Beato Antonio Rosmini: “Cristo, altare, vittima e sacerdote”

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Beato Antonio Rosmini: “Cristo, altare, vittima e sacerdote”
Dicembre 2010
Beato Antonio Rosmini:
“Cristo, altare, vittima e sacerdote”
DON GIANNI PICENARDI
È ormai noto come il Beato Antonio Rosmini avesse molto
a cuore, di fronte alla grave e profonda ignoranza, di offrire
ai cristiani la possibilità di comprendere parole, gesti e segni
delle celebrazioni liturgiche della Chiesa, tanto da individuare nella divisione del popolo dal clero nel pubblico culto la
prima delle Cinque piaghe della santa Chiesa. Fin dagli anni
giovanili si preoccupò subito del problema e scrivendo alla
santa marchesa Maddalena di Canossa in una lettera del
gennaio 1824 diceva:
«Mi spiegherò meglio. La santa Chiesa ha raccolto in alcuni libri le sue preghiere e devozioni e questi sono specialmente il messale, il breviario, il martirologio. In questi libri
vi è un tesoro infinito di sentimenti solidissimi di pietà e di
affetti tenerissimi. Ma per il comune degli uomini sono divenuti quasi troppo sublimi e difficili. Le ragioni di ciò io credo
che stiano nella lingua latina andata in disuso, la poca istruzione che vi è nei cristiani, per cui difficilmente oggi gustano certe idee sostanziose, gravi e serie, ed infine anche il canto ecclesiastico, che si ascolta per diletto, invece di penetrare i sentimenti che esprime. Ora a me parrebbe la cosa più utile del mondo, se una società di persone [istituto religioso (Ndr)] che può attendere a Dio, si occupasse nel praticar bene ed assistere bene
a queste santissime ed fecondissime pratiche della santa Chiesa. Per scendere nei particolari osserviamo pure quanti difetti ci siano fra cristiani nella sola partecipazione alla santa Messa. E
perché? perché comunemente non si è abbastanza istruiti: 1. Nel mistero del santo Sacrificio; 2.
Nell’andamento di tutta questa augusta funzione; 3. Nell’intelligenza delle parole che dice il sacerdote, le quali le dice quasi sempre al plurale, cioè unito al popolo, supponendo (perché questa sarebbe l’intenzione della santa Chiesa) che tutto il popolo, non solo intenda, ma accompagni quei medesimi sentimenti; 4. Nella conoscenza di quanto significano gli indumenti, i vasi
sacri e le cerimonie che accompagnano la santa Messa. Ora quanto più utile non è una Messa
ascoltata con queste cognizioni! Quale unione più intima non nasce fra Gesù Cristo, il sacerdote
che sacrifica, e l’assistente che anch’egli insieme offre la stessa vittima divina! Questa intelligenza retta e fondata fu la devozione ferma e magnifica istituita dagli Apostoli e lasciata da loro alla santa Chiesa. Ma poiché, per 1° ragioni dette, questa devozione si rese troppo difficile, si cercarono delle altre devozioni, le quali sono state buonissime ed hanno supplito al bisogno di quei
fedeli che non arrivavano, o per mancanza di mezzo o d’altro, alla devozione grande e pubblica
della Chiesa».
Nel 1848-1849, anni tra i più impegnativi e turbinosi della sua vita legati alla sua missione romana e alle attività per costituire l’unità d’Italia, preparò un breve scritto intitolato: Della maniera di
1
assistere alla santa Messa, in cui dopo aver spiegato il rito traduceva in italiano le preghiere e il rito
della santa messa; lo inserì nel secondo volume delle sue Operette spirituali, che pubblicò a Napoli
nel 1849. Iniziativa che precorre di gran lunga il primo messalino in lingua italiana per i fedeli e
limitato alle feste, stampato dal Caronti nel 1921.
Comunque fu fin dal lontano 1821 che Rosmini, preparando per la sorella Margherita Gioseffa,
suora canossiana e direttrice a Rovereto dell’orfanotrofio femminile “Vannetti”, l’operetta Della educazione cristiana, pubblicata poi per la prima volta nel 1823, dedicò molti capitoli della terza parte
a spiegare senso e significato delle celebrazioni liturgiche, da essa è tratto il seguente:
Capitolo XVI: Oggetti delle chiese che contengono figure di cose spirituali
271. Nelle chiese, oltre a diversi ornamenti, vi sono altre cose; delle principali qui farò un piccolo cenno che vi possa indicare di cosa possano essere segno o simbolo.
L’altare è la mensa, su cui si celebra il sacrificio. Rappresenta il desco a cui Cristo cenò quando
consacrò prima il pane e il vino. E come quello raffigurava la croce, così il nostro altare è immagine
anche della croce, su cui patì. Per questo all’epoca apostolica gli altari erano costruiti di legno. Ancora più propriamente l’altare esprime Cristo stesso; e poiché il suo sacrificio è scelta libera del suo
spirito, Cristo fu veramente altare, vittima e sacerdote. Ecco perché Giovanni dice che l’altare è
Cristo1.
Nei testi più antichi Cristo è chiamato pietra angolare, testata d’angolo, che unisce i due muri
del tempio, cioè gli Ebrei e i Gentili2 e ancora pietra perché, percossa con i patimenti, fece sgorgare
acque di salvezza3, e pietra perché contro di essa s’infrangono e spezzano quelli che in lei cozzano4.
Già per antica legge gli altari si fanno di marmo, e si consacrano coll’olio, perché Cristo è l’Unto, di
cui era immagine il sasso, su cui Giacobbe sparse l’olio e che eresse a monumento, e dormendo su
di esso, come Cristo sulla croce, aveva veduto la scala degli Angeli, che congiungeva insieme la
terra ed il cielo5.
Nell’altare s’inseriscono reliquie di Santi, specialmente martiri, per il particolare legame che
hanno con Cristo nel Sacrificio; e le tre tovaglie benedette dell’altare rappresentano pure le vesti di
Cristo, che sono i suoi santi. I candelieri accesi e il Crocifisso nel mezzo, sono simbolo dei popoli
credenti uniti dalle due parti opposte, giudaica e gentile, a colui che elevato in alto trasse a sé ogni
cosa.
Ai piedi dell’altare stanno dei gradini, che sono le virtù per cui si va a Cristo. Prima di ascenderli nella Messa il Sacerdote fa la confessione dei peccati, e recita a vicenda col ministro, e anticamente con tutto il popolo, l’opportuno Fammi giustizia Signore6, col quale prega che, abbattuti gli avversari, gli mandi la sua luce e la sua verità, per essere da queste condotto nel santo suo monte, nelle
sue dilette dimore. Similmente al lavar delle mani dice: Lavo nell’innocenza le mie mani e giro attorno
1.
Cfr. Ap 6,9; 8,3-5.
2.
1Cor 10,4: «Tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo».
3.
Ivi.
4.
Cfr. 1Pt 2,7-8: «Per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e
sasso d’inciampo, pietra di scandalo. Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola».
5.
Cfr. Gn 28,12.
6.
Sal. 43 (42): Cel.: Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata; liberami dall’uomo perfido e perverso. /
R.: Tu sei il Dio della mia difesa: perché mi respingi? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico? / Cel.: Manda
la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora. / R.: Verrò all’altare
di Dio, a Dio, gioiosa esultanza della mia giovinezza. / Cel.: A te canterò sulla cetra, Dio, Dio mio. Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? / R.: Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
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al tuo altare, o Signore7.
272. L’uso delle cose necessarie nella Messa e nelle altre celebrazioni liturgiche è facilmente evidente, per cui parlerò del loro senso mistico, essendo questo atto a nutrire la devozione secondo
l’intenzione della Chiesa, desiderosa, che tutto e in tutti i modi ispiri edificazione e pietà.
Il Calice può raffigurare il sepolcro nuovo del Signore; la Patena, la pietra rovesciata
dall’ingresso della tomba; il corporale, la sindone nuova in cui Giuseppe d’Arimatea involse il corpo del Signore. Tutte le vesti poi del Sacerdote alludono alle vesti spirituali. La cotta bianca indica
l’innocenza di una vita sacerdotale. L’amitto è l’elmo della salvezza che difende il capo
dall’avversario e protegge il collo, ossia gli organi della voce, dove facile è il peccare. Il camice mostra il vestito tutto mondo della santità; il cingolo in particolare la virtù della purezza; il manipolo,
drappo, con cui una volta s’asciugavano le lacrime, significa la penitenza, che, seminando in pianto, coglie frutti di letizia. La stola, che pendente dal collo s’incrocia sul petto, segna la fortezza, o la
veste d’immortalità acquistata per la croce di Cristo, ed infine la pianeta raffigura il giogo della sua
soave legge, cioè la carità; nell’ordinazione viene chiamata dal Vescovo abito sacerdotale e nel
Vangelo veste nuziale sovrapposta alle altre, perché a tutte dà compimento e perfezione. Nella tunicella poi del suddiacono vi è l’immagine delle virtù interiori, così come nella dalmatica del diacono quelle esteriori; poiché spetta ai diaconi la cura dei poveri e devono essere assistiti dai suddiaconi, cioè da ministri incorrotti, pieni di santità interiore. Ed in ultimo il piviale dimostra la grave e santa conversazione dei superiori ecclesiastici, che abbraccia la carità di Dio e del prossimo.
273. I diversi colori poi dei paramenti sacri si adeguano alle feste che con essi si celebrano. Il
bianco indica letizia, gloria, gaudio; il rosso segna il sangue dei martiri e il fuoco dello Spirito santo; il violaceo significa mestizia e passione; il nero morte; il verde poi è un colore medio, che si usa
in alcune domeniche meno solenni forse qual indice della nostra speranza.
274. I bacili poi dell’acqua benedetta, che anticamente erano vasche con una fontana posta in
mezzo all’atrio delle chiese dove si lavavano le mani e la faccia i fedeli prima di entrare in chiesa,
simbolizzano la lavanda interiore, e lavano dai peccati veniali chi ne ha dolore, in virtù della benedizione fatta su quelle acque dal Sacerdote».
7.
Sal 26 (25),6.
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