Cinema e televisione

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Cinema e televisione
Cinema e televisione
Tecnologie a confronto
di Diego Zipponi
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Se vi recate a Trieste, nell’ottocentesco Museo Revoltella, una delle
location del recente “Rebecca”, potrete vedere, mimetizzata tra gli altri quadri,
una strana cornice che quadro non è: si tratta invece di un sistema di specchi con
cui il Barone omonimo poteva vedere chi passava in strada davanti al suo
portone. In altre parole una “tv a circuito chiuso” di tipo ottico.
Questo oggetto può essere considerato un esempio di come fosse
richiesto, già nell’ottocento, un sistema di trasmissione delle immagini a
distanza; anche se la tecnologia elettrica era già conosciuta, l’unico sistema
disponibile era di tipo “ottico”. E ottico fu, poco dopo, anche il cinema, che
affidò la conservazione e la trasmissione delle immagini ad un sistema a base
fotografica. L’invenzione dei fratelli Louis e August Lumière, chiamata dagli
stessi “cinematografo” dal greco kinema (movimento) e grafo (scrivere), si
diffuse, in pochi anni in tutto il mondo. La pellicola impiegata era a 35 mm.,
standardizzata nel poi 1909, il cui formato è rimasto lo stesso fino ad oggi, salvo
usi sporadici del film a 65 o 70 mm. Anche le macchine usate per manipolarla la cinepresa (all’inizio rigorosamente a manovella e poi elettrica), la moviola, il
proiettore - sono componenti di una tecnologia semplice e di lunga durata.
In pochi anni si sperimentarono e si affinarono le principali basi della
produzione; in particolare il montaggio, grazie anche a registi come Ejzenš
tejn,
raggiunse una notevole maturità. Nascita di una Nazione di Griffith (Usa, 1915)
viene considerato il film antesignano dei lungometraggi, anche per le soluzioni
di montaggio adottate, nonostante un contenuto che oggi definiremmo
“politicamente scorretto”. Anche gli effetti speciali erano noti, da quelli molto
semplici - come le sparizione di oggetti, l’accelerazione del movimento, la
sovrimpressione - a quelli più sofisticati usati, ad esempio, da Georges Méliès.
Con trucchi ottici per quei tempi avveniristici, diresse film di genere fantastico
quali Il viaggio nella luna (Fr. 1902) - il proiettile nell’occhio del nostro satellite
è un’icona del cinema - e Il viaggio attraverso l’impossibile (Fr. 1904).
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Una invenzione molto importante nel mondo del cinema, all’inizio
rigorosamente in bianco e nero, fu la nascita nel 1913, della pellicola
pancromatica, che era sensibile nell’intero spettro visibile. Dall’uso della
precedente pellicola ortocromatica era nata, all’inizio del secolo scorso, la moda
di colorarsi le labbra di nero per imitare le star del cinema, il cui rossetto veniva
riprodotto molto scuro a causa della scarsa sensibilità del film nei toni del rosso.
Ben presto si sentì l’esigenza di superare i limiti del film muto e, per un
certo periodo, si affiancò alla proiezione un’orchestra che suonava musiche con
lo scopo di creare l’atmosfera corretta. Dopo la metà degli anni venti, con
l’espandersi degli amplificatori a valvole termoioniche, si cercò di associare alle
immagini i suoni registrati. Il cantante di Jazz (Usa, 1927) di Alan Crosland
viene considerato il primo film sonoro. All’inizio furono usati dei dischi sistema chiamato Vitaphone - ma il sonoro andava spesso fuori sincrono rispetto
alle immagini. Questo difetto fu risolto imprimendo la colonna sonora, in forma
ottica, direttamente sulla pellicola.
In quegli anni inoltre la Kodak introdusse il 16 mm., standard destinato ad
avere grande successo per la documentaristica e per le piccole sale. Negli anni
trenta il cinema aveva quindi raggiunto un notevole sviluppo, mentre la Tv
muoveva i primi passi; le trasmissioni ufficiali iniziarono nel 1936, in Gran
Bretagna e in Germania.
I due mondi, come indicato in figura 1, avevano flussi di produzione
paralleli, ma totalmente distinti e diversi: il cinema, come avrebbe detto più
avanti Nicholas Negroponte,1 spostava gli atomi, cioè un supporto fisico, la
televisione i bit, ovvero le informazioni, anche se le tecnologie digitali sarebbero
giunte solo mezzo secolo dopo. Infatti il film era composto da un supporto
materiale che poteva essere montato a piacimento e proiettato quante volte si
voleva. La televisione poteva invece solo far vedere in diretta un avvenimento,
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Negroponte, Nicholas, Being digital, 1995 (Trad. it. Essere digitali, Sperling & Kupfler, Milano, 1995)
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spesso utilizzando più telecamere per avere più punti di vista, ed il montaggio si
riduceva solo alla scelta di quale telecamera mandare in onda.
Telecamere
Trasmissione
televisiva
Televisione
Regia di
produzione
televisiva
Cinepresa
Proiezione
cinematografica
Cinema
Montaggio
con moviola
Figura 1
La Tv si accorse ben presto che la sola diretta era però insufficiente a
riempire le ore di trasmissione, ma soprattutto a fornire soddisfacenti e variegate
metodologie di produzione: anche in questo mondo occorreva “fermare il
tempo” mediante un sistema di registrazione delle immagini e dei suoni.
Sfortunatamente, però, in quegli anni nessuna apparecchiatura poteva registrare i
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segnali elettronici, per cui ci si rivolse al cinema, alla sua pellicola a 35 e 16
mm, ai suoi processi produttivi. Nasceva così “Quella parte di cinema chiamata
televisione” proprio a rimarcare quella superiorità, sia storica, sia culturale, della
ripresa in pellicola rispetto al mezzo elettronico.2 In altre parole, il sistema
“principe” per la produzione era il cinema, la televisione ne era solo una pallida
imitazione e le si concedeva solo il vantaggio della trasmissione in diretta.
Molta produzione per la Tv avveniva così mediante la pellicola, in
particolare i documentari, gli sceneggiati, la cronaca ed in generale tutto ciò che
doveva essere conservato nel tempo. Il processo di produzione televisiva si
fondeva così in parte quello cinematografico come descritto nella figura 2.
Telecamere
Regia di
produzione
televisiva
Telecinema
Cinepresa
Trasmissione
televisiva
Televisione
Vidigrafo
Montaggio
con moviola
cinematografica
Figura 2
2
Questa frase è anche il titolo di un libro, di Autori vari, a cura di Claudio Martelli, edito da Guanda Editore,
Milano, 1981.
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Il contatto tra la televisione ed il cinema ha creato due nuovi flussi che
collegano la regia di produzione al montaggio effettuato mediante una moviola.
Il primo di questi due collegamenti, il più semplice a livello tecnologico, è
quello che prevede la conversione della pellicola in formato elettronico. Ciò può
essere ottenuto attraverso una apparecchiatura chiamata telecinema, che nella
sua concezione più semplice è un proiettore cinematografico che invia le
immagini ad una telecamera. Occorre in questo caso far coincidere la velocità di
proiezione del film, che è 24 fotogrammi al secondo, con la scansione della
telecamera, che invece produce 25 quadri al secondo. Ciò si ottiene, nel sistema
Pal, proiettando la pellicola alla stesso frame rate della telecamera, quindi
accelerando il film di circa il 4%, il che produce risultati accettabili sia per
l’audio che per il video, oppure, senza dover accelerare la velocità di proiezione,
aggiungendo un semiquadro ogni 12 immagini.
Il telecinema con telecamera, che comunque produce buoni risultati, è
stato utilizzato per molti anni ed è stato via via sostituito da sistemi più moderni,
come, ad esempio, da quello a Ccd, in cui la trasformazione in segnale
elettronico viene ottenuta tramite un sensore allo stato solido, o quello a flying
spot, in cui l’esplorazione del fotogramma del film viene effettuata da un raggio
elettronico che viaggia in sincrono con i parametri del sistema televisivo.
Più complesso era invece il processo contrario, ovvero la registrazione del
segnale elettronico. Essendo la pellicola l’unico sistema di memorizzazione, fu
realizzato una sorta di “telecinema al rovescio”, ovvero un televisore accoppiato
otticamente ad una cinepresa, per lo più a 35 mm. Il sistema presentava
comunque alcuni problemi non da poco: la scarsa qualità delle immagini una
volta ritrasformate in segnale elettronico, la limitata durata della registrazione
(solo pochi minuti), ma soprattutto l’altissimo costo della pellicola, che
permetteva l’utilizzo di questo sistema solo in rari casi. Questo sistema fu
chiamato vidigrafo, parola che oggi, nel gergo televisivo, indica quel sistema di
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apparecchiature usate per registrare i contributi filmati che arrivano alle
redazioni da fonti esterne (satelliti, ponti radio, ecc.).
Seppure con la limitazione tecnica dovuta alla mancanza di un efficace
sistema di memorizzazione, la televisione si stava espandendo, rosicchiando
spettatori al cinema. Il mondo della pellicola corse così ai ripari: negli anni
cinquanta furono introdotti due significativi cambiamenti: il colore ed il
Cinemascope. La pellicola a colori era disponibile già negli anni trenta 3, ma
solo negli anni cinquanta-sessanta essa prese definitivamente piede. Infatti il
colore fu vissuto all’inizio come fatto puramente spettacolare, più che come una
riproduzione della realtà; ciò era dovuto anche ai limiti tecnici della pellicola
stessa.
La seconda rivoluzione fu lo schermo panoramico, all’inizio chiamato
Cinemascope; il primo film a proiezione allargata fu La tunica (Usa, 1953) con
Richard Burton. L’effetto era notevole: da uno schermo quasi quadrato si
passava ad un rapporto di 1:2,55, poi ridotto a 1:2,35 per fare spazio alla
colonna sonora ottica, non prevista nella configurazione iniziale che
contemplava invece il sonoro magnetico a quattro piste. Questo tipo di schermo
allargato è ottenuto attraverso un processo anamorfico, che era stato studiato da
Henri Chretien già nel 1927. In fase di ripresa l’obiettivo schiaccia l’immagine
in orizzontale mentre, in proiezione, una lente specifica restituirà immagini
corrette. Poiché molte sale non potevano proiettare questo tipo di pellicola,
furono studiati formati allargati non anamorfici con vari rapporto d’aspetto. Si
ritenne che, per differenziarsi dal rapporto scelto inizialmente dal cinema di
1:1,33 - detto Academy - fosse necessario averne uno di almeno 1:1,75. In
quegli anni fu un fiorire di formati allargati come, ad esempio Superscope, Fox
55 mm., Technirama, Techniscope, Todd-AO. La televisione rimarrà per
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Prima dell’introduzione della pellicola a colori si era tentato di colorare il film a mano, pellicola per pellicola,
con costi altissimi.
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moltissimi anni con il formato d’immagini di 4:3 (ovvero l’1:1,33 con un’altra
denominazione) e si convertirà ai 16:9 solo moltissimi anni dopo.
Un’altra tecnologia che prese piede negli anni cinquanta fu il cinema
tridimensionale o 3-D. Il principio di base di questa tecnologia - ovvero la
visione di due immagini leggermente diverse da parte dei due occhi - erano già
noti dal 1832 con gli esperimenti di Charles Weatstone, ma solo in quegli anni si
iniziò a utilizzarla nei cinema. La necessità di usare degli occhiali colorati con
un filtro rosso ed uno blu - tecnica detta anaglifo – portò ad un successo
limitato, anche a causa dell’affaticamento degli occhi durante la visione.
Tecniche più moderne, come l’uso di lenti polarizzate o occhiali che, mediante
un sistema di sincronizzazione, fanno vedere ad ogni occhio solo l’immagine
voluta, stanno riportando in auge questa tecnologia.
Negli anni cinquanta, inoltre, cominciano a diffondersi gli zoom o
trasfocatori, il cui principio di base - l’unione di una lente positiva con una
negativa - era già noto alla fine dell’ottocento; solo in quegli anni però
raggiunsero un soddisfacente livello qualitativo. Prima le telecamere avevano
generalmente in dotazione un sistema a torretta rotante con un tre obiettivi: un
grandangolo, una focale media ed un teleobiettivo. In pochi anni gli zoom
divennero di uso comune in Tv, mentre nel cinema il loro uso fu più contenuto
in quanto le ottiche a focale fissa erano ritenute di maggior qualità.
Il mondo televisivo, il cui sviluppo era stato fermato dalla seconda
guerra mondiale, cercava intanto di realizzare quel sistema di produzione che nei
decenni successivi porterà allo sviluppo della Tv moderna, come oggi la
conosciamo; occorreva però raggiungere il trattamento totalmente elettronico
dell’informazione televisiva. La videoregistrazione diventava così una esigenza
primaria: a questo proposito si possono individuare tre periodi storici, non
rigorosamente divisi tra loro, ma, anzi, con varie sovrapposizioni. Chiamando
“Fase 0” quella già descritta precedentemente e che prevedeva l’uso della sola
pellicola, le tre fasi sono le seguenti:
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-
Fase 1: utilizzo della videoregistrazione solo in studio; dall’inizio degli anni
sessanta.
-
Fase 2: impiego della videoregistrazione anche in esterni; dalla metà degli
anni settanta
-
Fase 3: Informatizzazione della produzione televisiva; dalla metà degli anni
novanta
Come detto, l’attesa per un sistema di videoregistrazione, negli anni
cinquanta, era altissimo, soprattutto negli Stati Uniti d’America. Infatti i
network nazionali dovevano rifare in diretta i telegiornali affinché i telespettatori
appartenenti a ciascun fuso orario potessero usufruirne alla stessa ora, ovvero
quella di cena; ovviamente sarebbe stato molto più pratico videoregistrare il Tg
e ritrasmetterlo un’ora dopo.
Non mancarono in quel periodo esperimenti in tal senso; ad esempio lo
showman Bing Crosby aveva fatto realizzare un modello dai suoi tecnici, ma
questa apparecchiatura non venne mai commercializzata; anche la Bbc, la Rca,
la General Electric erano impegnate nella ricerca. Molti di questi prototipi
partivano da un concetto errato, ovvero quello di cercare di replicare, con
opportune modifiche, il sistema di registrazione adottato per l’audio, quello
lineare. Poiché un segnale video contiene circa 100 volte più informazioni che
uno audio, era necessario aumentare la velocità del nastro di un fattore
corrispondente, raggiungendo velocità di scorrimento di diversi metri al
secondo; come facilmente immaginabile, ciò creava enormi problemi meccanici
ed aveva una durata limitata.
Chi trovò la soluzione vincente fu la statunitense Ampex, tanto che per
molti anni questo nome divenne sinonimo di videoregistrazione; questa Società
aveva interessi diversificati nel campo della produzione di apparecchiature
elettroniche e non riteneva di primaria importanza lo sviluppo di questa linea di
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ricerca, che fu più volte sospesa. Il gruppo di tecnici, capitanati da Charles P.
Ginsburg, pensò di far ruotare quattro testine video perpendicolarmente ad un
nastro da due pollici (circa cinque centimetri): ciò manteneva una bassa velocità
del nastro, ottenendo nel contempo un’alta velocità relativa nastro-testina che
permetteva la registrazione di un segnale video. Un prototipo che forniva una
buona qualità d’immagine fu presentato alla mostra denominata Nartb, oggi
Nab, a Chicago, nel 1956; il successo fu enorme e la Ampex fu sommersa dagli
ordini, nonostante si fosse fissato un prezzo di 75.000 dollari di allora a
macchina. Le aziende di broadcasting colsero immediatamente l’importanza di
questa rivoluzione e la prima trasmissione televisiva registrata andò in onda il 30
novembre 1956 sui canali della Cbs.
Questo sistema di videoregistrazione chiamato Quadruplex permetteva
all’inizio solo di incidere e poi riprodurre il segnale; più avanti fu realizzato il
primo sistema di montaggio Rvm (Registrazione video magnetica) che era
composto da un videoregistratore in lettura e da uno in registrazione pilotati in
sincrono da una centralina, sistema sostanzialmente rimasto identico, nei
principi fondamentali, fino ad oggi. Nasceva così la possibilità di realizzare
programmi in “differita”, prodotti con maggiore accuratezza grazie alla
possibilità di eliminare gli errori, ma si sviluppava anche un maggior controllo
sui contenuti delle trasmissioni, ovvero una censura più efficiente. Infatti una
verifica sui programmi comunque esisteva anche prima, ma essendo limitata
soprattutto ai copioni, non poteva ovviamente influire sulle “dirette”.
La videoregistrazione, anche se solamente in studio, era anche
funzionale ad un altro importante sviluppo della televisione di quegli anni,
ovvero alla nascita dei circuiti di scambio di immagini e notizie, ovvero, per
l’Europa occidentale, dell’Eurovisione. Una delle prime trasmissioni fu
l’incoronazione della Regina Elisabetta, il 2 giugno del 1953; nel 1954 venne
istituito un servizio di interscambio a cadenza settimanale a cui anche l’Italia,
attraverso la Rai, aderì immediatamente e, nel maggio 1961, la frequenza degli
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scambi divenne quotidiana. Oltre ai collegamenti in diretta, era anche importante
fornire materiale registrato per i telegiornali; sarebbe stato estremamente
complesso distribuire a tutti gli aderenti una copia in pellicola di un
avvenimento ed inoltre ciò avrebbe comportato un’estrema lentezza nel processo
di diffusione dell’informazione. Solo la distribuzione per via elettronica
combinata all’uso della videoregistrazione avrebbe permesso quella rapidità nel
diffondere le notizie a cui oggi siamo abituati.
I sistema a due pollici erano costosi, ingombranti e poco pratici; già a
metà degli anni sessanta si cominciarono a produrre videoregistratori che
usavano nastri a un pollice, con qualche limite nella qualità dell’immagine. Tra i
primi ci furono la stessa Ampex e la Sony, che diventerà poi un colosso
mondiale dell’elettronica; anche la Ivc (da non confondersi con la quasi
omonima Jvc) presentò un modello a basso costo che fu usato per oltre dieci
anni. “Serie 87” era invece il nome del modello realizzato dalla Philips. Il
prezzo di queste apparecchiature si aggirava sui venti milioni di lire di allora e,
anche se la videoregistrazione era ancora riservata ai soli professionisti,
potevano ritenersi relativamente “economiche”. Occorreva però realizzare un
sistema che fornisse le stesse prestazioni del Quadruplex, ma con nastri di
dimensioni più contenute, ovviamente a colori. Due furono, all’inizio degli anni
settanta, i sistemi proposti e poi standardizzati a livello mondiale dall’Smpte e
dell’Ebu: il tipo “B” ed il tipo “C”, entrambi utilizzanti nastri a un pollice (2,5
cm.). Il primo era stato inventato dall’europea Bosch ed era tecnicamente più
semplice, più affidabile e più economico. Presentava però un grosso limite: le
immagini erano visibili solo in “play”; alle altre velocità occorreva impiegare
“memorie di quadro” che, a quei tempi, erano costosissime.
Il tipo “C”, proposto dalla Sony, era invece più ingombrante, ma aveva
la possibilità di visionare l’immagine a qualunque velocità, facilitando così le
operazioni di montaggio. La vittoria di questo sistema sul concorrente fu
determinato solo in parte dalle caratteristiche tecniche e molto di più dalla forza
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commerciale delle Case che lo produssero, tra cui, oltre alla Sony, c’erano nomi
dal calibro di Ampex, Hitachi, Nec, Rca. Questo standard negli anni ebbe alcuni
miglioramenti, tra cui, ad esempio, lo slow motion o ralenty, ovvero la
possibilità di far vedere senza disturbi le immagini anche a velocità più basse da
quella nominale, funzione molto richiesta per le trasmissioni sportive e che
prima era ottenuta con costosi sistemi a dischi della stessa Ampex o con l’uso
della stessa moviola cinematografica. Questi videoregistratori usavano la
scansione elicoidale; il gruppo testine non era perpendicolare al nastro, ma
produceva delle tracce inclinate simili alle spine di pesce, tecnologia poi
applicata in tutti i tipi di videoregistrazione successiva. Del tipo “C” fu anche
realizzato un modello portatile, da parte della Nagra, che a quei tempi era leader
nella produzione dei registratori audio professionali.
Questi videoregistratori erano ancora molto pesanti (varie decine di
chilogrammi); inoltre erano a bobina aperta ed il cambio di nastro era
un’operazione lunga e un po’ complessa. Rappresentavano comunque quanto di
meglio la tecnologia offrisse e lo standard ad un pollice tipo “C” fu, per
moltissimi anni, nel settore professionale, garanzia di alta qualità. La
registrazione in esterni, che richiedeva mobilità e leggerezza delle macchine da
presa, era ancora regno della pellicola: 16 o 35 mm., anche se uno degli
avvenimenti più importanti del ventesimo secolo, l’assassinio di J.F.Kennedy,
nel 1963, fu filmato da un dilettante con una telecamera ad 8 mm.
La pellicola doveva essere portata in studio, sviluppata, montata con la
moviola e poi convertita in elettronico attraverso il telecinema per la
trasmissione, tutti procedimenti che rallentavano il processo di produzione dei
telegiornali. Inoltre molto macchinoso era l’impiego del sonoro, che veniva
registrato da una apparecchiatura separata e poi abbinato alle immagini in
moviola. La risposta a queste esigenze di velocizzare il processo di produzione
delle news arrivò però da un mercato complementare, ovvero da quello “non
broadcast”. Fu realizzato un sistema che, con qualche limitazione nella qualità
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delle immagini, era relativamente economico e soprattutto utilizzava
videocassette che erano inseribili nel videoregistratore senza particolare
difficoltà. Nel 1971 la Sony presentò quel sistema che avrebbe rivoluzionato,
ancor più dei precedenti formati, il mondo dell’informazione televisiva: l’UMatic, così chiamato sia perché il sistema di caricamento del nastro ricordava
una “U”, sia perché era automatico nell’inserimento di un nastro da 3/4 di
pollice, ovvero 19 mm. I costi non erano ancora abbordabili dall’utente
amatoriale, ma comunque di molto inferiori a quelli delle macchine broadcast.
Oltre a sistemi di montaggio da studio, poco tempo dopo fu presentato un
modello portatile dal peso di circa 10 chilogrammi che poteva registrare un
nastro da 20 minuti. Era finalmente possibile l’Eng (Electronic news gathering),
la raccolta di notizie in elettronico. Non c’era più bisogno né del telecinema, né
del vidigrafo; il montaggio Rvm (Registrazione video magnetica) poteva editare
una videocassetta o registrare il segnale video proveniente dalla regia ed alla
regia stessa restituire un segnale video con un processo totalmente elettronico.
Telecamere
Regia di
produzione
televisiva
Trasmissione
Televisione
Segnale elettronico
Videocassette
Montaggio
R.v.m.
Figura 3
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Non era però tutto ideale in questo passaggio all’elettronica; i problemi
erano parecchi: il sistema telecamera-videoregistratore era notevolmente più
pesante della cinepresa, il consumo di corrente era molto alto, c’era
costantemente il rischio di rovinare il tubo della telecamera in caso di
esposizioni a forti sorgenti di luci, la resa qualitativa era talvolta inferiore a
quella della pellicola, soprattutto per l’effetto cometa, ovvero una scia lasciata da
forti punti-luce. Il problema più grande era però il cavo che univa il cameraman
al tecnico che portava il videoregistratore: un vero impedimento alla mobilità ed
una continua fonte di guasti.
La pellicola fu usata comunque ancora per molti anni sia per motivi
economici, sia in quelle situazioni in cui i sistemi elettronici mostravano i loro
limiti - per fare degli esempi, le riprese subacquee o in alta montagna - ma, per
la cronaca di ogni giorno, la via era tracciata e da quel momento fu una continua
corsa al miglioramento tecnologico.
Per il mercato broadcast fu creata una versione professionale, chiamata
Bvu (Broadcast video U-Matic), la cui principale miglioria era una maggior
qualità sui dettagli del colore. Le apparecchiature Bvu, chiamate anche high
band, costavano il doppio della versione standard ed erano concepite in maniera
molto accurata, sia come elettronica, sia come costruzione meccanica, risultando
una ottima alternativa a sistema più costosi. Nel 1986 il Bvu divenne ancora
migliore con la presentazione del formato Bvu-Sp, che, per la prima volta,
presentava, su questa categoria di macchine, un sistema di riduzione del rumore
audio, il Dolby “C”, che aumentava il rapporto segnale-disturbo di oltre 10 dB e
un sistema di time code finalmente economico. Il Bvu di tipo normale andava
comunque abbastanza bene ed inoltre nuovi standard si affacciavano
all’orizzonte; per questo motivo questo formato, pur valido, non ottenne i
risultati commerciali sperati.
L’U-Matic, nelle sua varie versioni, è stato lo standard certamente più
diffuso al mondo - nel 1990 è stato superato il milione di macchine vendute - e
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va ricordato almeno per un altro motivo: grazie a questo formato si è potuto
sviluppare in Italia quel colossale fenomeno che è stato, a metà degli anni
settanta, il diffondersi delle emittenti private, quello che Umberto Eco ha
chiamato il passaggio dalla paleotelevisione alla neotelevisione. Senza poter
disporre di un sistema di videoregistrazione le cui macchine costassero solo
alcuni milioni di allora sarebbe stato veramente difficile far nascere una
emittente locale, alcune delle quali si sono poi sviluppate fino a diventare Tv di
respiro nazionale.
Degli anni settanta va ricordata poi una geniale invenzione pensata
all’inizio per il cinema e utilizzata poi anche nella televisione. Una invenzione
che, caso raro nella storia delle tecnologie, è stata ideata da un uomo solo: lo
steadicam e quell’uomo era Garret Brown. L’idea di base era realizzare uno
strumento di smorzamento delle vibrazioni che avesse la stabilità del carrello
cinematografico e la versatilità della camera a mano. Dopo una lunga serie di
prototipi ne fu costruita una versione definitiva che fu commercializzata per
molti anni dalla Cinema products, che ne ottenne l’esclusiva. La genesi di questa
invenzione è descritta in Steadicam, una rivoluzione nel modo di fare cinema di
David Ballerini, da cui possiamo rilevare che il primo film in cui questa
apparecchiatura fu usata è Questa terra è la mia terra (Usa 1976) di Hal Ashby
(biografia del cantante country Woody Guthrie). Film peraltro poco noto, mentre
tutti ricordano l’uso della steadicam in Rocky (Usa 1976) e Shining (Usa-Gb
1980).
Queste nuove tecniche nonché il miglioramento della resa qualitativa
della pellicola - si ritiene che in 30 anni la definizione dell’immagine sia
praticamente raddoppiata - portarono il cinema ad un livello praticamente
irraggiungibile dalla televisione, che intanto era stava diventando anch’essa a
colori. 4 Nel campo televisivo si stava intanto cercando di produrre telecamere
4
In Italia le trasmissioni a colori, a lungo sperimentate, iniziarono ufficialmente nel 1977, mentre negli Usa
erano già disponibili negli anni cinquanta.
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che avessero peso, prestazioni e facilità d’uso delle cineprese a 16 mm. Innanzi
tutto era necessario risolvere il problema delle dimensioni e ciò fu ottenuto
mediante due rivoluzioni tecnologiche: i sensori a Ccd (Charge coupled device)
e sistemi di registrazioni a mezzo pollice.
I sensori a Ccd sostituivano i tubi di ripresa delle telecamere e
presentavano notevolissimi vantaggi; hanno permesso di diminuire la lunghezza
di una telecamera professionale di oltre 10 cm., il consumo elettrico è stato
ridotto di oltre la metà, non c’è nessuna necessità di messa a punto prima della
ripresa5 , sono insensibili ai campi magnetici esterni6 e presentano maggiore
solidità ed insensibilità agli urti, oltre ad eliminare il rischio di danneggiamenti
in caso di esposizione verso forti sorgenti di luce. Questo tipo di sensore fu
inventato da Bill Boyle e George Smith tra la fine del 1969 ed il 1970 nei
laboratori della Bell 7 e da subito si ipotizzò un loro utilizzo nel campo
televisivo; un prototipo venne presentato nel 1980 e cinque anni dopo furono
poste in vendita telecamere pronte per l’impiego. All’inizio degli anni novanta le
telecamere a tubo erano praticamente scomparse dai listini professionali.
Per realizzare telecamere sempre più compatte occorreva però ridurre
anche le dimensioni dei videoregistratori; per un certo periodo furono usati
standard non professionali come il Vhs e l’8 mm., ma, sebbene per la prima volta
si riuscisse a ottenere telecamere compatte, i risultati video erano
insoddisfacenti. Successivamente si usarono le loro versioni professionali,
ovvero il Super Vhs e l’Hi8, ma ben presto si imposero nel campo broadcast i
sistemi a mezzo pollice component. Con quest’ultimo termine si indicano tutti
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Le telecamere professionali erano, nella quasi totalità, tritubo, ovvero avevano un tubo per il colore del rosso,
uno per il blu ed uno per il verde. La telecamera doveva essere frequentemente tarata in maniera tale che le
immagini generate dai tre tubi fossero perfettamente sovrapposte.
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Come ben noto agli operatori di ripresa, in alcuni ambienti, come stabilimenti siderurgici, era impossibile
effettuare riprese con camere a tubo, a causa dei forti campi magnetici che deformavano le immagini. Anche
alcuni mezzi di trasporto, come, ad esempio, la metropolitana di Milano, creavano delle zone dove le telecamere
non potevano operare.
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Le informazioni sulla nascita del Ccd sono tratte dall’articolo di Mauro Scaioni Leggeri e digitali in
“Millecanali” n. 289, Aprile 2000, Jce, Milano.
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quei sistemi di videoregistrazione che tengono separate le informazione del
colore da quelle relative alla luminanza.
La prima società a proporre un prototipo di camcorder (camera +
recorder), fu la Panasonic che, nel 1980, presentò l’hawkeye, letteralmente
occhio di falco. Veniva usato il nastro Vhs, ma con una velocità superiore di
circa cinque volte rispetto alla versione amatoriale e ciò garantiva una notevole
qualità video: il nuovo standard fu chiamato sistema M ed ebbe una certa
diffusione negli Stati Uniti, ma non venne commercializzato in Europa. Subito
dopo la Sony introdusse sul mercato il Betacam, che già dal nome ricordava il
Betamax, sistema di videoregistrazione casalinga. Infatti il nastro usato era lo
stesso, ma, anche qui, grazie all’aumento di velocità, le prestazioni erano
significativamente superiori. Sebbene questi due sistemi permettessero,
finalmente, di realizzare un sistema compatto, il successo commerciale all’inizio
fu modesto, sia a causa del notevole peso dell’apparecchiatura (oltre 10 kg.) che,
se utilizzata a spalla era notevolmente pesante, sia per gli alti costi necessari per
la riconversione degli impianti, non solo di ripresa, ma anche di montaggio.
Oltre a ciò la durata massima del nastro era di 20 minuti, il che limitava le
applicazioni in studio. La rivoluzione definitiva avvenne tra fine degli anni
ottanta e l’inizio degli anni novanta con la presentazione, da parte della Sony,
del sistema Betacam Sp, che superava i limiti della versione precedente: ancora
maggior compattezza delle telecamere, prestazioni paragonabili ai costosi
sistemi ad un pollice, durata del nastro da studio di oltre un’ora. Se aggiungiamo
a ciò il fatto che la stessa Società, negli anni sviluppò tre famiglie di prodotti,
diversi per prestazioni e costo, ma tutti impieganti lo stesso tipo di nastro, si può
comprendere come in pochi anni il Betacam Sp, divenne, di fatto, il nuovo
standard per la produzioni televisiva broadcast. La Panasonic rispose con il
sistema chiamato MII, dalle prestazioni simili, ma con scarsi riscontri
commerciali, anche se i prezzi erano più bassi della concorrenza; in Europa fu
adottato principalmente dalla televisione di Stato austriaca. Nella figura 4 si può
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notare come il peso delle apparecchiature da ripresa Eng sia negli anni
diminuito, fino a stabilizzarsi su un valore simile a quello di una cinepresa 16
mm.
Tipologia
Telecamera a tubi
con videoregistratore
Bvu separato
modello 8
BVP-300P +
BVU-110P
Sistema compatto
con telecamera a tubi
e Vtr Betacam
Sistema compatto
con telecamera Ccd
e Vtr Betacam Sp
Sistema compatto
Betacam Sx
BVP-3P +
BVV-1APS
Peso
telecamera: 7 Kg
videoreg.: 13 Kg
Totale:
anno
1982
20 Kg
11 Kg
1986
BVW-400P
7 Kg
1990
DNW-90P
6 Kg
2000
Figura 4
“Ogni immagine è bella non perché sia bella in sé…ma perché è lo
splendore del vero” affermava Jean Luc Godard nel 1959. 9
Se per qualcuno l’immagine era tutto, per altri era invece necessario
trasformarla, migliorarla, piegarla al pensiero fantastico del regista. Varie
tecniche vennero usate nel cinema per modificare la ripresa. Per risparmiare
sulle scenografie si poteva usare il glass shot, ovvero un disegno posto davanti
all’obbiettivo della cineprese per simulare paesaggi altrimenti costosi da
realizzare in grandezza naturale. Molto usato era il cosiddetto trasparente o back
projection, ovvero la retroproiezione di una immagine in movimento alla spalle
degli attori. La doppia esposizione permetteva di accoppiare due scene
altrimenti non riprendibili dal vero, mentre già dagli anni trenta venne usata la
tecnica della animazione sia con disegni sia con pupazzi o semplici oggetti,
tecnica chiamata ripresa a passo uno o stop motion. Anche se usata già agli
8
9
Tutti i modelli sono della Sony.
Citata in Casetti, Francesco, Teorie del cinema 1945-1990, Bompiani, Milano, 1993.
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albori del cinema, negli anni settanta si sviluppò inoltre l’uso degli
animatronics, praticamente dei robot, per lo più con le fattezze di esseri
fantastici, che interagivano con gli attori. Memorabile è l’alieno di E.T., regia di
Steven Spielberg (Usa, 1982), creato dall’italiano Carlo Rambaldi e costato più
di un milione di dollari. Un altro effetto speciale è il blue screen, o travelling
matte che permette, per esempio, di far volare le persone. Un attore viene ripreso
su uno sfondo blu o verde; mediante una tecnica di mascheramento, questo
sfondo colorato viene eliminato e la figura dell’attore viene sovrapposta
all’immagine del cielo. Un ventilatore che scompigli i capelli ed il trucco è fatto.
Con questa tecnica, che nella tv verrà chiamata chroma-key, si possono
sovrapporre persone rimpicciolite davanti ad altre riprese normalmente,
realizzando così giganti o nani. Con un’altra macchina chiamata truka o truca si
poteva invece manipolare l’immagine in due dimensioni: aggiungere tendine,
realizzare dissolvenze incrociate, anche se l’effetto visivamente più spettacolare
era lo split screen, ovvero la presenza contemporanea sullo schermo di più
immagini, ridotte di dimensioni. Già negli anni settanta film come Woodstock o
Pink Floyd a Pompei fecero largo uso di queste tecnologie. Tutti questi processi
di carattere ottico sono molto complessi e richiedono personale specializzato; un
altro problema è che il risultato non è visibile in tempo reale, ma solo dopo lo
sviluppo della pellicola.
La televisione, per contro aveva, all’inizio, una notevole facilità nel
mixare le immagini o sovrapporre una scritta, mediante l’utilizzo del mixer
video; l’immagine però era sempre a schermo pieno e non era possibile
modificarla nelle sue dimensioni. Nel 1982 la Soc. Quantel presentò il Mirage,
che per la prima volta poteva deformare una immagine televisiva: era possibile
non solo rimpicciolirla, ma anche farla ruotare. Quello che oggi può essere
ottenuto con un semplice computer portatile, richiedeva, in quegli anni, un
apparecchio dal peso di 400 Kg. Ciò era dovuto anche alla scarsa capacità delle
memorie elettroniche, necessarie per manipolare il segnale video; come previsto
19
dalla legge di Moore - ogni diciotto mesi la capacità delle stesse raddoppia a
parità di costo e dimensioni - oggi queste memorie sono miniaturizzate al punto
da essere inserite in una telecamera portatile.
Iniziava così, nel mondo televisivo un lento processo di digitalizzazione,
che fu applicato soprattutto alla videoregistrazione; il primo modello digitale fu
presentato dalla Sony all’inizio degli anni novanta con lo standard D1. Altezza
un metro, 130 Kg di peso, prezzo da produzioni di altissimo livello, per la prima
volta si poteva registrare su un nastro da 3/4 di pollice (19 mm.) un segnale
video digitale a banda piena (270 Mb/s). Per favorire questa migrazione al
digitale furono costruiti anche dei videoregistratori digitali che impiegavano un
segnale composito (standard D2), di costo e dimensioni più contenute, destinati
soprattutto a sostituire le macchine da un pollice nelle regie ancora analogiche;
questo standard ebbe però scarsa diffusione e la produzione cessò dopo alcuni
anni.
Negli anni successivi fu un fiorire di standard di videoregistrazione
digitali sempre più compatti, tra cui il D3, simile al D2, ed il D5, che, come il
D1, poteva registrare un segnale digitale a banda piena senza compressione. Il
formato invece destinato al maggior successo commerciale fu invece il Digital
Betacam, pensato proprio per i primi esperimenti di cinema digitale.
A metà degli anni novanta, fu presentato il Dv (acronimo di Digital
video), inizialmente concepito per l’uso amatoriale, ma impiegato poi anche in
ambito professionale. Di questo formato, che utilizza un nastro da 1/4 di pollice
(6,35 mm.) si realizzarono varianti di grande successo nel mondo televisivo: la
Panasonic propose il DvcPro (chiamato anche D7) e, l’anno successivo, la Sony
il DvCam: due standard simili, che, aumentando le dimensioni della traccia
video,10, risolvevano alcuni problemi di affidabilità del Dv, mentre la Jvc
propose un sistema che impiegava cassette simili alle Vhs, chiamato Digital S o
10
Infatti la traccia video del Dv è di 10 micron (ovvero 10 millesimi di millimetro), mentre il DvCam presenta
una traccia di 15 micron ed il DvcPro di 18.
20
D9. Successivamente la stessa Panasonic, nel 1998, presentò la versione
DvcPro50, che adotta un livello di compressione più basso, ma con lo stesso
tipo di nastro; la Sony, forte del successo commerciale del Betacam Sp, propose
una versione digitale di questo formato, denominata Betacam Sx e alcuni anni
dopo una sua variante, denominata Imx.
Un altro aspetto dell’informatizzazione era quello legato alla computer
grafica, di cui si sono avvantaggiati sia la tv, sia il cinema. Quest’ultimo, in
particolare, era alla ricerca di nuovi effetti speciali; uno specialmente ricercato
era il morphing, ovvero la trasformazione di un soggetto in un altro, ad esempio,
di un uomo in un animale, effetto che prima era ottenuto con una semplice
dissolvenza incrociata. Il primo film nel quale questa tecnica fu usata è stato
Willow, pellicola fantasy del 1988 diretta da Ron Howard su un soggetto di
George Lucas. Per ottenere questo risultato era però necessario trasportare
l’immagine in un computer, che era usato solo per realizzare l’effetto speciale,
mentre tutta la filiera di produzione rimaneva su pellicola. La conversione in
elettronico era assicurata dal telecinema o da un film scanner, mentre, per il
passaggio opposto, fu invece necessario realizzare apparecchiature speciali,
chiamate semplicemente film recorder, che trasferissero l’informazione digitale
su pellicola usando per lo più un raggio laser, come visualizzato nella figura 5.
Ben presto ci si accorse delle enormi potenzialità insite nel trattamento
informatico dell’immagine: la quantità degli effetti speciali possibili era enorme.
Dalla animazione di esseri fantastici alla creazione di paesaggi immaginari, dalla
modifica degli attori alla moltiplicazione delle comparse, dalla rimozione
all’aggiunta di oggetti, il cinema poteva essere sempre più regno del fantastico,
dell’immaginazione, del sorprendente. Irrealizzabili con le tecniche tradizionali
sarebbero stati sicuramente il cyborg di metallo liquido “T-1000” in Terminator
2 del 1991 diretto da James Cameron ed i dinosauri di Jurassic park (1993) di
Steven Spielberg.
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Effetti digitali
Cinepresa
Film recorder
Proiezione
su pellicola
Telecinema
Montaggio
con moviola
cinematografica
Figura 5
Con l’aumento della capacità degli hard disk è stato possibile inoltre
realizzare direttamente in computer il cosiddetto Digital intermediate, quella
fase di produzione del film in cui vengono applicati tutti gli effetti. Nella
produzione su pellicola, infatti, una volta effettuato il montaggio del negativo
originale, era necessario realizzare un interpositivo, ovvero una copia, sempre in
pellicola, sulla quale erano state effettuate tutte quelle correzioni richieste dal
regista, per lo più bilanciamenti del colore. Da questa pellicola venivano tratti i
negativi completi di colonna sonora ottica, da cui, finalmente, si duplicavano le
pellicole destinate alle sale. Il film proiettato nei cinema era quindi la cosiddetta
“quarta generazione”; questo processo porta ad una degradazione della qualità
dell’immagine vista dal pubblico. Il processo digitale, al contrario, garantisce il
mantenimento della stessa qualità durante tutte le fasi della lavorazione.
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Il processo elettronico è anche molto usato per il restauro e la
conservazione dei vecchi film; con il computer è più facile ripulire la pellicola
dalle degradazioni provocate dell’usura ed, eventualmente, ricostruire anche
fotogrammi mancanti. Spesso, inoltre, anche la conservazione viene fatta in
formato digitale.
Iniziava così quella ibridazione con il mondo dell’informatica, la
cosiddetta convergenza. In parallelo allo sviluppo dell’hardware e dei software,
sempre più potenti e sempre meno costosi, il computer entrava prepotentemente
nel mondo della produzione sia televisiva sia cinematografica. L’ultima barriera,
l’attore in carne ed ossa, fu superarata con Final fantasy del 2001, in cui anche i
personaggi erano generati dal computer; questo esperimento ebbe però scarso
seguito in quanto era più avvincente realizzare trasformazioni sul corpo degli
attori stessi, come ad esempio, in The mask, del 1994, in cui il viso di Jim
Carrey venne manipolato al computer come se fosse fatto di gomma. Fu creata
inoltre un’altra tecnica di animazione chiamata motion capture, che consiste nel
far recitare un mimo che indossa una tuta sulla quale sono applicati dei sensori
che permettono di rilevare i suoi movimenti; il computer, poi, animerà un
personaggio artificiale che riprodurrà tutte le azioni dell’attore. Questa tecnica
ha sostituito quella chiamata rotoscoping che consisteva nel disegnare i
movimenti di un cartone animato prendendo come riferimento uomini o animali
filmati dal vero. Nella televisione invece le possibilità offerte dalla
manipolazione grafica vengono usate per lo più nella produzione pubblicitaria,
che spesso deve creare mondi immaginari, e per gli effetti speciali nei
lungometraggi. Un’altra applicazione del computer in tv è la creazione di virtual
set: uno o più soggetti si muovono su uno sfondo monocromatico su cui viene
applicato un effetto di chroma-key. L’immagine che fa da sfondo non rimane
però fissa, ma si modifica in funzione dei movimenti della telecamera, creando
l’illusione, attraverso la sincronizzazione dei movimenti, di muoversi in un set
reale. Sulle ottiche delle telecamere e spesso anche sui cavalletti devono essere
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posti dei sensori che rilevano tutti i movimenti i quali vengono comunicati al
computer che gestisce lo sfondo virtuale.
Anche l’audio, generalmente trascurato sia nel cinema sia nella
televisione ha subito, negli anni, notevoli miglioramenti. Il primo film
stereofonico fu Fantasia - produzione Walt Disney, 1940 - ma bisogna arrivare
agli anni settanta affinché venga introdotto il Dolby stereo che, oltre alla
riduzione del rumore, permetteva di riprodurre quattro canali audio codificati su
due tracce ottiche su pellicola. Il primo film che ha utilizzato questa tecnica è
stato Listzomania del 1975, anche se la grande diffusione si ebbe con Guerre
stellari del 1977. Negli anni successivi la società Dolby sviluppò una notevole
quantità di sistemi di trattamento dell’audio sia per il cinema (Dolby Spectral
recording abbreviato in Dolby Sr), sia per la riproduzione in ambito domestico
(Dolby surround e sue evoluzioni).
Negli anni novanta l’audio migliorò ancora con l’introduzione di
tecnologie digitali quali il Dolby Digital, l’Sdds (Sony dynamic digital sound) e
il Dts (Digital Theater System) . Tutti questi sistemi codificano l’audio con
tecniche di compressione, fino ad ottenere cinque o più canali discreti più uno
surround (codifiche 5.1 o 6.1) con bit rate variabili da 400 a 800 Kb/s circa.
Mentre il Dolby Digital e l’Sdds inseriscono i dati digitali sulla pellicola (il
primo tra i fori di trascinamento, il secondo nei bordi della stessa), il Dts li
incide su un Cd, che, grazie ad un sistema di sincronizzazione, viene riprodotto
contemporaneamente alla pellicola. Questa ultima soluzione, che all’inizio
aveva suscitato non poche perplessità a causa dell’uso di due supporti
fisicamente separati, presenta però il vantaggio di una maggiore solidità in
quanto non soggetta all’usura della pellicola e permette inoltre di usare flussi di
dati maggiori rispetto a quelli dei sistemi concorrenti.
Il Dolby Digital viene oggi inoltre utilizzato nelle trasmissioni televisive
ad audio multicanale mentre il Dts è uno degli standard audio impiegati nei Dvd;
l’Sdds è invece stato progettato solo per l’uso nei cinema.
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Negli anni novanta avviene anche un’altra importantissima rivoluzione:
l’alta definizione. In realtà una televisione a qualità superiore fu sperimentata
già nel secondo dopoguerra dalla Francia con uno standard a 819 linee - in
seguito poi abbandonato per uniformarsi al sistema europeo a 625 linee - mentre
all’inizio degli anni ottanta la Nhk (televisione pubblica giapponese) propose
uno standard, ancora analogico, da 1125 righe e 60 semiquadri chiamato HiVision. Già l’anno successivo la Rai inizia le sperimentazioni con la
realizzazione di “Arlecchino”, un breve filmato con la regia di Giuliano
Montaldo e luci di Vittorio Storaro, girato a Venezia; due anni dopo è la volta di
“Oniricon”, breve fiction per la regia di Enzo Tarquini.
L’esperimento più importante avviene invece, sempre ad opera della Rai, in
occasione dei Mondiali di calcio “Italia 90”. Questa manifestazione sportiva,
oltre che per la diffusione a qualità standard, venne ripresa anche in alta
definizione e trasmessa ad 8 sale di visione italiane attraverso il satellite
Olympus. Questo esperimento e quelli successivi (ad esempio le Olimpiadi di
Albertville nel 1992) rimasero indisponibili all’ampio pubblico sia per l’enorme
costo dei sistemi di visualizzazione ad alta definizione - che solo negli ultimi
anni sono economicamente accessibili ad ampie fasce di utenti - sia a causa
dell’enorme ampiezza di banda necessaria per la diffusione di un segnale
analogico high definition. In quegli anni si iniziò anche a sperimentare quella
modalità di compressione del segnale video digitale - oggi alla base di quasi
tutte le trasmissioni televisive - che verrà poi standardizzata e chiamata Mpeg-2.
La televisione stava quindi rincorrendo il cinema per raggiungere il suo livello
qualitativo. Infatti una delle risoluzioni adottate per l’alta definizione televisiva,
ovvero quella che prevede 1.920 x 1.080 pixel, è simile al formato di cinema
digitale denominato 2K, ovvero con 2.000 punti orizzontali. Se 2.000 pixel siano
sufficienti ad emulare la qualità della pellicola è ancora oggetto di discussione,
ma sembra che il pubblico gradisca questa qualità di immagine, anche se i
25
puristi ritengono che il cinema dovrebbe essere a 4K, ovvero con il doppio di
informazioni orizzontali e verticali.
Le telecamere ad alta definizione possono essere usate anche per la
produzione cinematografica. Il primo esperimento in questo senso fu effettuato
nel 1987; a Trieste venne girato “Giulia e Giulia”, regia di Peter del Monte con
Kahtleen Turner e Sting, luci di Giuseppe Rotunno. Il lungometraggio fu poi
trascritto su pellicola 35 mm. per la proiezione nei normali circuiti
cinematografici. Successivamente un convinto sostenitore dell’impiego di
telecamere nella produzione cinematografica sarà George Lucas, che le
utilizzerà ampiamente per girare Guerre stellari II - L’attacco dei cloni nel
2002.
Oggi esiste una vastissima varietà di modelli di telecamere ad alta
definizione. Sia per le produzioni destinate alla tv, sia per film rivolti al grande
schermo sono disponibili apparecchiature con Ccd a 2/3 di pollice che registrano
a bit rate variabili tra i 50 e i 200 Mb/s. Sony, Panasonic ed altre marche ne
propongono una grande varietà sia a nastro, sia a disco, sia a stato solido.
Per le produzioni low cost sono disponibili telecamere semiprofessionali,
operanti per lo più con lo standard Hdv a 25 Mb/s, che ha avuto molto successo.
Per i nostalgici della pellicola sono stati invece realizzati esemplari di altissimo
livello destinati unicamente al mondo del cinema (F35 della Sony, Viper della
Thomson Grass Valley, Red One dell’omonima Casa, D-21 della Arriflex,
storica Casa produttrice di cineprese, Origin della Dalsa, Genesis della
Panavision)
che,
tra
l’altro,
possono
montare
le
classiche
ottiche
cinematografiche in quanto il sensore d’immagine è lo stesso di una cinepresa a
35 mm. Data l’alta mole di informazioni che generano, richiedono memorie
elettroniche specificamente studiate.
Per una qualità ancora superiore esiste un progetto dell’Ultra alta
definizione da 7.680 x 4.320 pixel, presentata dalla Nhk, che sarà disponibile tra
una decina d’anni.
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Se l’uso dell’informatica porta innegabili vantaggi alla fase della
produzione, rendendola sempre più spettacolare, rimane ancora vantaggioso
proiettare nei cinema la classica pellicola; ciò permette di salvaguardare gli
investimenti fatti degli esercenti. Oggi sono comunque disponibili anche
proiettori video capaci di generare, sul grande schermo cinematografico,
immagini paragonabili a quelle della pellicola 35 mm. La produzione dei film
può quindi essere eseguita in tutte le sue fasi direttamente in elettronico; questo
processo è chiamato Digital cinema o D-Cinema.
Per quanto riguarda la registrazione, il nastro è stato l’unico supporto
disponibile per quasi quarant’anni; oggi però molte telecamere, sia destinate
all’uso cinematografico sia televisive, impiegano invece dischi ottici, hard disk o
memorie a stato solido, tipici supporti informatici.
La memorizzazione delle immagini sotto forma di file è stata sfruttata
anche per semplificare il processo di produzione delle news. Infatti oggi si
stanno diffondendo le cosiddette regie tapeless, ovvero senza l’uso del nastro
magnetico. Le riprese registrate dalla telecamera sono trasportate in un server
centralizzato con il quale dialogano i sistemi di montaggio che sono anch’essi
dei computer. Il processo di produzione risulta così semplificato e velocizzato:
giornalisti, montatori e registi possono avere sotto controllo l’intero processo di
produzione delle news, sono possibili modifiche anche all’ultimo momento e
non bisogna trasportare fisicamente videocassette tra le varie sale dell’emittente.
I contributi provenienti da fonti esterne (satelliti, ponti radio, ecc.)
vengono anch’essi immediatamente digitalizzati ed inseriti nel server, mentre
direttamente accessibile è tutto ciò che arriva dal grande mondo del web. Infatti
anch’esso è fonte di notizie per i telegiornali; non è infrequente l’uso di
materiale proveniente dalla Rete, girato spesso con telecamere amatoriali,
macchine fotografiche o cellulari.
Televisione e cinema sono nati entrambi analogici e, nel tempo, hanno
percorso strade parallele verso il mondo digitale, in funzione dello sviluppo
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della tecnologia. La tv ha privilegiato all’inizio soprattutto la conversione in bit
dei segnali video e audio; infatti questa tecnologia ha permesso una maggiore
qualità delle immagini, soprattutto nella cronaca, dove le informazioni possono
raggiungere il telespettatore dopo una serie enorme di riversamenti; ha inoltre
ampliato il numero dei canali delle trasmissioni sia satellitari sia terrestri
permettendo inoltre una più efficace gestione degli accessi a pagamento
(criptaggio).
Poiché
non
esistono
in
commercio
computer
analogici,
“informatizzazione” implica obbligatoriamente “digitalizzazione”, mentre non è
vero il contrario. Infatti è possibile, come realizzato in una prima fase, costruire
una emittente digitale solo con macchine e videoregistratori numerici. Il secondo
passo, l’informatizzazione nella tv, è stato però praticamente obbligato, a causa
degli enormi vantaggi offerti dall’uso dei computer, in particolare per il
montaggio, la grafica, la messa in onda e, più in generale, la gestione delle
informazioni all’interno di una redazione. Non secondario è il fatto economico:
un montaggio cosiddetto non lineare, ovvero su computer, può costare oggi
meno di 10.000 euro, mentre un sistema di editing con videoregistratori, mixer
video, mixer audio e generatore di caratteri può richiedere anche centomila euro
o più. Il cinema, invece, ha percepito immediatamente la grande capacità
manipolativa e quindi creativa permessa dal computer, spesso con l’uso di
apparecchiature molto dispendiose, fatto questo permesso dagli enormi interessi
economici presenti in questo settore. Solo in un secondo momento questo
mondo si è convertito al trattamento digitale dell’informazione in tutta la sua
filiera, anche se i sostenitori della pellicola sono ancora molti.
La figura 6 mostra la fase attuale dell’evoluzione dei due media.
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Fruizione
casalinga
Televisione
Regia di
Telecamere
produzione
televisiva
Informazione
informatica
Satelliti, web,
ponti radio,
file video,
Server
ed editing
su computer
Telecamera
Effetti digitali
e montaggio
digitale
Film
recorder
Telecinema
Cinepresa
Proiezione
al cinema
Cinema
Montaggio
su moviola
cinematografica
Figura 6
29
Non si può più quindi parlare di “Quella parte di cinema chiamata
televisione”; il mondo dei bit, delle reti, dei satelliti ha provocato cambiamenti
profondi in entrambi i mondi, che hanno abbondantemente assimilato tecnologie
e modi produttivi tipici del mondo informatico.
Questi due mondi possono essere considerati distinti per moltissimi
motivi: la storia e le tradizioni separate che presentano, le modalità di fruizione,
le logiche economiche sottese, ma presentano vari punti di contatto. In primo
luogo sta cambiando l’utilizzo della tv. Grazie ai monitor al plasma o a Lcd di
grandi dimensioni ed ai supporti di registrazione in alta definizione come il bluray, è stata raggiunta una qualità d’immagine paragonabile a quella dei film. Se
oggi si può avere il “cinema in casa”, sta anche cambiando l’impiego della sala
cinematografica, nella quale è possibile anche assistere a spettacoli, sia in diretta
che registrati, tipici del mondo televisivo (e-cinema).
Spesso quindi lo stesso prodotto viene realizzato per più finalità: si
pensi, ad esempio, ad un film prima proiettato nei cinema, poi trasmesso alla tv
e poi duplicato su disco per l’uso privato, magari con versioni differenti. D’altra
parte, sistemi di produzione pensati espressamente per l’uso televisivo possono
essere usati per realizzare filmati che una volta richiedevano l’uso esclusivo
della pellicola.
Le finalità della televisione sono state, fin dall’inizio, informare, istruire,
intrattenere. Il cinema ha invece oscillato tra i due poli del prodotto di puro
spettacolo e del film d’autore, con ampie scorribande nel mondo della
psicologica, della filosofia, della semiotica, della sociologia.
Diventare digitali per entrambi i media è stato un passaggio obbligato,
ma proprio dall’emblema del mondo numerico sembra venire la maggiore
minaccia: il Web, il medium del nuovo millennio, sta infatti rosicchiando spazi
sempre maggiori a questi due mondi. Dalla loro capacità di evolversi si capirà se
il cinema e la televisione siano destinati ad affondare come il Titanic o volare
verso l’infinito come le astronavi interstellari di Star Trek.
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