Scialla Alghero - Sindacato Avvocati Busto Arsizio

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Scialla Alghero - Sindacato Avvocati Busto Arsizio
VI CONGRESSO NAZIONALE
ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE
ALGHERO 10 – 13 MAGGIO 2012 HOTEL CARLOS V
L’AVVOCATO TRA LIBERTÀ E LIBERALIZZAZIONI. OGGI È GIÀ DOMANI.
DOVE E COME ESERCITARE L’EFFETTIVA TUTELA DEI DIRITTI.
LO STATO DELLA GIUSTIZIA PENALE
Scheda elaborata da Mario Scialla – Responsabile Area Penale - Direttivo Nazionale ANF
Realizzai che la vera funzione di un
avvocato era di unire le parti lacerate a
pezzi. La lezione mi si impresse così
indelebilmente che dedicai gran parte
del mio tempo, durante i vent'anni
della mia pratica come avvocato, a
portare avanti compromessi privati di
centinaia di casi. Non persi nulla, così
facendo, nemmeno del denaro, e
certamente non la mia anima.
(Mahatma Gandhi)
L’Associazione
Nazionale
Forense,
nell’ultimo
biennio
aveva,
in
un
documento
programmatico, indicato le priorità nella materia processualpenalistica, delineando quello che
doveva essere un corretto approccio ai problemi che si sostanziava nel convincimento di
dover, da un lato, monitorare i numerosi progetti di riforma e dall’altro affinare la capacità di
ragionare senza farsi condizionare da pregiudizi legati a logiche preconcette di appartenenza.
Fedele a questo progetto l’Associazione ha sempre fatto sentire la sua voce assumendo
posizioni autonome e propositive in materia di processo breve, intercettazioni telefoniche,
riforma epocale della giustizia e, da ultimo, in merito agli interventi urgenti per il contrasto
della tensione detentiva, determinata dal sovraffollamento delle carceri.
Prima ancora era stato assai importante il contributo della nostra associazione nella
redazione, insieme a CNF ed OUA, del documento “Riflessioni sulla giustizia penale”
presentato in occasione del Congresso Nazionale Forense di Genova del 2010 e divenuto un
vero manifesto sullo stato del processo penale.
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L’AVVOCATO TRA LIBERTÀ E LIBERALIZZAZIONI. OGGI È GIÀ DOMANI.
DOVE E COME ESERCITARE L’EFFETTIVA TUTELA DEI DIRITTI.
Successivamente l’attenzione si è concentrata, mediante l’audizione in Commissione
Giustizia, sul processo breve e sulla riforma epocale della giustizia, evidenziando l’errato
approccio del governo su tali argomenti, contribuendo così ad indirizzare tali riforme su binari
morti.
Assai penetrante è stato l’intervento di ANF anche in materia di intercettazioni telefoniche nel
quale si è ribadita l’esigenza di modificare la disciplina esistente per tutelare adeguatamente
la riservatezza delle persone, eliminando gli abusi ma ammonendo nel contempo che il DDL
Alfano sembrava poco equilibrato, privilegiando eccessivamente la tutela della dignità e
riservatezza delle persone a scapito dell’azione necessaria della magistratura, il diritto alla
difesa, il diritto – dovere ad informare ed essere informati, rischiando così di produrre un
rimedio peggiore del male.
E’ importante sottolineare come il Governo Monti stia ipotizzando di intervenire su questa
materia utilizzando tali argomentazioni come base per giungere ad una soluzione
maggiormente condivisa.
La migliore soddisfazione per il buon lavoro dell’Associazione è stato senza dubbio
rappresentato dall’orientamento assunto recentemente dal Governo nel disegno di legge sul
recupero dell’efficienza penale che recepisce una parte delle proposte di ANF presentate nel
maggio 2010 e diffusa nell’ambito politico con una intensa attività di colloqui e sollecitazioni
avvenute non solo nella capitale ma in tutte le occasioni nelle quali, durante i convegni, si è
discusso di tali argomenti.
Il lettore che avrà la pazienza di leggere il documento programmatico allegato a tale scheda
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DOVE E COME ESERCITARE L’EFFETTIVA TUTELA DEI DIRITTI.
non potrà non cogliere come il DDL in questione segni, in effetti, una sorta di sublimazione
dell’intensa attività associativa.
L’Associazione Nazionale Forense ha inoltre espresso una posizione forte e chiara anche sul
tema dell’emergenza carceraria, gettando le basi per un’ampia riflessione nel convegno di
Catania dell’ottobre 2011, non a caso intitolato “Giustizia dietro le sbarre” e commentando
positivamente il Decreto Legge 22 dicembre 2011, n. 211, a contrasto del sovraffollamento
carcerario.
Tale ultimo argomento merita, anche in questa sede, il nostro maggiore approfondimento.
Infatti il percorso seguito dal Ministro è corretto ed in attesa di una riforma più strutturale del
sistema penitenziario che interessi anche la custodia cautelare, escludendo rimedi che
portino un sollievo solo momentaneo, come l’amnistia, sono da accogliere positivamente le
novità introdotte che evitano a chi è in attesa della convalida dell’arresto, salve eccezioni,
l’ingresso momentaneo nella struttura penitenziaria e quelle che ampliano il ricorso alla
reclusione domiciliare.
Apprezzabile è anche il fatto che il decreto legge in questione sia stato presentato unitamente
ad un disegno di legge per il recupero dell’efficienza penale che recepisce, come detto, molte
delle istanze sollecitate dall’Associazione Nazionale Forense negli ultimi anni (soprattutto in
tema di sospensione del processo a carico degli irreperibili) a conferma che l’emergenza
carceraria non si potrà mai definitivamente risolvere se non si abbina ad una riforma
coraggiosa del sistema giustizia.
Il carcere, infatti, è la parte terminale del mal funzionamento della giustizia ed in questa ottica
è particolarmente apprezzabile che nel ddl da ultimo menzionato, sul recupero dell’efficienza 3
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del processo penale, venga introdotta la sospensione del procedimento con messa alla
prova, in caso di reati non superiori a quattro anni.
Tale istituto, infatti, sta fornendo buoni risultati nel processo penale minorile perché si è
verificato che mediante un attento monitoraggio dell’imputato, guidato attraverso un percorso
personalizzato, diminuisce sensibilmente il rischio della recidiva ed aumenta la possibilità di
un reale reinserimento sociale.
L’articolo 1 del d.l. 22 dicembre 2011 n. 211 va valutato positivamente perché vieta,
apportando una duplice modifica all’art. 558 del codice di procedura penale, in materia di
convalida dell’arresto e giudizio direttissimo innanzi al tribunale in composizione monocratica,
la conduzione della persona arrestata nella casa circondariale.
E’ opportuna anche la previsione di una possibile deroga, disposta dal pubblico ministero con
provvedimento motivato, quando non sia possibile assicurare altrimenti la custodia
dell’arrestato da parte degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ad esempio per
indisponibilità di locali idonei, per ragioni di salute e per ogni altra necessità.
Taluno, invece, legge in questo provvedimento un pericoloso passaggio indietro,
evidenziando il rischio che mantenere l’arrestato nella disponibilità di chi ha operato la cattura
possa favorire una coazione psicologica dello stesso, inducendolo a rendere dichiarazioni
non veritiere o comunque non consentite.
Il rischio, in effetti sussiste, ma ciò poteva accadere anche nel sistema precedente ed anzi un
valido antidoto alla patologia segnalata può essere costituito proprio dal dimezzamento dei
tempi di comparizione dinanzi al giudice.
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La riduzione del termine da 96 a 48 ore dall’arresto consentirà, infatti, una maggiore tenuta
psicofisica del recluso che in occasione della convalida, in un contesto più favorevole e con
l’assistenza del difensore, potrà più facilmente segnalare eventuali abusi subiti.
Tale modifica non sarà certo in grado di risolvere il grave problema delle carceri in quanto,
numericamente, inciderà probabilmente poco ma intanto rappresenta un segnale importante
perché riduce, in ossequio alla Carta Costituzionale, il sacrificio della libertà personale che
non è giustificata né da motivi di carattere sociale né da esigenze processuali. Inoltre procura
un notevole sollievo alla polizia penitenziaria perché riduce attività, spostamenti e scorte che
si rivelano per lo più inutili in quanto il giudice, molto spesso, dispone la scarcerazione della
persona.
Maggiormente incisiva, sarà sicuramente la disposizione dell’articolo 3 che prevede
l’innalzamento da dodici mesi a diciotto mesi della soglia di pena detentiva, anche residua,
per l’accesso alla detenzione presso il domicilio, consentendo quasi di raddoppiare il numero
dei detenuti che potranno essere ammessi alla detenzione domiciliare, in base alla legge del
2010.
E’ significativo anche il disposto dell’art. 4 che autorizza la spesa di euro 57.277.063 per far
fronte alle necessità di edilizia carceraria poiché buona parte delle attuali case di reclusione,
sorte in epoca ormai datata, presenta una concezione degli spazi ampiamente superata e
soprattutto non utilizzabile proficuamente.
Per uscire dall’emergenza carceraria servirà, però, ulteriore coraggio ed ammettere che la
scelta politica degli ultimi anni, quella della “tolleranza zero” e di “buttare la chiave” può aver
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consentito di guadagnare alcuni consensi elettorali ma non ha portato a risultati positivi,
facendoci anzi precipitare nella situazione attuale.
Infatti i numerosi pacchetti sicurezza che si sono succeduti negli ultimi tempi sono venuti
incontro alle domande della società che sollecita risposte facili ma il governo, invece, deve
fornire quelle difficili proprio perché siano più efficaci e durature.
Questi improvvidi interventi hanno bloccato la concessione delle misure alternative
impedendo il percorso di diversificazione che si era intrapreso fino all’entrata in vigore della
ex Cirielli allorquando vi era, grossomodo, un numero pari tra detenuti in carcere e quelli
affidati fuori.
Oggi, invece, una serie di norme troppo rigide ha anche probabilmente violato il principio
costituzionale della flessibilità della pena mettendo completamente in crisi il sistema.
Pertanto vanno letti positivamente questi interventi governativi che finalmente spostano
l’angolo prospettico dalla sicurezza collettiva, vera o presunta, al tentativo di ridurre il
sacrificio della libertà personale.
Occorrerà, adesso, metter mano alle due anomalie italiane, quella dell’abuso del ricorso alla
custodia cautelare, che determina la carcerazione di quasi il 42% del numero complessivo dei
detenuti, e quella di chi viola la legge sugli stupefacenti, calcolabile intorno al 36%; se
confrontiamo questi numeri con quelli degli altri paesi europei ci accorgiamo immediatamente
che sono decisamente superiori.
Che la custodia cautelare venga usata in maniera impropria e che la stessa abbia ormai
assunto una valenza diversa, quasi fosse uno strumento di difesa sociale, rispetto a quella
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per cui è stata concepita, è un dato pacificamente acclarato. Ed allora è il momento di
modificarla anche in maniera radicale.
Dovremmo invertire i termini della questione e la pericolosità sociale non si dovrà più
presumere ma dovrà, ad esempio, risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e
circostanze del fatto e dalla personalità del reo. Se eccezioni dovranno esserci potranno
riferirsi solo ad esigenze di eccezionale rilevanza.
Analogamente bisognerà recuperare il significato costituzionale della pena anche nei
confronti dei numerosi tossicodipendenti reclusi in carcere in condizioni disumane.
La legge che disciplina gli stupefacenti è eccessivamente rigida ed è chiaro che il fenomeno
della tossicodipendenza non può risolversi con la detenzione intramuraria perché buona parte
dei reclusi andrebbe invece curata in idonee strutture, anche per favorirne il reinserimento
sociale e non abbandonata a se stessa in una cella.
Deve infatti essere ben chiaro che una società civile, tramite il carcere, può privare taluno
della libertà personale ma non certo di tutti gli altri diritti fondamentali, quali la salute, gli
affetti, lo studio, il movimento, la religione, il lavoro ecc.
In passato si è sempre preferito ricorrere all’amnistia, già intrapresa 22 volte dal 1948 al
1992, utilizzandola come strumento emergenziale per affrontare un problema che non si
voleva risolvere in radice, sia per quanto concerne il mondo del carcere sia per quanto
riguarda il mondo della giustizia.
Ora, invece, si avverte dal combinato disposto del decreto legge in questione e dal ddl sul
recupero dell’efficienza del processo penale una timida inversione di tendenza.
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L’augurio è che si continui ad imboccare il percorso più difficile ma efficace rimanendo
tetragoni
alle sollecitazioni della piazza che si augura invece di avere risposte facili e
rassicuranti, senza sapere, però, che saranno anche quelle meno utili e durature.
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