqualificazione urbana sembra -sia pur ambiguamente- andare in una direzione diversa dalle precedenti
stagioni di espansione e investimento immobiliare. In altre parole pratiche, discorsi e governance della
riqualificazione urbana sembrano consentire una ricostruzione congiunta, e mostrare qualche relazione, in
periodi diversi.
Anche ai grandi progetti residenziali dunque possono essere indirizzate quelle domande relative ai progetti
urbani (Swyngedouw et al. 2002) che scrutano:

le forme urbane degli interventi edilizi, che tendono ad assumere caratteri meno minuti, di scala
integrata, con una certa importanza assegnata inoltre all'economia simbolica degli spazi e delle
tipologie;

i rapporti con la nuova economia postfordista, che si palesano nel mix di settori diversi (residenza e
non), nel peso delle attività legate alla economia ricreativa, nelle nuove modalità di insediamento
tipiche della economia della conoscenza;

infine, i sistemi di governance, che si fanno insieme più complessi e più elusivi, implicano rapporti
multidimensionali tra stato e mercato, tendono a penalizzare gli attori socialmente deboli, mostrano
comunque un certo livello, pur critico, di apprendimento.
Ipotesi
Gli anni dal 1993, l'anno della crisi della prima repubblica e dalla riforma elettorale che assegna nuovi poteri
ai sindaci, segnano un periodo di complessivo inequivocabile rilancio delle città. A Roma, in particolare, è un
periodo caratterizzato da uno sforzo di ricostruzione della “macchina” comunale dopo la crisi di tangentopoli
e dalla dinamica politica della leadership locale. La posta chiave è l'interpretazione che questo attivismo
locale riesce dare alla ricerca della competitività, l'indirizzo apparentemente dominante nelle politiche
urbane.
Quanto di questo paghi pegno alle rendite immobiliari e ai poteri forti, e quanto apra ad un'economia più
dinamica e avanzata non è chiaro, ma sarebbe inutile farsi illusioni. Il bilancio è , nel migliore dei casi, a
Torino e Milano come a Roma, forse meno a Napoli per altre ragioni, indirizzato a favore dei primi. Cosa sia
stato reinvestito nella produzione di una nuova economia locale, e cosa sia stato sacrificato alla creazione di
un nuovo blocco edilizio -dove è ben visibile l'intreccio perverso tra poteri pubblici e interessi economici- è
materia all'attenzione non solo degli studiosi, ma delle aule dei tribunali. Va detto però che lo sforzo di
prendere per le corna il toro liberista è stato una sfida raccolta consapevolmente dai nuovi sindaci, che
(paradossalmente) gli stessi personaggi non hanno saputo o non hanno voluto trasferire nei governi nazionali
e regionali.
*
Dipartimento di studi urbani, Università degli Studi Roma Tre, via della Madonna dei Monti 40, 00184 Roma, tel.
+390657339650, fax +390657339649; [email protected]; http://cremaschi.dipsu.it/.
1
La riqualificazione urbana è uno dei primi obiettivi delle grandi città di tutto il mondo, alle prese con
problemi simili: città di nuovo in crescita, alle prese con problemi di trasporti, casa, ambiente, bilanci sempre
in affanno, una forte esposizione internazionale. In questa operazione, i sindaci e le vicende locali tornano a
contare (“mayors matter”, come dice l'Economist). Anche gli stili di governo mostrano qualche similitudine:
un forte pragmatismo, concentrazione e dedizione esasperata, una personalizzazione del rapporto con
l'elettorato anche a costo di continui dissidi con i partiti di appartenenza1.
Ricondurre la varietà delle situazioni locali all'affermazione del modello unico della città liberista e del
comune imprenditoriale è una tentazione forte di molte letture critiche, forse un pò precipitose, che danno
per assodata l'inferiorità negoziale della politica rispetto al business immobiliare: in questa prospettiva, la
città è ridotta tendenzialmente a un manufatto sempre più simile ad un bene di mercato (Harvey 2005).
Conseguentemente, il modello Roma -che ha coinciso tra il 1997 e il 2006 con il ciclo immobiliare più
intenso dell’ultimo mezzo secolo, secondo solo allo sviluppo del dopoguerra (Cresme 2008)- si risolverebbe
in un “patto” tra sinistra e costruttori (banchieri, finanzieri ecc.).
Si può accettare questa impostazione? Solo in parte. Anche ad uno sguardo superficiale, le maggiori realtà
urbane mostrano interpretazioni e performance diverse, talvolta problematiche, comunque tutt’altro che
univoche: il ruolo pubblico è sì rivisto, ma non interamente piegato agli interessi immediati degli interessi
economici; l'enfasi sulle opportunità di crescita economica lascia spazio al perseguimento di agende più o
meno sociali; la messa in valore dei potenziali immobiliari originati dallo smantellamento dell'apparato
produttivo novecentesco trova attuazioni tutto sommato diverse dal puro profitto. Inoltre, le difficoltà di
realizzare queste operazioni non sono interamente superate, e spesso le regole e le remore del quadro
normativo che rispondeva alle esigenze di una fase precedente sono prevalenti: accordi e negoziazioni non
dipendono tanto dalle nuove regole liberiste, ma risolvono gli impacci del precedente regime.
Insomma, ricondurre la varietà delle situazioni locali all'affermazione del modello unico della città liberista e
del comune imprenditoriale è una tentazione forte, come pure quella di esaltare le differenze e le innovazioni
locali a difesa di autonomia e creatività, spesso strumentalmente enfatizzate dalle retoriche comunitarie.
Ma non risponde a tutte le domande. Le specificità mediterranee evidenzia “inflessioni contestuali delle
politiche neoliberali” (Donzelot 2007), che consentono di aprire i frame delle politiche all’attivazione di
risorse giacenti (Cremaschi 2007) e di esaltare le capacità adattive di territori e quartieri nei confronti del
cambiamento (Annunziata 2010). Tornare alla political economy della città, e allo studio del mercato urbano
consente di concettualizzare questi problemi come un campo strutturato (Pasqui 2007) dove un'ampia varietà
di agenti e portatori di interesse agiscono in una pluralità di meccanismi di regolazione2.
Questo campo strutturato ha conosciuto due maggiori declinazioni nello scorso secolo.
Tra il New Deal dopo la crisi del '33 e la ricostruzione degli anni '60, il mondo ha conosciuto il dispiegarsi di
un modello interventista fortemente tecnocratico di ispirazione keynesiana, che autorizzava un modello di
intervento sulla città con forti caratteristiche. Era l'epoca del rinnovo urbano, della costruzione della città
fordista e dell'automobile, che ha portato ai grandi quartiere di espansione (il Tuscolano è in quegli anni il
quartiere moderno più densamente popolato in Europa) e alle grandi ipotesi di ristrutturazione urbana (a
Roma, prima l'Eur; poi il grande progetto Sdo, mai realizzato): è una combinazione di politica forte e di una
diffidenza radicale rispetto al contesto fisico, dove le scelte politiche sono di preferenza allocative, dirigiste,
aggregate e astratte (generali, e non riferite a contesti specifici).
A partire dagli anni '70, questo modello va in crisi, e si avvertono i limiti e i problemi sociali e di gestione di
questi grandi progetti. L'ascesa della nuova destra, la crescita degli anni '90, la crisi finanziaria mondiale
disegnano un ciclo politico di segno diverso ma di analoga durata, poco meno di 40 anni di storia. Al
contrario della vulgata iniziale, la destra liberista e di mercato non solo non ha abolito, ma ha approfittato di
ogni spazio regolativo per moltiplicare le opportunità imprenditoriali e di controllo sociale. Grazie grazie a
questa profonda riarticolazione, gli stili della politica si sono moltiplicati, ed è divenuta possibile agire in
1
Dal 2004 City Mayors, un think tank internazionale, assegna il premio World Mayor attraverso segnalazione e
selezioni. Anche gli eventi internazionali diventano più numerosi: UN-Habitat ha organizzato ogni due anni un World
Urban Forum sin dal 2002 (nel 2010 a Rio de Janeiro); altre organizzazioni internazionali, tra cui la Banca Mondiale,
hanno avviato il World Cities Summit dal 2008 (nel 2010 a Singapore). Non è possibile associare il ruolo dei nuovi
sindaci a un orientamento politico distinto; ma si può certamente affermare che le prime esperienze hanno reso l'arena
locale più appetitosa per tutti i partiti e per i politici più innovativi. è nuovamente difficile affermare se il cambiamento
di maggioranza e la maggior competizione influiscano sulle agende politiche e sul difficile equilibrio tra innovazione e
continuità, omologazione e riforma. Il radicamento internazionale sembra suggerire però che la direzione del
cambiamento sia segnata e che prima o poi la politica nazionale ne dovrà prendere atto.
2
Il mercato urbano si distingue dal mercato immobiliare perché non valuta i beni come elementi autonomamente
valutabili e trasferibili, ma come beni la cui esistenza e valore dipende dalla regolazione nonché dall’investimento
pubblico infrastrutturale: cfr. Pasqui in Bolocan Goldstein e Bonfantini 2007.
2
forme diverse, anche con modalità politiche meno allocative, dirigiste, aggregate e astratte di quanto fossimo
abituati. Inoltre, in questa epoca il pendolo è girato verso il rinnovo urbano, non senza qualche esitazione e
con molte conversioni politiche.
Al termine di questo secondo quarantennio, le carte tornano a mescolarsi: l'azione pubblica in questo
frangente storico sta ricollocandosi con nuovi riferimenti. Si suggerisce dunque di considerare questa fase
come un momento di incerta transizione dopo l'esaurimento dei due precedenti periodi di politiche urbane.
Quale sono dunque il ruolo e le possibilità della riqualificazione urbana dopo Keynes e dopo la Thatcher?
Non è ancora tempo, tantomeno a partire da questi materiali, di indicare una sintesi, ma si può cercare di
fissare alcune scansioni tipologiche (tab. 1).
Tavola 1: Tre modelli di politiche del territorio
1.
2.
5.
6.
principi generali 7.
ricostruibili dalla
logica complessiva
Urbanistica welfarista
3.
Urbanistica neoliberista
4.
Governo del territorio
salute, equità, bellezza
8.
competizione e crescita
economica
9.
competizione economica e
garanzia di livelli uniformi di
tutela
10. obiettivi espressi12. regolare l’assetto e l’incremento
13. liberare dai lacci e lacciuoli
11. da dichiarazioni
edilizio dei centri abitati (legge
generali
urbanistica 1150/1942)
15. finalità
16. funzionamento della
17.
organizzazione ed espansione
urbana attraverso una
(relativamente semplice)
gerarchia funzionale di piani
14. tutela e valorizzazione del
territorio, disciplina degli usi e
delle trasformazioni; mobilità
libera organizzazione del
18.
mercato, sostegno pubblico allo
sviluppo imprenditoriale e riuso
del suolo da parte di imprese
sostegno allo sviluppo
(economico, ma anche sociale e
civile) rispetto a una rete
istituzionale multilivello
19. priorità
21. indicazioni sarebbero dovute 22.
20. di volta in volta
provenire dai programmi
espresse
economico-territoriali o da linee
di assetto nazionale (mai
formulate)
risultano dall'aggregato ex-post
23. concertati, oggetto, in
di elementi definiti da stato,
prospettiva, delle linee guida, in
regioni, comuni attraverso
particolare sui requisiti minimi;
leggi, programmi e direttive
24. standard e diritti25. libera circolazione, libera
26.
fruizione qualitativa delle
amenità collettive, e riserva di
una dotazione minima di spazi
da utilizzare per servizi comuni
rimozione dei vincoli e degli 27.
obblighi, benefici individuali
assegnati dal mercato, minima
o nulla attenzione ai beni
comuni
28. rendita
concertazione dei livelli
essenziali delle prestazioni e dei
diritti di cittadinanza necessari
per garantire l’unitarietà del
sistema e l’uguaglianza dei
cittadini
29.“estratta” e incamerata tramite
30.“costruita” tramite interazioni31.“ costruita”, negoziata e
mercato o esproprio
tra attori pubblici e privati e
tendenzialmente privatizzata
ripartita tramite scambi e
tassazione
tratto con modificazioni da Cremaschi 2010b
Da questo punto di vista, quello che sembra opportuno considerare è che dalla commistione di pratiche di
segno opposte emerge, in alcuni settori, una dinamica complessa dell’azione pubblica, che la dizione di GdT
cerca di cogliere. La finalità generale è sostenere lo sviluppo, nella sua componente economica e sociale
(riflettendo una contraddizione non sempre conciliabile). L’obiettivo non si concentra più solo sulla
espansione edilizia, ma sulla regolazione degli effetti reciproci tra diversi usi del suolo, tutela e sviluppo
(evidentemente diversi in termini competitivi e sociali). In teoria, nelle diverse proposte, si rafforza l’idea di
direttive (linee guide) che interpretano progressivamente la traduzione operativa dei principi generali in
politiche e strumenti; una traduzione che avviene in un contesto istituzionale complesso e multilevello, di
stampo federale e federativo. La principale conseguenza pratica di questa distinzione si traduce in diversi
atteggiamenti nei confronti degli standard dei servizi e della idea di diritti ai quali questi rimandano, dove
viene a cadere l'idea di universalismo e quantificazione tipica del welfarismo; e si recupera l'aspetto di
attivazione e responsabilità equivocamente introdotta dal liberismo.
I due casi studio esaminati suggeriscono una risposta eclettica e adattiva (che però potrebbe venire a
precisarsi nello studio delle altre iniziative in corso) che va nella direzione del superamento indicato dalla
tripartizione (ibrida) di tab. 1.
Roma (ma forse l'Italia) appare sospesa, metà indietro e metà avanti alla direzione indicata nella tabella. La
gran bolla immobiliare creatasi in Europa negli ultimi venti anni ha infatti riguardato uffici, direzionale, ma
anche attività innovative nel campo culturale e tecnologico, che hanno permesso sovente forti innovazioni
tecnologiche e procedurali. Molti dei grandi progetti fondiari italiani riguardano espansioni residenziali,
settore giudicato meno rischioso dagli operatori, solo talvolta con qualche aspetto innovativo (tra gli altri:
3
Spina 3 a Torino, S. Giulia a Milano, i due casi qui trattati a Roma). Altri grandi interventi (Bicocca e Bovisa
a Milano; Ostiense a Roma; le aree Fs a Torino...) riguardano nuovi sedi universitarie e uffici pubblici su
aree industriali. Queste iniziative, apparentemente, restano nell'ambito della tradizione consolidata, spesso
nelle logica welfarista i primi, di divisione dei compiti tra pubblico e privato; più raramente, i secondi, nella
logica liberista e deregolativa, ancorché con forti sostegni e preliminari pubblici.
Questo almeno è come il dibattito tra i pianificatori sembra in prevalenza descriverli. L'ipotesi di questo
lavoro è che alcuni aspetti specifici di questi interventi si capiscono meglio alla luce delle caratterizzazioni
indicate nella terza colonna, dove sono enfatizzati appunto gli elementi ibridi e di transizione che potrebbero
concretizzarsi in fatti nuovi, e a cui alcune delle operazioni in corso sembrano alludere. Questa ipotesi -va
ricordato- è ancora incerta. Infatti, queste operazioni avvengono in un momento in cui il tono generale è dato
ancora dal ricorso da parte delle maggior città a grandi progetti urbani volti a ri-qualificare economia e
sviluppo immobiliare per far fronte alla competizione internazionale, e in un momento di radicalizzazione
ideologica e dei comportamenti. E in un momento di obiettivo confusione politica nella interpretazione della
fase.
E' sintomatica la contrapposizione tra l'ultimo grande quartiere costruito dalla giunta rossa degli anni Settanta
a Roma, Tor Bella Monaca; e la prima opera del ciclo Rutelli-Veltroni, il nuovo Auditorium di Piano al
Flaminio. Ora TBM è candidata da Alemanno alla demolizione, in contemporanea al rilancio di grandi
progetti di sviluppo (come il GP automobilistico all'Eur, la nuova Défense in periferia, la nuova forma
istituzionale del governatorato metropolitano); ma anche alla proposta di contrastare la megalomania
architettonica della sinistra con la promozione di un'altra ideologia dell'abitare in periferia, e la costruzione di
casette con giardino sul modello Garbatella.
La confusione tra grandi progetti con funzione strategica e la mobilizzazione di vasti domini fondiari (sia pur
con ambizioni diverse dalla pura speculazione) è un dato specifico italiano, forse un elemento di arretratezza.
D'altra parte, in questo orizzonte strategico di tono minore, si pongono problemi di governo non meno
semplice, un più preciso interrogativo sulla ideologia e le forme dell'urbanità, e una domanda specifica sul
ruolo degli investimenti pubblici nella valorizzazione della rendita (sulla quale torna recentemente Tocci
2009), e sulla conseguente difficoltà tecnica e politica di ripartirne i benefici. Considerazione che diventa
ancora più rilevante se si considera la centralità del circuito di valorizzazione fondiaria nella forma attuale di
accumulazione, e i pesanti contraccolpi che la crisi immobiliare può generare sull’intero sistema capitalista.
Roma città divisa
Spesso Roma è stata rappresentata –e con qualche buona ragione- come una metropoli arretrata, divisa ed
eterodipendente, sia dal punto di vista economico che sociale: il rischio di esclusione e divisione riappare ora
(Macioti e Ferrarotti 2008), e non è un caso che certi testi esemplari di una lettura classica della città
vengano rieditati.
L’esito della straordinaria crescita del dopoguerra è la costituzione di una città divisa per cerchi concentrici:
solidamente borghese al centro (che progressivamente viene sostituita dalla città turistica e da quella
politica); con una prima corona di quartieri otto-novecenteschi per la media e piccola borghesia; circondata
da una vasta periferia popolare, in particolare nei settori Sud ed Est, dove la mancanza di servizi,
l’abusivismo edilizio, la costruzione a macchia d’olio si manifestano in tutta la loro gravità. Ancora oggi la
metafora abusata per descrivere Roma -in politica come in urbanistica- è quella delle due città contrapposte,
la prima corrispondente al “centro” borghese, la seconda alla periferia povera e popolare. Pasolini interpreta
-con tutti i suoi limiti e virtù- questa visione, e la sua influenza continua ad applicarsi in modo consistente
sulle successive rappresentazioni della città. Raramente la letteratura recente, inclusi i reportages e gli
interventi scientifici, ha poi messo in discussione questa opposizione, che forse inizia a sgretolarsi invece
nell'immaginario collettivo e filmico, dove spadroneggia un ceto e un sentimento medio che non ha più una
collocazione spaziale e sociale così determinata.
In sintesi, si possono ricostruire quattro fasi e quattro regimi urbani che hanno orientato e influenzato lo
sviluppo del sistema Roma e la selezione dei problemi prioritari.
Il primo regime urbano del dopoguerra si è retto su un forte “blocco edilizio” che ha fomentato la “macchina
dello sviluppo” urbano; questo blocco politico che ha gestito il primo venticinquennio di crescita della città.
Si tratta prevalentemente di una espansione basata sul direzionale di stato e sulla edilizia, favorita dal boom
economico che avviene nel Nord industriale. La crescita oppone sia classi che geografie: il centro, la
borghesia dei rentiers e dei burocrati; agli operai e gli impiegati delle periferie. Il malfunzionamento della
città ha avuto radici robuste nella crescita distorta degli anni Cinquanta, della città e della sua economia.
Conseguenti effetti saranno la concorrenza degli uffici nei quartieri residenziali, l’emergenza abitativa degli
anni Settanta, la diffusione urbana e la conseguente congestione della mobilità.
4
Il secondo regime "progressista" ha operato sulla creazione di attrezzature e servizi pubblici per compensare
e ridurre la distanza tra le “due città” venutesi a creare nel periodo precedente. Ma le pur coraggiose politiche
redistributive in campo urbanistico, delle attrezzature di quartiere e dei servizi sociali, non potevano far
fronte alla crisi del sistema complessivo di regolazione dei mercati locali che ne è seguito. Le politiche
redistributive appaiono oggi esaurite. I servizi che vengono realizzati ora, afferma un intervistato, arrivano
“troppo tardi”. La “crisi” urbana degli anni Settanta è stata un aspetto ed una conseguenza della crisi sociale
e di consenso del blocco politico che ha gestito il venticinquennio di crescita della città, una crescita dualista
e minata da enormi scompensi sociali drammaticamente evidenziati dal cambiamento di clima morale e
politico di metà anni Settanta. In campo urbanistico, attrezzature di quartiere e servizi sociali hanno
contribuito a far fronte alla crisi del sistema complessivo di regolazione dei mercati locali. Anche le politiche
urbane seguenti hanno esaurito la spinta propulsiva. I tentativi di gestione di questo processo dagli anni
Settanta in poi sono stati discontinui, ed hanno comunque privilegiato il campo delle grandi opere o della
rilocalizzazione delle grandi funzioni, e parzialmente della realizzazione di attrezzature urbane.
La terza fase vede un tentativo di imporre un regime neocorporativo che associava i grandi decisori pubblici,
le grandi imprese del settore pubblico, il capitale finanziario intorno a un circuito di operazioni
infrastrutturali e iniziative di sviluppo a forte gestione unitaria. “Roma Capitale”, la legge speciale che
finanzia le opere che sostengono il ruolo nazionale della città, è dunque il terzo atto delle politiche urbane in
epoca repubblicana. Roma Capitale ha ridefinito le strategie della città identificando nello Stato la causa dei
mali di Roma (prima indicate nella arretratezza economica o nella speculazione edilizia), con un battage
concluso da una legge speciale che finanziò un programma di opere da realizzare con procedure accelerate.
Nel merito, venivano proposti come settori di punta il carattere terziario, direzionale, la ricerca e la cultura
-fino allora trattati da elementi parassitari- e venivano rivalutati a questo fine il Sistema direzionale orientale
e le connesse infrastrutture. Va detto che, al momento attuativo, l'esiguità delle risorse e la genericità della
gestione hanno sacrificato l’orientamento strategico. A parte poche realizzazioni nel campo dei beni culturali,
nessun gran progetto è stato realizzato (tantomeno lo Sdo). Ciononostante, il programma cristallizzò delle
convinzioni sia tecniche che politiche, e cioè che: a) la trasformazione della città andasse corretta con grandi
operazioni fondiarie; b) solo queste potessero generare il surplus adeguato a reggere il costo delle
attrezzature urbane (treni, metro, ecc.); c) e che infine, i grandi soggetti pubblici, prima l’Iri poi le Fs, fossero
i partner ottimali per rendere celeri tali opere. Le premesse di Roma Capitale erano discutibili anche negli
anni Ottanta (3). Dagli anni Ottanta in poi sono state privilegiate le procedure speciali, non sempre con esiti
coronati da successo.
Infine, sul finire del secolo, si impone un orizzonte competitivo che convive però con l'aspirazione di rendere
'normale' la gestione urbana della città. Gli ultimi venti anni sono segnati da questa duplicità che
accompagna la costruzione di quello che verrà chiamato il modello Roma. Per esempio, ne Il programma del
sindaco di Rutelli del 1993 vengono indicate delle proposte divergenti. Per esempio, si propone di articolare
l'urbanistica su due tempi: a monte, un piano direttore metropolitano per gestire l’innovazione, al quale
avrebbero fatto seguito i prg dei comuni metropolitani con funzione di manutenzione e regolazione
dell’esistente; a valle, uno o più “progetti urbani” con funzione di armonizzare in loco i diversi interventi.
Senza perdersi in dettagli, quello che va sottolineato è che, nello spirito della allora recente legge 142/90
sulle Autonomie locali, venivano assunti due pre-requisiti indispensabili al funzionamento della grande città:
il decentramento funzionale e la riorganizzazione tecnico-istituzionale. Proposte forse non dettagliate, forse
non eclatanti, ma per lo meno nella linea di quanto è poi riuscita davvero a realizzare l’amministrazione.
Peraltro, lo sdoppiamento del piano era un’idea tempestiva, che si sta ora traducendo nelle nuova riforma
urbanistica in discussione al Parlamento. Si può schematizzare l’ispirazione di queste idee nel modo
seguente: re-distribuire e decentrare l’azione pubblica verso la periferia; agire su progetti strategici relativi a
grandi settori urbani e funzionali. Con ogni evidenza era una linea d’azione diversa da quello posta a
sostegno dello Sdo, che non ha inciso molto ed è forse sopravvissuta nei piani di riqualificazione delle
periferie.
Ma la strategia che puntava soprattutto a normalizzare la gestione ordinaria dura poco. Una seconda
formulazione strategica per la città si presenta improvvisamente a metà circa del primo mandato
amministrativo, quando appare evidente che l’istituzione dell’area metropolitana non apparteneva al futuro
prossimo (e che la preparazione degli strumenti ordinari avrebbe richiesto più tempo del previsto). Si cerca
allora di utilizzare la preparazione del “grande evento” Giubileo -di cui si era scoperta nel frattempo la
3
Sull’argomento, chi scrive è intervenuto a distanza di tempo nel 1990, 1994, 1997, 2001, 2010a.
5
prossimità- per veicolare la realizzazione di opere pubbliche. Rispetto alle linee di azione precedenti, le
decisioni relative al Giubileo appaiono solo parzialmente innovative, e riemergono in successivi tentativi,
probabilmente sintomatici di sensibilità diverse, tra cui la riproposizione tormentata di un mini-Sdo, il grande
stadio e le stazioni di Roma ‘90, via via degradando verso la gestione scellerata dei Mondiali di Nuoto e
quella infelice delle candidature Olimpiche (dal 2004 al 2020). Nello spirito, queste proposte riprendono la
prospettiva emergenziale di Roma Capitale; nei contenuti, sono ripresi e confermati parecchi dei progetti
elaborati in precedenza. Infatti, metro, ferrovie, autostrade, sottopassi, sono tutti idee preesistenti
parzialmente perfezionate dal punto di vista tecnico, progettuale e economico. Non a caso, la stessa forma
amministrativa della legge per la Capitale (che prevede potenti accelerazioni alle procedure ordinarie) è stata
assunta per il programma del Giubileo nonostante la sostanziale decadenza dell’opera che giustificava (e
dava il nome) al primo programma (e cioè il Sistema direzionale Orientale).
Venti anni dopo
E' utile ricostruire queste aspettative soprattutto per ricordare che la domanda di output politici era allora
commisurata ai deficit pregressi e al generale malgoverno del decennio precedente. Beni comuni
relativamente semplici, come parchi, trasporti pubblici, servizi sociali, erano ancora fortemente rivendicati e
sembravano corrispondere a offerte politiche distinte. Si può forse parlare al passato di questa fase anche
perché le poste in gioco sembrano cambiate, quegli stessi canoni di misura resi ora meno evidenti, mentre
altri output sono richiesti dal contenuto meno semplice o più evanescente (lo sviluppo, la sicurezza).
Roma mostra una situazione più tradizionale di “ricostruzione” da zero, significativa per tutte le
amministrazioni meridionali. Il grande merito della prima amministrazione Rutelli 4 è, infatti, quello di
ricostruire dalle ceneri l'azione pubblica a Roma, agendo efficacemente sulla riorganizzazione tecnicoistituzionale, il ruolo della dirigenza e il decentramento amministrativo. In secondo luogo, la redazione del
piano regolatore -il secondo dell'epoca repubblicana, dopo il monumento inattuato del 1962- offre
l'opportunità di mettere a coerenza strategie infrastrutturali e sviluppo urbano sotto il segno di una solida
regia pubblica, coordinando investimenti pubblici locali e nazionali, e il ruolo di grandi e piccole aziende
private. Nel 1998 una conferenza cittadina segna il tentativo, non riuscito e tutto sommato rituale, di avviare
un piano strategico rimasto senza conseguenze (Camagni e Mazzonis 2001).
Si può schematizzarne a posteriori le logica strategica dell'azione politica dei due sindaci di sinistra nel modo
seguente: re-distribuire e decentrare l’azione pubblica verso la periferia; agire di concerto con i grandi
operatori su progetti strategici relativi a grandi settori urbani e funzionali.
Con ogni evidenza, era una linea d’azione diversa da quello posta a sostegno del grande progetto pubblico
del Sistema Direzionale Orientale ispirato dal piano del 1962, e che genera in seguito i numerosi piani di
riqualificazione delle periferie e i progetti per le centralità metropolitane.
A quella ispirazione però si è tornati con la preparazione del Giubileo e degli eventi sportivi che riprendono
la forma procedurale di Roma Capitale (l'accordo con lo stato); e, nei contenuti, adottano progetti elaborati in
precedenza. Solo successivamente si intravede la possibilità di organizzare uno sforzo strategico innovativo
che dopo diversi tentativi abortiti ripiega sulla gestione personalistica di Veltroni dei rapporti con le maggiori
imprese. Per questa via, sono ricostruiti –non senza discussioni politiche anche importanti- i rapporti con il
mondo delle costruzioni e con i settori emergenti della economia terziaria (informatica, comunicazioni,
4
A Roma viene eletto Francesco Rutelli, attivo in politica da sempre ma da una posizione eccentrica rispetto alla
nomenclatura e alla stessa maggioranza che lo elegge. Proveniente dai Radicali, approda ai Verdi e sconfigge Fini (che
riceve l'appoggio dichiarato di un Berlusconi ancora in panchina) in un significativo duello che vede generare i due
futuri schieramenti che dividono l'Italia nei successivi quindici anni. Molto apprezzato anche nella successiva conferma
elettorale, la sua amministrazione ricostruisce praticamente da zero un'amministrazione mortificata dalla corruzione e
dagli arresti. Fatta ripartire la macchina comunale con un consistente investimento in opere e servizi collettivi, dedica
gran parte del secondo mandato alla preparazione del Giubileo del 2000 che risulta un prova non indifferente della
capacità gestionale della macchina pubblica, un'occasione di migliore diffuse (ma non di un significativo salto nella
dotazione infrastrutturale), e un trampolino per la promozione personale a rango di politico nazionale su posizioni più
centriste. Il successivo sindaco, Veltroni, PD, eletto per due mandati tra 2001 e 2008, è al contrario un politico nazionale
del partito localmente maggioritario che decide di investire nel ruolo ormai altamente visibile di sindaco della Capitale.
Curiosamente, Rutelli riproverà nel 2008 perdendo vistosamente contro Alemanno, un personaggio che può forse
rivendicare a destra alcune simmetrie con la posizione originaria dell'altro. L'elezione diretta ha avuto senza dubbio un
effetto di stabilità anche sulle maggioranze politiche, se è vero che le altre città maggiori hanno goduto di una
sostanziale continuità politica e -in certa misura- di leadership per quattro termini elettorali. Roma dunque, al di là del
significato locale, rappresenta un test importante dell'esperienza di governo dei sindaci. La valutazione della corrente
amministrazione Alemanno darà motivi di conferma o diniego della particolare forma di leadership e responsabilità
emersa nella riforma del 1993, e in particolare modo della centralità delle “politiche” piuttosto che della politica, delle
ideologie, degli scontri nazionali.
6
televisione) nel frattempo per lo più privatizzati.
Le principali iniziative avviate riguardano le grandi attrezzature culturali e convegnistiche (Auditorium al
Flaminio, la nuova Fiera presso l'aeroporto, il nuovo palazzo dei Congressi in costruzione all'Eur, la
cosiddetta Città della cultura e dei giovani prevista sul sito dei vecchi Mercati Generali); le espansioni
universitarie usate anche come volano per la riqualificazione di quartieri dismessi (la più importante
all'Ostiense, Mattatoio e Valco S. Paolo ad opera dell'Università Roma Tre nella direttrice Sud-ovest: oltre ai
due nuovi poli previsti dalla Sapienza a S. Maria della Pietà e Quintiliani); il tradizionale campus di
Torvergata (Sud Est) che accoglie, sia pur con ritardi, importanti investimenti sportivi giustificati
opportunisticamente con maldestre e sfortunate proposte olimpiche o sportive. In buona misura, i principali
di questi interventi si innestano, o promettono di farlo, sui nodi della rete metropolitana e ferroviaria
regionale, che ha costituito a partire dagli anni '90 il principale elemento di strutturazione degli investimenti
delle autorità locali. Sulla consistenza di questa strategia urbanistica sono state avanzate critiche pesanti
(Berdini 2008), che la nuova giunta di destra sembra in parte far proprie.
Con il piano regolatore definitivamente approvato all'inizio del 2000 si apre un'operazione dichiaratamente
policentrica che redistribuisce in periferia pesi residenziali e commerciali che il vecchio piano poneva in
prossimità di aree verdi5. Questi grossi volumi sono organizzati in “centralità”, poli di attività a servizio della
organizzazione metropolitana. Le 18 centralità hanno una dimensione complessiva di circa 5 milioni di mq di
sul, su una superficie territoriale pari a circa 26 milioni di mq., cifra che si avvicina molto alle previsioni del
vecchio SDO. Molti dei progetti di centralità tendono a concentrarsi su contenuti omogenei, accogliendo una
forte concentrazione di funzioni analoghe, che le qualifica come poli specialistici. Ognuna di queste “città” si
propone come parte urbana complessa dove la funzione prevalente si presenta con una molteplicità di offerte:
alle manifestazioni musicali o sportive si aggiungono attività commerciali e direzionali specifiche, ristoranti
e residenze.
Si tende così a sostituire un’organizzazione funzionalista dello spazio con una parcellizzazione tematica della
centralità. Questi poli urbani tematici, opportunamente localizzati all’interno della periferia o delle aree
dismesse, sono proposti però come elementi ordinatori di parti di città disgregate. Esperienze paragonabili
sono state effettuate anche in molte città europee6, sebbene con caratteri più orientati allo sviluppo. Le
operazioni romane sembrano scegliere condizioni di riparo e di maggior sicurezza nello sfruttamento della
rendita.
Due casi: Ponte di Nona e Bufalotta
La ricostruzione, in chiave politico economica, dei meccanismi di produzione di Roma recente è sullo sfondo
delle considerazioni che seguono, che trattano in particolare alcuni casi studio (Bufalotta, Ponte di Nona, le
centralità, il Giubileo ecc.) oggetto di ricerche presso il nostro dipartimento (traggo in parte quanto segue da,
rispettivamente, Fassio 2009; e Annunziata 2010).
Bufalotta: a ridosso del Grande Raccordo Anulare verso Nord e dell'autostrada per Firenze, è individuata una
Centralità in un Centro Commerciale di notevoli dimensioni e un quartiere. Il progetto urbano “Bufalotta”,
inserito nel programma per Roma Capitale, è stato approvato, con un Accordo di Programma fra Comune,
Regione e ANAS nel settembre 1998. Nel gennaio 2001 la Porta di Roma s.r.l. firma la Convenzione
Urbanistica con il Comune che attribuisce compiti e costi reciproci. La superficie urbanizzata misura circa
140 ha, quella a verde circa 170 ha, il volume costruito circa 2.102.000 mc. Nelle intenzioni iniziale, la parte
5
Alcune di queste sono in corso di realizzazione, altre sono ancora da pianificare. Negli elaborati del PRG, in
particolare sulla tavola di piano D5 “centralità e funzioni”, le centralità metropolitane e urbane sono suddivise in due
gruppi che fanno riferimento allo stato della pianificazione. Dopo l’adozione del piano, sono iniziati i lavori per la
nuova Fiera di Roma (ambito Fiumicino-Magliana) che è stata quindi aggiunta alle centralità a pianificazione definita.
Attualmente le centralità in corso di realizzazione (denominate “a pianificazione definita”) sono nove: Bufalotta,
Pietralata, Ostiense-Marconi, Eur Castellaccio, Polo Tecnologico, Tor Vergata, Ponte di Nona-Lunghezza, MaglianaAlitalia e Fiumicino-Magliana (la nuova Fiera di Roma). Queste aree, che costituiscono più della metà delle previsioni
totali, sono in parte realizzate o sono comunque in stato avanzato di progettazione; si tratta comunque di aree di
trasformazione previste in precedenza, divenute “centralità” a posteriori. Le centralità soggette alla procedura del
Progetto urbano dell’art. 16 delle NTA consistono in nove ambiti territoriali: Acilia-Madonnetta, Saxa Rubra, AnagninaRomanina, Cesano, Torre Spaccata, La Storta, S. Maria Della Pietà, Massimina, Ponte Mammolo. Tra le centralità
ancora da pianificare il livello di definizione è molto differenziato: per alcune sono state realmente avviate le procedure
urbanistiche di attuazione, per altre si hanno solo i piani di assetto generale, altre ancora non sono ancora state prese in
considerazione da nessun tipo di intervento (Fassio 2009).
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Per esempio, la “Città delle arti e delle scienze” realizzata a Valencia su progetto di Santiago Calatrava: il nuovo
Tribunale di Richard Rogers A Bordeaux, occasione per riorganizzare un’intera area e destinarla a “Città della
giustizia”; il progetto di Perrault per il velodromo e la piscina olimpica di Berlino. Vedi anche Comet, Gualini, ecc.
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residenziale incideva per meno del 40% del costruito, mentre polo commerciale e uffici avrebbero inciso
ciascuno per il 25% circa (l'ultima voce si vorrebbe rivederla al ribasso).
Il nuovo quartiere si trova in un quadrante già fortemente densificatosi dagli anni ’60, e subito vicino ad una
Riserva naturale ed archeologica (la Marcigliana). L'intervento ricuce in parte le preesistenze e realizza un
nuovo svincolo sul G.R.A. all'altezza di Via di Settebagni e la viabilità complanare al G.R.A. dallo
svincolo con la Roma-Firenze, collegandosi con la nuova viabilità di ingresso verso la città sulla quale si
innesta la rete viaria principale del comprensorio. Queste opere sono a carico dei privati e preliminari alla
realizzazione dell'intervento. L'Enel inoltre dovrebbe interrare un elettrodotto e diverse altre piccoli
accorgimenti di qualità ambientale accompagnerebbero la costruzione del quartiere.
A connettere tutte le nuove consistenze residenziali un grande boulevard che diventerà la strada di
quartiere,di quattro corsie e 50 metri di larghezza (con due di controviale a servizio dei parcheggi) e con un
vasto spartitraffico con alberi al centro; il viale segue l'andamento naturale delle curve di livello del
terreno, e organizza la viabilità secondaria dei quartieri con una larghezza minima di metri 20 tra gli
edifici. Nei punti di incontro tra due sistemi viari si trovano le piazze su cui si affacciano i luoghi
pubblici principali (teatro, chiesa, alberghi, centro sanitario). La rete viaria ha una sua chiara gerarchia che
orienta anche la densità edilizia, 7 piani del direzionale sul boulevard, 5 piani del residenziale sulle altre
strade; sui nodi tra i livelli sono collocate le funzioni di servizio: tutto questo sembrerebbe offrire un
conclamato “effetto città”.
Il nuovo quartiere dovrebbe servirsi del futuro prolungamento della metropolitana, secondo la “Cura del
ferro” impostata del Prg, che però non è prevista prima di una decina d’anni. Anche i pur previsti percorsi
ciclopedonali sono carenti e comunque persi in mezzo al vasto dominio verde.
La proprietà del terreno su cui si innesta il nuovo progetto è della famiglia Toti, titolare dell’impresa Lamaro
Appalti che si è occupata di costruire il nuovo Centro Commerciale provvedendo anche alla realizzazione di
un nuovo svincolo sul Raccordo Anulare. Il progetto preliminare del Centro Commerciale di Porta di Roma è
stato commissionato direttamente dalla Lamaro all’architetto Gino Valle e presentato nel quadro dei nuovi
interventi promossi per Roma Capitale (Legge 396/90). Il centro commerciale, come pure lo schema viaria,
propone almeno nelle intenzioni una forte caratterizzazione iconica, che ricorre addirittura all'immagine della
cittadella medievale. Questa scelta influenza la tipologia (la piattaforma sopraelevata è pedonale, tutto il
traffico di accesso resta separato al livello inferiore) che ha causato qualche problema di accesso ai servizi di
sicurezza con conseguenti aggravi di costo.
Il nuovo centro commerciale viene inaugurato nel luglio 2007; Ikea, che insiste anch’esso nel complesso
dell’iper-centro, aveva aperto invece un paio d’anni prima, perché ha posto un ultimatum di tempi (pena la
scelta di altro sito dove impiantarsi): per questo è stata anticipata la costruzione dello svincolo del Raccordo.
Ikea, Le Roy Merlin, Decathlon hanno acquisito la titolarietà del sito ma hanno proceduto a distinti progetti
anche per motivi di allestimento.
Il complesso commerciale di 220 negozi circa è invece rimasto di proprietà della Lamaro che pone in affitto
gli spazi in accordo a propri criteri e regolamenti. Sul comparto del Centro Commerciale è anche in
costruzione una torre, prevista all’inizio per un Albergo, ma probabilmente convertita in un’ulteriore quota di
miniappartamenti residenziali.
La nuova area residenziale godrebbe di un’elevata qualità ambientale per la presenza del Parco. Il quartiere
residenziale è parte in costruzione e parte abitato. Partecipano il gruppo Caltagirone e Scarpellini, noti
costruttori romani. Le case, di non enormi dimensioni, sono state vendute a circa 5.000/6.000 euro al mq. Il
Comune di Roma ha ottenuto una quantità minima di edilizia a prezzo controllato il cui prezzo non deve
superare i 2.000/2.500 euro al mq. Le case sono state vendute spesso prima ancora di essere messe sul
mercato, talvolta ai dipendenti stessi delle imprese. E' prevista inoltre su un'area di circa 22,7 ha un
intervento di edilizia residenziale pubblica (Casale Nei) per circa 4.000 abitanti.
Gran parte dell’area di Bufalotta sarà lasciata a verde, ivi incluso il casale con il grande maneggio di Toti, è
destinata a Parco e in gran parte ceduta al comune. Nella parte ancora più a sud, ai margini dell’area, è
previsto un piccolo Parco attrezzato prospiciente alle scuole e alla sede del Municipio e della Polizia.
Dal punto di vista della promozione immobiliare, il quartiere è frutto di una sostenuta mobilitazione dei
costruttori, che hanno saputo proporre e negoziare la realizzazione con il comune, anche individuando modi
di congegnare il progetto in forme appetibili: per esempio, adottando un master plan unitario, cedendo quasi
la metà per il parco, sollecitato un approccio architettonico di qualità e comunque di alta visibilità, ricorrendo
alla mediazione di tecnici di alto profilo. La decisione ha richiesto una lunga vicenda di revisione delle
originali destinazioni di piano, non alterate al fondo ma rinnovate consistentemente soprattutto negli
elementi qualitativi; ma nell'area sono anche “atterrate” alcune volumetrie oggetto di compensazione con
altre zone urbane rese non edificabili dal nuovo prg. Al fondo, il progetto è coerente con l'ispirazione del
piano che la redistribuzione urbanistica di alcune “funzioni centrali” avvantaggerebbe la periferia. La qualità
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di queste funzioni è naturalmente il punto critico: la scelta di mantenere il 50% a commerciale e direzionale
rispecchia la volontà di inserire l'area nelle dinamiche metropolitane, offrire posti di lavoro e riequilibrare la
prevalente vocazione residenziale del settore. Si tratta comunque di una scelta astratta, dettata da accordi
diretti con i grandi operatori commerciali e senza una riflessione sul direzionale, non a caso la parte più
caduca dell'intervento. Infatti, i residenti si sono mobilitati per difendere la quota di direzionale quando il
consorzio ha cercato di convincere il comune a convertirlo in ulteriore residenziale. A parte questo aspetto, il
coinvolgimento degli abitanti nei processi decisionali è limitato -come non raro nella prassi italiana, a
maggior ragione negli insediamenti nuovi. Infine, dal punto di vista del dare/avere tra comune e costruttori i
conteggi non sono semplici, ma sembrano scontare come minimo l'assenza di una valutazione dei costi di
gestione delle aree a verde trasferite, e del beneficio per i privati delle opere realizzate a scomputo degli
oneri concessori. Infine, il disegno urbano del quartiere è abbastanza paradossale, nella ricerca ostentata di
elementi di urbanità 'densa' in un contesto geograficamente marginale, con un effetto imbarazzante di
mimesi.
Ponte di Nona: Nell’estrema periferia Est, sempre in prossimità del raccordo anulare e dell'autostrada per
l'Aquila, il piano regolatore colloca una delle “centralità metropolitane” il cui progetto si avvia all’attuazione
nel 2002 mediante un accordo di programma tra il Comune e la Master Engineering S.r.l. Il tutto
consentirebbe la realizzazione di una superficie complessiva di 360.000 mq. nei pressi di una nuova stazione
ferroviaria (non ancora attivata). Al momento, la centralità consiste in un grande contenitore per il
commercio con più di 200 negozi, cinema multisala e ristoranti, 2000 posti di parcheggio, servizi pubblici e
privati, oltre ad attività ospedaliere, la sede del municipio, un hotel con centro congressi, un mercato
coperto. Lo spazio restante dovrebbe essere occupato da un “parco tematico” con attrezzature sportive. Ad
oggi, la maggior parte di queste infrastrutture e servizi non sono stati realizzati, mentre il centro commerciale
e’ stato inaugurato nel 2007 contestualmente all’apertura del casello autostradale sulla A-24 – l’autostrada
Roma-L’Aquila – che fornisce una discreta connessione a pagamento con il centro. L’area conta inoltre 6.000
alloggi (realizzate all'80% con 18.000 residenti) e venne progettata da un consorzio di costruttori che negli
anni Ottanta aveva acquistato terreni edificabili in accordo al piano allora vigente. Il consorzio Nuovo Ponte
di Nona da statuto deve completare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e occuparsi della
fornitura dei servizi entro il 2010. Dal punto di vista dell’urbanizzazione primaria, non mancano le fognature
e gli allacciamenti ma l’insediamento presenta i limiti della tipica speculazione edilizia romana: poca cura
degli spazi di prossimità e carenza di servizi.
I primi abitanti sono arrivati nel 2002 quando l’area era ancora un enorme cantiere, segregato e distante da
tutto e privo dei servizi minimi. I “pionieri” hanno mantenuto comunque aspettative costruite sulla retorica
immobiliare del “complesso suburbano nel verde, con attrezzature sportive nel parco e molti negozi”. Nel
2004 un gruppo rivolge al Sindaco una domanda esplicita di servizi pubblici locali. Primi nella lista dei
problemi la sicurezza (che diventerà cavallo di battaglia della coalizione di destra), l’assenza di autobus e di
servizi. Nasce un Comitato di Quartiere, viene aperto un portale online, e un giornale locale. Gli abitanti
organizzano una manifestazione nel marzo 2007 – rara nel suo genere – e in altre due occasioni durante
l’estate. Nel maggio 2007 si inaugura il centro commerciale “più grande d’Europa”: il comitato di quartiere
chiede il potenziamento delle infrastrutture, soprattutto carrabili, di accesso al quartiere.
Negli anni recenti a Ponte di Nona si intravede il consolidamento di un quartiere neoborghese, che trova
corrispondenza elettiva nel centro commerciale. La planimetria del quartiere esemplifica un modello
insediativo semplice, distinto tra residenza e consumo. Lo spazio pubblico, gli spazi “tra le case”, non sono
oggetto di cura né un progetto comune. Il quartiere presenta inoltre una configurazione delle strade e una
gerarchia di spazi a tutto vantaggio della circolazione automobilistica: rotonde e svincoli, parcheggi a
pianterreno ecc., mentre è del tutto privo di connessioni tra le parti e con le aree limitrofe (anche il
conseguenza della storica impostazione per parti indipendenti del vecchio Prg del 1962). Il centro
commerciale offre astutamente un surrogato di piazzette, fontane e spazi per l’infanzia che catturano le
preferenze degli abitanti.
Anche gli spazi verdi sono numerosi ma recintati e chiusi, contribuendo a rendere il quartiere poco
permeabile e a impedirne l'attraversamento. Alcune strade si presentano addirittura come cul de sac che
terminano direttamente sull’agro romano. Al centro del quartiere un parco è stato ricavato dall’antico
tracciato di ingresso di un'abitazione rurale: ma il passaggio è interdetto dalla sovrintendenza. Il territorio
infatti si presentava ricco di curve di livello e i due progetti: quartiere residenziale e centro commerciale si
presentano su quote diverse senza soluzione di continuità tra gli spazi aperti del quartiere e gli spazi aperti
del centro commerciale.
Inoltre il centro commerciale si presenta rivolto verso il casello autostradale dal quale arriva l’afflusso di
consumatori. La strada che divide il quartiere dal centro commerciale è dimensionata per ospitare un traffico
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di visitatori che vengono da fuori come se si trattasse di strade al alto scorrimento e questo motivo è
difficilmente attraversabile e rappresenta una vera e propria interfaccia al movimento tra area residenziale e
centro commerciale.
Anche in questo caso, la mobilitazione degli operatori privati è molto forte, come pure è forte il quadro
programmatico pubblico di sostegno all'operazione (che anche qui coinvolge operatori nazionali come le FS,
per la stazione e il servizio di trasporto, e la società autostrade per lo svincolo). Anche in questo caso i
promotori investono sulla qualità progettuale non solo dell'edilizia, ma almeno nelle intenzioni, anche
urbanistica, pur nella particolarità' di inserirsi in un settore vasto dove molte altre operazioni immobiliari di
segno e qualità variegata erano contemporaneamente in corso (e il cui risultato aggregato è di difficile
valutazione). Anche in questo caso l'eredità del piano precedente impone una direzione e definisce i confini
delle scelte anche formali, che vengono sostanzialmente rispettate. La realizzazioni delle funzioni non
residenziali, ancora non completata se non per la parte a commercio, come pure delle infrastrutture è più
evidentemente un punto di minor forza, e non a caso diventa occasione di rivendicazione significative, che
acquistano rapidamente un rilievo politico consistente. Originale è invece l'attivazione del centro
commerciale a supporto delle attività di quartiere, che presenta evidenti elementi innovativi per quanto ibridi.
Ancora più evidente invece è la subordinazione del disegno urbano alla ideologia del comfort individualista:
i patenti limiti di qualità urbana sono però frutto anche dell'applicazione -in modo invero un po’ stolido- di
standard e regolazioni urbanistiche.
Prime conclusioni
Come premesso, queste operazioni esaminate nell'ipotesi che si manifestino elementi di superamento dei
quadri che hanno retto le politiche nelle due fasi precedenti. Al di là delle vicende esaminate, queste
operazioni mettono in gioco la posta della rivalorizzazione fondiaria, che ha avuto da sempre un ruolo
cruciale in Italia, tanto più in questa fase storica quando continua a drenare le risorse utili al superamento
della crisi (Sapelli 2008). Ma questo prudente approccio lascia intendere che la disamina in corso non puo'
condurre se non a elementi indiziari.
Cosa hanno in comune questi due interventi che li differenzia dai quartieri -pubblici e privati- costruiti in
epoche precedenti? Il gran boom economico del dopoguerra ha visto la stagione più intensa di costruzione di
questi quartieri. Questi erano frutto di decisioni relativamente semplici, coerenti -sia pur con logiche opposte
- con i dettami welfaristi: promotore unico, suolo di proprietà (eventualmente tramite esproprio), economia
amministrata o di mercato, obiettivi sociali o di profitto, limitata attenzione al dettaglio qualitativo non
direttamente funzionale all'apprezzamento economico o redistributivo del bene. Rispetto a questo modello, le
differenze sono rilevanti e riguardano in particolare la gestione fondiaria e l'ideologia, la visione urbana.
In epoca più recente, vaste operazioni immobiliari sono stati avviati con altre premesse, a partire dai
Docklands di Londra. Alcune assonanze sono riscontrabili tra i due casi e la stagione liberista (in particolare
sul lato dei modelli urbani e di urbanità), ancorchè di interventi residenziali si tratti, per loro natura
scarsamente coerenti con l'orizzonte di competitività strategica e di profitto.
Quali elementi fanno dunque pensare ad un modello diverso?
Intanto, la collocazione in estrema periferia, almeno inizialmente poco favorevole, ma tale da consentire una
mobilità veicolare ottimale e -almeno nelle intenzioni- l'innesto sulle grandi infrastrutture di trasporto
pubblico. Questa collocazione risponderebbe a una forte intenzionalità strategica collettiva, almeno sulla
carta, in particolare rispetto alla armatura infrastrutturale urbana, uno degli elementi del nuovo prg che
incontra però le maggiori difficoltà attuative (per i costi delle infrastrutture). L'idea rinnova una antica e
vecchia costante della pianificazione romana, l'ambizione di riequilibrare la distribuzione della funzioni
centrali portando attività rare in periferia. Dallo Sdo alle centralità l'ispirazione pare il perseguimento di una
forma di “giustizia geografica” per combattere la marginalità sociale. Nel passaggio, c'è però da chiedersi se
i riferimenti oppositivi centro-periferia non siano nel frattempo cambiati; il carattere astratto e generale della
riallocazione di uffici e direzionali senza migliore specificazione, che dà per scontato l'impatto sulle
economie locali; e peraltro la resistenza del direzionale e la concentrazione invece degli ipermercati (con
un'offerta di posti lavoro consistente ma non qualificata).
Un altro elemento comune è la combinazione tra tradizionale quartiere residenziale e grande intervento
commerciale (con alcune ambizioni da “grande progetto” nel mix funzionale); che in parte si traduce anche
in un'incipiente ricerca iconica e, pur con qualche cedimento alle logiche di marketing, anche in una
riflessione sulla forma urbana. Ancorché il miglioramento rispetto alle operazioni storicamente più
speculative sia evidente, appare considerevole la lontananza rispetto ai livelli di qualità ambientale,
tecnologica e alla maturità della riflessione sul modello di urbanità implicata dall'abitare metropolitano nelle
operazioni comparabili a livello internazionale (Fainstein e Orueta 2008).
Non va nascosto però il favore senza riserva accordato a queste operazioni da parte di un ceto medio neo
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borghese, dai saldi valori individualistici ma solidamente convinto della legittimità di disporre delle risorse
pubbliche quando opportuno, che evidentemente trova motivi di soddisfazione sia nell'investimento
economico che nella soluzione residenziale, e sembra apparentemente condividere alcune soluzioni
urbanistiche ed edilizie di comfort e decoro. Ciononostante, questi quartieri sono sedi di mobilitazioni e
rivendicazioni sui servizi capace di assumere risvolti politici ma anche di mettere in questione priorità e
scelte strategiche e, in qualche misura, di instaurare relazioni con altri attori locali. Per quanto problematico,
questo aspetto è trascurato nei resoconti critici, e meriterebbe invece qualche considerazione.
Ancora, un elemento ancora comune è una complessa strutturazione dei diritti fondiari, mentre la proprietà è
relativamente semplice, con un itinere negoziale 'spesso', e un bilancio di scambi di aree e servizi con l'attore
pubblico non banale (Marcelloni 2003; Campos Venuti 2002); più in dettaglio, una vicenda innestata su
diritti fondiari pregressi (a volte 50 anni prima), con il consueto intreccio tra proprietà fondiaria e
promozione immobiliare, variamente e non senza difficoltà ritradotti nei sistemi regolativi attuali, a volte con
innovazioni e adattamenti non irrilevanti. Va segnalata la difficoltà comune a tutti questi strumenti a
confrontare valori e benefici e imporre il rispetto di uno “scambio leale” (Curti 2006): detto in altre parole, le
pubbliche amministrazioni non sono capaci di valutare e negoziare investimenti e valorizzazioni fondiaria in
questi casi, meno che mai nelle più complesse operazioni di redevelopment.
Infine, ma connesso al punto precedente, l'esito di queste regolazioni congiunte è frutto del coordinamento
tra attori nazionali e locali, pubblici e privati, che dovrebbe creare condizioni di reciproco vantaggio grazie
alla condivisione delle informazioni su tempi e decisioni di investimento (Camagni 2003). Se l'esito
materiale è superiore (almeno per quanto attiene le urbanizzazioni primarie, meno per la qualità) alla storica
disgiunzione tra edifici e servizi che ha afflitto lo sviluppo urbanistico italiano, siamo ancora lontani dagli
obiettivi e dalle condizioni raggiunte da analoghe operazioni all’estero (prova ne sia la mancanza di adeguato
trasporto pubblico, elemento strategico del prg). La qualità e incisività dei network decisionali appare invece
limitata, rigidamente contenuta nei binari del rapporto contrattuale e delle autorizzazioni, con effetti limitati
di carattere transattivo e di apprendimento (una riflessione ancora iniziale per questo genere di operazioni in
Gualini e Majoor 2007).
In definitiva, questi elementi suggeriscono una natura ibrida e complessa di queste forme di azione pubblica,
sia pur dal profilo relativamente elementare, che anticipano elementi sufficienti a ipotizzare una dislocazione
rispetto ai modelli di politiche urbane precedenti. Non si tratta ancora di un modello alternativo, e ciascuno
di questi elementi solleva piu' problemi di quanti ne risolva. Cionostante, sembra una direzione di studio che
meriti un approfondimento, in particolare sui processi di ri-sviluppo immobiliare che per loro natura
implicano problemi di govenance piu' sofisticati.
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