lettera pastorale per la quaresima 1944 di se mo s. icolao milo e per

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lettera pastorale per la quaresima 1944 di se mo s. icolao milo e per
Lettera Pastorale 1944
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LETTERA PASTORALE
PER LA QUARESIMA 1944
DI S. E. MOS. ICOLAO MILOE
PER GRAZIA DI DIO E DELLA SATA SEDE APOSTOLICA
VESCOVO DI ALESSADRIA E COTE
ABBATE DEI SS. PIETRO E DALMAZZO
IL SACERDOTE
Al Venerabile Clero
ed ai dilettissimi figli della città e della diocesi
salute e benedizione nel Signore
Fratelli e Figliuoli carissimi,
Il precursore, S. Giovani Battista, aveva da qualche tempo incominciata la sua predicazione nel deserto e molti dei Giudei
accorrevano per sentirlo e ricevevano da lui il suo battesimo di penitenza.
Aumentando sempre il concorso, i capi del popolo da Gerusalemme inviarono alcuni Farisei a chiamargli, se era proprio il
Messia, il Cristo che doveva venire. S. Giovanni rispose di no; come leggiamo nel Vangelo, “E confessò e non negò e confessò:
Non sono io il Cristo”: “Et confessus est et non negavit et confessus est: Quia non sum ego Christus” (Gv 1, 20).
Fratelli e Figliuoli, se questa dimanda, invece che a S. Giovanni Battista, che pure è stato proclamato da Gesù stesso “il
maggiore fra i nati di donna” fosse rivolta a qualunque Sacerdote della Nuova Legge, fosse anche l’ultimo di tutti, potrebbe
sempre ripetere con ragione: “Sì, io sono il Cristo: sum ego Christus”.
E difatti in primo luogo la parola Cristo, come sappiamo dal Catechismo, significa “unto, consacrato” e il sacerdote è stato unto
coll’olio dei catecumeni e consacrato a Dio nel giorno della sua ordinazione sacerdotale.
In secondo luogo il sacerdote va compiendo a vantaggio dei suoi simili tutto quello che Gesù ha compiuto sulla terra. Gesù ha
predicato la sua celeste dottrina, quella di cui l’aveva incaricato il suo Eterno Padre, e identica del tutto a questa è quella che
vien predicata dal sacerdote.
Gesù ha guarito molti ammalati, ha ridonato la vista ai ciechi, l’udito ai sordi e la parola ai muti; ha risuscitato i morti, e tutte
queste opere nell’ordine spirituale va pure compiendo il sacerdote a vantaggio dei suoi simili: li rimette sulla strada della salute,
quando se ne allontanano, apre loro gli occhi sulle verità eterne, li esorta a non fare i sordi alla voce di Dio, scioglie la loro
lingua alla preghiera. Che se poi in causa del peccato sono morti alla vita della grazia, li restituisce a questa vita al tribunale di
penitenza, liberandoli dal peccato.
Che più? Gesù per la redenzione del mondo si offriva in sacrificio come vittima là sulla cima del Calvario, e il sacerdote offre
sull’altare il sacrificio della S. Messa, dove tanto lo scopo come la Vittima sono identici.
Tutte queste verità sono state trattate senza dubbio nelle adunanze di Azione Cattolica lo scorso anno, in cui il tema assegnato era
appunto: “Il sacerdote”: ma per vantaggio di tutti è bene ritornarvi sopra, come intendo fare con la presente lettera pastorale.
Siccome i seguaci del mondo cercano di screditare il sacerdote presso i fedeli, così in sua giusta difesa non farò altro che
esporvi le sue principali benemerenze, per cui sarete animati a stimarlo sempre di più, ad amarlo e ad essergli riconoscenti per
quanto fa a vostro vantaggio.
Chi è, che cosa fa il sacerdote?
Portatevi col vostro pensiero là nell’orto di Getsemani la sera del Giovedì Santo. Lontano da tutti, separato dai suoi medesimi
Apostoli, là in un angolo appartato se ne sta Gesù in preda ad acerbissimi dolori. La sua agonia è ripiena di tristezza, il suo
cuore immerso nell’angoscia, tremano le sue membra, un sudore di sangue trasparisce dal suo corpo, mentre Egli, rivolto lo
sguardo verso il cielo, va ripetendo addolorato: “Padre, se è possibile, si allontani da me questo calice di amarezza”. Ed ecco
alla sua preghiera, come ci riferisce l’Evangelista S. Luca, un angelo discende dal cielo a confortarlo: gli si accosta riverente,
gli terge i sudori di sangue, lo sostiene tra le sue braccia, amoroso lo consola: “Apparuit illi angelus de coelo confortans eum”
(Lc 22, 43). E Gesù da quell’angelo confortato solleva di nuovo il suo sguardo al cielo e ripete rassegnato al suo Eterno Padre:
“Si faccia non la mia, ma la tua volontà”: “Verumtamen non mea voluntas, sed tua fiat”.
Fratelli e Figliuoli, al posto di Gesù che soffre mettete l’uomo, mettete l’umanità intera coi suoi molteplici dolori, colle sue
continue sofferenze; al posto di quell’angelo confortatore mettete il sacerdote e voi avrete compendiato come in quadro quanto
quest’ultimo va compiendo a conforto del suo prossimo. Il sacerdote con ragione deve essere proclamato angelo confortatore di
chi soffre: Angelus confortans eum.
Si chiama prima di tutto angelo, parola greca, che significa inviato per una missione. Come dice S. Agostino, il nome di angelo
non è un nome di natura, ma solo di ufficio: gli stessi spiriti celesti non si chiamano angeli, se non quando ricevono una missione,
cum mittuntur fiunt angeli. Così è del sacerdote: quantunque egli sia uomo, ex hominibus assumtus, come dice l’Apostolo S.
Paolo, preso cioè fra gli altri uomini, tuttavia lo possiamo chiamare angelo, perché anch’egli nel giorno della sua ordinazione
sacerdotale ha ricevuto da Dio una missione tutta speciale, quella cioè di adoperarsi a vantaggio del prossimo in tutte quelle
cose che riguardano Dio: pro hominibus constituitur in iis, quae sunt ad Deum (Eb 5, 1).
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Che poi questo angelo sia veramente confortatore ce lo dimostra la nostra quotidiana esperienza, e questo tanto nei bisogni che
riguardano la nostra vita terrena, e che noi per procedere con ordine chiameremo bisogni temporali, come nei bisogni che
riguardano la vita dell’anima che è quella della grazia e che chiameremo bisogni spirituali.
Il Sacerdote prima di tutto è angelo confortatore
– nei bisogni temporali
Quanto più si va avanti nella vita, tanto più si deve toccare con mano quanto siano conformi alla verità tutte quelle espressioni
della Salve Regina: “Gementes et flentes in hac lacrymarum valle”: “Siamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime”,
oppure quelle altre della lode a Maria Ausiliatrice: “Siamo prole d’un povero padre; che lasciocci in retaggio il penar”. Gli
occhi del giovane, come quelli del vecchio sono ben soventi ripieni di lacrime; le vesti preziose del ricco come gli stracci del
povero ricoprono con frequenza un cuore immerso nel dolore e nell’angoscia. Orbene quante di queste lacrime non asciuga il
sacerdote? Quanti dolori e quante sofferenze non viene ad alleviare quest’angelo del conforto?
Sarà una madre desolata, che versa amare lacrime sulla tomba dell’unico suo figlio e il sacerdote le ricorda a suo conforto, le
presenta a suo modello la Regina dei Martiri, la Vergine dei dolori là sulla cima del Calvario. Oh! come torna consolante l’aver
Maria SS. a compagna nel soffrire!
Sarà un figlio, che piange sconsolato una madre amorosa, che una morte immatura gli ha rapito per sempre e il sacerdote gli
mostra con sollievo Gesù che dall’alto della croce, nella sua Madre medesima gliene presenta un’altra, ripetendogli come già un
giorno all’Apostolo prediletto: “Fili, ecce Mater tua”: “Figlio, ecco la tua Madre”.
Sarà un povero abbandonato, colpito da disgrazia, oppresso dal dolore, tormentato da penosa malattia ed egli accorre a
confortarlo, a ricordargli il suo Dio in croce, il premio che l’aspetta, offrendo al Signore le proprie sofferenze, le gioie eterne di
una Patria beata.
Non vi ha sventura, non vi ha bisogno, che quest’angelo del Signore non venga a sollevare.
La miseria del povero non lo ritrae ed egli entra nella sua squallida abitazione dell’afflitta vedova, del vecchio infermo, del
povero abbandonato e vi porta non solo la sua, ma l’elemosina altresì che si è procacciata dal ricco signore, che troverebbe
troppo disdicevole al suo decoro l’entrare nella casa della miseria.
L’orrore del carcere non lo spaventa ed egli discende nella prigione per alleviare i dolori al povero incarcerato, che là sconta la
pena del suo delitto: in quel cuore ottenebrato egli ravviva la speranza, l’assicura del perdono, accompagnandolo, se occorre,
fino al posto del supplizio.
Il pericolo delle infezioni non lo allontana ed egli accorre al letto dell’appestato, si avvicina al coleroso: mentre tutti
l’abbandonano egli solo gli si accosta, gli siede accanto, gli cura le piaghe, lo conforta nei suoi dolori.
Il timore della morte non lo sgomenta ed egli, vestite le divise di Cappellano militare, si aggira intrepido sul campo di battaglia
a soccorrere le misere vittime della guerra: fra il tuonare dei cannoni, lo strepito delle armi, le grida dei caduti, il gemito dei
morenti egli, al tutto dimentico di sé, non curante del pericolo, si china sul ferito, gli fa cuore, gli porge i suoi soccorsi; per
quest’opera pietosa non poche volte, colpito dal piombo nemico vi rimette la vita, come ne sono prova i numerosi Cappellani
militari morti sul campo di battaglia durante le ultime guerre.
La rigidezza del clima non lo turba ed egli è là sulla cima delle Alpi a sollievo ed a guida di quei tanti viaggiatori, che devono
attraversarle. Se la bufera con il lungo imperversare fra quelle nevi viene loro a cancellare ogni traccia di sentiero, se una
nebbia fitta li sorprende fra quei monti e fa loro perdere la via, egli dal suo Ospizio del Gran S, Bernardo, suona a distesa la
campana: alla volta di quel suono si dirigono gli smarriti, ritrovano la strada, pervengono al fine alla sua dimora ospitale. Che
se dall’alto della montagna precipita la valanga a seppellire il povero viandante, a trascinarlo nell’abisso, egli manda tosto
innanzi il suo grosso cane ammaestrato a scoprire il caduto, a riscaldarlo con il suo alito, a ristorarlo colla boccetta di liquore,
che porta pendente al collo, finché giunto egli non se lo pone sulle spalle e lo porta al suo ospizio. E chi non ha sentito parlare
dei tanti e tanti, in questo modo salvati dai sacerdoti, dai religiosi del Gran S. Bernardo, che da più secoli attendono lassù a
quest’opera di salvataggio?
La lontananza delle regioni non lo trattiene ed egli vestite le divise del Missionario, è là nell’Estremo Oriente, sulla spiagge
della Cina, del Giappone, che ritoglie alla morte un numero sterminato di bambini da inumani genitori abbandonati sulla
pubblica via: è là sulle coste infuocate dell’Africa, nelle sparse isole dell’Oceania che ridona la libertà a migliaia di individui
da crudeli padroni tenuti nella più obbrobriosa schiavitù; e quelli di voi che avete potuto visitare l’Esposizione Sacra delle
Missioni tenutasi qualche anno fa a Roma avete toccato con mano quanto egli compia a pro degli infedeli in quelle regioni
barbare e sconosciute, lontane da ogni centro civile, a forza di continui stenti e fatiche, esposto persino al pericolo, non solo di
essere divorato dalle bestie feroci, ma di diventare pasto prelibato di feroci selvaggi cannibali. Non è ancora un mese ed il
giornale cattolico “L’Italia” nel suo numero del 26 gennaio di quest’anno dava la notizia che in una foresta boliviana, che si
estende fittissima lungo il Rio Guaporè al confine bolivo-brasiliano, cinque missionari sono stati presi dalla tribù dei cannibali
Chihuaj, poi scannati e i loro corpi divorati. La notizia è stata data dalla guida, che ha potuto scampare all’eccidio.
Dovunque voi trovate quest’angelo del conforto: dove vi è una lacrima da tergere, un dolore da alleviare, un gemito da assopire,
un conforto ed un balsamo da porgere ivi senza dubbio trovate il sacerdote: tanto nelle popolose città come nei più piccoli
villaggi, fra mezzo ai più alti monti come nelle più sconfinate pianure, dappertutto egli attende a queste opere di aiuto a di
conforto a vantaggio dei suoi simili.
Io non starò qui a portarvene degli esempi e le singole prove a conferma. I soli nomi di un Carlo Borromeo nella peste di
Milano, di un Camillo de Lellis, che infermiere volontario dei poveri consuma la sua vita assistendo gli appestati, di un
Giovanni di Matha e di un Paolino da Nola, che consecratisi alla redenzione degli schiavi, nella scarsità dei mezzi di cui
dispongono arrivano al punto di vendere se stessi per riscattarne ancora qualche altro; di un Gerolamo Emiliani e di un Don
Orione, che raccolgono intorno a sé gli orfani e i derelitti; di un Don Cafasso che passa parte della sua vita nelle carceri di
Torino; di un Giovanni Bosco che si sacrifica per la gioventù; di un Vicenzo de Paoli, di un Giuseppe Cottolengo, fondatori di
Ospedali, che raccolgono tra le loro mura tutte quante le miserie umane, ci dicono a sufficienza quanto faccia il sacerdote a
vantaggio degli uomini: ci dimostrano come egli, non già dei dettami di una vana filosofia, ma nelle divine Scritture, nell’autorità
del suo grado, nella santità del suo venerando carattere, nel suo cuore ripieno di carità trovi sempre un balsamo ad ogni piaga, un
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rimedio ad ogni male, un soccorso ad ogni bisogno, un conforto ad ogni pena: ce le fanno proclamare il vero angelo del conforto
per chi è afflitto e bisognoso: “Angelus confortans eum”.
Ma non basta, o Fratelli e Figliuoli; i bisogni e le sofferenze dell’uomo non finiscono ancora qui e per conseguenza neppure
l’azione benefica del suo angelo confortatore.
Ma che cosa dico? Non finiscono? Anzi hanno appena il loro principio perché rimangono ancora i bisogni più importanti di sua
anima in ordine alla vita della grazia, quelli che sopra abbiamo chiamati bisogni spirituali, ai quali il solo sacerdote viene a
porgere soccorso.
Vediamo adunque in secondo luogo come il sacerdote è angelo confortatore
– nei bisogni spirituali
Richiamate alla vostra mente, o Fratelli e Figliuoli, ciò che vi insegna la fede. L’uomo è appena nato che un peccato
l’accompagna, il peccato originale: per questo peccato egli viene al mondo schiavo del demonio, soggetto a questo spirito
infernale: non appena possiede la vita, la colpa lo condanna all’eterna dannazione.
Ma ecco il sacerdote che vien in suo aiuto: con il suo soffio scaccia da lui il demonio, invoca su di lui lo Spirito Paraclito: in
nome della Chiesa l’invita a rinunciare al demonio, alle sue opere, alle sue pompe e poi versa sul suo capo l’acqua battesimale
che gli conferisce il gran tesoro della Grazia e lo rende Figliuolo di Dio, ed Erede del Paradiso.
Ma purtroppo! cresciuto negli anni l’uomo non sa conservare a lungo il dono prezioso che il sacerdote gli aveva conferito.
Esposto alle tentazioni del demonio, allettato dai piaceri del mondo, sospinto dalla concupiscenza della carne egli ben presto
precipita nel peccato che viene a privarlo di questa vita della grazia: di quella vita, cioè, di cui deve vivere la sua anima
immortale e nella quale, soltanto, egli può trovare la sua pace e la sua felicità.
Avvilito al suo proprio sguardo, l’uomo interroga allora il suo cuore, ma non ode che la voce del rimorso, non sente che un peso
che l’opprime, una spina che lo punge, un veleno che lo amareggia. Prima di cadere nel peccato il suo cuore era contento, era
calmo, era tranquillo, precisamente come l’acqua della superficie di un lago quando tacciono i venti e splende in cielo il sole.
Caduto invece nella colpa, per lui questo sole di felicità si è oscurato in un momento; si sono fatti sentire i venti impetuosi del
rimorso e delle passioni, il suo cuore che da calmo che prima era passò ad essere agitato da furiosa tempesta.
In questo stato doloroso a chi mai potrà ricorrere per aiuto? Chi verrà a restituirgli con la grazia di Dio quella pace e felicità,
che il suo cuore ha smarrito? Il sacerdote, il Ministro di Dio. Egli dal tribunale di penitenza al pentito, prostrato ai suoi piedi,
rivolge la parola del perdono, restituisce la felicità e la pace. Come un giorno nella carceri di Gerusalemme un angelo liberava
l’Apostolo S. Pietro dalle catene in cui era stato messo dal re Erode e così un altro angelo, il sacerdote, libera il cristiano dalle
catene del peccato, con cui l’ha avvinto il demonio.
Ma qui non termina l’opera caritatevole del sacerdote. Siccome egli sa che il peccato, quantunque rimesso, lascia sempre
nell’anima una debolezza, una languidezza nel bene, per ristorare le sue forze ecco che glie ne dà il mezzo, facendo con lui, come
ha fatto col profeta Elia quell’angelo di cui si parla nella Sacra Scrittura.
Come si legge nel libro 3 dei Re, il profeta Elia, cercato a morte dall’empia Gezabele, si era rifugiato nel deserto di Bersabea.
Sfinito ormai di forze dopo un giorno di cammino, si era coricato ai piè di una pianta di ginepro, aspettando che la morte venisse
a por fine alle sue pene ed intanto era rimasto addormentato. Ma ecco mentre il profeta dorme, un angelo disceso dal cielo si
avvicina a lui, lo sveglia e, presentandogli un pane, gli dice: “Sorgi e mangia”: “Surge e comede” (19, 5). E il profeta prende
quel pane, ne mangia un poco e subito sente che gli ritornano le forze, di modo che colla sola scorta di quel pane può compiere il
suo lungo viaggio fino al monte Horeb dove Iddio lo premia con una visione celestiale.
Non diversamente fa il sacerdote, quest’angelo del Signore. A chi nel gran deserto di mondo è in viaggio verso la patria celeste,
ove l’attende la beatifica visione di Dio, presenta per renderlo forte e robusto un pane che è nutrimento di sua anima: è un pane
che viene dal cielo e che contiene ogni dolcezza, panem de coelo … omne delectamentum in se habentem: è un pane, che non è
più pane, ma che si è cambiato nel Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Colui che è la nostra fortezza e la nostra vita.
Questo pane dei forti, questo pane di vita è il sacerdote che ce lo procura e che ce lo dispensa.
Vedete come egli, postosi sul capo l’amitto, l’elmo della salute, vestito il camice del candore, stretto il cingolo di purità, legato
alla sinistra il manipolo del dolore, adorno alla stola dell’immortalità, indossata la pianeta, il giogo del Signore, si avanzi
all’altare. Fatta ivi l’umile confessione delle sue colpe, invocata più volte la divina clemenza, recitato l’inno degli angeli,
ottenuta la protezione di Dio per intercessione di Maria SS.ma e dei Santi, corroborato dalla celeste dottrina per l’Epistola ed il
Vangelo, emessa la professione di fede, egli va facendo da quell’altare un’offerta a Dio. Esortati gli astanti alla preghiera, prega
egli stesso in segreto; poi alzati gli occhi al cielo, stretto fra le mani un po’ di pane benedetto, vi mormora sopra, tremante, una
parola. Un miracolo si compie, la natura cede alle sue leggi, Iddio discende dal cielo e si nasconde sotto quelle specie. Alcuni
ritocchi di campanello ne danno l’annuncio ai fedeli radunati, che piegano le ginocchia, chinano la fronte, adorano riverenti
l’Ostia Sacrosanta, ravvisano quel Pane di Vita, che è nutrimento della loro anima, e che il sacerdote tra poco loro dispenserà. E
la Messa continua dando a Dio l’omaggio della nostra Adorazione, il Ringraziamento per i benefici ricevuti, in espiazione dei
nostri peccati, per impetrare le grazia di cui abbiamo bisogno.
Non basta: chi compie un lungo viaggio non ha soltanto bisogno di cibo, ma anche di una guida sicura, che gli faccia conoscere i
pericoli, che potrebbe incontrare. Come l’arcangelo Raffaele faceva da guida al giovane figlio di Tobia, in viaggio verso la
Media e gli insegnava il modo di schivare tutti i pericoli e così il sacerdote dal pulpito istruisce il cristiano sui pericoli che può
incontrare per la strada che mena al cielo.
Come lo stesso arcangelo assisteva il medesimo giovane nel suo matrimonio con la giovane Sara e così il sacerdote assiste al
matrimonio del cristiano e ne benedice le nozze.
In tal modo nei momenti più importanti della vita l’uomo è sempre assistito ed aiutato da questo angelo del conforto, che è il
sacerdote.
Angelo del conforto in vita, si manifesta specialmente angelo del conforto in morte. Colpito da terribile malattia ecco l’uomo
inchiodato in un letto. Viene il medico e tenta ogni mezzo suggerito dall’arte per prolungargli ancora la vita, ma tutto è inutile.
Già i sensi si indeboliscono, un sudore freddo compare sulla sua fronte, la faccia prende un pallore cadaverico, il respiro
diventato affannoso ed accompagnato da un rantolo soffocante ci dice che quell’uomo è al termine della sua vita. Ma mentre sta
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ormai per essere abbandonato da tutti e con timore ognor crescente si vede avvicinare l’istante supremo di sua morte e
dell’imminente giudizio di Dio, ecco ancora il sacerdote al suo fianco per confortarlo. Lo ristora con il S. Viatico, lo corrobora
con il Sacramento dell’Olio Santo, gli suggerisce pensieri di confidenza nella misericordia divina, lo consola, o assiste finché
non lo vede spirare baciando il Crocifisso. E allora si inginocchia ai piedi di quel letto, innalza a Dio un preghiera di suffragio
per il defunto, preghiera che andrà ripetendo l’indomani nell’accompagnarne il cadavere al cimitero.
Ecco adunque, o Fratelli e Figliuoli, che cosa fa per l’uomo il sacerdote. Tanto nei bisogni materiali di questa vita terrena, come
nei bisogni spirituali della vita della grazia è veramente il suo angelo del conforto, precisamente come quello che è comparso a
confortare Gesù nell’orto di Gtsemani; epperciò ha diritto non solo alla sua alta stima , ma ancora alla sua più affettuosa
riconoscenza. È ben vero che il mondo guasto e corrotto tanto per screditare quest’opera pietosa di quest’angelo del conforto va
dicendo: fa così perché ne ha il suo tornaconto, il suo guadagno.
Ma, e con questo? Quand’anche fosse vero, lavorando secondo la sua condizione non ha forse diritto di vivere come tutti gli altri
del sudore della sua fronte, e del frutto delle fatiche dei suoi studi? Adoperandosi a vantaggio degli altri non ha forse anch’egli il
diritto ad un onesto guadagno? Forse che non siete più riconoscenti al medico, che vi ha guarito, all’avvocato che vi ha difeso in
quella vostra causa perché il primo si è fatto pagare le sue visite e l’altro le sue comparse?
Ma è poi forse vero che da tutte queste sue opere il sacerdote ne abbia il suo guadagno? Rovistate pure le vostre carte: troverete
la nota del dottore per le sue visite che vi ha fatto, la nota del farmacista per le medicine che vi ha somministrate, la nota
dell’avvocato per la sua assistenza e gli esposti in quella causa, ma non troverete mai la nota del sacerdote per le vostre
confessioni, per le visite che vi ha fatte. Eppure, per parlare il linguaggio del mondo, per rendersi idoneo a questi uffici
precisamente come il dottore, il farmacista e l’avvocato ha sostenuto anch’egli gravi spese e avrebbe diritto ad averne un
qualche rimborso. Ma questo egli non lo farà mai, memore del precetto evangelico: “Quod gratis accepistis, gratis date”.
Ma che cosa ho detto: ne cerca guadagno? Anzi, ne sospira uno, di un valore infinitamente maggiore: vuole cioè la vostra anima
per darla al Signore. Ecco il guadagno, l’unico che pretende dalle sue fatiche.
Altri van dicendo: altro che angeli: è purtroppo! vero che dei sacerdoti cattivi ve ne sono. E con questo? Io vi rispondo. Perché
tra i sacerdoti ve ne è qualcuno che non fa il suo dovere, che dà cattivo esempio, dunque dovremmo dire che tutti sono così?
Anche tra gli Apostoli vi è stato un Giuda, che ha tradito il suo Divin Maestro, ma per questo sarà lecito condannare gli altri
undici, che gli sono stati fedeli sino alla morte? Anche tra gli avvocati ve ne sono di quelli che guadagnano di più ai loro
interessi che a quello dei clienti, ma per questo ci sarà lecito ritenerli tutti come ladri? Anche tra i magistrati ve ne sono di quelli
che vendono la giustizia, dunque dobbiamo dire che tutti gli altri fanno anche così? Perché nel sole vi è qualche macchia oscura:
dunque dobbiamo dire che tutto il sole è oscuro? Anzi se vi è qualche sacerdote che è cattivo, questo altroché a non menomare la
stima di tutti gli altri li esalta ancor di più, mette ancor più in luce la loro virtù, precisamente, come in un bel quadro le ombre
rendono più vive e più distinte le figure: questi sacerdoti cattivi, per fortuna ben pochi, sono soltanto eccezioni, e le eccezioni,
lo sapete, confermano la regola, anziché distruggerla.
Volete sapere perché il mondo non solo tenga in nessun conto la opera pietosa del sacerdote, ma ancora lo disprezzi e lo insulti?
Come un giorno là sulla cima del Calvario Gesù moriva fra gli insulti dei suoi nemici e di quelli che odiavano le sue massime di
mortificazione, di umiltà e di distacco dalle cose del mondo, di guerra alle passioni, nessuna meraviglia che si usi dai seguaci
del mondo lo stesso trattamento contro i sacerdoti, che continuano la missione del Redentore, che predicano il suo Vangelo, che
inculcano i suoi precetti, che con le parole e con l’esempio combattono le passioni, le vanità, le massime corrotte, che regnano in
mezzo al mondo. Se il sacerdote potesse transigere con il vizio, se potesse abolire una parte dei comandamenti, specialmente il
sesto che dice: “Non commettere atti impuri” ed il settimo “Non rubare”, allora il sacerdote sarebbe più rispettato.
Ma siccome il sacerdote per dovere sacrosanto della sua missione deve condannare tutti i delitti, rinfacciare ai grandi e ai
piccoli le loro colpe; deve richiamare alla mente di chi non vorrebbe ascoltarli i loro doveri, doveri pesanti, doveri che
ripugnano ad una perversa natura, doveri che incatenano la libertà del peccato; deve ripetere, come S. Giovanni Battista:
all’orecchio di qualche Erode disonesto: “Non ti è lecito tenere la donna di tuo fratello”; deve ripetere all’orecchio di qualche
Epulone: “Ricordati che fuori del tuo palazzo vi è il povero Lazzaro, che ti chiama per pietà almeno le briciole di pane, che
cadono dalla tua mensa”; deve ripetere all’orecchio di qualche ingiusto Accabbo: “Questa vigna non è tua” se vuoi ottenere il
perdono di Dio è assolutamente necessario restituirla al suo padrone; all’orecchio di qualche Davide, oppressore dei deboli: Tu
hai rapito al povero l’unica pecora che aveva; siccome deve, in forza del suo ministero difendere le colombe dagli artigli degli
uccelli di rapina, strappare gli agnelli dalla bocca del lupo; siccome deve levare la maschera agli impostori, deve, senza
guardare a persona, toccare certe piaghe che fanno sangue, combattere certi vizi, opporsi a certi disordini, nessuna meraviglia
che il seguace del mondo lo perseguiti e lo disprezzi. Se non fosse così; se il mondo non odiasse il sacerdote, se non lo
perseguitasse, sarebbe indizio che il sacerdote si fa connivente con il mondo e tradisce il suo ministero. Tanto è vero che fra
quelli che disprezzano il sacerdote, non troverete mai la gente esemplare, che vive secondo le leggi dell’onestà: troverete
unicamente gente data ai vizi, alle passioni, gente per conseguenza, che nel sacerdote, nella sua condotta e nelle sue parole trova
sempre un rimprovero, una condanna della propria vita.
Ma perdonatemi, o Fratelli e Figliuoli: queste parole io non doveva rivolgerle a voi, che rispettate e amate il sacerdote e gli
siete riconoscenti per quanto fa a vostro vantaggio. Continuate in questa vostra condotta: e dimostratevi sempre docili, ubbidienti
a quello che egli vi dice, a quello che vi ordina per il bene delle vostre anime. Avvicinatelo sempre di più: fategli conoscere i
bisogni non solo della vostra vita materiale, ma specialmente quelli della vostra vita spirituale. Avvicinatelo specialmente al
Tribunale della penitenza affinché possa lavare nel sangue di Gesù le vostre colpe: avvicinatelo quando dalla mensa Eucaristica
vi distribuisce il pane dei forti e, se deboli in causa del peccato, non mancherete di riacquistare le forze perdute: avvicinatelo
quando dalla cattedra di verità vi istruisce, vi esorta, vi illumina, vi guida per la strada della salute. Facendo così voi troverete
in lui, sempre, quell’angelo del conforto, di cui vi ho parlato.
Con questa mia paterna esortazione non mi resta che darvi la mia benedizione che di cuore vi impartisco nel nome del Padre e
del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.
Alessandria, 19 Febbraio 1944
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† icolao Milone, Vescovo
Can. B. Marchetto, Segretario
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